IL COLPO DI ZURIGO
I sabotaggi e il
controspionaggio
Cosa c’è
in quella valigia?
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Quando la notte
del 20 febbraio 1917 (martedì grasso ma era già mezzanotte passata
quindi il 21 delle ceneri) Stenos Tanzini si sentì chiedere i documenti
da due gendarmi svizzeri temette che tutto fosse finito, che l’impresa
per la quale aveva sfidato tanti pericoli e corso così gravi rischi fosse
irrimediabilmente naufragata.
La pesante valigia con tutto l’armamentario
del perfetto scassinatore che trascinava penosamente lo aveva tradito
aprendosi: il
suo arresto sarebbe stato inevitabile.
Decise di
giocare il tutto per tutto, pensando che solo un gesto di audacia e faccia
tosta poteva salvarlo.
“Come avete potuto vedere dal mio passaporto
sono un ingegnere italiano. Rimpatrio per compiere il mio dovere di
soldato; purtroppo, a quest’ora non sono riuscito a trovare un tassì
disponibile, e adesso devo trascinarmi questo po’ po’ di peso fino alla
stazione “. Ma
facciamo un passo indietro e andiamo a quel mattino del 27 settembre
1915 (17 mesi prima) che aveva segnato tutti gli avvenimenti successivi.
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brani in verde tratti
da Domenica del Corriere del 20 marzo 1955 |
Varo della Brin
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Quindici minuti prima delle 8 del 27 settembre, il sole era già alto
sul mare davanti a Brindisi. La corazzata "Benedetto Brin", varata nel
1901 a Castellammare di Stabia, lunga 138 mt. 14.737 t/s/l, 4 cannoni
da 305/40mm. e 4 da 203/40mm. inalberava l'insegna ammiraglia della III
Divisione mentre sulla nave la vita ricominciava come tutti i giorni in
qualsiasi caserma del mondo. Gli ufficiali davano ordini secchi, i marinai
correvano sulla tolda mentre sottocoperta le caldaie ruggivano. Alle otto
precise la tragedia, improvvisa, senza preavviso, dal ventre profondo
della nave. Un rombo immane, una esplosione tremenda come se mille cannoni
avessero sparato all'unisono e subito dopo la corazzata scomparve alla
vista, avvolta da un fumo giallo rossastro che si alzò fino a cento metri.
Nel fumo denso si distinse per un istante la massa d’acciaio dei cannoni
da 305 mm della torre poppiera che, lanciata in aria dalla forza
dell’esplosione ricadde poi con violenza in mare sulla sinistra della
corazzata. Il mostro d’acciaio scivolò di fianco, prima la poppa poi la
prua toccando il fondo di 10 metri e mentre la prora poco danneggiata
emergeva la parte poppiera totalmente sommersa era sconvolta ridotta a un
ammasso di rottami. Con l’ammiraglio barone Ernesto Rubin de Cervin
morirono il comandante della nave, 21 ufficiali e 433 sottufficiali e
marinai su 906 che componevano l'equipaggio. La prima versione diceva esplosione nella "Santabarbara"
poi piano piano a frasi mozze cominciarono ad uscire ipotesi
peggiori: “sabotaggio”. Sabotaggio come era già successo in terra ferma
in fabbriche convertite, polverifici e arsenali (incendio in una calata
del porto a Genova, salta in aria a Livorno il piroscafo "Etruria", un
hangar dei dirigibili della marina brucia ad Ancona, salta il
dinamitificio di Cengio (Sv) della S.I.P.E., un carro ferroviario carico
di proiettili navali al molo Pagliari, dalla polveriera di Vallegrande,
presso La Spezia, esplode causando la morte tra civili e militari di 265
persone, i magazzini viveri del porto di Napoli). Il sabotaggio ora
faceva il salto di qualità, addirittura su una nave ammiraglia. |
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Santa Barbara durante le operazioni di
recupero |
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La
rete spionistica austro-tedesca, stesa in tutta Europa,
funzionava bene e da anni nei confronti del loro stesso alleato.
