Seconda Università degli Studi di Napoli

Facoltà di Medicina e Chirurgia

C.D.L. in Fisioterapia

ANNO ACCADEMICO 2002-2003

 

  

       (A cura di: Ciarfa Sergio, Gargiulo Ramona, Panico Crescenzo, Solazzo Maurizio, Stasio Marika)

 

 

 

 

LINFEDEMA DEGLI ARTI INFERIORI E TERAPIE         

FISICO – RIABILITATIVE

 

 




CENNI DI ANATOMIA DELL’APPARATO LINFATICO



Il complesso dei vasi linfatici rappresenta un sistema di drenaggio paravenoso che trasporta il liquido linfatico verso le vene. I capillari linfatici originano nell’interstizio a “ dita di guanto “, dispongono di grandi pori e di un meccanismo di ancoraggio che permette loro di raccogliere grosse molecole come le proteine ed i frammenti cellulari dall’interstizio.
I capillari linfatici si uniscono formando i pre-collettori ai quali seguono i collettori ed i tronchi linfatici maggiori. Questi ultimi terminano a livello degli angoli venosi formati dalle vene giugulare e succlavia. Il percorso dei vasi linfatici viene interrotto in diversi punti dai linfonodi, che svolgono importanti funzioni di filtro e difesa immunitaria.


 


DEFINIZIONE DI EDEMA E FATTORI INFLUENTI SULLA SUA FORMAZIONE

 

L’edema si può definire come un visibile aumento dei liquidi, normalmente patologico, che si localizza prevalentemente nel tessuto connettivo sottocutaneo e interstiziale; si forma pertanto nello spazio intercellulare al di fuori del sistema linfatico. L’edema altera i profili corporei ed ha una notevole deformabilità determinando inoltre un elevato turgore dei tessuti (gonfiore, tensione). Si può manifestare in modo unilaterale o simmetrico, localizzato o generalizzato, cioè può colpire un solo distretto anatomico o tutto il corpo.
I vasi linfatici sono sempre coinvolti nella genesi degli edemi.
Da una parte può manifestarsi una diminuzione funzionale o meccanica della capacità di trasporto linfatico dando origine ai cosiddetti “edemi linfostatici” o “linfedemi”. In tal caso si tratta di una patologia vera e propria dei vasi linfatici.

Il vero fattore scatenante del linfedema è caratterizzato dall’interruzione del sistema linfatico, tipico ad esempio delle donne mastectomizzate, distinguendosi così dagli edemi che possono manifestarsi anche solo in seguito ad una puntura d’insetto o dopo una lunga immobilizzazione.
In alternativa i vasi linfatici possono essere integri, con una normale capacità di trasporto ma non essere in grado di smaltire una iperproduzione di liquido, determinando una “insufficienza linfodinamica”, caratteristica di tutte le altre forme di edema. In tal caso sono patologici i vasi venosi o la composizione stessa del sangue oppure sono alterati i rapporti della pressione sanguigna in relazione alla pressione extra-capillare.

La causa principale dell’insufficienza e della scarsità dei vasi linfatici è dovuta ad un’aplasia congenita o ad un danno acquisito ai vasi linfatici.

 

 

 

 

Il Linfedema congenito compare in tre stadi della vita:

 

· Ereditario o familiare (malattia di Milroy)

· Linfedema precoce (pubertà)

· Linfedema tardivo (fino a trent’anni)

 

Il Linfedema acquisito (linfedema secondario) può essere causato da:

 

· Occlusione maligna

· Asportazione chirurgica di linfonodi

· Pressione endo-addominale dovuta a tumori

· Radioterapia

· Erisipela ricorrente (cellulite)

- Filariosi

· Traumi ai tessuti molli

 

 

 

TIPI DI LINFEDEMA DEGLI ARTI INFERIORI

 

Il linfedema degli arti inferiori è una patologia che colpisce i vasi linfatici . Molte cause patogene, congenite ed acquisite, possono portare i vasi linfatici a non svolgere la loro funzione con accumulo di liquidi e poi di sostanze negli spazi intercellulari. Si distingue in tre gradi fondamentali:

 

il primo consiste nel semplice accumulo di acqua che porta ad un edema degli arti inferiori. Tale gonfiore è inizialmente transitorio, riducibile e difficilmente causa disagi importanti; i sintomi possono essere sfumati e confusi con altre patologie: crampi saltuari, specie notturni, formicolio, talora prurito.

