PRIGIONIA
i
nostri e i loro, prigionieri di noi stessi, le città di legno degli
INTERNATI CIVILI
Della prigionia dei soldati italiani non si trova quasi traccia nelle pubblicazioni militari.
Men che meno in letteratura o testi scolastici. Quand'anche se ne
accennasse, non indicano il numero e le condizioni di quanti morirono in prigionia. Delle terribili condizioni di vita ci sono giunte notizie dai diari dei sopravvissuti e dalla
Relazione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti (1920).
Solo recentemente ha rivisto la luce il saggio di Giovanna Procacci
"Soldati e prigionieri italiani nella Grande Guerra" Ed. Bollati
Boringhieri Torino (2000) ed altri annunciati. La legislazione che regolava questo status era quella dell'Aja (1899-1907) che prevedeva per il prigioniero vitto, alloggio,
decade (paga) e esenzione dai lavori. Per gli ufficiali era persino prevista, sulla parola, la
libera uscita !!! oltre allo stipendio normale, in pratica una pacchia. L'Italia non accettò quest'ultima clausola (in reciprocità). Era dal tempo della Rivoluzione Francese che moltissimi comportamenti, nel campo della detenzione, erano stati smantellati
(prima c'era stato il "Dei Delitti e delle Pene" di
Beccaria). Dal supplizio alla schiavitù, dai lavori forzati al
riscatto, queste, prima erano state le condizioni . Con
Caporetto caddero in mano Austriaca circa 350.000 Italiani che
si aggiunsero ai circa 150.000 precedentemente già prigionieri e
ne cadranno ancora col solstizio d'estate del 1918.
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"L’ignoto verso cui ci
dirigiamo ci spaventa più di una pallottola in fronte" |
Con l'ultimo anno di guerra la cifra raggiunse le 600.000
unità (di cui 8.000 ufficiali). Fra la truppa oltre
100.000 morirono però di stenti e malattia (100.000=1/6), mentre fra gli ufficiali si scendeva a 1/15. La causa, anche se non primaria, era da ricercarsi soprattutto nel comportamento del Comando Supremo e del Governo
(e dal miglior trattamento riservato agli ufficiali dal nemico)
che impedirono di fatto la spedizione dei pacchi o la
ostacolarono adducendo le giustificazioni più fantasiose. Anche
la commissione istituita a fine conflitto attribuì le morti alla
volontà dei nemici di vendicarsi del tradimento italiano. Già dall'inizio del conflitto la massa dei prigionieri
da gestire (inusuale fino a quel momento) costituì un problema per tutte le nazioni belligeranti. Gli Italiani prigionieri finivano a Mauthausen
, Theresienstadt (nomi divenuti poi tristemente famosi), in Moravia a Raabs, a Pilsen e Praga, in Slesia, in Ungheria e perfino in Bulgaria. La lista dei luoghi di lavoro poi si allunga oltre la nostra
disponibilità di spazio
quando il campo non era più tale ma un cantiere, un opificio, un bosco da
taglio o fattoria che fosse.
In Italia i campi principali sono in Sardegna, ad Alessandria, Voghera, Asti, Cuneo, Bracciano,
Avezzano e alcune isole,
ma abbiamo austriaci anche nei boschi delle Alpi e degli Appennini dove si
taglia
legno da costruzione e da fuoco. |
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Un padre al figlio preso a Caporetto ...
se non ti fucilano quelle canaglie d'austriaci ti fucileranno in Italia
(quando e se torni).
Tu sei un farabutto, un traditore; ti dovresti ammazzare da te....
