IL COLPO DI ZURIGO

I sabotaggi e il controspionaggio

Cosa c’è in quella valigia?

Impostazione B. Brin

 

Quando la notte del 20 febbraio 1917 (martedì grasso ma era già mezzanotte passata quindi il 21 delle ceneri) Stenos Tanzini si sentì chiedere i documenti da due gendarmi svizzeri temette che tutto fosse finito, che l’impresa per la quale aveva sfidato tanti pericoli e corso così gravi rischi fosse irrimediabilmente naufragata. Varo della BrinLa pesante valigia con tutto l’armamentario del perfetto scassinatore che trascinava penosamente lo aveva tradito aprendosi: il suo arresto sarebbe stato inevitabile. Decise di giocare il tutto per tutto, pensando che solo un gesto di audacia e faccia tosta poteva salvarlo.

“Come avete potuto vedere dal mio passaporto sono un ingegnere italiano. Rimpatrio per compiere il mio dovere di soldato; purtroppo, a quest’ora non sono riuscito a trovare un tassì disponibile, e adesso devo trascinarmi questo po’ po’ di peso fino alla stazione “. Ma facciamo un passo indietro e andiamo a quel mattino del 27 settembre 1915 (17 mesi prima) che aveva segnato tutti gli avvenimenti successivi.

  brani in verde tratti da Domenica del Corriere del 20 marzo 1955

Varo della Brin

Brin

 

Quindici minuti prima delle 8 del 27 settembre, il sole era già alto sul mare davanti a Brindisi. La corazzata "Benedetto Brin", varata nel 1901 a Castellammare di Stabia, lunga 138 mt. 14.737 t/s/l, 4 cannoni da 305/40mm. e 4 da 203/40mm. inalberava l'insegna ammiraglia della III Divisione mentre sulla nave la vita ricominciava come tutti i giorni in qualsiasi caserma del mondo. Gli ufficiali davano ordini secchi, i marinai correvano sulla tolda mentre  sottocoperta le caldaie ruggivano. Alle otto precise la tragedia, improvvisa, senza preavviso, dal ventre profondo della nave. Un rombo immane, una esplosione tremenda come se mille cannoni avessero sparato all'unisono e subito dopo la corazzata scomparve alla vista, avvolta da un fumo giallo rossastro che si alzò fino a cento metri. Nel fumo denso si distinse per un istante la massa d’acciaio dei cannoni da 305 mm della torre poppiera che, lanciata in aria dalla forza dell’esplosione ricadde poi con violenza in mare sulla sinistra della corazzata. Il mostro d’acciaio scivolò di fianco, prima la poppa poi la prua toccando il fondo di 10 metri e mentre la prora poco danneggiata emergeva la parte poppiera totalmente sommersa era sconvolta  ridotta a un ammasso di rottami. Con l’ammiraglio barone Ernesto Rubin de Cervin morirono il comandante della nave, 21 ufficiali e 433 sottufficiali e marinai su 906 che componevano l'equipaggio. La prima versione diceva esplosione nella "Santabarbara" poi piano piano a frasi mozze cominciarono ad uscire ipotesi  peggiori: “sabotaggio”. Sabotaggio come era già successo  in terra ferma in fabbriche convertite, polverifici e arsenali (incendio in una calata del porto a Genova, salta in aria a Livorno il piroscafo "Etruria", un hangar dei dirigibili della marina brucia ad Ancona, salta il dinamitificio di Cengio (Sv) della S.I.P.E., un carro ferroviario carico di proiettili navali al molo Pagliari, dalla polveriera di Vallegrande, presso La Spezia, esplode causando la morte tra civili e militari di 265 persone, i magazzini viveri del porto di Napoli). Il sabotaggio ora faceva il salto di qualità, addirittura su una nave ammiraglia.

     

Santa Barbara durante le operazioni di recupero

 

Leonardo da VinciLa rete spionistica austro-tedesca, stesa in tutta Europa, funzionava bene e da anni nei confronti del loro stesso alleato. Alleato perché nonostante fossimo in guerra con l'Austria (a sua volta alleata con la Germania e presente su tutti i fronti) la guerra contro la Germania non era mai stata dichiarata. I tedeschi potevano girare indisturbati per il nostro paese ed organizzare spionaggi e  sabotaggi. Il nostro vecchio vizio di tenere i piedi in due staffe. Il nostro servizio segreto (ora operante con una sottosezione alla marina) si mise a caccia dei traditori.

     

Brin

*La lunghezza della Leonardo Da Vinci era di 176 mt. con  una larghezza di 28 dislocava,
a pieno carico, circa 24.677  tons e l'armamento era costituito da 13 cannoni da 305/46 in tre torri trinate e due binate, più 8 pezzi da 120/50 e 14 da 76/50, quale armamento antisilurante.

