Fratelli d'Italia  o l'Inno di Mameli

L'inno Nazionale Italiano* e l'Inno polacco

CANTO DEGLI ITALIANI

Fratelli d'Italia
L'Italia s'è desta,
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Chè schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte
Siam pronti alla morte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

 

Goffredo Mameli nasce a Genova il 5 settembre 1827 (I genitori erano Giorgio (Giorgio Giovanni), della famiglia aristocratica sarda dei MAMELI o MAMELI dei MANNELLI, nonché Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, contrammiraglio della Regia Marina Sarda (aveva percorso tutta la carriera nella marina iniziando da ufficiale, spostandosi per ricoprire la carica a Genova), parlamentare a Torino; la madre era Adelaide (Adele) Zoagli, della famiglia aristocratica genovese degli Zoagli (figlia a sua volta del Marchese Nicolò Zoagli e di Angela dei Marchesi Lomellini).
Studente e poeta aderisce nel 1847 al movimento di Mazzini. Compone varie odi (L'Alba,A Carlo Alberto, La battaglia di Marengo) fra le quali Fratelli d'Italia. Alla notizia della rivolta delle 5 giornate di Milano, con 3oo volontari raggiunge la città, dove col grado di capitano dei Bersaglieri presta servizio prima nei bersaglieri mantovani poi nella Legione Lombarda. Dopo l'armistizio Salasco torna a Genova e si unisce agli uomini di Garibaldi che decisi a partire partiti per la Sicilia, fanno dapprima tappa in Toscana poi raggiungono la Romagna Papalina. L'assassinio in Novembre di Pellegrino Rossi primo ministro apre loro le porte di Roma. Dopo la fuga di Pio IX, a Roma si forma una Giunta Provvisoria di Governo; Mameli si occupa soprattutto dell'organizzazione militare. Il giorno 28 si svolgono le elezioni a Roma. Il giorno 5 febbraio va in missione a Firenze per convincere Montanelli e Guerrazzi a formare un unico Stata fra Toscana e Lazio. Il 9 febbraio 1849 viene proclamata la Repubblica Romana.

In Marzo Mameli torna a Genova e riprende il suo posto nel movimento di opinione che spingerà Carlo Alberto alla ripresa della guerra. Tornato a Roma apprende la ferale notizia della sconfitta piemontese. La sua parentesi d’aprile nella Genova in rivolta ha breve durata: ritorna a Roma con i capi dell'insurrezione. Si prodiga nella difese della Repubblica Romana assalita dai francesi, partecipando ai principali fatti d'armi, malgrado le debilitate condizioni fisiche causategli da una febbre persistente. Il 3 giugno viene ferito ad una gamba nei combattimenti fuori Porta di San Pancrazio. Mameli, allora aiutante di campo di Garibaldi, viene ferito involontariamente nel trambusto alla gamba sinistra da un suo stesso compagno, un bersagliere della legione Manara. La ferita sembra leggera, ma subentra un'infezione che aggrava progressivamente l'infermità del malato. Il 10 giugno "in vista della bravura e coraggio mostrate nel fatto d'armi del 3 giugno" Mameli è promosso al grado di capitano dello stato maggiore.

* tra le tante banalità, luoghi comuni e stupidaggini sentite (legate alle celebrazioni del 150°) non manca quella dell'inno nazionale. A una celebrazione a Sant'Ilario d'Enza è uscita ancora una volta la "verità o Pravda" del "Canto degli Italiani" ancor noto come Inno di Mameli o come dico io massonicamente Fratelli d'Italia. La verità è che il Canto degli Italiani è l'inno nazionale. L'inno che non è mai esistito per il semplice fatto che non è mai stato decretato.

Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l'ora suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.
 
Uniamoci, amiamoci,
l'Unione, e l'amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.
 

"Con la proclamazione della Repubblica nel 1946, il 12 ottobre dello stesso anno, in vista dell'imminente giuramento delle Nuove Forze Armate (in programma per il 4 novembre) il Governo De Gasperi su proposta del Ministro della Guerra il massone Cipriano Facchinetti, propose di adottare come "inno militare" "Fratelli d'Italia". Il verbale del Consiglio dei Ministri riporta infatti "Si proporrà schema di decreto col quale si stabilisca che provvisoriamente l'inno di Mameli sarà considerato inno nazionale". Decreto mai visto: da una nota di Aldo A. Mola, apparsa sul Corriere dell Sera del 4 marzo 2006 in cui se ne contesta anche la paternità http://archiviostorico.corriere.it/2006/marzo/04/LETTERE_CORRIERE_co_9_060304078.shtml 
XV LEGISLATURA SENATO DELLA REPUBBLICA N. 821 DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE d'iniziativa dei senatori...etc.. Modifica dell'articolo 12 della Costituzione COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 18 LUGLIO 2006 - All'articolo 12 della Costituzione, dopo il primo comma è aggiunto il seguente: «L'inno della Repubblica è “Fratelli d'Italia”». Anche questo è rimasto lettera morta


Dal sito Quirinale http://www.quirinale.it/simboli/inno/inno.htm

Nella strofa seguente, Mameli ripercorre sette secoli di lotta contro il dominio straniero. Anzitutto,la battaglia di Legnano del 1176, in cui la Lega Lombarda sconfisse Barbarossa. Poi, l'estrema difesa della Repubblica di Firenze, assediata dall'esercito imperiale di Carlo V nel 1530, di cui fu simbolo il capitano Francesco Ferrucci. Il 2 agosto, dieci giorni prima della capitolazione della città, egli sconfisse le truppe nemiche a Gavinana; ferito e catturato, viene finito da Fabrizio Maramaldo, un italiano al soldo straniero, al quale rivolge le parole d'infamia divenute celebri "Tu uccidi un uomo morto".