Alleato perché nonostante fossimo in guerra con l'Austria (a sua volta
alleata con la Germania e presente su tutti i fronti) la guerra contro
la Germania non era mai stata
dichiarata. I tedeschi potevano girare indisturbati per il nostro paese ed
organizzare spionaggi e sabotaggi. Il
nostro vecchio vizio di tenere i piedi in due staffe. Il nostro servizio segreto
(ora operante con una sottosezione alla marina) si mise a caccia dei
traditori. |
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*La
lunghezza della Leonardo
Da Vinci era di 176 mt. con
una larghezza di 28 dislocava,
a pieno carico, circa 24.677
tons e l'armamento era
costituito da 13 cannoni da
305/46 in tre torri trinate
e due binate, più 8 pezzi
da 120/50 e 14 da 76/50,
quale armamento antisilurante. |
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Un anno dopo, il 2
agosto1916 la replica. All’ancora nel Mar Piccolo di Taranto, in una notte afosa
e senza
luna c’era una selva di alberi. Era la Ia squadra con l’ammiraglia
"Cavour", "Andrea Doria", "Giulio Cesare", "Duilio", " Leonardo da
Vinci"* e "Dante Alighieri". Mancavano
pochi minuti alle 23 quando la "da Vinci", fu scossa da un
rombo sordo che saliva dal fondo. Lo scafo per un istante tremò poi tornò
il silenzio. Un filo di fumo rossastro usciva dai boccaporti segno
evidente che anche questa volta la "santabarbara" era coinvolta. Fu
ordinato l’allagamento dei depositi poppieri di munizioni, ma una violenta
fiammata tra le due torri a poppa da 305 costrinse i marinai ad
allontanarsi, mentre il comandante e gli ufficiali tentavano vani e
disperate mosse. Le esplosioni soffocate e distanti si
fecero ravvicinate e potenti. Le piastre del ponte si schiodavano mentre
la fiammata risaliva il pozzo dell’ascensore delle munizioni con una
pressione incredibile. Alle 23:22
l'esplosione. Fiamme altissime illuminavano la notte mentre i marinai al
lavoro venivano inghiottiti nelle voragini. Alle 23:45 la corazzata si
capovolgeva. Perirono il comandante Sommi Picenardi, altri 20 ufficiali e
227 marinai. Nella caccia alla cellula spionistica che
aveva organizzato gli attentati venne fuori anche il nome di un alto
prelato del Vaticano, il tedesco Gerlach, cameriere segreto di
Papa Benedetto XV al
secolo Giacomo Della Chiesa distintosi per il suo pacifismo. Naturalmente
anche se prove certe in relazione a questi attentati non ce n'erano, ce
n'era abbastanza per processarlo in contumacia. (era stato fatto scappare
dal vaticano per via diplomatica) alla vigilia del colpo di Zurigo con l'evidente
imbarazzo della Chiesa. La Germania non era in guerra con noi perché
questa verrà dichiarata il 28 agosto 1916. Da quel momento
l'opinione degli italiani, ma principalmente dei francesi sulla neutralità
del Vaticano andò a rotoli e nessuno concesse più un'unghia di credito
a quanto usciva dal Vaticano (parole, prediche e scritti).
I francesi a questo punto chiamavano
Benedetto XV - Le Pape Bosche come loro chiamano
offensivamente i tedeschi. In Italia invece lo definirono
'Maledetto XV'.
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Le operazioni di
recupero ebbero inizio nell'estate del 1919 e si conclusero nel gennaio
del '22 (vedi capitolo in immagini Salvate le Navi). La nave fu comunque
radiata un anno dopo.
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Stessa conclusione dell'altra
commissione d’inchiesta: Sabotaggio. Ma vi furono conseguenze immediate
nelle alte sfere: Il Duca degli Abruzzi, responsabile della marina
italiana, lasciò l’incarico, e l’ammiraglio Cutinelli, capo della 1ª
Squadra navale, fu esonerato . L’inchiesta aperta dal Comando Supremo
attribuì l’attentato ai servizi segreti austriaci in concorso con
traditori italiani. Imputati furono il commerciante Vincenzi, latitante
durante il processo, (probabilmente eliminato dai servizi segreti
austriaci perché sospettato di doppio gioco); il Commissario di P.S.
Cimmaruta; il capo furiere Criscuolo; il comandante della nave, Picenardi,
responsabile di non aver saputo prevenire il sabotaggio, ma ormai morto.
Il processo, protrattosi per tre anni, terminò nel giugno del '20 con
un’assoluzione per tutti gli imputati per mancanza di prove.
La marina austriaca non era grande ma
poteva sia in Adriatico che nel Mediterraneo dare ancora filo da torcere,
specialmente se oltrepassava lo stretto d’Otranto coi sommergibili. I
sottomarini Austriaci, come le unità navali minori, si dedicavano quindi
ad una guerra di colpi di mano contro le nostre basi in Adriatico
(Venezia, Ancona), contro naviglio minore anche civile o contro obiettivi
della costa, per poi tornare a nascondersi nel dedalo di isole della
Dalmazia. Lungo questa costa le loro basi fortificate erano numerose e ben difese da sbarramenti navali (reti e cavi d'acciaio
su più linee). Così era per Trieste, Pola, Buccari, Lussino, Cattaro etc...Lungo la
nostra costa adriatica la Regia Marina aveva quindi attrezzato treni
armati che facevano la spola da Ravenna a Brindisi. Stanarli non era
possibile, ma colpirli con le stilettate dei Mas di Rizzo si. "... E loro rispondevano con la
stessa moneta sulla base dei mas d'Ancona. 60 commandos partirono da Pola e nella notte sbarcarono a 15 km da
Ancona. Parlavano bene
l'italiano e vestivano con abiti civili. Nei loro obiettivi, impadronirsi
di motoscafi per il ritorno, affondare i sommergibili in rada e una nave
austriaca catturata. L'operazione andò bene fino al loro ingresso nei
recinti doganali, quando la guardia di finanza insospettita diede
l'allarme. L'intero gruppo, compreso alcuni che avevano già disertato in
precedenza, fu catturato. L'ultimo colpo che portarono a “termine” in
mare". |
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Ferdinando Martini,
Ministro delle Colonie nel Gabinetto Salandra riporta la seguente annotazione,
il 17
giugno 1915, nel suo
"Diario 1914-1918"
-
Anche Paolucci (il Marchese Paolucci di Calboli, nostro ambasciatore a Berna)
conferma che Lugano (in genere tutta la Svizzera) è divenuto un centro di
infezione anti-italiana, un nido di spie largamente pagate dalla Germania,
e di raggiratori, di intriganti volontari e retribuiti. Bisognerebbe
sorvegliarli; ma mentre quella è gente che ha aspetto e consuetudini
finemente aristocratiche, le nostre spie vengono per lo più dalla polizia,
non parlano che italiano e se parlano il francese Dio ce ne guardi!. Lo spionaggio, l'alto spionaggio internazionale, è per
noi un libro chiuso.-
pubblicato nel 1966 da Mondadori
Sotto a fianco conversazione tenuta dal
Col. Luciano Salerno il 23 aprile 2001 ai Soci dell'Ass. Spezzina "Amici
della Storia" al Circolo Castel San Giorgio di La Spezia |
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La fortuna volle che un
sabotatore (Giuseppe Larese, agente di Mayer) che stava piazzando una carica di dinamite alla diga del bacino
idroelettrico delle Marmore (alimentava l’acciaieria di Terni) venisse
arrestato prima del botto. Larese fu condannato a morte, ma nel corso
degli interrogatori rivelò anche il programma ai danni dell'Italia dell'Evidenzbureau.
