I BERSAGLIERI NERI - DUBAT
Il Governatore De Vecchi diede vita nel 1924 ad una specialità denominata "Bande Armate di Confine" meglio conosciuta con il nome di "Dubat" (Dub=turbanti AT=bianchi) o Bersaglieri Neri. I Dubat erano una truppa intermedia fra i regolari e gli irregolari. La loro principale caratteristica consisteva nell'estrema leggerezza di armamento e di equipaggiamento che consentiva spostamenti rapidissimi. I «dubat» sono snelli e scattanti, dal passo lungo, nerissimi di pelle ma bianchissimi nei turbanti e nell'abbigliamento molto leggero per potersi muovere con agilità a guardia delle frontiere. Sono scelti fra gli uomini più dotati fisicamente e intellettualmente. Vigili e fedeli furono impareggiabili cavalcatori del Generale Graziani, divisi in bande comandate da ufficiali italiani, cui venne affidato il compito di vigilare sul confine. Sempre pronti a reagire contro le incursioni dei razziatori abissini entro i nostri confini, si spostavano attraverso la pianura allagata per raggiungere gli obbiettivi (Ogaden conteso), con zattere abilmente improvvisate, oppure a nuoto, sfidando il pericolo dei coccodrilli. Gli africani, e soltanto loro, possono confrontarsi con i coccodrilli a nuoto. Se gli Ascari, come diceva Montanelli, spesso tagliavano la corda col bottino, i Dubat erano gente orgogliosa che andava trattata con gentilezza. Gli dicevi di dare una occhiata alla boscaglia e quelli sparivano. Sparivano per poi ritornare e sapevi vita morte e miracoli in un raggio di 5 km. Il loro addestramento era affidato a graduati indigeni provenienti dai battaglioni coloniali. La gerarchia comprendeva 4 gradi: gregario, sotto capo, capobanda e comandante. Il più famoso fu Ali Ualie, che comandava il posto di frontiera di Ual-Ual al momento del proditorio attacco del capo predone Omar Sammantar. Ual Ual era un importante complesso di pozzi utilizzato dai nomadi somali inglesi, italiani e etiopici, situato all'interno dei deserti dell'Ogadèn. Nel 1930 il pozzo fu occupato da una formazione di somali italiani, benché essi non interferissero con le tribù che venivano da ogni direzione a prendere acqua per sé e per i propri cammelli. L'imperatore, che era sempre stato particolarmente sensibile per quanto riguardava i diritti dell'Etiopia sull'Ogadèn, fin da quando era un giovane governatore dell’Harar celebrò il suo avvento al trono ordinando all'uomo, che aveva nominato governatore di questo territorio, il dejazmach Gabre Mariam, di liberare la zona da questi intrusi protetti dagli italiani. Cosi nel 1931 Gabre Mariam portò nel deserto una formazione di quindicimila uomini in una rapida spedizione contro i dubat di confine. Ual ual fu risparmiata e sul luogo venne costruito anche un fortino sulle fondamenta di uno dei vecchi bastioni lasciativi dal Mad Mullah.  L'Inghilterra continuò a considerare Ual Ual come etiopica e verso la fine di novembre del 1934 suoi rappresentanti si unirono alla commissione mista anglo-etiopica per i pascoli e i confini. Erano accompagnati da una guardia del corpo di seicento soldati etiopici che dovevano proteggerli dai banditi, non infrequenti da quelle parti. Arrivarono ai pozzi il 23 novembre 1934 e furono sorpresi di trovare che erano stati trasformati in un accampamento italiano. L'ufficiale italiano che comandava il posto contestò l’ispezione, non avendo ricevuto in merito alcun ordine. Chiamò per telegrafo rinforzi e qualche ora dopo l'accampamento della commissione fu sorvolato da aerei italiani. Gli inglesi decisero di ritirarsi e di portare con sé i membri etiopici della commissione; questi acconsentirono purché si lasciasse sul posto la guardia del corpo, a indicare che l'Etiopia non accettava affatto l'occupazione italiana. L'atmosfera di collera, di antipatia e di sospetto esplose il 5 in uno scontro militare. Non si saprà mai chi abbia sparato il primo colpo, ma uno dei primi a morire fu il fitaurari Alemayu, comandante della guardia etiopica, che fu colpito mentre stava uscendo dalla sua tenda. Il suo secondo nel comando si affrettò a ritirarsi, lasciando le sue truppe a affrontare gli italiani e i loro carri armati; e quando finalmente le truppe etiopiche si ritirarono, lasciarono sul posto centinaia di morti e feriti. Le perdite italiane ammontavano a qualche dozzina.