Dall'Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.
 

LA TOMBA DI MAMELI

Per essere così famoso e stimato rintracciare al Gianicolo la tomba del bersagliere Mameli non è facile. Stile d'era fascista, marmo pesante, pochissimo verde, aquile littorie e tanti fasci di combattimento. Solo allora si ha la certezza di essere arrivati al mausoleo che ospita le spoglie di Mameli. Una volta individuato il mausoleo non resta che tentare di arrivare alla tomba. Sotto il monumento c'è l'ossario. Un luogo piuttosto lugubre, dove la luce arriva a fatica (su lastre di marmo sono iscritti i nomi di tutti i patrioti caduti per la difesa di Roma). E dietro una gigantesca colonna c'è una lastra di marmo più grande delle altre con la scritta "Goffredo Mameli" - spiega il custode - Molti non sanno che è sepolto qui. Tutti sono convinti che le sue ossa siano ancora al  Verano. Ed invece nel 1943 il regime fascista volle che il corpo fosse riportato qui, al Gianicolo". Fu una cerimonia grandiosa, come tutte quelle dell'epoca. La bara fu riesumata dalla tomba che la ospitava; fu avvolta in una bandiera tricolore, fu caricata su un affusto di cannone e trasferita, con tutti gli onori militati, sul Gianicolo. Proprio a 200 metri dal luogo dove il poeta venne ferito il 3 giugno del 1849. Il luogo esatto non è segnalato da nulla: né una stele, nè un'iscrizione. Ma il solito direttore del museo garibaldino spiega il luogo: proprio a ridosso del muro di cinta di Villa Sciarra. Ritrovarlo è stata una vera caccia al tesoro. E se una cosa è difficile da trovare è come se non esistesse proprio. riassunto da: Il Secolo XIX - 26.02.03

Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò
  L'Austria era in declino (le spade vendute sono le truppe mercenarie, deboli come giunchi) e Mameli lo sottolinea fortemente: questa strofa, infatti, fu in origine censurata dal governo piemontese. Insieme con la Russia (il cosacco), l'Austria aveva crudelmente smembrato la Polonia. Ma il sangue dei due popoli oppressi si fa veleno, che dilania il cuore della nera aquila d'Asburgo.

A REGGIO EMILIA NASCE IL TRICOLORE ITALIANO E L'INNO POLACCO
Inno Polacco
marcia, marcia Dabrowski,
dalla terra italiana alla Polonia.

     

  La mattina del 30 giugno 1797, cinque mesi dopo la proclamazione del Tricolore quale bandiera della neonata Repubblica Italiana Cispadana, circa 800 soldati di fanteria entrano a Reggio Emilia da porta San Pietro, seguiti, due giorni dopo, da altri settecento soldati. Sono tutti polacchi al seguito delle truppe napoleoniche, e sulle loro bandiere dai colori francesi campeggia il motto "tutti gli uomini liberi sono fratelli". La loro presenza a Reggio si era resa necessaria per sedare alcune sommosse fomentate dagli aristocratici contro il nuovo potere repubblicano. I reparti polacchi sono guidati dal generale Jan Henryk Dabrowsky che, pochi mesi prima da Parigi dove si trovava in esilio, aveva lanciato un appello ai suoi connazionali dispersi per l'Europa affinchè si arruolassero nell'armata napoleonica e combattessero per i comuni ideali di libertà. Fra gli ufficiali dello Stato Maggiore del generale Dabrowski presenti a Reggio Emilia (alloggiati presso il palazzo vescovile), anche il tenente di cavalleria Jozef Wybicki il quale, ispirato dal clima eroico del momento, compone una mazurka che esalta i valori della patria lontana: "Jeszcze Polska nie zginela", canto delle legioni polacche. La composizione, dedicata a Dabrowski, fu eseguita per la prima volta, in forma di serenata, nella notte tra il 10 e l'11 luglio 1797.Così riferisce un cronista reggiano dell'epoca, Luigi Silvetti: "Serenata fatta al Generale Polacco, in suo onore, Nominato. La sera delli 10 del detto Luglio verso mezza ora di sera fino alle ore 2 di Note seguì la detta Serenata dai Nostri professori e diletanti della musica con tutti li istrumenti. E con la Banda, e la fecero su la Strada avanti al portone del Vescovado; essendo costì d'alloggio il suddetto che anzi era alla finestra". Passata alla storia come Mazurka di Dabrowski, nel 1926 l'opera di Wybicki diventa l'inno nazionale polacco.

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