Prologo della II guerra d'Indipendenza

  la Castiglione, il terrorista Orsini e il gen. Custer

al congresso di Parigi, dove l'uscita plateale del Cavour aveva attirato l'attenzione di tutti i delegati,  non ottenemmo nulla.  Si discusse sì del Papato,  (ma questo era difeso dai Francesi), del Re di Napoli, del trattamento nel Lombardo-Veneto agli ex fuoriusciti, ma le simpatie venivano dai Prussiani, prossimi avversari degli Austriaci, dai Russi, perdenti la guerra, e dagli Inglesi, antipapisti dal tempo di Enrico VIII. Ci si convinse comunque che era meglio "contattare" direttamente Napoleone III che passare dal suo Ministro degli esteri filoaustriaco. Il primo contatto, passato alla storia, fu quello dellaLa Contessa di Castiglione Contessa Virginia di Castiglione la più bella donna in quel momento in Europa. Il galante imperatore dei Francesi ebbe una relazione burrascosa con la Castiglione, interrotta da un attentato, che la mise fuori gioco. Si seppe solo più tardi che l'attentato era di fattura italiana, ma di ispirazione molto vicina all'imperatore: l'Imperatrice Eugenia. La Parigi di allora rivaleggiava con Londra nella bella vita e per molti versi di poteva dire che la superava. Se volevi vivere andavi a Parigi, se volevi crearti una fortuna andavi a Londra. E' per questo che la città divenne poi il centro del peccato con le sue dame belle e intriganti, fra le quali non era seconda a nessuno la russa Barbara (Barbe) Dmitrievna Mergassov Rimsky-Korsakova, che il sesso lo usava solo per uno scopo. I rapporti di amicizia e buon vicinato, tenuti con la coppia reale francese dal nostro ambasciatore Costantino Nigra (grazie ad una borsa di studio (1845), si iscrisse alla facoltà di legge ottenendo così la laurea. Interruppe gli studi nel 1848 perché si arruolò come volontario nella terza compagnia bersaglieri, interamente formata da studenti. Combatté con valore nelle battaglie di Peschiera, Santa Lucia, Calmasino e Goito restando ferito a Rivoli.  http://web.tiscali.it/Nigra/vita.html  ), comunque non si interruppero. In Lombardia, alla firma del trattato di difesa comune, le provocazioni contro l'odiato austriaco si moltiplicarono), comunque non si interruppero. In Lombardia, alla firma del trattato di difesa comune, le provocazioni contro l'odiato austriaco si moltiplicarono ( si fumava solo sigari Cavour, etc). Il 29 gennaio alla Scala durante la rappresentazione della Norma di Bellini, presente lo stato maggiore austriaco, quando il coro intonò Guerra, Guerra! tutti gli astanti si alzarono in piedi ripetendo l'invocazione. Agli Austriaci non restava che rompere le relazioni diplomatiche col Piemonte in segno di sfida. 

Felice Orsini - il terrorista

Si pensò che forse era il caso di ingraziarsi anche l'imperatrice. Non tutto era quindi perduto quando, il 14 gennaio 1858, tre bombe scoppiarono contro la carrozza imperiale. Lo scoppio causò 8 morti e 150 feriti tra la folla, ma lasciò illesa la coppia imperiale* che stava recandosi all’Opéra di Parigi. Anche questa volta gli attentatori erano Italiani, ma lavoravano in conto proprio, almeno così sembrava. Felice Orsini, Pieri, De Rudio (o Rudio), Gomez finirono in prigione (questi ultimi due finirono graziati negli Usa a combattere con Custer). Un repubblicano francese, Bernard, aveva insegnato loro a confezionare le bombe e poco era bastato per convincere gli attentatori che tutto il male dell'Italia e dell'Europa veniva da Parigi, da questo Napoleone fattosi Imperatore dopo che Presidente e protettore del Papa. La storia di Orsini e di de Rudio è al link soprastante quella degli altri cospiratori prima dell'attentato ve la diamo qui.