Nicola Mascellaro - Ualual
La prima notizia su uno scontro fra un gruppo di armati abissini e i Dubat italiani ai pozzi d’acqua di Ualual in Somalia appare in prima pagina sabato 8 dicembre 1934. Niente di eccezionale, è una notiziola apparentemente senza importanza. Eppure, è stata messa in evidenza. I pozzi di acqua sono importantissimi per i nomadi del deserto e nonostante il presidio italiano, i beduini rivendicavano il diritto di attingere acqua. Del resto, ancora oggi, quella località e quei pozzi sono oggetto di discussione fra la Somalia e l’Etiopia: entrambi asseriscono che Ualual si trova all’interno dei rispettivi territori. La notizia dunque, brevissima, termina asserendo che sono state prese le disposizioni necessarie per evitare ulteriori incidenti su quella frontiera. Qualche giorno dopo, un’altra notiziola in ultima pagina, dirà che gli abissini, in quello scontro, hanno perso 110 uomini. Niente, assolutamente nulla fa presagire gli sviluppi che questo piccolo incidente causerà all’Italia, all’Etiopia e all’Europa intera. Ma Mussolini, che per certe cose ha la memoria lunga, ha deciso che questo irrilevante scontro di frontiera è l’occasione per vendicare Adua. In una successiva ricostruzione dello scontro viene rilevato che gli italiani avevano perso un solo uomo, un ufficiale Dubat, cioè un somalo dell’Esercito italiano. A seguito dell’incidente, l’Italia chiede all’Etiopia un indennizzo talmente esoso che il Governo di Addis Abeba non solo rifiuta ma si appella alla Società delle Nazioni per un arbitrato, sanare la disputa e pagare il giusto risarcimento. Nel frattempo, quasi alla chetichella, da Napoli cominciano a partire navi cariche di soldati italiani per l’Estremo Oriente. Mussolini non vuole un risarcimento, vuole l’Etiopia, vuole un posto al sole. E lo disse molto chiaramente sia a Ginevra che ai suoi alleati francesi e inglesi. Il Duce ha bisogno di espandersi per dare ai 43 milioni di italiani solide prospettive per il futuro. Dopotutto, la presenza italiana nella barbara Etiopia, è un beneficio per gli abissini, l’Italia intende esportare civiltà e benessere. Perciò, Mussolini non ha la necessità di attendere il risultato della Commissione d’inchiesta della Società delle Nazioni. Il Duce sa bene che i manovratori del palazzo ginevrino sono gli inglesi e francesi per cui, basta il loro tacito assenso. Ma non l’avrà. L’Inghilterra si oppone fermamente e nettamente. I francesi invece - che hanno bisogno di appoggi politici del Governo italiano - cercano in tutti i modi di convincere l’Inghilterra a lasciare che l’Italia si appropri di un altro pezzo di deserto. Ma non c’è verso. Alla fine la Francia decide a malincuore di appoggiare gli inglesi nelle decisioni che saranno prese a Ginevra. In realtà i britannici e gli amici d’Oltralpe non hanno scelta. Essi sanno bene quante cose si possono fare in nome della civiltà. Entrambe, Francia prima e Inghilterra dopo, si sono costruite un impero, depredando tre continenti, con il nobile intento di civilizzare gli indigeni i popoli barbari, salvo lasciarli poi più poveri di prima. E quanta ironia nell’aspirazione Fascista di esportare il progresso sociale e civile in Africa prim’ancora d’averlo assicurato all’Italia.

