Cari ragazzi

Voglio ringraziarvi per l’affetto e la solidarietà che mi avete dimostrato e nello stesso tempo voglio esternarvi alcuni pensieri che mi girano per la testa.

 

Sono passati due anni e mezzo da quando ho lasciato l’azienda, ma questo tempo non conta perché l’ho trascorso a farmi un’esperienza e una professionalità di tutt’altro tipo di quella che avevo acquisito in fabbrica. La vicenda ormai la conoscete tutti.

Quindi è come uscissi oggi dalla fabbrica per andare in pensione e voglio aggiornare il mio addio che vi mandai allora. Lo ricordate?

A quel tempo mi piaceva scherzare, e scrissi delle cose che, anche se rispecchiavano il mio modo di pensare e un po’ la mia filosofia di vita, erano messe giù in modo scanzonato e scherzoso.

 

Vi parlai della luce della conoscenza, dicendo che poco sapevamo di noi e del nostro esistere, e dell’incognita nello svoltare l’angolo o nell’affrontare la prossima curva.

Ora io posso dire che l’angolo l’ho svoltato  e, dopo la curva, ho incontrato il cancro. Non in prima persona, certamente, ma nella persona a me più vicina e a me più cara. Mia moglie.

Ho perso la voglia di scherzare e di ridere.

 

In compenso, in questi trenta mesi, ho acquisito conoscenza.

 

Ho conosciuto innanzi tutto il mondo della malattia

Un mondo che quando non ti tocca o ti tocca marginalmente non capisci, cerchi di evitare, ne parli con sufficienza, pontifichi (quello ha sbagliato, si doveva fare così, i medici fanno solo soldi, se succede a me faccio cosà, ecc.), tutti luoghi comuni che denotano superficialità, presunzione e pregiudizio.

Un mondo invece che è un universo parallelo dove i valori sono diversi, dove, malgrado le vanterie di chi è fuori, predomina l’istinto di sopravvivenza e grazie a quello si fanno cose impensabili. Si combattono vincendo e, purtroppo sovente, perdendo durissime battaglie.

C’è sempre comunque la speranza, anche contro ogni logica.

Un mondo fatto di dolore, sia fisico che psicologico e mina  anche chi è sano

Un mondo dove si vive nel provvisorio, non puoi fare progetti, dove effettivamente non puoi sapere se passi l’anno (come scherzosamente dicevo nella mia precedente lettera)

 

Ho conosciuto la paura.

Paura di qualcosa che non conosci, che non dipende da un tuo controllo e quindi devi fidarti di estranei. Qualcosa che quando non ti tocca direttamente tendi a rimuovere dalla mente.

Paura di non farcela, di non essere all’altezza. Non come sul lavoro perché salta l’assegno o la promozione, ma perché la responsabilità di una persona malata è sulle tue spalle.

Paura di ammalarti te medesimo, di cedere psicologicamente e fisicamente.

Paura, anzi terrore della malattia in se.

 

Ho conosciuto il coraggio

Coraggio di combattere malgrado tutto.

Coraggio da parte di Carla di affrontare chemioterapie, operazione, radioterapia.

Coraggio di andare avanti con fiducia e determinazione malgrado risultati deludenti.

 

Ho conosciuto l’invidia

Invidia verso chi è sano e bello, senza problemi, e può fare quello che vuole.

Invidia verso chi migliora e magari guarisce, mentre noi discendiamo la china.


Ho conosciuto l’odio

Odio verso chi ha mal consigliato Carla. Ancora adesso quando alla Messa do il segno della pace sono un’ipocrita. “ Se dunque stai presentando la tua offerta all’altare e ricordi che hai qualcosa contro tuo fratello, lascia la tua offerta e va prima a riconciliarti con tuo fratello, poi torna e presenta la tua offerta” Matteo 5-23. Non sono capace di perdonare chi ha fatto un male così grande. Cerco ma non ci riesco. Non sono Dio.

Odio verso chi approfitta della fragilità psicologica di chi è malato.

Odio verso la malafede di chi propaganda metodi e idee lucrandoci su.

Odio verso chi si è intromesso nella mia famiglia seminando malvagità.

 

Ho conosciuto l’affetto

Affetto di chi disinteressatamente mi ha aiutato.

Affetto che sono riuscito a dare Carla durante la malattia.

Affetto che ho ricevuto da Carla durante la malattia

Affetto ricevuto da persone impensabili

 

Ho conosciuto l’ipocrisia

Ipocrisia di chi ti offre il suo aiuto per secondi fini.

Ipocrisia di chi ti aiuta per gratificare se stesso.

Ipocrisia di chi ti aiuta per poi esibirlo.