 

Un anno dopo, il  2 agosto1916 la replica. All’ancora nel Mar Piccolo di Taranto, in una notte afosa e senza luna c’era una selva di alberi. Era la Ia squadra con l’ammiraglia "Cavour", "Andrea Doria", "Giulio Cesare", "Duilio", " Leonardo da Vinci"* e "Dante Alighieri". Mancavano pochi minuti alle 23 quando la "da Vinci", fu scossa da un rombo sordo che saliva dal fondo. Lo scafo per un istante tremò poi tornò il silenzio. Un filo di fumo rossastro usciva dai boccaporti segno evidente che anche questa volta la "santabarbara" era coinvolta. Fu ordinato l’allagamento dei depositi poppieri di munizioni, ma una violenta fiammata tra le due torri a poppa da 305 costrinse i marinai ad allontanarsi, mentre il comandante e gli ufficiali tentavano vani e disperate mosse. Le esplosioni soffocate e distanti si fecero ravvicinate e potenti. Le piastre del ponte si schiodavano mentre la fiammata risaliva il pozzo dell’ascensore delle munizioni con una pressione incredibile. Alle 23:22 l'esplosione. Fiamme altissime illuminavano la notte mentre i marinai al lavoro venivano inghiottiti nelle voragini. Alle 23:45 la corazzata si capovolgeva. Perirono il comandante Sommi Picenardi, altri 20 ufficiali e 227 marinai. Nella caccia alla cellula spionistica che aveva organizzato gli attentati venne fuori anche il nome di un alto prelato del Vaticano, il tedesco Gerlach, cameriere segreto di Papa Benedetto XV al secolo Giacomo Della Chiesa distintosi per il suo pacifismo. Naturalmente anche se prove certe in relazione a questi attentati non ce n'erano, ce n'era abbastanza per processarlo in contumacia. (era stato fatto scappare dal vaticano per via diplomatica) alla vigilia del colpo di Zurigo con l'evidente imbarazzo della Chiesa. La Germania non era in guerra con noi perché questa verrà dichiarata il 28 agosto 1916. Da quel momento l'opinione degli italiani, ma principalmente dei francesi sulla neutralità del Vaticano andò a rotoli e nessuno concesse più un'unghia di credito a quanto usciva dal Vaticano (parole, prediche e scritti). I francesi a questo punto chiamavano Benedetto XV - Le Pape Bosche come loro chiamano offensivamente i tedeschi. In Italia invece lo definirono 'Maledetto XV'.

Le operazioni di recupero ebbero inizio  nell'estate del 1919 e si conclusero nel gennaio del '22 (vedi capitolo in immagini  Salvate le Navi). La nave fu comunque radiata un anno dopo.   

   
 

Stessa conclusione dell'altra commissione d’inchiesta: Sabotaggio. Ma vi furono conseguenze immediate nelle alte sfere: Il Duca degli Abruzzi, responsabile della marina italiana, lasciò l’incarico, e l’ammiraglio Cutinelli, capo della 1ª Squadra navale, fu esonerato . L’inchiesta aperta dal Comando Supremo attribuì l’attentato ai servizi segreti austriaci in concorso con traditori italiani. Imputati furono il commerciante Vincenzi, latitante durante il processo, (probabilmente eliminato dai servizi segreti austriaci perché sospettato di doppio gioco); il Commissario di P.S. Cimmaruta; il capo furiere Criscuolo; il comandante della nave, Picenardi, responsabile di non aver saputo prevenire il sabotaggio, ma ormai morto. Il processo, protrattosi per tre anni, terminò nel giugno del '20 con un’assoluzione per tutti gli imputati per mancanza di prove.
La marina austriaca non era grande ma poteva sia in Adriatico che nel Mediterraneo dare ancora filo da torcere, specialmente se oltrepassava lo stretto d’Otranto coi sommergibili. I sottomarini Austriaci, come le unità navali minori, si dedicavano quindi ad una guerra di colpi di mano contro le nostre basi in Adriatico (Venezia, Ancona), contro naviglio minore anche civile o contro obiettivi della costa, per poi tornare a nascondersi nel dedalo di isole della Dalmazia. Lungo questa costa le loro basi fortificate erano numerose e ben difese da sbarramenti navali (reti e cavi d'acciaio su più linee). Così era per Trieste, Pola, Buccari, Lussino, Cattaro etc...Lungo la nostra costa adriatica  la Regia Marina aveva quindi attrezzato treni armati che facevano la spola da Ravenna a Brindisi. Stanarli non era possibile, ma colpirli con le stilettate dei Mas di Rizzo si. "... E loro rispondevano con la stessa moneta sulla base dei mas d'Ancona. 60 commandos partirono da Pola e nella notte sbarcarono a 15 km da Ancona. Parlavano bene l'italiano e vestivano con abiti civili. Nei loro obiettivi, impadronirsi di motoscafi per il ritorno, affondare i sommergibili in rada e una nave austriaca catturata. L'operazione andò bene fino al loro ingresso nei recinti doganali, quando la guardia di finanza insospettita diede l'allarme. L'intero gruppo, compreso alcuni che avevano già disertato in precedenza, fu catturato. L'ultimo colpo che portarono a “termine” in mare".

