25. “Tutti gli uomini desiderano sapere” (ARISTOTELE, Metafisica, I 1), e oggetto proprio di questo desiderio è la verità. La stessa vita quotidiana mostra quanto ciascuno sia interessato a scoprire, oltre il semplice sentito dire, come stanno veramente le cose. L'uomo è l'unico essere in tutto il creato visibile che non solo è capace di sapere, ma sa anche di sapere, e per questo si interessa alla verità reale di ciò che gli appare. Nessuno può essere sinceramente indifferente alla verità del suo sapere. Se scopre che è falso, lo rigetta; se può, invece, accertarne la verità, si sente appagato. È la lezione di sant'Agostino quando scrive: “Molti ho incontrato che volevano ingannare, ma che volesse farsi ingannare, nessuno” (Confessiones, X, 23, 33: CCL 27, 173). Giustamente si ritiene che una persona abbia raggiunto l'età adulta quando può discernere, con i propri mezzi, tra ciò che è vero e ciò che è falso, formandosi un suo giudizio sulla realtà oggettiva delle cose. Sta qui il motivo di tante ricerche, in particolare nel campo delle scienze, che hanno portato negli ultimi secoli a così significativi risultati, favorendo un autentico progresso dell'umanità intera.
Non meno importante della ricerca in ambito teoretico è quella in ambito pratico: intendo alludere alla ricerca della verità in rapporto al bene da compiere. Con il proprio agire etico, infatti, la persona, operando secondo il suo libero e retto volere, si introduce nella strada della felicità e tende verso la perfezione. Anche in questo caso si tratta di verità. Ho ribadito questa convinzione nella Lettera enciclica Veritatis splendor: “Non si dà morale senza libertà [...]. Se esiste il diritto di essere rispettati nel proprio cammino di ricerca della verità, esiste ancora prima l'obbligo morale grave per ciascuno di cercare la verità e di aderirvi una volta conosciuta”.(N. 34: AAS 85 (1993), 1161: EV 13/2626)
È necessario, dunque, che i valori scelti e perseguiti con la propria vita siano veri, perché soltanto valori veri possono perfezionare la persona realizzandone la natura. Questa verità dei valori, l'uomo la trova non rinchiudendosi in se stesso ma aprendosi ad accoglierla anche nelle dimensioni che lo trascendono. È questa una condizione necessaria perché ognuno diventi se stesso e cresca come persona adulta e matura.
36. […]
Uno degli sforzi maggiori che i filosofi del pensiero classico operarono, infatti, fu quello di purificare la concezione che gli uomini avevano di Dio da forme mitologiche. Come sappiamo, anche la religione greca, non diversamente da gran parte delle religioni cosmiche, era politeista, giungendo fino a divinizzare cose e fenomeni della natura. I tentativi dell'uomo di comprendere l'origine degli dei e, in loro, dell'universo trovarono la loro prima espressione nella poesia. Le teogonie rimangono, fino ad oggi, la prima testimonianza di questa ricerca dell'uomo. Fu compito dei padri della filosofia far emergere il legame tra la ragione e la religione. Allargando lo sguardo verso i principi universali, essi non si accontentarono più dei miti antichi, ma vollero giungere a dare fondamento razionale alla loro credenza nella divinità. Si intraprese, così, una strada che, uscendo dalle tradizioni antiche particolari, si immetteva in uno sviluppo che corrispondeva alle esigenze della ragione universale. Il fine verso cui tale sviluppo tendeva era la consapevolezza critica di ciò in cui si credeva. La prima a trarre vantaggio da simile cammino fu la concezione della divinità. Le superstizioni vennero riconosciute come tali e la religione fu, almeno in parte, purificata mediante l'analisi razionale. Fu su questa base che i Padri della Chiesa avviarono un dialogo fecondo con i filosofi antichi, aprendo la strada all'annuncio e alla comprensione del Dio di Gesù Cristo.