Non scrivere più che ci fai un piacere. A morte le canaglie
ci danno da mangiare ogni
mattina tre reghe con vermi e brodi di farina amara(..) si dorme come belve con un po' di
coperte(..)" |
Una prima cosa quindi esula dal
dettame della convenzione Aja. Il prigioniero lavora e in questo caso supplisce
almeno parzialmente al trattamento alimentare che il nemico non
è in grado di dargli ma c'è un problema. Il blocco navale
applicato agli Imperi Centrali aveva messo in seria difficoltà le scorte alimentari e la Croce Rossa fu avvisata del problema. Francia ed Inghilterra deliberarono di inviare ai loro concittadini prigionieri quantità sufficienti di cibo per integrare la
misera dieta a cui erano sottoposti (le calorie a disposizione non superavano le 1.000
!!). Lo stesso fecero
in supplenza dei Russi (la Russia, dalla primavera del 17, era in
Rivolta) dei Serbi (La Serbia non esisteva più) per i loro
uomini in mano tedesca e austriaca. Gli Stati Uniti già in
previsione della loro entrata in guerra avevano costituito
magazzini in Svizzera da dove provvedere nel caso di loro
connazionali passati alla prigionia. Al contrario l'Italia rifiutò qualsiasi intervento, lasciando solo ai familiari
(singoli civili) e a organizzazioni umanitarie come la Croce Rossa (notizie citate in censura e
propaganda) il compito degli aiuti, salvo rare eccezioni e con
ritardi talmente gravi che a inizio ottobre del '18 si discuteva
ancora se e quando attuare scambi di prigionieri gravemente
malati e feriti con la Germania (quelli con
l'Austria erano iniziati nella primavera quando gli altri
belligeranti l'attuavano già da tre anni). Si considera quindi che le morti in prigionia, anche per malattia
che rientrerebbero in una normale casistica di decessi con alterazioni patologiche
o incidenti, siano comunque dovute
in gran parte a denutrizione e debilitazione.
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Questa lettera ne è testimonianza
"Vi scrivo questa mia lettera per ripetervi che la vita che si fa da prigioniero ora, e che ci danno da mangiare
(in senso dispregiativo), e quanti ne muoiono al giorno per fame, ne muoiono 40-50 al giorno, che ci danno da mangiare ogni mattina tre reghe con vermi e brodi di farina amara(..) si dorme come belve con un po' di
coperte(..)".
A questo si
aggiunge l'ignominia di essere trattati ingiustamente da "traditori" come
testimonia la lettera che un padre manda al figlio detenuto
"Tu mi chiedi il mangiare, ma a un vigliacco come te non mando nulla: se non ti fucilano quelle canaglie d'austriaci ti fucileranno in Italia. Tu sei un farabutto, un traditore; ti dovresti ammazzare da te. Viva sempre l'Italia, morte all'Austria e a tutte le canaglie tedesche: mascalzoni. Non scrivere più che ci fai un piacere. A morte le
canaglie". E in risposta la lettera al padre:
"Non mi degno chiamarvi caro padre avendo ricevuto la vostra lettera, dove lessi che ho disonorato voi e tutta la famiglia: perciò d'ora in poi sarò il vostro grande nemico e non più il vostro
Domenico".
Altre volte il tono era
diverso, specialmente per quelli che andavano a lavorare nelle
fattorie. - Ho intenzione di sposarmi, qui, in Austria, e di non tornare più in Italia.
- scrive un bracciante della Basilicata -
Mi capirai: la bionda con cui lavoro mi ha scaldato il sangue e la voglio prendere in moglie.
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Un prigioniero
Battista Origgi può scrivere finalmente da Mauthausen. (19 marzo 1918)
"Ho passato una quarantina di giorni che credevo proprio di fare la
fine del Conte Ugolino: la frontiera era chiusa e quindi pacchi non ne
arrivavano, il rancio era ridotto a metà, e cioè un po' di barbabietole
alla sera e brodo di cipolle con 150 grammi di pane di tutti i colori a
mezzogiorno: potete immaginarvi in quali condizioni disperate mi
trovavo, vi basti sapere che in un mese sono morti più di mille uomini
sfiniti per la fame". |
Un'altro ancora
- Mandatemi i miei documenti. Ho messo incinta una ragazza per bene... I gendarmi mi minacciano di morte. Il mio datore di lavoro mi vuol licenziare. Fatemi questo piacere, mandatemi subito questi documenti, se no mi sparo..
I soli a ricevere un aiuto, ed anche uno stipendio regolare erano gli ufficiali. Il recapito stesso dei pacchi era difficoltoso poiché i prigionieri finivano in campi di lavoro mobili. Le stesse famiglie in Italia vedevano spesso sospeso il sussidio
statale per sospetta diserzione del congiunto (dopo Caporetto).
Dopo Caporetto la situazione
peggiorò per tutti, ufficiali compresi. Se in Italia
nell'inverno si soffrì la fame e il colera, nei campi di
prigionia di entrambe le parti si andò oltre. Nonostante gli
appelli della Croce Rossa, il Governo non modificò la sua
posizione.