Antonio Gomez, veniva dalla Legione straniera in Algeria (1853-1855). Il 7 dicembre 1855 fu condannato a Marsiglia a 6 mesi di carcere per abuso di confidenza con gli ufficiali e scontata la pena emigrò in Inghilterra. Giovanni Andrea Pieri nacque S. Stefano di Moriano (Lu) nel 1808. Piccole pendenze in patria portarono anche lui nella legione. Si stabilì a fine contratto a Parigi giusto in tempo per la rivoluzione (1848). Si racconta che venne poi in Italia e prestasse servizio nei Bersaglieri. Ma anche da qui fu cacciato per concussione. In Francia il suo asilo durò poco perché con il colpo di stato di Napoleone III si fece anche piazza pulita di tutti i vecchi amici cospiratori repubblicani e massoni. Emigrato a Londra, conobbe Felice Orsini. «Farò vedere io a costoro come si organizzi sul serio un attentato, che raggiunga la mira, [...] Mazzini e Rollin che armano le mani di volgari esecutori, invece di perigliarsi in prima persona al gran gesto del tirrannicidio, impareranno com’io non lesini la mia vita [...j Mazzini ed i suoi non sanno uscire dalla routine del classico rugginoso pugnale, io sarò moderno, terribile, applicando le macchinette infernali, esposte incautamente alla curiosità dei visitatori in un museo del Belgio». Fu quindi Bernard, esperto chimico, e non lui ad impostarle. Due anonime semisfere di ghisa di oltre un chilo l’uno, avrebbero viaggiato in incognito e sarebbero state ricomposte a Parigi con dentro un chilo di fulminato di mercurio. Dei 4 attentatori Pieri sparì subito, perché un commissario, dalla memoria e dalla vista acuta, lo riconobbe. I francesi sapevano per una spiata dell'attentato ne avevano preso uno, uno + uno fa due, ma il percorso dell'Imperatore e l'evento non vennero cancellati. Gomez, il primo arrestato, spifferò tutto ed ebbe l'ergastolo, concesso poi anche a Di Rudio. Napoleone e consorteNiente da fare per Orsini e Pieri. A Vittorio Emanuele II, non restava che chiedere scusa, anche se l'Orsini era suddito del Papa. Il processo ebbe infatti una svolta imprevista quando, nel raccontare le sue peripezie, l'Orsini concluse con queste parole:" Le deposizioni.... sono sufficienti per mandarmi a morte, e io .... senza chiedere la grazia non mi umilierò davanti a colui che ha ucciso la nascente libertà della mia patria... io scongiuro Vostra maestà di non respingere il voto supremo di un incamminato verso il patibolo, liberi la mia patria..." Anche  questa volta la stampa centuplicò gli effetti. Ci si chiese come un terrorista avesse potuto leggere in aula una dichiarazione politica, chi era quel giudice che lo aveva lasciato fare. La risposta era una sola: il permesso era partito da corte. L'Orsini concluse il suo soggiorno terreno con una lettera a Napoleone per ringraziarlo di avergli fatto leggere in aula l'ennesimo attacco all'Austria. Nel contempo ripudiava ogni forma di violenza, ponendo per i suoi correligionari l'impegno al sacrificio personale, alla abnegazione per il raggiungimento del più alto risultato della Libertà.  Una serie di incontri segreti, nel corso dell'anno, coinvolsero il progressista Gerolamo o Girolamo, cugino di Napoleone III,  scapolo gaudente, ed infine l'Imperatore. Nella testa di Napoleone era di nuovo frullata l'idea dell'Italia Federale: un regno al Nord, Sabaudo, uno centrale con suo cugino Napoléon -Joseph -Charles-Paul Bonaparte, anche chiamato dal 1852 Principe Napoléon -Jérôme (Gerolamo) prossimo marito di Clotilde, figlia quindicenne di Vittorio Emanuele, uno meridionale al figlio del vecchio bonapartista Murat, ed il Papa nella città Eterna, presidente della confederazione. L'idea era sufficentemente malvagia; da ampio protettorato Austriaco saremmo passati a pieno protettorato Francese.