 

Il secondo grado è quello in cui, insieme all’acqua, stagnano anche proteine e altri cataboliti cellulari. In questo stadio l’edema è più difficilmente riducibile e i sintomi (pesantezza, formicolio,crampi,prurito) si fanno persistenti e costanti, specie la sera.

 

Il terzo grado corrisponde allo stato indurativo del sottocute, quando per effetto del ristagno costante e persistente, l’organismo produce una fibrosi del tessuto; in questo stadio l’edema non è più riducibile e ogni presidio terapeutico risulta solo parzialmente efficace; a questo stadio corrisponde il grado più elevato di linfedema che prende il nome di elefantiasi.

 

 

 

ANAMNESI E SEMEIOTICA  DIFFERENZIALE FRA EDEMA E LINFEDEMA

 

In medicina ogni diagnosi, in generale, dipende sempre da una approfondita anamnesi.

L’anamnesi è importante al fine di distinguere una eventuale patologia venosa dall’edema o dal linfedema.

Andrà, prima di tutto, indagata la familiarità per varici. A questo dato bisogna assegnare importanza capitale in quanto nei pazienti varicosi la familiarità è un dato pressoché costante.

Nell'anamnesi fisiologica andranno ricercate le eventuali gravidanze. E' noto, infatti, che molte varici esordiscono in gravidanza e nel post-partum come conseguenza dell'ostacolato ritorno venoso da un lato e delle modificazioni dei livelli ormonali dall'altro.

Importanza fondamentale ha la professione svolta dal paziente. Infatti, individui costretti a lavorare in posizione eretta fermi in piedi per tutto il giorno (es. baristi, cuochi, ecc.) presentano oltre ad un aumentato rischio di insorgenza di malattia anche una maggiore probabilità di incorrere in complicanze associate alla malattia varicosa.

Nella anamnesi patologica remota andrà indagata la presenza di cardiopatie capaci di procurare una stasi venosa che si intrica con la malattia varicosa determinandone un aggravamento.

L'anamnesi patologica prossima verterà sui sintomi riferiti dal paziente.

Tra questi i importante è la “sensazione di peso”.

E' un sintomo praticamente di costante natura flebostatica, di solito serotino, peggiora con la stazione eretta prolungata e recede con il riposo antideclive, migliora con la deambulazione.

 

 La eventuale diagnosi differenziale deve essere fatta con alcune miopatie ma in queste l'attività motoria tende piuttosto all'aggravamento della sintomatologia.

 

La diagnosi differenziale fra edema e linfedema

L’edema è sempre di natura vascolare. Un edema perimalleolare, vespertino, insorto lentamente nel tempo, unilaterale in un arto che presenta varici ci orienterà verso un edema flebostatico.

La bilateralità, specie in arti in cui il paziente non presentava varici evidenti, deve far pensare ad un linfedema, un edema discrasico, cardiogeno, nefrogeno o un lipedema che in questo ultimo caso non subisce variazioni volumetriche con il decubito

 

 

 

 

 

TRATTAMENTI FISICO-RIABILITATIVI

 

 

Il trattamento del LINFEDEMA può essere di varia natura, ma l’approccio terapeutico di tipo fisico-riabilitativo costituisce il primo e più importante passo nell’ambito del percorso terapeutico del paziente affetto da questa patologia invalidante.

Il trattamento fisico-riabilitativo, nonché farmacologico, dovrebbe sempre e comunque essere di tipo globale e integrato, basato cioè sull’unione di più modalità terapeutiche, utilizzate sinergicamente:

 

 

 

 

TRATTAMENTI TERAPEUTICI PIU’ DIFFUSI:

 

 

 

-          Drenaggio linfatico manuale (DLM)

 

-          Elastocompressione

 

-          Specifici  esercizi fisici

 

-          Pressoterapia sequenziale ad aria

 

 

 

IL LINFODRENAGGIO MANUALE

 

CASO CLINICO E TERAPIA

Il caso seguente rappresenta una donna di 28 anni con diagnosi di angiodisplasia congenita all’età di tre anni che presenta un edema all’arto inferiore destro.

( Il dott. Bertone ci fa notare che potrebbe trattarsi di un caso di sindrome di Klippel-Trenaunay che è una rara malattia congenita, caratterizzata da una anormale crescita benigna  (ipertrofia) cutanea consistente di voluminosi vasi sanguigni, ipertrofia del tessuto molle e delle ossa di gambe o braccia, associata  a vene varicose).