43. Un posto tutto particolare in questo lungo cammino spetta a san Tommaso, non solo per il contenuto della sua dottrina, ma anche per il rapporto dialogico che egli seppe instaurare con il pensiero arabo ed ebreo del suo tempo. In un'epoca in cui i pensatori cristiani riscoprivano i tesori della filosofia antica, e più direttamente aristotelica, egli ebbe il grande merito di porre in primo piano l'armonia che intercorre tra la ragione e la fede. La luce della ragione e quella della fede provengono entrambe da Dio, egli argomentava; perciò non possono contraddirsi tra loro (Cf. Summa contra Gentiles, I, VII).
Più radicalmente, Tommaso riconosce che la natura, oggetto proprio della filosofia, può contribuire alla comprensione della rivelazione divina. La fede, dunque, non teme la ragione, ma la ricerca e in essa confida. Come la grazia suppone la natura e la porta a compimento (Cf. Summa Theologiae, I, q. 1, a. 8 ad 2: “cum enim gratia non tollat naturam sed perficiat”), così la fede suppone e perfeziona la ragione. Quest'ultima, illuminata dalla fede, viene liberata dalle fragilità e dai limiti derivanti dalla disobbedienza del peccato e trova la forza necessaria per elevarsi alla conoscenza del mistero di Dio Uno e Trino. Pur sottolineando con forza il carattere soprannaturale della fede, il Dottore Angelico non ha dimenticato il valore della sua ragionevolezza; ha saputo, anzi, scendere in profondità e precisare il senso di tale ragionevolezza. La fede, infatti, è in qualche modo “esercizio del pensiero”; la ragione dell'uomo non si annulla né si avvilisce dando l'assenso ai contenuti di fede; questi sono in ogni caso raggiunti con scelta libera e consapevole (Cf. GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti al IX Congresso tomisitico internazionale (29 settembre 1990): Insegnamenti, XIII, 2 (1990), 770-771).
47. Non è da dimenticare, d'altra parte, che nella cultura moderna è venuto a cambiare il ruolo stesso della filosofia. Da saggezza e sapere universale, essa si è ridotta progressivamente a una delle tante province del sapere umano; per alcuni aspetti, anzi, è stata limitata a un ruolo del tutto marginale. Altre forme di razionalità si sono nel frattempo affermate con sempre maggior rilievo, ponendo in evidenza la marginalità del sapere filosofico. Invece che verso la contemplazione della verità e la ricerca del fine ultimo e del senso della vita, queste forme di razionalità sono orientate — o almeno orientabili — come “ragione strumentale” al servizio di fini utilitaristici, di fruizione o di potere […].
Sulla scia di queste trasformazioni culturali, alcuni filosofi, abbandonando la ricerca della verità per se stessa, hanno assunto come loro unico scopo il raggiungimento della certezza soggettiva o dell'utilità pratica. Conseguenza di ciò è stato l'offuscamento della vera dignità della ragione, non più messa nella condizione di conoscere il vero e di ricercare l'assoluto.

48. Ciò che emerge da questo ultimo scorcio di storia della filosofia è, dunque, la constatazione di una progressiva separazione tra la fede e la ragione filosofica. È ben vero che, ad una attenta osservazione, anche nella riflessione filosofica di coloro che contribuirono ad allargare la distanza tra fede e ragione si manifestano talvolta germi preziosi di pensiero, che, se approfonditi e sviluppati con rettitudine di mente e di cuore, possono far scoprire il cammino della verità. Questi germi di pensiero si trovano, ad esempio, nelle approfondite analisi sulla percezione e l'esperienza, sull'immaginario e l'inconscio, sulla personalità e l'intersoggettività, sulla libertà ed i valori, sul tempo e la storia. Anche il tema della morte può diventare severo richiamo, per ogni pensatore, a ricercare dentro di sé il senso autentico della propria esistenza. Questo tuttavia non toglie che l'attuale rapporto tra fede e ragione richieda un attento sforzo di discernimento, perché sia la ragione che la fede si sono impoverite e sono divenute deboli l'una di fronte all'altra. La ragione, privata dell'apporto della Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di farle perdere di vista la sua meta finale. La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l'esperienza, correndo il rischio di non essere più una proposta universale. È illusorio pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggior incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione. Alla stessa stregua, una ragione che non abbia dinanzi una fede adulta non è provocata a puntare lo sguardo sulla novità e radicalità dell'essere.