     

Ferdinando Martini, Ministro delle Colonie nel Gabinetto Salandra riporta la seguente annotazione, il 17 giugno 1915, nel suo  "Diario 1914-1918"

- Anche  Paolucci (il Marchese Paolucci di Calboli, nostro ambasciatore a Berna) conferma che Lugano (in genere tutta la Svizzera) è divenuto un centro di infezione anti-italiana, un nido di spie largamente pagate dalla Germania, e di raggiratori, di intriganti volontari e retribuiti. Bisognerebbe sorvegliarli; ma mentre quella è gente che ha aspetto e consuetudini finemente aristocratiche, le nostre spie vengono per lo più dalla polizia, non parlano che italiano e se parlano il francese Dio ce ne guardi!. Lo spionaggio, l'alto spionaggio internazionale, è per noi un libro chiuso.- pubblicato nel 1966 da Mondadori

Sotto a fianco conversazione tenuta dal Col. Luciano Salerno il 23 aprile 2001 ai Soci dell'Ass. Spezzina "Amici della Storia" al Circolo Castel San Giorgio di La Spezia

 

La fortuna volle che un sabotatore (Giuseppe Larese, agente di Mayer) che stava piazzando una carica di dinamite alla diga del bacino idroelettrico delle Marmore (alimentava l’acciaieria di Terni) venisse arrestato prima del botto. Larese fu condannato a morte, ma nel corso degli interrogatori rivelò anche il programma ai danni dell'Italia dell'Evidenzbureau.

Così la racconta Vittorino Tarolli in Spionaggio e  Propaganda - In una di queste azioni di sabotaggio fu coinvolto un certo Larese che, avendo presa la cittadinanza austriaca si era arruolato in quell'esercito per dedicarsi, in veste di soldato, al Servizio informazione (E.B.). In base ad una passata esperienza dei servizi austriaci e tedeschi, che avevano provocato danni a due ponti sul Piave, il Larese si offrì per una delicata missione in Italia. Egli era però nel taccuino dei nostri agenti in Austria e veniva costantemente seguito. Partito da Vienna con una valigia a doppio fondo contenente dei micidiali tubetti carichi di esplosivo, fu accompagnato, passo passo, fino alla frontiera, dove gli fu sostituita la valigia con altra identica ma con innocui tubetti esplosivi. Giunto in territorio italiano fu preso in consegna dai RR.CC (carabinieri). Il Larese, giunto sull'obiettivo, nascose i tubetti in un ombrello e si recò a fare una passeggiata nelle vicinanze di Terni. Giunto sulla sponda del fiume Nera, gettò i tubetti nella corrente, che doveva portarli ad esplodere nell'acciaieria e nella fabbrica di armi. Ma lì finì la sua avventura di traditore.

Le organizzazioni di questo tipo di solito non fanno capo direttamente al vertice ma a varie cellule ermetiche dove il sottoposto conosce solo chi gli sta direttamente sopra. Il controspionaggio si mette all’opera sapendo che la sua è una corsa contro il tempo. Il C.V. Marino Laureati, del servizio di controspionaggio della Marina, è quello che si muove meglio. Dagli interrogatori dei sabotatori arrestati, e dalle confidenze strappate all'estero da nostri agenti segreti riesce dopo mesi ad accertare che il centro organizzativo da cui partono gli ordini e si progettano attentati si trova nella neutrale Svizzera, precisamente a Zurigo, nella sede del consolato austriaco. Ne è a capo Rudolph Mayer C.F.della Imperial Regia Marina di Vienna, dietro il paravento ufficiale di console. Se Laureati ha bisogno di soldi per controbattere il nemico, Mayer ne gestisce montagne: la sua disponibilità è pressoché illimitata, le sue offerte in cambio dei sabotaggi compiuti sulle navi, strabilianti, da vivere di rendita anche per il solo affondamento di un guscio a remi. C’era un tariffario. A console bisogna diplomaticamente ribattere console. A cosa servono se no gli addetti militari. Si trova un diplomatico con un passato operativo, meglio se in marina, come  Pompeo Aloisi, che raggiunge la Svizzera. D’ora in poi il suo incarico sarà sorvegliare il via vai dall’ufficio di Mayer e alla fine entrarvi in quell'ufficio, aprire la cassaforte, portar via i progetti dei sabotaggi e le cartelle coi nomi dei sabotatori infiltrati, smascherando così l'intera organizzazione. Il rischio: scoprirsi a condurre operazioni coperte in un paese neutrale ed essere espulsi subito, se andava bene.

    I PROTAGONISTI DELLA GUERRA SEGRETA: I SERVIZI D'INFORMAZIONE MILITARI

 

Per poter più agevolmente cogliere alcuni degli aspetti reconditi che caratterizzarono la "guerra segreta" combattuta tra noi e l'Austria-Ungheria, è necessario delineare brevemente lo stato in cui si trovavano i due Servizi di Informazioni - quello austro-ungarico e quello italiano - allo scoppio delle ostilità, cioè al 24 maggio 1915. Servizio Informazioni austroungarico (Evidenzbureau o EB). La sua nascita risaliva agli inizi del 1800 e, nel corso del secolo, anche per l'importanza politica ed economica assunta dalla Duplice Monarchia, l'EB (questa è la denominazione  mantenuta dal Servizio fino al crollo dell'Impero) ampliò i suoi poteri divenendo, quindi, una potente arma che contribuiva efficacemente al mantenimento dell'ordine e della sicurezza del plurietnico Impero. Infatti l'Impero austroungarico, in quanto eminentemente composito, doveva preoccuparsi più di ogni altro di conoscere quello che si preparava contro di esso, non solo all'esterno ma anche all'interno. Da ciò la grande importanza data al Servizio Informazioni che estendeva da per tutto i suoi tentacoli, in intima unione con la Polizia. Quando ai primi mesi del 1915 fu chiaro che l'Italia a breve scadenza avrebbe dichiarato guerra all'Austria, l' EB intensificò in maniera massiccia l'attività informativa ai danni dell'Italia, in ciò coadiuvato anche dai Consolati austriaci di Venezia, Napoli e Milano ancora aperti (dopo le competenze passarono a quelli tedeschi a cui per un errore politico madornale dichiarammo guerra solo l’anno dopo). Nell'imminenza dell'inizio delle ostilità da parte dell'Italia, l'EB potenziò anche tutti i suoi posti periferici di informazione e trasferì in Svizzera, a Zurigo, la "Sezione sabotaggio" dell'EB- Marina, che prima era dislocata a Trieste sotto la denominazione di copertura di "Ufficio di Descrizione Costiera," affidandone la direzione al Cap. di Fregata Rudolph Mayer asso dello spionaggio e Vice-Console a Zurigo,