 




Nell’angiodisplasia congenita è presente un’unica comunicazione artero-venosa ed i vasi, arterie afferenti e vene efferenti, si presentano dilatate e tortuose. Queste anomalie si possono evidenziare nelle arteriografie e flebografia.

     

 

   


La paziente presenta lungo la parte laterale della coscia, della gamba e del piede, delle cicatrici dovute a interventi di embolizzazione dei vasi anomali e conseguenti asportazioni degli stessi atte a ridurre la vascolarizzazione della massa angioplastica.


La paziente è stata trattata per un periodo di 20 sedute, una al giorno della durata di 1 ora, con linfodrenaggio manuale e bendaggio compressivo.

 

 


 Il LINFODRENGGIO MANUALE è un insieme di manovre ripetute più volte atte allo svuotamento dei linfonodi e allo spostamento del liquido in eccesso verso quelle sedi che ne permettono il riassorbimento. Le manovre di cui sopra vengono effettuate su una superficie ampia, con una pressione leggera (“pressione di drenaggio ottimale”) mantenuta dal Terapista per almeno un secondo, crescente e decrescente in modo continuo ed armonico. Le manovre (o “ prese “) hanno un andamento circolare che stimola, attraverso la dilatazione, l’allungamento e lo stiramento trasversale dei vasi linfatici, la contrazione della muscolatura liscia che li circonda. Si sviluppa così un “ effetto pompa “ favorevole al trasporto della linfa. I vasi linfatici hanno numerose valvole che determinano la direzione del flusso. Il movimento rotatorio effettuato dall’operatore deve dirigere la pressione in modo coerente alla direzione delle valvole e quindi alla direzione del flusso.

L’azione del linfodrenaggio consiste, non solo nel riassorbimento del liquido edematoso ma anche nel favorire la crescita di nuovi vasi linfatici con percorsi diversi da quelli fisiologici, permettendone il collegamento con altri , eventualmente interrotti o lesi da traumi.

 

ELASTOCOMPRESSIONE

E’ stato dimostrato che nelle aree sottoposte al linfodrenaggio manuale permane una maggiore disponibilità alla contrazione. Tale aumento di contrattilità, secondo recenti studi , persiste per molte ore, cosicché dopo la seduta terapeutica può essere rimosso spontaneamente molto liquido edematoso, favorito anche dal bendaggio compressivo effettuato successivamente.
Per tale bendaggio si utilizzano una fascia tubolare e delle bende a trazione lunga e corta applicate alternativamente a strati; inoltre possono essere impiegati cuscinetti di gommapiuma per le zone più edematose. Il bendaggio compressivo va mantenuto fino alla successiva seduta di linfodrenaggio o perlomeno riposizionato periodicamente dall’operatore.

             


a termine delle sedute il paziente indossa, fino a successivo ciclo di linfodrenaggio, una calza elasto compressiva.

 

 

CONTROINDICAZIONI ALLA TERAPIA CON LINFODRENAGGIO

Il linfodrenaggio manuale si può effettuare su tutto il corpo. Esistono però delle controindicazioni a questo tipo di terapia:
- esiti recenti di trombosi : attendere 4 - 6 settimane per il pericolo di embolia polmonare
- infiammazioni acute batteriche o virali con linfoadenite locoregionale
- recidive locoregionali di neoplasie in assenza di terapia antitumorale specifica: solo dopo aver iniziato la terapia specifica è consentito il linfodrenaggio
- insufficienza cardiaca grave: dopo l’inizio trattamento con digitale e diuretici è possibile eseguire il linfodrenaggio
- eczemi da contatto acuti: pericolo di disseminazione

Occorre inoltre prestare attenzione al fatto che:
- nelle ipotensioni la pressione sanguigna con il linfodrenaggio può abbassarsi   ulteriormente
- nelle gravi forme asmatiche si può scatenare un accesso asmatico
- nella sindrome del seno carotideo non eseguire il trattamento al collo per possibile insorgenza di     asistolie
- nell’ipertiroidismo non eseguire il trattamento al collo per possibile insorgenza di una crisi tireotossica.




ESERCIZI FISICI

L’esercizio fisico è una componente fondamentale nel trattamento del linfedema ; fa parte infatti sia nella prima fase del trattamento, tesa a ridurre l’edema, sia nella seconda fase del trattamento, mirante al mantenimento del risultato ottenuto.

Esercizi isotonici devono mirare a:

-         attivare la componente muscolare in maniera isodinamica (alternare periodi di contrazione muscolare e di riposo di uguale durata).