Non sembri fuori luogo, pertanto, il mio richiamo forte e incisivo, perché la fede e la filosofia recuperino l'unità profonda che le rende capaci di essere coerenti con la loro natura nel rispetto della reciproca autonomia. Alla parresia della fede deve corrispondere l'audacia della ragione.
67. La teologia fondamentale, per il suo carattere proprio di disciplina che ha il compito di rendere ragione della fede (cfr 1 Pt 3, 15), dovrà farsi carico di giustificare ed esplicitare la relazione tra la fede e la riflessione filosofica. Già il Concilio Vaticano I, recuperando l'insegnamento paolino (cfr Rm 1, 19-20), aveva richiamato l'attenzione sul fatto che esistono verità conoscibili naturalmente, e quindi filosoficamente. La loro conoscenza costituisce un presupposto necessario per accogliere la rivelazione di Dio.
72. Il fatto che la missione evangelizzatrice abbia incontrato sulla sua strada per prima la filosofia greca, non costituisce indicazione in alcun modo preclusiva per altri approcci. Oggi, via via che il Vangelo entra in contatto con aree culturali rimaste finora al di fuori dell'ambito di irradiazione del cristianesimo, nuovi compiti si aprono all'inculturazione. Problemi analoghi a quelli che la Chiesa dovette affrontare nei primi secoli si pongono alla nostra generazione.
Il mio pensiero va spontaneamente alle terre d'Oriente, così ricche di tradizioni religiose e filosofiche molto antiche. Tra esse, l'India occupa un posto particolare. Un grande slancio spirituale porta il pensiero indiano alla ricerca di un'esperienza che, liberando lo spirito dai condizionamenti del tempo e dello spazio, abbia valore di assoluto. Nel dinamismo di questa ricerca di liberazione si situano grandi sistemi metafisici.
Spetta ai cristiani di oggi, innanzitutto a quelli dell'India, il compito di estrarre da questo ricco patrimonio gli elementi compatibili con la loro fede così che ne derivi un arricchimento del pensiero cristiano. Per questa opera di discernimento, che trova la sua ispirazione nella Dichiarazione conciliare Nostra aetate, essi terranno conto di un certo numero di criteri. Il primo è quello dell'universalità dello spirito umano, le cui esigenze fondamentali si ritrovano identiche nelle culture più diverse. Il secondo, derivante dal primo, consiste in questo: quando la Chiesa entra in contatto con grandi culture precedentemente non ancora raggiunte, non può lasciarsi alle spalle ciò che ha acquisito dall'inculturazione nel pensiero greco-latino. Rifiutare una simile eredità sarebbe andare contro il disegno provvidenziale di Dio, che conduce la sua Chiesa lungo le strade del tempo e della storia. Questo criterio, del resto, vale per la Chiesa di ogni epoca, anche per quella di domani, che si sentirà arricchita dalle acquisizioni realizzate nell'odierno approccio con le culture orientali e troverà in questa eredità nuove indicazioni per entrare fruttuosamente in dialogo con quelle culture che l'umanità saprà far fiorire nel suo cammino incontro al futuro. In terzo luogo, ci si guarderà dal confondere la legittima rivendicazione della specificità e dell'originalità del pensiero indiano con l'idea che una tradizione culturale debba rinchiudersi nella sua differenza ed affermarsi nella sua opposizione alle altre tradizioni, ciò che sarebbe contrario alla natura stessa dello spirito umano.
Quanto è qui detto per l'India vale anche per l'eredità delle grandi culture della Cina, del Giappone e degli altri Paesi dell'Asia, come pure delle ricchezze delle culture tradizionali dell'Africa, trasmesse soprattutto per via orale.