Così
la racconta Vittorino Tarolli in Spionaggio e Propaganda -
In una di queste azioni di sabotaggio fu
coinvolto un certo Larese che, avendo presa la cittadinanza austriaca si
era arruolato in quell'esercito per dedicarsi, in veste di soldato, al
Servizio informazione (E.B.). In base ad una passata esperienza dei
servizi austriaci e tedeschi, che avevano provocato danni a due ponti
sul Piave, il Larese si offrì per una delicata missione in Italia. Egli
era però nel taccuino dei nostri agenti in Austria e veniva
costantemente seguito. Partito da Vienna con una valigia a doppio fondo
contenente dei micidiali tubetti carichi di esplosivo, fu accompagnato,
passo passo, fino alla frontiera, dove gli fu sostituita la valigia con
altra identica ma con innocui tubetti esplosivi. Giunto in territorio
italiano fu preso in consegna dai RR.CC (carabinieri). Il Larese, giunto
sull'obiettivo, nascose i tubetti in un ombrello e si recò a fare una
passeggiata nelle vicinanze di Terni. Giunto sulla sponda del fiume
Nera, gettò i tubetti nella corrente, che doveva portarli ad esplodere
nell'acciaieria e nella fabbrica di armi. Ma lì finì la sua avventura di
traditore.
Le organizzazioni di questo tipo di solito non fanno capo direttamente al
vertice ma a varie cellule ermetiche dove il sottoposto conosce solo chi
gli sta direttamente sopra. Il controspionaggio si mette all’opera sapendo
che la sua è una corsa contro il tempo. Il C.V. Marino
Laureati, del servizio di controspionaggio della Marina, è quello che
si muove meglio. Dagli interrogatori dei sabotatori arrestati, e dalle
confidenze strappate all'estero da nostri agenti segreti riesce dopo mesi
ad accertare che il centro organizzativo da cui partono gli ordini e si
progettano attentati si trova nella neutrale Svizzera,
precisamente a Zurigo, nella sede del consolato austriaco. Ne è a capo
Rudolph Mayer C.F.della Imperial Regia Marina di Vienna, dietro il paravento
ufficiale di console. Se Laureati ha bisogno di soldi per
controbattere il nemico, Mayer ne gestisce montagne: la sua
disponibilità è pressoché illimitata, le sue offerte in cambio
dei sabotaggi compiuti sulle navi, strabilianti, da vivere di rendita
anche per il solo affondamento di un guscio a remi. C’era un tariffario. A console bisogna
diplomaticamente ribattere console. A cosa servono se no gli addetti
militari. Si trova un diplomatico con un passato operativo, meglio se in
marina, come Pompeo Aloisi, che raggiunge la Svizzera. D’ora in
poi il suo incarico sarà sorvegliare il via vai dall’ufficio di Mayer e alla
fine entrarvi in quell'ufficio, aprire la cassaforte, portar via i progetti
dei sabotaggi e le cartelle coi nomi dei sabotatori infiltrati, smascherando così
l'intera organizzazione. Il rischio: scoprirsi a condurre operazioni
coperte in un paese neutrale ed essere espulsi subito, se andava bene. |
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I PROTAGONISTI DELLA GUERRA SEGRETA: I
SERVIZI D'INFORMAZIONE MILITARI |
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Per
poter più agevolmente cogliere alcuni degli aspetti reconditi che
caratterizzarono la "guerra segreta" combattuta tra noi e l'Austria-Ungheria,
è necessario delineare brevemente lo stato in cui si trovavano i due
Servizi di Informazioni - quello austro-ungarico e quello italiano - allo
scoppio delle ostilità, cioè al 24 maggio 1915. Servizio Informazioni
austroungarico (Evidenzbureau o EB). La sua nascita risaliva agli inizi del
1800 e, nel corso del secolo, anche per l'importanza politica ed economica
assunta dalla Duplice Monarchia, l'EB (questa è la
denominazione mantenuta dal Servizio fino al crollo dell'Impero) ampliò i
suoi poteri divenendo, quindi, una potente arma che contribuiva
efficacemente al mantenimento dell'ordine e della sicurezza del
plurietnico Impero. Infatti l'Impero austroungarico, in quanto
eminentemente composito, doveva preoccuparsi più di ogni altro di
conoscere quello che si preparava contro di esso, non solo all'esterno ma
anche all'interno. Da ciò la grande importanza data al Servizio
Informazioni che estendeva da per tutto i suoi tentacoli, in intima unione
con la Polizia. Quando ai primi mesi del 1915 fu chiaro che l'Italia a
breve scadenza avrebbe dichiarato guerra all'Austria, l' EB intensificò in maniera massiccia l'attività informativa ai danni
dell'Italia, in ciò coadiuvato anche dai Consolati austriaci di Venezia,
Napoli e Milano ancora aperti (dopo le competenze passarono a quelli
tedeschi a cui per un errore politico madornale dichiarammo guerra solo
l’anno dopo). Nell'imminenza dell'inizio delle ostilità da parte
dell'Italia, l'EB potenziò anche tutti i suoi posti periferici
di informazione e trasferì in Svizzera, a Zurigo, la "Sezione sabotaggio"
dell'EB- Marina, che prima era dislocata a Trieste sotto la