LETTERA DEL CONTE CAVOUR AL GEN. ALFONSO LA MARMORA, MINISTRO DELLA GUERRA E MARINA DEL RE DI SARDEGNA
Baden 24 luglio 1858
Caro amico
Ho creduto debito mio il far conoscere senza indugio il risultato delle mie conferenze coll'imperatore al Re. Ho quindi redatta una lunghissima relazione (40 pagine circa) che spedisco a Torino (al Re). Desidererei molto che il Re se la facesse leggere, giacché mi pare di avere in essa riferito quanto di notevole mi disse l'Imperatore in una conversazione che durò poco meno di otto ore.  Non ho il tempo di ripeterti ogni cosa: tuttavia in massima ti dirò che si è stabilito:
l° Che lo Stato di Massa e Carrara sarebbe causa o pretesto della guerra;
2° Che scopo della guerra sarebbe la cacciata degli Austriaci dall' Italia: la costituzione del Regno dell'Alta Italia, composto di tutta la valle del Po, delle Legazioni e delle Marche;
3° Cessione della Savoia alla Francia. Quella della contea di Nizza in sospeso;
4° L'Imperatore si crede sicuro del concorso della Russia e della neutralità dell'Inghilterra e della Prussia.
Nullameno l'Imperatore non s'illude sulle risorse militari dell'Austria, sulla sua tenacità, sulla necessità di prostrarla per ottenere la cessione dell'Italia. Egli mi disse che la pace non si sarebbe firmata che a Vienna, e che per raggiungere questo scopo era mestieri allestire un esercito di 300.000 uomini. Essere pronto a mandare 200.000 combattenti in Italia; richiedere 100.000 Italiani.
L'Imperatore entrò in molti particolari sulle cose della guerra che m'incaricò di comunicarti, e ch'io ti riferirò a viva voce. Mi parve avere studiata la questione assai meglio de' suoi generali, ed avere in proposito idee giuste.  Parlò pure del comando - del modo di governarsi col Papa - del sistema di amministrazione da stabilire nei paesi occupati - dei mezzi di finanza. In una parola di tutte le cose essenziali al nostro grande progetto. In tutto fummo d'accordo.  Il solo punto non definito si è quello del matrimonio della Principessa Clotilde. Il Re mi aveva autorizzato a conchiudere solo nel caso in cui l'Imperatore ne avesse fatta una condizione sine qua non dell'alleanza. L'Imperatore non avendo spinto tant'oltre le sue istanze da galantuomo non ho assunto impegno. Ma sono rimasto convinto che esso mette a questo matrimonio una grandissima importanza, e che da esso dipende se non l'alleanza, l'esito suo finale. Sarebbe errore, ed errore gravissimo l'unirsi all'Imperatore e nello stesso tempo fargli una offesa che egli non dimenticherebbe mai. Ci sarebbe poi di danno immenso l'avere a lato suo, nel seno de' suoi consigli, un nemico implacabile, tanto più da temersi che gli corre nelle vene sangue corso.
Ho scritto con calore al Re, pregandolo a non porre a cimento la più bella impresa dei tempi moderni, per alcuni scrupoli di rancida aristocrazia. Ti prego, ove ti consultasse, di aggiungere la tua voce alla mia. Non si tenti l'impresa, in cui si mette a repentaglio la corona del nostro Re e la sorte dei nostri popoli, ma se si tenta, per amar del Cielo, nulla si trascuri di quanto può assicurare l'esito finale della lotta. Ho lasciato Plombières con l'animo più sereno. Se il Re consente al matrimonio, ho la fiducia, dirò quasi la certezza, che fra due anni tu entrerai in Vienna il capo delle nostre file vittoriose.  Tuttavia, per accertarmi del fondamento delle speranze manifestatemi dall'Imperatore circa al contegno probabile delle grandi Potenze nell'evento di una guerra con l'Austria, ho pensato di venire a fare una corsa a Baden, ove trovansi riuniti Re, Principi e Ministri di varie contrade dell'Europa. Fui bene ispirato, poiché in meno di 24 ore parlai col Re di Wurtermberg, col Principe Reale di Prussia, con la Granduchessa Elena, con Manteuffel e vari altri diplomatici russi e tedeschi. Stando a quanto mi dissero e la Granduchessa Elena, ed il signor Ballau, uno dei più accorti diplomatici russi, si potrebbe far assegno sicuro sulla cooperazione armata della Russia, La Granduchessa mi disse che se la Francia s'univa a noi, la nazione russa costringerebbe il suo Governo a fare altrettanto. Ballau mi disse: Si vous avez à l'un de vos cotés un chasseur de Vincennes, comptez que de l'autre VouS avez un soldat de notre garde.
Rispetto alla Prussia credo che, quantunque senta una grande antipatia per l'Austria, essa rimarrà dubbiosa ed incerta, finché gli eventi la spingano irresistibilmente a prender parte alla lotta. Non ho più tempo di proseguire. Ma il fin qui detto ti proverà che,non ho perduto il mio tempo, e che il mio viaggio non si può contare per vera vacanza.
Addio. Spero sempre vederti al confine. C. CAVOUR.
Felice Orsini
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Il 10 gennaio 1859 all'apertura del parlamento Piemontese, il Re di Sardegna pronunciò il famoso discorso del "Grido di Dolore" scritto nella parte finale dallo stesso Napoleone III. Il 4 gennaio arrivò a Parigi la bozza del discorso che Vittorio Emanuele doveva pronunciare il 10, ma Napoleone trovò che il passo (in francese) .....costanti nel fermo proposito di compiere, camminando sulle orme segnate dal mio magnanimo mio Genitore, la missione che la Divina Provvidenza ci ha affidato.. non era confacente e riscrisse .. Tuttavia, pur rispettando i trattati, non possiamo restare indifferenti al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi…Il non confacente secondo lui era troppo forte. L'ingerenza di questi nella comunicazione, come abbiamo già visto, inizia all'ultimatum in Crimea, passa dal processo Orsini ed ora la troviamo in un discorso ufficiale del Regno. Oggi si direbbe che l'Imperatore dei Francesi era un grande comunicatore mediatico.   