79. […] Questa filosofia sarà il terreno d'incontro tra le culture e la fede cristiana, il luogo d'intesa tra credenti e non credenti. Sarà di aiuto perché i credenti si convincano più da vicino che la profondità e genuinità della fede è favorita quando è unita al pensiero e ad esso non rinuncia. Ancora una volta, è la lezione dei Padri che ci guida in questa convinzione: “Lo stesso credere null'altro è che pensare assentendo [...]. Chiunque crede pensa, e credendo pensa e pensando crede [...]. La fede se non è pensata è nulla”(S. AGOSTINO, De praedestinatione sanctorum, 2, 5: PL 44, 963). Ed ancora: “Se si toglie l'assenso, si toglie la fede, perché senza assenso non si crede affatto”(ID., De fide, spe et caritate, 7: CCL 64, 61).
80. La Sacra Scrittura contiene, in maniera sia esplicita che implicita, una serie di elementi che consentono di raggiungere una visione dell'uomo e del mondo di notevole spessore filosofico. I cristiani hanno preso progressivamente coscienza della ricchezza racchiusa in quelle pagine sacre.
81. È da osservare che uno dei dati più rilevanti della nostra condizione attuale consiste nella “crisi del senso”. I punti di vista, spesso di carattere scientifico, sulla vita e sul mondo si sono talmente moltiplicati che, di fatto, assistiamo all'affermarsi del fenomeno della frammentarietà del sapere. Proprio questo rende difficile e spesso vana la ricerca di un senso. Anzi — cosa anche più drammatica — in questo groviglio di dati e di fatti tra cui si vive e che sembrano costituire la trama stessa dell'esistenza, non pochi si chiedono se abbia ancora senso porsi una domanda sul senso. La pluralità delle teorie che si contendono la risposta, o i diversi modi di vedere e di interpretare il mondo e la vita dell'uomo, non fanno che acuire questo dubbio radicale, che facilmente sfocia in uno stato di scetticismo e di indifferenza o nelle diverse espressioni del nichilismo.
La conseguenza di ciò è che spesso lo spirito umano è occupato da una forma di pensiero ambiguo, che lo porta a rinchiudersi ancora di più in se stesso, entro i limiti della propria immanenza, senza alcun riferimento al trascendente. Una filosofia priva della domanda sul senso dell'esistenza incorrerebbe nel grave pericolo di degradare la ragione a funzioni soltanto strumentali, senza alcuna autentica passione per la ricerca della verità.
Per essere in consonanza con la parola di Dio è necessario, anzitutto, che la filosofia ritrovi la sua dimensione sapienziale di ricerca del senso ultimo e globale della vita. Questa prima esigenza, a ben guardare, costituisce per la filosofia uno stimolo utilissimo ad adeguarsi alla sua stessa natura. Ciò facendo, infatti, essa non sarà soltanto l'istanza critica decisiva, che indica alle varie parti del sapere scientifico la loro fondatezza e il loro limite, ma si porrà anche come istanza ultima di unificazione del sapere e dell'agire umano, inducendoli a convergere verso uno scopo ed un senso definitivi. Questa dimensione sapienziale è oggi tanto più indispensabile in quanto l'immensa crescita del potere tecnico dell'umanità richiede una rinnovata e acuta coscienza dei valori ultimi. Se questi mezzi tecnici dovessero mancare dell'ordinamento ad un fine non meramente utilitaristico, potrebbero presto rivelarsi disumani, ed anzi trasformarsi in potenziali distruttori del genere umano (Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), 15: AAS 71 (1979), 286-289; EV 6/1213-1218).
La parola di Dio rivela il fine ultimo dell'uomo e dà un senso globale al suo agire nel mondo. È per questo che essa invita la filosofia ad impegnarsi nella ricerca del fondamento naturale di questo senso, che è la religiosità costitutiva di ogni persona. Una filosofia che volesse negare la possibilità di un senso ultimo e globale sarebbe non soltanto inadeguata, ma erronea.

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