denominazione di copertura di "Ufficio di Descrizione Costiera,"
affidandone la direzione al Cap. di Fregata Rudolph Mayer asso dello
spionaggio e Vice-Console a Zurigo, |
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Brevi accenni alle azioni di
sabotaggio. |
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Mayer nel suo operato
oltre che sui soldi, che rappresentavano il 50% del capitale, contava su
disertori, renitenti, anarchici e irredenti che comunque
non amavano Roma (e l'avrebbero fatto anche gratis). Si disse anche che erano coinvolti alcuni politici nella
scia di Sofia di Baviera ex moglie di Francesco II delle Due Sicilie,
riaprendo quindi un doloroso capitolo meridionalista per i Savoia. Era del
gruppo l'avvocato Livio Bini di Firenze (ed altri che diremo come un certo
Battistella), che si dichiarava socialista, ma che in realtà era in
Svizzera per sfuggire a una condanna per Bancarotta. L'avv. Bini fu
acquisito come informatore dall'organizzazione di "intelligence" del Cap. Mayer, con un compenso mensile di 500 lire (neanche tanto). I mezzi
esplodenti adottati di cui troverete migliore descrizioni al sito
http://www.centrostudimilitari.it/images/zurigo.doc andavano da quelli chimici ai tradizionali Ecrasite
e Termite. Questi esplosivi, che venivano
inseriti (camuffati) nel carbone impiegato per alimentare le fornaci delle navi a
vapore e delle locomotive, scoppiavano danneggiando gravemente le caldaie. Per i depositi munizioni servivano comunque ordigni
esplosivi ad orologeria. E’ chiaro che anche a bordo non venissero svolti
accurati controlli antisabotaggio e non venisse messa in atto alcuna
azione di vigilanza e sicurezza, come i pass per settore. Terminale
italiano dei sabotatori era un albergatore di Venezia sulla Riva degli
Schiavoni. Questo albergatore forniva gli uomini: al momento un soldato
italiano di cavalleria esperto di timer a orologeria e tre marinai che si
occupavano di portarle (le bombe) a bordo. Più vicine erano alla "Santa
Barbara” meglio era |
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Il
Servizio Informazioni italiano allo scoppio delle ostilità, risultava,
nelle sue diverse componenti, assai carente, sia sotto l'aspetto
strutturale che funzionale. L'incalzare degli avvenimenti e soprattutto lo
schieramento dell'Italia a favore delle Potenze dell'Intesa, determinatosi
negli ultimi mesi, aveva reso necessario ricorrere, in tempi brevissimi,
ad una riorganizzazione delle sue strutture informative, orientandole ad
operare contro l'Austria-Ungheria, che, come è noto, era stata, unitamente
alla Germania, nostra alleata nell'ambito del Trattato della Triplice
Alleanza. Mentre il Servizio austroungarico poteva vantare un'esistenza
più che secolare, corroborata dalla solida esperienza, dall'elevata
preparazione dei Quadri e da profonde motivazioni di ordine ideologico e
morale, in un contesto di rigida disciplina militare, che ne esaltava
ancor più l'efficienza e l'aggressività, quello italiano era allo stato
embrionale e risultava sostenuto più dallo spirito patriottico di qualche
ufficiale particolarmente sensibile alle esigenze di intelligence che da
una efficiente organizzazione centrale e periferica, tanto che un
autorevole uomo politico del tempo lo definì addirittura "dilettantesco."
Il Servizio italiano fu quindi ristrutturato e potenziato nel breve
volgere di qualche mese, sotto l'incalzare degli avvenimenti. Il suo
alleato migliore gli irredenti. Trentini, triestini, fiumani e dalmati non
furono da noi sollecitati, ma vennero a noi spontaneamente,
insistentemente, a spronarci ad accettare il concorso della loro attività,
per la quale rischiavano beni, libertà personale, famiglia e la loro
stessa vita. |
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SI CORRE AI RIPARI: IL RECLUTAMENTO:
La Marina
non disponeva, nella Confederazione Elvetica, di alcuna base d’appoggio,
nemmeno fra gli addetti militari che poi sarebbero stati comunque i più
sorvegliati. Si trattava quindi di creare ex novo questa struttura: un
distaccamento operativo quale premessa indispensabile per dar corso ad una
successiva operazione di controspionaggio nei confronti del Consolato. Due
volontari di guerra, di origine triestina, il Tenente Ugo Cappelletti,
del 3° Artigl. da Fortezza già dell’Ufficio “I” e il Tenente del
Genio Navale Salvatore Brunnes, entrambi ingegneri e perfetti
conoscitori della lingua tedesca e di esplosivi, con un atto degno della
più alta considerazione, proposero allo S.M della Marina di recarsi loro
stessi in Svizzera. Cappelletti venne nominato Vice-Console a Zurigo,
mentre Brunnes ebbe la nomina di Addetto Commerciale alla Legazione
italiana di Berna. Questa era dunque la facciata ufficiale, ma presto
sarebbe venuta quella operativa nascosta, segreta, sotto falsi nomi.