*Fu questo il 3° attentato subìto da Napoleone III -Parigi 1808, - Chislehurst- Londra,1873; figlio terzogenito di Luigi Bonaparte (fratello di Napoleone Bonaparte e re d'Olanda) e della regina Ortensia di Beauharnais figlia della prima moglie Giuseppina) e dalla moglie, la spagnola Eugenia de Montijo de Teba, contessa de Guzmàn (Granada1826 - Madrid 1920; figlia di Cipriano de Montijo e di M. Manuela de Teba) . Il fratello maggiore di Napoleone I aveva solo figlie femmine e l’altro fratello era Luigi Bonaparte. Luigi ebbe tre figli: Napoleone Carlo che morì presto, Napoleone Luigi che morì di rosolia e Luigi Napoleone (Napoleone III).

Nelle more dei disegni insurrezionali che precedono la seconda guerra di indipendenza si era dato il la a…. la concessione al governo russo di una stazione navale (una base appoggio); il che dispiacque molto all'Inghilterra, a cui però furono date sufficienti spiegazioni per placarla. Tutto fu fatto per ingraziarsi anche la Prussia e in questo modo isolare l'Austria. Nel dicembre del 1858, per mezzo di La Farina **, Cavour fece chiamare Garibaldi da Caprera. Egli giunse a Torino il 20, e il 22 era già di ritorno a Caprera, da dove le sue lettere agli amici in Italia e all'estero dipingono ora l' intensa sua gioia e l'intera sua fiducia nel governo piemontese. Insurrezioni nei Ducati (emiliani), cominciando da Massa e Carrara mentre in Genova i migliori fra la Guardia nazionale dovevano esser organizzati come nucleo di un corpo di volontari da agire pari passo coll'esercito (da fuoriusciti). Garibaldi sostenne la Dittatura regia e raccomandava a tutti cieca e assoluta fiducia in Cavour e nel Re !!!.
"21 dicembre 1858.
Carissimo amico, (La Farina)
Dovendo partire domani per Caprera, ho incaricato Medici dell' organizzazione delle compagnie di bersaglieri della guardia nazionale, di cui conferimmo col ministro (della Guerra Piemontese). Certamente la cosa passerà la nostra speranze ed io spero di formare con ciò un potente corpo ausiliare con l'esercito. Bisogna dunque mandare a Genova i fondi necessari, e si procederà immediatamente a formarlo. L'idea del ministro di accogliere i Lombardi della presente leva avrà un effetto stupendo. Io credo che riguardo all' armamento nostro - conservando tutta la segretezza di cui sono suscettibili le circostanze - si deve fare su maggior scala possibile, e non esser da meno questa volta dello slancio infallibile e gigante delle popolazioni. Le notizie che io ho dalle differenti province sono stupende! tutti vogliono la dittatura militare, che voi mi avete predicato; le rivalità, i partiti spariscono; e potete arditamente assicurare il nostro amico !!! (il conte di Cavour) che egli è onnipotente, e che deve manomettere (sic) qualunque straordinario provvedimento con la certezza dell'assentimento universale. Oh ! questa volta, per Dio, la vinceremo!. - Scrivete dunque a Giacomo Medici, e provvedete. - Io parto, e spero mi chiamerete presto. - Vi ho disturbato e vi disturberò sovente, ma, spero, scuserete il vostro fratello per la vita.  GIUSEPPE GARIBALDI