 

Nella sfilata ai Fori Imperiali (1937) per la proclamazione dell’impero, ( a un anno dalla vittoria etiopica), gli animali sembravano più sorpresi dei cavalieri nel percorrere strade asfaltate, mai prima conosciute e non più la familiare e faticosa sabbia delle dune. Molto ammirati nella parata romana i «dubat» somali. Le cavalcature dei meharisti erano molto speciali non i comuni dromedari, ma una varietà particolare di dromedario molto veloce, il Mehara (da cui Meharisti) in grado di percorrere sino a 200 chilometri al giorno a rapida andatura.

 

VIE DI COMUNICAZIONE SOMALI
Le possibilità di sviluppo agricolo in Somalia si evidenziano ben presto ottime. Dopo le opportune bonifiche si possono impiantare, il banano (ancor oggi monopolio Usa), il cotone, l'arachide, il sesamo, il mais etc... Il Duca degli Abruzzi, Luigi di Savoia ottiene una concessione di 25.000 ettari che irriga con una grande diga costruita sullo Uebi Scebeli che col Giuba è il più grande e lungo dei fiumi del Sud (l'Oltregiuba come regione viene ceduta dagli inglesi nel 1924). Ulteriori piccole rettifiche di territorio acquisito si avranno fino al 1929. Durante la stagione delle piogge entrambi i fiumi sono navigabili per lunghi tratti. Per la movimentazione dei raccolti al nuovo porto di Mogadiscio viene costruita una piccola ferrovia, che si sviluppa poi per altri rami fino a raggiungere una lunghezza massima di 114 km. Diverso il discorso per le strade che vennero ritracciate e rinnovate togliendole dai pantani stagionali. La costruzione non può non tenere conto delle nuove aree produttive e commerciali sorte, oltre al Villaggio Duca degli Abruzzi già citato, e delle esigenze difensive sia a Nord che a Sud. Viene quindi tracciata una strada carrozzabile di 1484 km che da Mogadiscio per l'interno arriva a Bender Cassim nel Golfo di Aden (1929). Il problema principale è la massicciata che abbisogna di materiale di cava che non esiste nel piano. Con le diramazioni verso la costa e la prosecuzione verso il Kenya il totale delle rete stradale arriva a oltre 10.000 Km. Così il giornalista Queirolo racconta il suo viaggio a Bender Cassim (Bosaso) sulla strada in via di ultime rifiniture (novembre 1929) "....da Ghersale le nostre auto scendono dal treno e si lanciano su Bulo Burti e Belet Uen.. A Belet Uen è un fervore di opere, sono appena trascorsi 13 mesi da quando l'arteria era stata concepita. Lungo la bella via costruita dalle Bande incontriamo di quando in quando i bianchi turbanti dei Dubat, rigidi nel presentat'arm. Ferfer è banda, in tutta la sua eccezione di provvisorietà, ... villaggio dei Dubat ammogliati, in regolari file di capanne e il campo cintato con la sede del comando di settore. Sono già 400 i km fatti e ci aspettano altri 386 km fino a Rocca Littorio fra incredibili termitai.. un poco ci illudiamo di correre sulla Appia Antica.  Qualche posto di guardia, un ridottino di sassi e di solito un maestoso albero sul quale in alto si staglia la figura statuaria del Dubat. Le bianche tute, i bianchi turbanti, i torsi nudi scultorei attraversati dalla cartucciera e alla mano il fucile che non si lascia mai. Si lavora e si fa tutto con la mano libera dal fucile. amministrazione provvisoria Benadir A Garroe il governatore passa in rivista i Dubat che a sera ci allietano di una fantasia tribale... .. saliamo ai 900 metri di Gardò, e il nostro sguardo spazia su gazzelle, struzzi, licaoni, scimmie ma anche volatili e serpenti. La notte fredda ci ha ritemprato e l'alba tinge l'oriente per l'estrema tappa. ... di quando in quando vediamo alberelli di incenso che non si capisce da dove traggano la linfa aggrappati come sono alla nera roccia.......". Lungo queste strade parte anche il servizio di autocorriera. (Mogadiscio -Bosaso bi e trimensile, Mogadiscio-Lugh km 425 bimensile etc). Anche in colonia si sperimentano i carboni alternativi che sono poi quelli di legna, per rendere nel tempo autonoma l'autotrazione. Si bruciano acacie di vario tipo, molto diffuse su arenili e dune, con rendimenti fino al 20% del peso iniziale. Un'altra risorsa somala del corno d'africa sono le saline il cui sale viene inviato al Porto di Hafun (Dante) con una teleferica. 
http://art.supereva.it/cnalin21205/index.htm     Galleria di immagini Waifror Nalin nella Somalia del 1930/31 

 A curiosity: During "Ibis" mission in 1993, a former Somali Dubat sergeant, something like 80 years old, presented himself to the italian parachutists (Folgore) at the embassy in Mogadiscio, speaking perfect italian, holding his M91 musket... he leaved and was treated as an "irregular" for all the period of the mission. Certo la sorpresa fu tanta quando, nei primi giorni del 1993 nel corso dell'operazione RESTORE HOPE (Ibis per noi) lanciata dall'Onu per riportare il Paese fuori dalla guerra intestina, i comandanti si videro comparire davanti un Dubat, di una certa età, che disse " Sono Scirè*, sono stato in servizio (nei "servizi *") delle Vostre unità coloniali e voglio riprendere il mio posto" !!!!. A chi pensava fosse uno scherzo non occorse molto per accorgersi che era tutto vero. Fra le mani dello scalzo Scirè era comparso anche un fucile 91 perfettamente funzionante. Senza autorizzazioni particolari si schierò col picchetto e piantò la capanna nel cortile della caserma. Una divisa dovettero anche procurargliela e non c'era persona più ligia e impeccabile nell'eseguire ordini. Un certo imbarazzo sorgeva solo quando all'alzabandiera salutava con la formula "Viva il Re, Viva il Duce, Viva l'Italia". Che in Italia fosse cambiato qualcosa non era cosa che lo riguardava, quelli venuti dopo non erano per lui poi tanto migliori di quelli di prima. (nota: Scirè è una regione dell’Etiopia tra i fiumi Tacazzè e Mareb, teatro degli scontri del 1936 per la conquista dell’Etiopia. *I Dubat da sempre si dichiaravano gente che sapeva tutto di tutti).

 


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