L’informatore, la gola profonda, era stato quel Livio Bini che da
doppiogiochista si offriva contando di sistemare le sue pendenze
giudiziarie in Italia (al ritorno ma si disse lo fece quando in Italia da
clandestino venne arrestato e si “convinse” solo allora a collaborare). |
dal sito Senato |
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A questi e ai predetti s'erano aggiunti, alle
dipendenze di Laureati, il T.V. Pompeo Aloisi, in
diplomazia e già aiutante di campo onorario del Re, ma al momento al IV
reparto (“I”) e il Tenente Vucevich con tre
sottufficiali di Marina dattilografi e un profugo triestino,
Remigio Bronzin alias "Remigio Frazioni (o Brausin)” specialista nel fabbricare
chiavi: infine uno scassinatore "professionista" tale Natale Papini
da Livorno, pescato in carcere dove si trovava per avere svaligiato una
banca di Viareggio.
“o al fronte o con noi”,
con queste parole si disse venisse arruolato anche Papini che
rispose
"Meglio il fronte”. In questa versione Papini era in libertà e non
ristretto, ma cambiò idea con i ferri ai polsi. Questa Sezione staccata del IV Reparto della Marina venne
ospitata in un edificio secondario della Legazione di Berna, ubicato sulla
Elfenstrasse. L’ufficio zurighese di Mayer per dissidi interni si era intanto
trasferito in alcuni locali all’ultimo piano d'un edificio sito tra la
Seidengasse e la Bahnhofstrasse. Da ambedue le entrate si accedeva ad una
corte interna, dal quale si snodava la scala che portava all'ultimo
piano dov'erano gli uffici del Cap. Mayer. Al piano di sotto una
banca. Poiché i due ingressi funzionavano anche da passaggio pedonale
durante il giorno il via vai di gente e della clientela della banca non
davano nell’occhio. Il piano concepito dal Comandante Aloisi, subito
considerato pazzesco, prevedeva un forzamento dei locali del Consolato, della cassaforte e
il furto dei documenti, dai quali si sarebbe risaliti alla rete di spie e
sabotatori operante in Italia. La prima cosa da fare era la "costruzione"
delle chiavi del cancello d'ingresso del cortile sulla Seidengasse, che di
notte veniva chiuso e di quelle delle porte per arrivare agli uffici e
alla cassaforte del Capitano Mayer.
Il
colonnello Luciano Salerno da conto anche dei tempi e dei modi di
reclutamento degli uomini, a dire il vero non lineari, avendo Papini
esperto in casseforti, difficoltà con chiavi o sue riproduzioni evenienza
che comportò l’arruolamento anche di un altro irredento, Bronzin, ex operaio della Stigler. Il 29
gennaio (10 giorni dopo il suo arrivo) Bronzin fece un resoconto sullo
stato dei lavori al Ten. Cappelletti, lamentandosi per il comportamento
ambiguo dell'avvocato Bini. Bini comunque faceva un calco perfetto delle
chiavi che Mayer teneva "distrattamente" sulla scrivania e che non
denotavano fretta e ansia. |
Pompeo Aloisi dopo essersi guadagnato il titolo di barone
il 15 agosto 1919 per servizi resi alla patria, torna ad una carriera
diplomatica di alto livello che culmina nel 1932, quando viene chiamato da Mussolini al Ministero degli esteri,
assunto ad interim dal Duce(come suo capo di gabinetto). Nel frattempo, rappresenta l'Italia nelle
varie conferenze della S.d.N. Viene sostituito il 9 giugno 1936 da
Galeazzo Ciano nella pienezza dei poteri del Ministero. Gran cordone dell'Ordine della Corona d'Italia 22 marzo
1928 - Gran cordone dell'Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro 9 luglio 1936.
Epurato nel ’44 riabilitato 2 anni dopo. Capitano di vascello nella
riserva navale (19 agosto 1927) -Contrammiraglio nella riserva navale (18
giugno 1936) |
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CONCLUSIONI
In base ai nomi trovati negli elenchi austriaci, molti informatori e
sabotatori al soldo del nemico vennero arrestati (circa una quarantina).
Tra di essi figuravano i tre responsabili dell'affondamento della
corazzata "Benedetto Brin:" i marinai Achille Moschin e Guglielmo
Bartolini e il caporale Giorgio Carpi, tre volte disertore del 25°
Cavalleggeri di Mantova. Il 1° agosto 1918, dopo un lungo processo, il
marinaio Bartolini venne condannato all'ergastolo, mentre il caporale
Giorgio Carpi e il marinaio Achille Moschin vennero condannati alla pena
di morte mediante fucilazione alla schiena, condanna poi tramutata in
ergastolo. Costoro furono infine graziati e scarcerati tra il 1937 e il
1942, nel nuovo "clima di amicizia e di alleanza" tra l'Italia e il mondo
germanico !!!. Con lo
stesso spirito:
Nel 1939 Hitler
conquista la Cecoslovacchia. Chi è il C.S.M dell'Esercito cecoslovacco? E'
quel tenente Irsa, principale aiutante di Pivko nella congiura di Carzano
che avrebbe portato l'Italia a rovesciare il fronte prima di Caporetto.