 

Brevi accenni alle azioni di sabotaggio.

   

Mayer nel suo operato oltre che sui soldi, che rappresentavano il 50% del capitale, contava su disertori, renitenti, anarchici e irredenti che comunque non amavano Roma (e l'avrebbero fatto anche gratis). Si disse anche che erano coinvolti alcuni politici nella scia di Sofia di Baviera ex moglie di Francesco II delle Due Sicilie, riaprendo quindi un doloroso capitolo meridionalista per i Savoia. Era del gruppo l'avvocato Livio Bini di Firenze (ed altri che diremo come un certo Battistella), che si dichiarava socialista, ma che in realtà era in Svizzera per sfuggire a una condanna per Bancarotta. L'avv. Bini fu acquisito come informatore  dall'organizzazione di "intelligence" del Cap. Mayer, con un compenso mensile di 500 lire  (neanche tanto). I mezzi esplodenti adottati di cui troverete migliore descrizioni al sito http://www.centrostudimilitari.it/images/zurigo.doc andavano da quelli chimici ai tradizionali Ecrasite e Termite. Questi esplosivi, che venivano inseriti (camuffati) nel carbone impiegato per alimentare le fornaci delle navi a vapore e delle locomotive, scoppiavano danneggiando gravemente le caldaie. Per i depositi munizioni servivano comunque ordigni esplosivi ad orologeria. E’ chiaro che anche a bordo non venissero svolti accurati controlli antisabotaggio e non venisse messa in atto alcuna azione di vigilanza e sicurezza, come i pass per settore. Terminale italiano dei sabotatori era un albergatore di Venezia sulla Riva degli Schiavoni. Questo albergatore forniva gli uomini: al momento un soldato italiano di cavalleria esperto di timer a orologeria e tre marinai che si occupavano di portarle (le bombe) a bordo. Più vicine erano alla "Santa Barbara” meglio era

 

Il Servizio Informazioni italiano allo scoppio delle ostilità, risultava, nelle sue diverse componenti, assai carente, sia sotto l'aspetto strutturale che funzionale. L'incalzare degli avvenimenti e soprattutto lo schieramento dell'Italia a favore delle Potenze dell'Intesa, determinatosi negli ultimi mesi, aveva reso necessario ricorrere, in tempi brevissimi, ad una riorganizzazione delle sue strutture informative, orientandole ad operare contro l'Austria-Ungheria, che, come è noto, era stata, unitamente alla Germania,  nostra alleata nell'ambito del Trattato della Triplice Alleanza. Mentre il Servizio austroungarico poteva vantare un'esistenza più che secolare, corroborata dalla solida esperienza, dall'elevata preparazione dei Quadri e da profonde motivazioni di ordine ideologico e morale, in un contesto di rigida disciplina militare, che ne esaltava ancor più l'efficienza e l'aggressività, quello italiano era allo stato embrionale e risultava sostenuto più dallo spirito patriottico di qualche ufficiale particolarmente sensibile alle esigenze di intelligence che da una efficiente organizzazione centrale e periferica, tanto che un autorevole uomo politico del tempo lo definì addirittura "dilettantesco." Il Servizio italiano fu quindi ristrutturato e potenziato nel breve volgere di qualche mese, sotto l'incalzare degli avvenimenti. Il suo alleato migliore gli irredenti. Trentini, triestini, fiumani e dalmati non furono da noi sollecitati, ma vennero a noi spontaneamente, insistentemente, a spronarci ad accettare il concorso della loro attività, per la quale rischiavano beni, libertà personale, famiglia e la loro stessa vita.