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L'ossessione della diserzione e la convinzione che un buon trattamento ai prigionieri l'avrebbe incrementata spingeva il Comando Supremo a premere sul Governo affinché non fossero in alcun modo migliorate le condizioni di vita dei prigionieri
(italiani). Al contrario si sarebbe dovuto migliorare la condizione dei
nostri prigionieri austriaci per favorire si ora la loro diserzione !!!. Ci si oppose anche allo scambio, cosa usuale in Francia, per i malati gravi. Al loro ritorno in Italia (a piedi)
i prigionieri finirono in campi di detenzione dove subirono
interrogatori e inchieste penali ma era stato previsto anche di peggio.
Paolo Antolini…..
Già il 7 marzo 1918, il generale Armando Diaz, si era detto
preoccupato che il fronte interno (la popolazione italiana)
venisse in contatto con i prigionieri malati o feriti resi
dall'Austria, e per essi proponeva una semplice soluzione:
l'invio nelle colonie della Libia. Ma una norma internazionale
del 1917 vietava l'invio in zona di guerra dei prigionieri
restituiti se malati o invalidi, e la Libia era ancora zona di
guerra. La discussione sul cosa fare e come farlo tra C.S.I. e
Governo andò per le lunghe: finì prima la guerra. Ma non si
accantonò l'idea di tenerli isolati . Il 30 ottobre il generale
Badoglio, ordinò alla 9a armata la costruzione di campi di
isolamento della capienza di 20.000 uomini cadauno, inoltre
furono riadattati i centri di raccolta degli sbandati
dell'ottobre del 1917; il primo campo fu quello di Gossolengo
(Piacenza), poi Castelfranco, Rivergaro, Ancona, Bari e tanti
altri, all'interno dei quali risultavano internati, a fine
dicembre 1918, quasi 500.000 ex prigionieri. Per tutti
iniziarono estenuanti interrogatori.
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http://blog.libero.it/grandeguerra1418/commenti.php?msgid=2436814
prigionia |
Giovanna Procacci
Soldati e prigionieri nella Grande Guerra |
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" All'inizio del 1917 su vari organi di
stampa comparvero alcuni articoli che mettevano crudamente in
luce le effettive condizioni di vita nei lager e nelle stazioni
di lavoro; il loro scopo era essenzialmente quello di far
conoscere all' opinione pubblica gli orrori della prigionia,
secondo la linea prediletta dal CS (Comando Supremo). Ma essi
avevano prodotto però anche altri effetti: grazie a
un'iniziativa di Frascara, aveva preso infatti l'avvio una
campagna volta a sensibilizzare il paese, onde raccogliere fondi
a favore dei soldati che non potevano ricevere aiuti dalle
famiglie." Tale risveglio della solidarietà pubblica suscitò una
immediata reazione negativa da parte del CS, che il 2 I marzo,
attraverso il proprio portavoce nel governo, il ministro della
Guerra generale Morrone, comunicò la propria posizione al
presidente del Consiglio: «Come è noto - ricordava Morrone, in
una nota circa i «Soccorsi ai nostri prigionieri in Austria e
misure per impedire la resa e la diserzione» - il Comando
Supremo ripetutamente ha insistito perché fosse nel paese
condotta una campagna intesa a far conoscere le condizioni e i
maltrattamenti cui sono sottoposti i nostri prigionieri in
Austria Ungheria e perché fossero soppressi, ad eccezione che
per i feriti, i soccorsi inviati dal Paese. Ciò
nell'intendimento di impedire il diffondersi fra le truppe della
convinzione che presso il nemico sia possibile trovare
condizioni di vita almeno tollerabili». La pubblicità sul
trattamento e le atrocità compiute dal nemico - proseguiva
Morrone - per varie ragioni di opportunità ed essenzialmente per
il timore di gravi ripercussioni nel paese, non aveva avuto
quella diffusione che il cs aveva richiesto; inoltre
contemporaneamente era stato lanciato l'appello ai soccorsi: «In
questo modo, stimolata la carità del paese e fatto credere che i
soccorsi potranno arrivare a tutti, si viene a creare nel paese
uno stato di cose che svaluterà grandemente la campagna del
Comando Supremo, se pure non la svaluterà completamente»." Come
sappiamo, infatti, i prigionieri accusati o semplicemente
sospettati di diserzione non potevano ricevere né pacchi, né
posta, e contemporaneamente le loro famiglie erano per legge
private del sussidio.