Hitler che è austriaco di Braunau ricorda certamente l'episodio di Carzano
come un tradimento alla sua patria di origine per cui fa immediatamente
fucilare Irsa. Non solo, siccome nel museo di Praga erano ricordati come
eroi tutti gli appartenenti alla divisione cecoslovacca organizzata dall'
Esercito italiano, Hitler li fa ricercare e fucilare. Pivko, lo sloveno si
salva perché è morto nel 37 |
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Lo stesso giorno egli consegnò a Bini le prime chiavi
che a suo avviso dovevano funzionare, ma l'avvocato che aveva libero
accesso ai piani gliele riportò dicendo che passavano la serratura da
una parte all'altra. Il 12 febbraio, in una riunione a Berna, il Comandante Aloisi tagliò fuori
Bini (bruciato) e procurò a Bronzin l’aiuto del sottufficiale della Regia Marina
Stenos Tanzini (foto sopra), originario di Lodi, un vero uomo d'azione, arruolatosi
giovanissimo come specialista torpediniere e transitato poi nel Servizio
“I”. In capo a una settimana era tutto pronto: chiave dopo chiave si
arrivava alla cassaforte e qui era compito di Papini sempre dubbioso e
preoccupato della galera. Si stabilisce che il colpo si tenterà la notte
del 15 febbraio 1917 (giovedi grasso), perché è Carnevale e in quell'occasione la
sorveglianza della polizia è rallentata: la gente ha altro da fare che
interessarsi alla palazzina del consolato austriaco. Carichi di pacchi e
di valigie (bisogna portare anche la fiamma ossidrica per Papini, i
teloni di spesso panno blu per oscurare le finestre), si muovono a
notte fonda in quattro: Tanzini, Papini, Bronzin e il redivivo Bini ?.
Entrano inosservati, si muovono sicuri, aprono una dopo l'altra le
sedici porte. Si fermano davanti alla 17a, non prevista da alcuno: Bini l'aveva sempre vista aperta e non pensava che anche quella fosse
chiusa di notte. Si prende l'impronta dalla serratura direttamente,
perfino dei "maschi" di disturbo.
Tutto è posposto al 20 (martedì
grasso). Sono circa le
22 quando si apre la 17a porta ed ecco l'ufficio di Mayer con la
cassaforte da svaligiare e le
scrivanie da aprire.Vengono subito oscurate le finestre con i panni
neri per impedire che trapelino sia le scintille della fiamma ossidrica
che la luce della torcia. Sotto, in strada, a far da palo, Brunnes,
Cappelletti e Bini jolly. Dentro, Papini, Bronzin e Tanzini
che si mettono all'opera con la fiamma ossidrica. Aloisi ha
calcolato i tempi: se tutto andrà bene, l'operazione durerà poco più di
un'ora. Ne durò quattro alla luce della lampada ad acetilene conservata
attualmente nel Museo tecnico Navale della Spezia al salone superiore.
Le pareti d'acciaio della cassaforte resistevano all'attacco, Papini
dovette lavorare fino all'esaurimento della resistenza fisica. |
Furono in seguito
arrestati gli ex deputati Adolfo Brunicardi, Enrico Buonanno e Luigi Dini,
imputati di intelligenza col nemico e di implicazioni in parte
affaristiche e in parte spionistiche. Agenti di Maria Sofia operavano
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Quando riuscì a perforare la parete esterna, fuoriuscì un getto di
gas venefico, creato forse da uno strato intermedio non metallico. Bisognò
spegnere la luce, aprire le finestre per far uscire il gas. Papini incerto
si rimise all'opera coprendosi il naso e la bocca con un panno bagnato e
bevendo ogni tanto lunghe sorsate dell'acqua d'un vaso da fiori per
placare l'irritazione della gola. Erano oltre le 2 a.m. del 21(mercoledì
delle ceneri) quando
quando cadde l’ultimo diaframma e si poté mettere le mani sul bottino:
oggetti in oro, fotografie, denaro, una collezione di francobolli e molti
documenti di rilevante interesse militare e informativo come i codici di
cifratura e la lista delle spie. Con tre valigie piene di materiale il
"commando" esce verso le 4 dal consolato. Nessuno se ne cura. Tanzini e
Papini portano le valige in stazione e Bini va a casa. Bronzin invece si
reca al consolato italiano per avvisare che
tutto è andato bene e che avvisino Aloisi (L'ammalato ha superato la crisi, possiamo
trasportarlo con il primo treno a Berna ) che stanno
arrivando. Poi Brunnes e Bronzin ragiungono Tanzini e Papini alla stazione
e partono col primo treno per Berna. Da Berna alle otto del mattino
Bronzin e Papini proseguono per l'Italia. Tocca a Brunnes, l’unico che
conosce bene il tedesco, tradurre le prime pagine del rapporto
dell'affondamento della "Leonardo" e i nuovi piani per far saltare la
"Giulio Cesare" con le sigle dell’informatore italiano.