P.S, - Io credo necessario, darsi l'ordine della formazione d'una compagnia di bersaglieri inviato a tutti i corpi dello Stato.
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**Giuseppe La Farina nacque a Messina nel 1815. Più volte, per le sue idee, fu costretto all'esilio prima in Toscana a Firenze, poi a Roma. Fece ritorno in Sicilia nel 1848 dopo lo scoppio della rivoluzione del 12 gennaio dove fu eletto deputato: andò in missione diplomatica al campo di Carlo Alberto a Valeggio sul Mincio, fu ministro dell'istruzione e dei lavori pubblici (1848) poi della guerra e marina del governo siciliano provvisorio (1849). Dopo la repressione della rivoluzione siciliana fu esule a Marsiglia e a Parigi dove ben presto abbandonò la linea repubblicana per sposare quella piemontese monarchica. Partecipò nel 1856 con D. Manin e G. Pallavicino alla fondazione della Società nazionale di cui fu segretario, e contribuì a orientare verso il Piemonte di Cavour l'opinione pubblica moderata che non condivideva più i metodi insurrezionali mazziniani. In aprile e maggio del 1860 operò per la spedizione dei Mille in Sicilia; il 21 ottobre, con il plebiscito per l’annessione del Napoletano e della Sicilia al Regno d’Italia, Messina lo eleggeva suo deputato al Parlamento italiano. Il 27 ottobre 1860 fu nominato consigliere di Stato. Alla vigilia della sua morte volle tornare in Sicilia e il 5 settembre 1863 si spense a Torino. La sua salma venne trasportata a Messina dopo nove anni, e fu tumulata nei sotterranei della Galleria Monumentale.

 

... relazione (40 pagine circa) che spedisco a Torino (al Re). Desidererei molto che il Re se la facesse leggere

 