“Ma quando fai elemosina non sappia la tua sinistra quel che fa la tua destra” Matteo 6-3

 

Ho conosciuto il rimorso

Rimorso per quello che non ho saputo dare.

Rimorso per il mio egoismo.

Rimorso per quello che non ho saputo capire.

Rimorso per quello che non sono stato capace di dire.

Rimorso per quello che non sono stato capace di fare con lei e per lei.

 

Ho conosciuto l’orgoglio

Orgoglio dell’essere. Sono sempre stato orgoglioso di mia moglie, della sua bellezza, del fatto che fosse con me, ma questo era orgoglio dell’apparire. Quando la malattia ha devastato l’apparenza sia fisica che mentale e a Candiolo io spingevo una carrozzina sulla quale si trovava mia moglie, senza capelli, quasi senza corpo (pesava 30 chili), frastornata dalla morfina, ebbene io ero orgoglioso ugualmente perché per Dio stavamo combattendo, magari da perdenti, ma combattevamo una grande battaglia. Perché mia moglie esisteva, era!, noi eravamo!

Orgoglio nell’accudire a Carla ammalata, io, suo marito.

C’era un patto tra noi. Non morire in ospedale, non accanimento terapeutico. Bene io questo patto l’ho rispettato e di questo vado fiero.

 

Ho conosciuto speranza e delusione.

L’anno scorso in questo periodo andavamo in montagna e Carla arrampicava come una capra dando punti a me , a tutti.

Eravamo sicuri di farcela e mi sembrava impossibile che una persona così in forma potesse essere sconfitta.

Poi quest’anno via via, delusioni sempre più cocenti


Ho conosciuto professionalità e disponibilità.

Di medici e infermiere. Due esempi

Quando a maggio il dott. Galletto leggendo l’ultima T.A.C. mi disse che non c’era più niente da fare, aggiunse “ domani alle 11 vengo a vederla “. Ebbene l’indomani alle 11 era a casa nostra. Il primario di ginecologia alzava le chiappe e veniva a visitare una sua paziente a domicilio.

Le infermiere delle cure palliative scattavano alle mie telefonate per aiuto. Gli ultimi giorni, con mia moglie bloccata, si sono impegnate in lavori di pulizia corporale, supplendo in questo modo alla mia incapacità.

A mio modo di giudicare, non si parli più di malasanità, almeno in questi settori.

 

Ho conosciuto la morte

Non avevo mai visto morire nessuno.

Vedere come prima morte in diretta quella della propria moglie, è un’esperienza spessa della quale avrei volentieri fatto a meno.

Le citazioni scherzose sulla morte della mia precedente lettera d’addio, “questa notte stessa tu morrai” o “state certi che accadrà”, anche se vere mi sono state ricacciate in gola.

 

Ho conosciuto la nostalgia.

Nostalgia della nostre passeggiate.

Nostalgia nelle nostre nuotate.

Nostalgia dei nostri litigi.

Nostalgia delle nostre discussioni.

Nostalgia del suo sorriso.

…………..…In breve nostalgia di lei.

 

Io non so ancora a cosa serviranno queste conoscenze. Se mi renderanno migliore o mi renderanno più carogna. A volte sento commozione a volte cinismo.

Se la vita ha un senso, le vicende negative e positive devono servire a qualcosa, spero a migliorare la persona.

Se non fosse così, tanto varrebbe spararsi e annegare i neonati.

Per adesso sono confuso. Forse tra qualche tempo potrò cominciare a tirare le somme e valutare se ci sono cambiamenti.

Non so se esiste un Dio o un disegno superiore o una qualunque cosa che giustifichi l’esistenza e soprattutto tanta sofferenza e dolore. Forse con un po’ di fede sarebbe meno dura. Forse esiste veramente il trascendente. Forse bisognerebbe essere meno razionali…

Troppi forse……………….

 

Mi fermo qui, ho già scritto troppo.

Grazie ancora ragazzi e, per quelli che hanno letto tutto e sono arrivati fino a qui, scusate lo sfogo.

Probabilmente anche questa lettera è un tributo all’apparire, ma mi dovevo sfogare per non esplodere. Mi sono sfogato con voi perché, dopo mia moglie, siete le persone con le quali ho passato più tempo, otto ore al giorno, a lavorare, a litigare, a costruire, a mandarci a quel paese ecc.

Era quindi inevitabile che scrivessi questo aggiornamento al mio addio.

Di nuovo grazie. Mi scuso con quelli che ho dimenticato o dei quali non ricordo più nome e cognome. Credo che in qualche modo questa lettera la leggeranno anche loro (se la fabbrica non è cambiata il tam-tam provvede)

Scrivete! Mi fa piacere ricevere le vostre e-mail

 

Costantino Flavio

costantino.flavio@gmail.com