Sempre Ferdinando Martini (a
sinistra)"Fra i documenti involati a Zurigo non si
trovarono le carte di data anteriore alla nostra dichiarazione di guerra:
ma da un copialettere venuto in mano nostra molto si arrivava a conoscere
e a ricostruire. E secondo quel copialettere tre deputati al Parlamento
italiano sarebbero stati al servizio della Germania, stipendiati o no”.
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anche in Vaticano. Uno di questi era Mons. Rudolph Gerlach, bavarese,
legatissimo all'ex Regina Sofia di Napoli (che aveva militato nell'esercito
austriaco), condannato a morte in contumacia per aver diretto
personalmente il sabotaggio della Brin e della da Vinci. Agli oscuri
protagonisti del "Colpo di Zurigo" non andò quasi nulla. Il Comandante
Pompeo Aloisi, finita la guerra, lasciò la Marina e riprese la carriera
diplomatica acquisendo poi cariche e il Titolo di barone nei governi
Mussolini. I Tenenti Ugo Cappelletti e Brunnes, il sottufficiale della Regia
Marina Tanzini e l'operaio Bronzin, furono sempre fieri di aver portato a
termine l'operazione per puro amore di patria, senza aver mai chiesto o
ricevuto compensi o decorazioni di sorta o altre gratificazioni d’ordine
morale.
Su tutti loro cadde una coltre di silenzio, tanto che la
estrema modestia dei protagonisti scoppiò poi in una dignitosa protesta.
Nel settembre del 1958 (dopo l’outing di Tanzini su la Domenica del Corriere del
20 marzo 1955) in una memoria
precisa e circostanziata, pubblicata sulla stampa nazionale, Cappelletti e Brunnes illustrarono nei minimi particolari come fu effettivamente
preparato ed eseguito il colpo di Zurigo. Rimase invece alquanto deluso
Natale Papini, che aveva ricevuto la promessa di potersi appropriare
di tutto il denaro rinvenuto nella cassaforte austriaca: egli ricevette
soltanto 30.000 lire perché i soldi e i gioielli personali vennero
signorilmente nel dopoguerra restituiti al console e alla consorte ed
esclusi dai danni di guerra in quanto proprietà personale, cosa che non
avvenne in Istria e Dalmazia nel 1946 coi beni degli Italiani da parte
della Jugoslavia.
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Tanzini, sulla Domenica del Corriere,
raccontava quindi del suo reclutamento
Imbarcato
sul cacciatorpediniere Nibbio che aveva gettato le ancore a Civitavecchia,
aveva intrecciato una relazione sentimentale con un’attricetta di varietà
che « agiva » in un caffè del posto. Una notte, mentre reduce da uno dei
soliti convegni clandestini si apprestava a tornare a bordo, fu sorpreso
dal suo comandante e, a mo’ di giustificazione, asserì di essere sceso a
terra per accertarsi di persona sulla consistenza di talune voci che
correvano in città, secondo le quali il deposito di carbone della Marina
veniva sistematicamente saccheggiato da ignoti ladri. « Perchè non mi hai
avvertito subito? », gli chiese l’ufficiale. « Volevo essere sicuro che la
cosa fosse vera », replicò prontamente, ma senza eccessiva convinzione
sapendo benissimo che i furti di cui aveva parlato non erano altro che
frutto di una sua immaginazione. Grande fu pertanto la sua sorpresa,
sentendosi lodare per lo zelo dimostrato ed incitare a proseguire nelle
indagini. Tornato al caffè e confidatosi coi l’amica, lo sbalordito
Tanzini ebbe subito la spiegazione del mistero: effettivamente, da
parecchio tempo ingenti quantitativi di carbone venivano sottratti dal
deposito, sia falsificando le bollette e i verbali, sia durante le
operazioni di scarico. Com’è naturale, egli si affrettò a riferire tutto
quel che aveva saputo al suo comandante; i colpevoli vennero colti con le
mani nel sacco, e Tanzini ebbe un encomio. Fu proprio ripensando a quella
vecchia storia che Tanzini, allorché vide fiorire sulle labbra di uno dei
gendarmi svizzeri la temuta domanda:
-
Cosa c’è in
quella valigia?-
decise di giocare il tutto per tutto, pensando che solo un gesto di
audacia e faccia tosta poteva salvarlo. “Come
avete potuto vedere dal mio passaporto sono un ingegnere italiano.
Rimpatrio per compiere il mio dovere di soldato; purtroppo, a quest’ora
non sono riuscito a trovare un tassi disponibile, e adesso devo
trascinarmi questo po’ po’ di peso fino alla stazione “.