Il piano di Plombières.
La lettera che il conte di Cavour scrisse al re Vittorio Emanuele Il il 24 luglio 1858 subito dopo il convegno di Plombières contiene il resoconto fedele dei due colloqui segreti che il Cavour ebbe con Napoleone III. Riportiamo qui la parte sostanziale della storica lettera: quella che si riferisce appunto agli scopi della guerra e alla sistemazione da dare all'Italia dopo la vittoria. A codesta parte, precede quella nella quale l'Imperatore concordava con Cavour lo sviluppo dell' azione da svolgere per spinger l'Austria a provocare la guerra, dato che condizione essenziale del piano napoleonico era che l'aggressione doveva venire dall'Austria.
...Risolta questa prima questione, l'Imperatore mi disse: « Prima di andare avanti, bisogna pensare a due gravi difficoltà che troveremo in Italia: il Papa e il re di Napoli. Devo trattarli con riguardo il primo, per non sollevare contro di me, i cattolici francesi, il secondo per conservarci le simpatie della Russia che si fa una specie di punto d'onore di proteggere il Re Ferdinando».
Risposi all'Imperatore:
1. - che, quanto al Papa,. gli era facile conservargli il tranquillo possesso di Roma per mezzo della guarnigione francese che vi si trovava, salvo a lasciar insorgere la Romagna.
2. - che, siccome il Papa non aveva voluto seguire a suo riguardo i consigli che egli (l'Imperatore) gli aveva dati, non poteva trovare irragionevole che questa regione approfittasse della prima occasione favorevole per liberarsi da un detestabile sistema di governo, che la Corte Romana si era ostinata a non riformare.
3. - che, quanto al Re di Napoli, non c'era bisogno di occuparsi di lui, a meno che volesse prendere partito per l'Austria; salvo a lasciar fare ai suoi sudditi se, approfittando del momento, si volessero sbarazzare del suo paterno dominio.
Questa risposta soddisfece l'Imperatore e si passò alla grande domanda: Quale sarebbe lo scopo della guerra?
L'Imperatore ammise senza difficoltà che bisognava cacciare completamente gli Austriaci dall' Italia, e non lasciar loro un pollice di terreno al di qua delle Alpi e dell'Isonzo. Ma poi. come organizzare l'Italia?. Dopo lunghe dissertazioni, di cui risparmio il racconto a V. M., avremmo all'incirca convenute le basi seguenti sempre riconoscendo, però, che esse sono suscettibili di essere modificate dagli eventi della guerra. La valle del Po, la Romagna e le Legazioni costituirebbero il Regno dell'Alta Italia su cui regnerebbe la Casa Savoia. Si conserverebbe al Papa Roma e il territorio che la circonda. Il resto degli Stati del Papa con la Toscana dovrebbe formare il regno dell'Italia centrale. Non si toccherebbe la circoscrizione territoriale del Regno di Napoli. I quattro Stati italiani formerebbero una confederazione, sul tipo della Confederazione Germanica, di cui si darebbe la Presidenza al Papa per consolarlo della perdita della parte migliore dei suoi Stati.
Questa sistemazione mi pare completamente accettabile. Poiché V. M., essendo Sovrano di diritto della metà più ricca e più forte d'Italia, sarebbe sovrano di fatto di tutta la penisola. Quanto alla scelta dei sovrani da porre a Firenze e Napoli nel caso molto probabile in cui lo zio e il cugino di V. M. prendessero la saggia decisione di ritirarsi in Austria, la questione è stata lasciata in sospeso; tuttavia l'Imperatore non ha nascosto che vedrebbe con piacere Murat risalire sul trono di suo padre; e da parte mia ho indicato la Duchessa. di Parma come adatta ad occupare, almeno provvisoriamente, Palazzo Pitti (Fi). Questa ultima idea è piaciuta immensamente all'Imperatore che sembra tenere molto a non essere accusato di perseguitare la Duchessa di Parma, nella sua qualità di Principessa della casa di Borbone.
Dopo aver regolato la futura sorte d'Italia, l'Imperatore mi domandò cosa avrebbe la Francia e se V. M. cederebbe la Savoia e la Contea di Nizza. Risposi che V. M., professando il principio di nazionalità, comprendeva come ne derivasse che la Savoia doveva esser riunita alla Francia; che di conseguenza era pronta a farne il sacrificio per quanto le costasse immensamente di rinunciare a un paese che era stato la culla della sua famiglia e ad un popolo che aveva dato tante prove di affetto e di devozione ai suoi antenati. Che quanto a Nizza, la cos'a era diversa, poiché i Nizzardi per la loro origine, la loro lingua e le loro abitudini appartengono più al Piemonte che alla Francia e che perciò la loro riunione all'Impero sarebbe contraria a quello stesso principio per far trionfare il quale si stava per prendere le armi. A questo punto l'Imperatore si carezzò più volte i baffi e si accontentò di soggiungere che queste erano per lui questioni assolutamente secondarie di cui ci sarebbe tempo per occuparsi più tardi.
Passando poi all'esame dei mezzi necessari perché la guerra abbia un esito felice, l'Imperatore osservò che bisognava cercare d'isolare l'Austria e di non dover fare i conti che con essa; e che era per questo che egli teneva tanto a che (la guerra) fosse motivata da una causa tale da non impaurire le altre potenze del Continente e da esser popolare in Inghilterra. L'Imperatore è parso convinto che quella da noi adottata riusciva a questo duplice scopo. L'Imperatore conta positivamente sulla neutralità dell' Inghilterra: mi ha raccomandato di fare ogni sforzo per agire sull'opinione pubblica di questo paese per costringere il governo, che ne è schiavo, a non far niente in favore dell'Austria. Egli conta ugualmente sull'antipatia del Principe di Prussia verso gli Austriaci, perché la Prussia non si pronunci contro di noi. Quanto alla Russia, egli ha la promessa formale e più volte ripetuta, dell'imperatore (Zar) Alessandro. di non contrastare i suoi progetti circa l'Italia. Se l'Imperatore non si fa illusioni, come del resto sono abbastanza propenso a credere dopo tutto quello che mi ha detto, la questione si ridurrebbe a una guerra tra la Francia e noi da un lato, e l'Austria dall'altro".
Cavour accettava il piano perché la condizione essenziale indispensabile per agire contro l'Austria, era di avere l'aiuto della Francia, che si poteva ottenere solo accettando le idee napoleoniche. Ma la forza della coscienza unitaria italiana, ormai pienamente risvegliata, doveva rendere vano lo sforzo napoleonico di ridurre la penisola a un vassallaggio francese. Tale forza avrebbe saputo rivelarsi capace di procedere verso i propri fini, oltre e contro la volontà e le idee di Napoleone. Lo dimostrarono gli eventi successivi del 1859-1860.

 

   


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