   
  SI CORRE AI RIPARI: IL RECLUTAMENTO: La Marina non disponeva, nella Confederazione Elvetica, di alcuna base d’appoggio, nemmeno fra gli addetti militari che poi sarebbero stati comunque i più sorvegliati. Si trattava quindi di creare ex novo questa struttura: un distaccamento operativo quale premessa indispensabile per dar corso ad una successiva operazione di controspionaggio nei confronti del Consolato. Due volontari di guerra, di origine triestina, il Tenente Ugo Cappelletti, del 3° Artigl. da Fortezza già dell’Ufficio “I” e il Tenente del Genio Navale Salvatore Brunnes, entrambi ingegneri e perfetti conoscitori della lingua tedesca e di esplosivi, con un atto degno della più alta considerazione, proposero allo S.M della Marina di recarsi loro stessi in Svizzera. Cappelletti venne nominato Vice-Console a Zurigo, mentre Brunnes ebbe la nomina di Addetto Commerciale alla Legazione italiana di Berna. Questa era dunque la facciata ufficiale, ma presto sarebbe venuta quella operativa nascosta, segreta, sotto falsi nomi. L’informatore, la gola profonda, era stato quel Livio Bini che da doppiogiochista si offriva contando di sistemare le sue pendenze giudiziarie in Italia (al ritorno ma si disse lo fece quando in Italia da clandestino venne arrestato e si “convinse” solo allora a collaborare).
dal sito Senato  

A questi e ai predetti s'erano aggiunti, alle dipendenze di Laureati, il T.V. Pompeo Aloisi, in diplomazia e già aiutante di campo onorario del Re, ma al momento al IV reparto  (“I”) e  il Tenente Vucevich con tre sottufficiali di Marina dattilografi e un profugo triestino, Remigio Bronzin  alias "Remigio Frazioni (o Brausin)” specialista nel fabbricare chiavi: infine uno scassinatore "professionista" tale Natale Papini da Livorno, pescato in carcere dove si trovava per avere svaligiato una banca di Viareggio. “o al fronte o con noi”, con queste parole si disse venisse arruolato anche Papini che rispose "Meglio il fronte”. In questa versione Papini era in libertà e non ristretto, ma cambiò idea con i ferri ai polsi. Questa Sezione staccata del IV Reparto della Marina venne ospitata in un edificio secondario della Legazione di Berna, ubicato sulla Elfenstrasse. L’ufficio zurighese di Mayer per dissidi interni si era intanto trasferito in alcuni locali all’ultimo piano d'un edificio sito tra la Seidengasse e la Bahnhofstrasse. Da ambedue le entrate si accedeva ad una corte interna, dal quale si snodava la scala che portava all'ultimo piano dov'erano gli uffici del Cap. Mayer. Al piano di sotto una banca. Poiché i due ingressi funzionavano anche da passaggio pedonale durante il giorno il via vai di gente e della clientela della banca non davano nell’occhio. Il piano concepito dal Comandante Aloisi, subito considerato pazzesco, prevedeva un forzamento dei locali del Consolato, della cassaforte e il furto dei documenti, dai quali si sarebbe risaliti alla rete di spie e sabotatori operante in Italia. La prima cosa da fare era la "costruzione" delle chiavi del cancello d'ingresso del cortile sulla Seidengasse, che di notte veniva chiuso e di quelle delle porte per arrivare agli uffici e alla cassaforte del Capitano Mayer. Il colonnello Luciano Salerno  da conto anche  dei tempi e dei modi di reclutamento degli uomini, a dire il vero non lineari, avendo Papini esperto in  casseforti, difficoltà con chiavi o sue riproduzioni evenienza che comportò l’arruolamento anche di un altro irredento, Bronzin, ex operaio della Stigler. Il 29 gennaio (10 giorni dopo il suo arrivo) Bronzin fece un resoconto sullo stato dei lavori al Ten. Cappelletti, lamentandosi per il comportamento ambiguo dell'avvocato Bini. Bini comunque faceva un calco perfetto delle chiavi che Mayer teneva "distrattamente" sulla scrivania e che non denotavano fretta e ansia. 

Aloisi

Pompeo Aloisi dopo essersi guadagnato il titolo di barone il 15 agosto 1919 per servizi resi alla patria, torna ad una carriera diplomatica di alto livello che culmina nel 1932, quando viene chiamato da Mussolini al Ministero degli esteri, assunto ad interim dal Duce(come suo capo di gabinetto). Nel frattempo, rappresenta l'Italia nelle varie conferenze della S.d.N. Viene sostituito il 9 giugno 1936 da Galeazzo Ciano nella pienezza dei poteri del Ministero. Gran cordone dell'Ordine della Corona d'Italia 22 marzo 1928 - Gran cordone dell'Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro 9 luglio 1936. Epurato nel ’44 riabilitato 2 anni dopo. Capitano di vascello nella riserva navale (19 agosto 1927) -Contrammiraglio nella riserva navale (18 giugno 1936)

 
     
CONCLUSIONI 
In base ai nomi trovati negli elenchi austriaci, molti informatori e sabotatori al soldo del nemico vennero arrestati (circa una quarantina). Tra di essi figuravano i tre responsabili dell'affondamento della corazzata "Benedetto Brin:" i marinai Achille Moschin e Guglielmo Bartolini e il caporale Giorgio Carpi, tre volte disertore del 25° Cavalleggeri di Mantova. Il 1° agosto 1918, dopo un lungo processo, il marinaio Bartolini venne condannato all'ergastolo, mentre il caporale Giorgio Carpi e il marinaio Achille Moschin vennero condannati alla pena di morte mediante fucilazione alla schiena, condanna poi tramutata in ergastolo. Costoro furono infine graziati e scarcerati tra il 1937 e il 1942, nel nuovo "clima di amicizia e di alleanza" tra l'Italia e il mondo germanico !!!. Con lo stesso spirito: Nel 1939 Hitler conquista la Cecoslovacchia. Chi è il C.S.M dell'Esercito cecoslovacco? E' quel tenente Irsa, principale aiutante di Pivko nella congiura di Carzano che avrebbe portato l'Italia a rovesciare il fronte prima di Caporetto. Hitler che è austriaco di Braunau ricorda certamente l'episodio di Carzano come un tradimento alla sua patria di origine per cui fa immediatamente fucilare Irsa. Non solo, siccome nel museo di Praga erano ricordati come eroi tutti gli appartenenti alla divisione cecoslovacca organizzata dall' Esercito italiano, Hitler li fa ricercare e fucilare. Pivko, lo sloveno si salva perché è morto nel 37
 