-         Eseguire movimenti coinvolgenti le articolazioni.

-         Eseguire movimenti in declività (soprattutto per gli arti inferiori).

-         Eseguire gli esercizi con elastocompressione.

-         Associare sempre esercizi respiratori con stimolazione della componente   addomino-diaframmatica.

 

 

Per quanto riguarda l’intensità degli esercizi, non dobbiamo dimenticare che un carico eccessivo può determinare un incremento del flusso ematico, con un aumento del carico linfatico e quindi aumento del rischio di superare la soglia della capacità di trasporto linfatico. L’esercizio deve essere tarato sulla tollerabilità e sulla capacità muscolare  e generale del paziente.

Senza entrare nello specifico dei singoli esercizi fisici, è possibile tuttavia dire che questi si possono suddividere in:

-         stimolanti il drenaggio linfatico (attivano i muscoli per aumentare il drenaggio linfatico)

-         rinforzo muscolare

-         aerobici

-         tecniche respiratorie

 

Concludendo, gli esercizi isotonici proposti nel trattamento del paziente affetto da linfedema, devono avere le seguenti caratteristiche: eseguiti con elastocompressione, della durata di almeno 10 minuti, con coinvolgimento muscolare progressivo,  eseguiti in declività, abbinati con esercizi respiratori con schema personalizzato, con incremento graduale dell’intensità.

 

 

 

PRESSOTERPIA SEQUENZIALE AD ARIA

 

Gli anni ’80 videro l’invenzione e l’introduzione di un nuovo Apparato Pneumatico Sequenziale Multicamere.
La sua tecnologia innovativa creava un effetto di “mungitura” ad intermittenza sull’arto, rendendo quindi l’apparecchio molto efficace nel ridurre il linfedema.

L’apparecchio pneumatico comprende un compressore ad aria e collegato ad una serie di camere d’ aria indipendenti con lembi sovrapposti; queste camere vengono gonfiate in sequenza, creando sull’arto un’onda di pressione simile alla “mungitura”.

La sua tecnologia informatica fornisce al medico o terapista un sistema di trattamento completamente programmabile che permette di scegliere fra una varietà di cicli terapeutici. Questi ultimi sono preceduti da un innovativo ciclo preterapeutico che funziona secondo i principi del drenaggio linfatico manuale in modo da preparare le aree prossimali a riassorbire il liquido linfatico in eccesso che verrà mobilizzato durante i cicli regolari di trattamento

                    

CONCLUSIONI

 

Possiamo concludere dicendo che il trattamento del Linfedema deve prevedere la messa in opera di un protocollo multi-articolato e integrato comprendente varie metodiche terapeutiche.

I risultati clinici e strumentali evidenziano che un ricovero mirato ad una terapia “intensiva” combinata, di tipo fisico-riabilitativa e farmacologica, è infatti in grado di produrre un miglioramento del quadro linfedematoso nella stragrande maggioranza dei casi, senza complicanze significative.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

 

1) IL LINFEDEMA: APPROCCIO FISIOPATOLOGICO E DIAGNOSTICO

Cavezzi A., Jakubiak I., Cavezzi-Marconi P., Indignozzi M., Rossi M.
Servizio di Patologia Vascolare, Clinica "Stella Maris", S.Benedetto del Tronto (AP)

http://www.cavezzi.it/corpo.html

2) LINFODRENAGGIO MANUALE E FISIOTERAPIA DELL’EDEMA

Dr. Giuseppe Caruso
http://www.carusofisioterapia.it/default.asp

3) LA PRESSOTERAPIA SEQUENZIALE

Dott. Avigdor zelikowski

http://www.leadershipmedica.com/

 

4) IL LINFEDEMA

Dr. M. Forzanini, Specialista in Chirurgia Vascolare

http://www.forzanini.it

 

5) ESERCIZI ISOTONICI

Pier  Luigi Cantelli – Massofisioterapista – AUSL città di Bologna

Riabilitazione OGGI – ed. Speciale Riabilitazione – gennaio 2003

 

6) TERAPIA MEDICA : EVIDENZE CLINICHE

Dott. Alberto Martignani – Angiologo - AUSL città di Bologna

Riabilitazione OGGI – ed. Speciale Riabilitazione – gennaio 2003

 

7) La diagnosi clinica in patologia venosa degli arti inferiori

Dr. Babbo, Dr. Paolo Madeyski

http://www.lasalute.org/varibab.htm