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Gli andò
bene. I gendarmi finirono con l’invitarlo a bere qualcosa in compagnia in
uno dei pochi caffè ancora aperti a quell’ora…Per avere ragione di
quella cassaforte, Aloisi s’era fatto mandare dall’Italia due abilissimi
scassinatori, ai quali promise, oltre un grosso premio in danaro, tutti i
valori contenuti nel forziere; ma i due, scoraggiati dalle grosse
difficoltà che l’impresa presentava, rinunciarono all’incarico. Pensò,
allora, di rivolgersi al IV Reparto della nostra Marina, istituito da poco
tempo proprio per combattere lo spionaggio nemico, e fu così che entrò in
scena Lui. Munito di falsi documenti, egli si reca dapprima a Berna, dove
si accorda con Aloisi, e poi a Zurigo, per rendersi conto de visu di quel
che si può fare. Suoi collaboratori saranno un livornese, espertissimo
nella difficile arte di forzare le moderne casseforti, ed un meccanico che
sa contraffare alla perfezione le chiavi più complicate, oltre,
naturalmente, quel rifugiato in Svizzera che aveva rivelato ad Aloisi il
luogo dov’era custodito l’elenco delle spie.....brani
in verde tratti
da Domenica del Corriere del 20 marzo 1955
(si
può presumere che questo outing come quello del '58 di Brunnes e la
proposta di legge sottostante siano stati innescati dal pessimo film fatto
nel '51 sulla vicenda e che riporto in calce per dovere di cronaca) |
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25 giugno 1954 camera deputati: si
discute di un provvedimento a favore di Papini. On. VIOLA. La
proposta di legge, da me presentata insieme ad altri colleghi appartenenti
a diversi partiti, si propone di ovviare ad una ingiustizia subita da un
benemerito cittadino. È una ingiustizia dovuta non alla volontà né
all’intenzione di determinati individui o di determinate autorità o di
determinati governi, ma è una ingiustizia che sta nei fatti stessi,
implicita nella stessa situazione in cui si è venuto a trovare questo
benemerito cittadino di nome Natale Papini, nato e domiciliato a
Livorno....... .Detto alto funzionario (Aloisi), per poter assolvere il
delicato compito, si rivolse ad un suo concittadino, al meccanico Natale
Papini, il quale riuscì a mettere a disposizione del controspionaggio
italiano 6 plichi di interessanti documenti, nonché una buona quantità di
gioielli. I documenti servirono molto bene al controspionaggio italiano ed
i gioielli, che dovevano essere consegnati al pregevole scassinatore
Natale Papini, furono invece incamerati dallo Stato italiano, perché il
Papini non volle essere ricompensato. Sembra invece che sia stato
ricompensato il barone Pompeo Aloisi, i1 quale, da quel momento, almeno
così ci dimostra la cronaca del tempo, poté fare una splendida e meritata
carriera, nel corso della quale molto spesso, riferendoci al barone Pompeo
Aloisi, ci veniva fatto di ricordare l’episodio dei documenti di Zurigo
strettamente legato al bravo Papini. Ora, questo benemerito cittadino, che
ha continuato a fare il meccanico nella sua città di Livorno, è vecchio
(ha compiuto da poco i 73 anni), ammalato, e ultimamente è stato anche
vittima di un grave incidente. Una personalità di Livorno, apolitica,
scrivendomi nell’interesse di questo poveretto, mi dice fra l’altro: Le
affermo con tutta sincerità e franchezza che Natale Papini oggi soffre
letteralmente la fame. Ormai impossibilitato a lavorare a causa del
recente grave infortunio, aggravato dalla tarda età, senza risorsa alcuna
ed oberato di debiti, il povero Papini trovasi in una condizione veramente
disperata. Se non si dovesse far presto in suo favore, correremmo il
rischio di arrivare troppo tardi.…….
arrivarono tardi |
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SENZA BANDIERA
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Genere
spionaggio (Il Colpo di Zurigo)
Produzione LUIGI FREDDI PER ELFO FILM
Regia Lionello De Felice
Soggetto Luigi Freddi
Sceneggiatura
Franco Brusati
Giorgio Prosperi
Jacopo Comin
Lionello De Felice
Nantas Salvalaggio
Scenografia Alfredo Montori
Fotografia Mario Craveri
Musiche Renzo Rossellini |
Attori
Carlo Ninchi - IL COMANDANTE
Carlo Tusco -TELEGRAFISTA MORELLI
Claudio Ermelli
Fanny Marchio'
Guido Celano - SOTTOCAPO POGGI
Hans Moog - BARONE SVIZZERO
Massimo Serato -TEN. MORASSI
Paolo Stoppa -IL "PROFESSORE"
Umberto Spadaro -LO SCASSINATORE
Vivi Gioi - HELDA GRUBER
Walter Rilla - CONSOLE AUSTRIACO |
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Trama:
Durante la prima guerra mondiale la Marina Italiana è soggetta a gravi
perdite in seguito ad azioni di sabotaggio. E' evidente che in Italia
esiste una vasta rete di spie ed il servizio di controspionaggio ha potuto
accertare che gli agenti nemici ricevono gli ordini dalla Svizzera. Viene
affidato ad un comandante di marina coadiuvato da tre uomini scelti,
l'incarico di fare indagini. Dopo pazienti ricerche il comandante acquista
la certezza che il capo dello spionaggio nemico è il console austriaco a
Zurigo, coadiuvato da un sedicente barone svizzero e da una sedicente
infermiera. Uno degli emissari italiani, il tenente Morassi, che fa la
corte all'infermiera, riesce col suo appoggio, ad installarsi, come
cameriere, in casa del barone e può così accertare che i documenti
relativi allo spionaggio sono chiusi in una cassaforte, nella camera da
letto del console austriaco. Approfittando di un'assenza del console, gli
agenti italiani penetrano di notte nella sua camera. Dopo un lungo lavoro
la cassaforte viene squarciata per opera di un celebre scassinatore, ch'è
stato aggregato agli agenti del controspionaggio. Questi, impadronitisi
dei preziosi documenti, sono ora in gradi di distruggere la rete dello
spionaggio nemico. Il console austriaco, ridotto ormai all'impotenza,
s'uccide. Nonostante il cast la tradizione italiana di sostituire ad
avventure delle boiate persiste |
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