Lo stesso giorno egli consegnò a Bini le prime chiavi che a suo avviso dovevano funzionare, ma l'avvocato che aveva libero accesso ai piani gliele riportò dicendo che passavano la serratura da una parte all'altra. Il 12 febbraio, in una riunione a Berna, il Comandante Aloisi tagliò fuori Bini (bruciato) e procurò a Bronzin l’aiuto del sottufficiale della Regia Marina Stenos Tanzini (foto sopra), originario di Lodi, un vero uomo d'azione, arruolatosi giovanissimo come specialista torpediniere e transitato poi nel Servizio “I”. In capo a  una settimana era tutto pronto: chiave dopo chiave si arrivava alla cassaforte e qui era compito di Papini sempre dubbioso e preoccupato della galera. Si stabilisce che il colpo si tenterà la notte del 15 febbraio 1917 (giovedi grasso), perché è Carnevale e in quell'occasione la sorveglianza della polizia è rallentata: la gente ha altro da fare che interessarsi alla palazzina del consolato austriaco. Carichi di pacchi e di valigie (bisogna portare anche la fiamma ossidrica per Papini, i teloni di spesso panno blu per oscurare le finestre), si muovono a notte fonda in quattro: Tanzini, Papini, Bronzin e il redivivo Bini ?. Entrano inosservati, si muovono sicuri, aprono una dopo l'altra le sedici porte. Si fermano davanti alla 17a, non prevista da alcuno: Bini l'aveva sempre vista aperta e non pensava che anche quella fosse chiusa di notte. Si prende l'impronta dalla serratura direttamente, perfino dei "maschi" di disturbo. Tutto è posposto al 20 (martedì grasso). Sono circa le 22 quando si apre la 17a porta ed ecco l'ufficio di Mayer con la cassaforte da svaligiare e le scrivanie da aprire.Vengono subito oscurate le finestre con i panni neri per impedire che trapelino sia le scintille della fiamma ossidrica che la luce della torcia. Sotto, in strada, a far da palo, Brunnes, Cappelletti e Bini jolly. Dentro, Papini, Bronzin e Tanzini che  si mettono all'opera con la fiamma ossidrica. Aloisi ha calcolato i tempi: se tutto andrà bene, l'operazione durerà poco più di un'ora. Ne durò quattro alla luce della lampada ad acetilene conservata attualmente nel Museo tecnico Navale della Spezia al salone superiore. Le pareti d'acciaio della cassaforte resistevano all'attacco, Papini dovette lavorare fino all'esaurimento della resistenza fisica.

Martini dal sito senato

Furono in seguito arrestati gli ex deputati Adolfo Brunicardi, Enrico Buonanno e Luigi Dini, imputati di intelligenza col nemico e di implicazioni in parte affaristiche e in parte spionistiche. Agenti di Maria Sofia operavano

   Quando riuscì a perforare la parete esterna, fuoriuscì un getto di gas venefico, creato forse da uno strato intermedio non metallico. Bisognò spegnere la luce, aprire le finestre per far uscire il gas. Papini incerto si rimise all'opera coprendosi il naso e la bocca con un panno bagnato e bevendo ogni tanto lunghe sorsate dell'acqua d'un vaso da fiori per placare l'irritazione della gola. Erano oltre le 2 a.m. del 21(mercoledì delle ceneri) quando quando cadde l’ultimo diaframma e si poté mettere le mani sul bottino: oggetti in oro, fotografie, denaro, una collezione di francobolli e molti documenti di rilevante interesse militare e informativo come i codici di cifratura e la lista delle spie. Con tre valigie piene di materiale il "commando" esce verso le 4 dal consolato. Nessuno se ne cura. Tanzini e Papini portano le valige in stazione e Bini va a casa. Bronzin invece si reca al consolato italiano per avvisare che tutto è andato bene e che avvisino Aloisi  (L'ammalato ha superato la crisi, possiamo trasportarlo con il primo treno a Berna ) che stanno arrivando. Poi Brunnes e Bronzin ragiungono Tanzini e Papini alla stazione e partono col primo treno per Berna. Da Berna alle otto del mattino Bronzin e Papini proseguono per l'Italia. Tocca a Brunnes, l’unico che conosce bene il tedesco, tradurre le prime pagine del  rapporto dell'affondamento della "Leonardo" e i nuovi piani per far saltare la "Giulio Cesare" con le sigle dell’informatore italiano.

Sempre Ferdinando Martini (a sinistra)"Fra i documenti involati a Zurigo non si trovarono le carte di data anteriore alla nostra dichiarazione di guerra: ma da un copialettere venuto in mano nostra molto si arrivava a conoscere e a ricostruire.  E secondo quel copialettere tre deputati al Parlamento italiano sarebbero stati al servizio della Germania, stipendiati o no”.

 

anche in Vaticano. Uno di questi era Mons. Rudolph Gerlach, bavarese, legatissimo all'ex Regina Sofia di Napoli (che aveva militato nell'esercito austriaco), condannato a morte in contumacia per aver diretto personalmente il sabotaggio della Brin e della da Vinci. Agli oscuri protagonisti del "Colpo di Zurigo" non andò quasi nulla. Il Comandante Pompeo Aloisi, finita la guerra, lasciò la Marina e riprese la carriera diplomatica acquisendo poi cariche e il Titolo di barone nei governi Mussolini. I Tenenti Ugo Cappelletti e Brunnes, il sottufficiale della Regia Marina Tanzini e l'operaio Bronzin, furono sempre fieri di aver portato a termine l'operazione per puro amore di patria, senza aver mai chiesto o ricevuto compensi o decorazioni di sorta o altre gratificazioni d’ordine morale. Su tutti loro cadde una coltre di silenzio, tanto che la estrema modestia dei protagonisti scoppiò poi in una dignitosa protesta. Nel settembre del 1958 (dopo l’outing di Tanzini su la Domenica del Corriere del 20 marzo 1955) in una memoria precisa e circostanziata, pubblicata sulla stampa nazionale, Cappelletti e Brunnes illustrarono nei minimi particolari come fu effettivamente preparato ed eseguito il colpo di Zurigo. Rimase invece alquanto deluso Natale Papini, che aveva ricevuto la promessa di potersi appropriare di tutto il denaro rinvenuto nella cassaforte austriaca: egli ricevette soltanto 30.000 lire perché i soldi e i gioielli personali vennero signorilmente nel dopoguerra restituiti al console e alla consorte ed esclusi dai danni di guerra in quanto proprietà personale, cosa che non avvenne in Istria e Dalmazia nel 1946 coi beni degli Italiani da parte della Jugoslavia. 

   
 

Tanzini, sulla Domenica del Corriere, raccontava quindi del suo reclutamento

Imbarcato sul cacciatorpediniere Nibbio che aveva gettato le ancore a Civitavecchia, aveva intrecciato una relazione sentimentale con un’attricetta di varietà che « agiva » in un caffè del posto. Una notte, mentre reduce da uno dei soliti convegni clandestini si apprestava a tornare a bordo, fu sorpreso dal suo comandante e, a mo’ di giustificazione, asserì di essere sceso a terra per accertarsi di persona sulla consistenza di talune voci che correvano in città, secondo le quali il deposito di carbone della Marina veniva sistematicamente saccheggiato da ignoti ladri. « Perchè non mi hai avvertito subito? », gli chiese l’ufficiale. « Volevo essere sicuro che la cosa fosse vera », replicò prontamente, ma senza eccessiva convinzione sapendo benissimo che i furti di cui aveva parlato non erano altro che frutto di una sua immaginazione. Grande fu pertanto la sua sorpresa, sentendosi lodare per lo zelo dimostrato ed incitare a proseguire nelle indagini. Tornato al caffè e confidatosi coi l’amica, lo sbalordito Tanzini ebbe subito la spiegazione del mistero: effettivamente, da parecchio tempo ingenti quantitativi di carbone venivano sottratti dal deposito, sia falsificando le bollette e i verbali, sia durante le operazioni di scarico. Com’è naturale, egli si affrettò a riferire tutto quel che aveva saputo al suo comandante; i colpevoli vennero colti con le mani nel sacco, e Tanzini ebbe un encomio. Fu proprio ripensando a quella vecchia storia che Tanzini, allorché  vide fiorire sulle labbra di uno dei gendarmi svizzeri la temuta domanda: - Cosa c’è in quella valigia?- decise di giocare il tutto per tutto, pensando che solo un gesto di audacia e faccia tosta poteva salvarlo. “Come avete potuto vedere dal mio passaporto sono un ingegnere italiano. Rimpatrio per compiere il mio dovere di soldato; purtroppo, a quest’ora non sono riuscito a trovare un tassi disponibile, e adesso devo trascinarmi questo po’ po’ di peso fino alla stazione “.
Viribus Unitis .  

Gli andò bene. I gendarmi finirono con l’invitarlo a bere qualcosa in compagnia in uno dei pochi caffè ancora aperti a quell’ora…Per avere ragione di quella cassaforte, Aloisi s’era fatto mandare dall’Italia due abilissimi scassinatori, ai quali promise, oltre un grosso premio in danaro, tutti i valori contenuti nel forziere; ma i due, scoraggiati dalle grosse difficoltà che l’impresa presentava, rinunciarono all’incarico. Pensò, allora, di rivolgersi al IV Reparto della nostra Marina, istituito da poco tempo proprio per combattere lo spionaggio nemico, e fu così che entrò in scena Lui. Munito di falsi documenti, egli si reca dapprima a Berna, dove si accorda con Aloisi, e poi a Zurigo, per rendersi conto de visu di quel che si può fare. Suoi collaboratori saranno un livornese, espertissimo nella difficile arte di forzare le moderne casseforti, ed un meccanico che sa contraffare alla perfezione le chiavi più complicate, oltre, naturalmente, quel rifugiato in Svizzera che aveva rivelato ad Aloisi il luogo dov’era custodito l’elenco delle spie.....brani in verde tratti da Domenica del Corriere del 20 marzo 1955 (si può presumere che questo outing come quello del '58 di Brunnes e la proposta di legge sottostante siano stati innescati dal pessimo film fatto nel '51 sulla vicenda e che riporto in calce per dovere di cronaca)

 
 

25 giugno 1954 camera deputati: si discute di un provvedimento a favore di Papini. On. VIOLA. La proposta di legge, da me presentata insieme ad altri colleghi appartenenti a diversi partiti, si propone di ovviare ad una ingiustizia subita da un benemerito cittadino. È una ingiustizia dovuta non alla volontà né all’intenzione di determinati individui o di determinate autorità o di determinati governi, ma è una ingiustizia che sta nei fatti stessi, implicita nella stessa situazione in cui si è venuto a trovare questo benemerito cittadino di nome Natale Papini, nato e domiciliato a Livorno....... .Detto alto funzionario (Aloisi), per poter assolvere il delicato compito, si rivolse ad un suo concittadino, al meccanico Natale Papini, il quale riuscì a mettere a disposizione del controspionaggio italiano 6 plichi di interessanti documenti, nonché una buona quantità di gioielli. I documenti servirono molto bene al controspionaggio italiano ed i gioielli, che dovevano essere consegnati al pregevole scassinatore Natale Papini, furono invece incamerati dallo Stato italiano, perché il Papini non volle essere ricompensato. Sembra invece che sia stato ricompensato il barone Pompeo Aloisi, i1 quale, da quel momento, almeno così ci dimostra la cronaca del tempo, poté fare una splendida e meritata carriera, nel corso della quale molto spesso, riferendoci al barone Pompeo Aloisi, ci veniva fatto di ricordare l’episodio dei documenti di Zurigo strettamente legato al bravo Papini. Ora, questo benemerito cittadino, che ha continuato a fare il meccanico nella sua città di Livorno, è vecchio (ha compiuto da poco i 73 anni), ammalato, e ultimamente è stato anche vittima di un grave incidente. Una personalità di Livorno, apolitica, scrivendomi nell’interesse di questo poveretto, mi dice fra l’altro: Le affermo con tutta sincerità e franchezza che Natale Papini oggi soffre letteralmente la fame. Ormai impossibilitato a lavorare a causa del recente grave infortunio, aggravato dalla tarda età, senza risorsa alcuna ed oberato di debiti, il povero Papini trovasi in una condizione veramente disperata. Se non si dovesse far presto in suo favore, correremmo il rischio di arrivare troppo tardi.……. arrivarono tardi

     
SENZA BANDIERA

  Genere spionaggio (Il Colpo di Zurigo)
Produzione LUIGI FREDDI PER ELFO FILM
Regia Lionello De Felice
Soggetto Luigi Freddi
Sceneggiatura
Franco Brusati
Giorgio Prosperi
Jacopo Comin
Lionello De Felice
Nantas Salvalaggio
Scenografia Alfredo Montori
Fotografia Mario Craveri
Musiche Renzo Rossellini
 
Attori
Carlo Ninchi - IL COMANDANTE
Carlo Tusco -TELEGRAFISTA MORELLI
Claudio Ermelli
Fanny Marchio'
Guido Celano - SOTTOCAPO POGGI
Hans Moog - BARONE SVIZZERO
Massimo Serato -TEN. MORASSI
Paolo Stoppa -IL "PROFESSORE"
Umberto Spadaro -LO SCASSINATORE
Vivi Gioi - HELDA GRUBER
Walter Rilla - CONSOLE AUSTRIACO
     
  Trama: Durante la prima guerra mondiale la Marina Italiana è soggetta a gravi perdite in seguito ad azioni di sabotaggio. E' evidente che in Italia esiste una vasta rete di spie ed il servizio di controspionaggio ha potuto accertare che gli agenti nemici ricevono gli ordini dalla Svizzera. Viene affidato ad un comandante di marina coadiuvato da tre uomini scelti, l'incarico di fare indagini. Dopo pazienti ricerche il comandante acquista la certezza che il capo dello spionaggio nemico è il console austriaco a Zurigo, coadiuvato da un sedicente barone svizzero e da una sedicente infermiera. Uno degli emissari italiani, il tenente Morassi, che fa la corte all'infermiera, riesce col suo appoggio, ad installarsi, come cameriere, in casa del barone e può così accertare che i documenti relativi allo spionaggio sono chiusi in una cassaforte, nella camera da letto del console austriaco. Approfittando di un'assenza del console, gli agenti italiani penetrano di notte nella sua camera. Dopo un lungo lavoro la cassaforte viene squarciata per opera di un celebre scassinatore, ch'è stato aggregato agli agenti del controspionaggio. Questi, impadronitisi dei preziosi documenti, sono ora in gradi di distruggere la rete dello spionaggio nemico. Il console austriaco, ridotto ormai all'impotenza, s'uccide. Nonostante il cast la tradizione italiana di sostituire ad avventure delle boiate persiste

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