Ciò che il CS pretendeva - veniva precisato in un'altra
comunicazione di Morrone a Sonnino del 28 marzo, sempre a
proposito delle «Misure per impedire la resa e la diserzione» -
era che, oltre al divieto assoluto di pubblicare lettere sul
buon trattamento dei prigionieri," il governo si impegnasse a
«non permettere iniziative di sottoscrizione pubbliche per
sovvenire in qualsiasi modo i prigionieri italiani in Austria,
come quella che è patrocinata e già iniziata dal Giornale
d'Italia»; e che si impegnasse altresì a «vietare l'invio del
pane e di altri alimenti a tutti i prigionieri per non diminuire
l'obbligo del loro mantenimento e perché tale soccorso, risaputo
dai nostri soldati, confermerebbe in essi la persuasione che il
prigioniero in un modo o in un altro trovi a star bene». Inoltre
il cs invitava il governo «[a] limitare la corrispondenza da e
per i prigionieri e sopprimere inesorabilmente le lettere più o
meno sincere dei prigionieri in cui si parli di buon
trattamento, le quali, in ispecie nei paesi di campagna,
finiscono col creare dei veri focolari di propaganda alla
diserzione lI governo dopo
questo Diktat dette direttive perché l’opera di assistenza si
svolgesse in completo silenzio. Per contro le conferenze tenute
da parte di ex prigionieri dai primi scambi con l’Austria
scivolarono nel comma che non prevedeva per questi un qualsiasi
reimpiego in servizio pena la cessazione degli scambi.
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da
http://sansosti.wordpress.com/2008/06/10/quei-militari-austriaci-deportati-a-cosenza/
.... E’ solo
nel novembre del 1916 che una Commissione per i prigionieri di guerra
tentò di disciplinare in modo uniforme e per tutto il territorio nazionale
la materia. L’orario di lavoro non doveva superare le 10 ore e venne
considerato lavorativo il tempo di trasferimento da e per gli
alloggiamenti. Si vietò l’utilizzo dei prigionieri in lavori durante i
giorni festivi e per il lavoro svolto la paga doveva essere corrispondente
a quella percepita dagli operai civili che svolgevano nello stesso luogo
la stessa mansione.
Vennero predisposti distaccamenti di prigionieri impegnati in lavori
agricoli: 100 uomini riconducibili ad un numero minimo di 30 se le
condizioni dell’agricoltura lo avessero richiesto. All’inizio del 1917 si
registrò un aumento consistente di domande di utilizzo di prigionieri
negli impieghi più svariati e si predispose con puntigliosità la loro
distribuzione sul territorio: 80000 prigionieri furono suddivisi in 2000
distaccamenti.
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FPRIGIONIERI DI NOI
STESSI - L'AMARA VITTORIA
2a parte
La dura prigionia
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Nel marzo 1917 fu
resa obbligatoria per i prigionieri l’assicurazione contro gli
infortuni che si sarebbe dovuta stipulare presso l’apposita
Cassa Nazionale. A fine 1917 il generale Spingardi, presidente della Commissione
prigionieri di guerra, evidentemente soddisfatto del suo lavoro
organizzativo, ebbe a dire a Vittorio Emanuele Orlando, Presidente del
Consiglio dopo Caporetto, che tranne gli inabili e i malati nessun
prigioniero era rimasto in ozio. Casi d’insubordinazione, tentativi di
ammutinamento, propaganda intesa a fiaccare la tenuta della Nazione,
episodi di sberleffi nei confronti della popolazione dopo la disfatta
italiana di Caporetto, negligenze nel controllo della disciplina dei
prigionieri costrinsero la Commissione a ritirare dai lavori agricoli
tutti i prigionieri operanti nel Nord Italia.
Nell’aprile del 1918 sempre il generale Spingardi indicava a Orlando in 130.000 il numero di prigionieri attivi di cui 60.000
svolgevano lavori agricoli. La vittoria del novembre 1918 determinò la
cattura di 300.000 nuovi prigionieri dell’esercito imperiale in rotta che
causò un esubero di manodopera, i cui effetti si resero palesi con la
smobilitazione del Regio Esercito Italiano. |
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Prima della fine
del 1918 vennero infatti congedati i soldati italiani delle
classi 1874-1884 e i giovanissimi del 1900 che saranno
richiamati in seguito. Una massa di ex combattenti si trovò
gettata in un contesto economico degradato. Non fu possibile per
essi accettare il dramma della disoccupazione vedendo il nemico
di ieri (ancora) impegnato al lavoro nei campi o nella fabbrica
vicina. Quello di prigioniero iniziò ad essere considerato in
maniera assurda uno status invidiato, tanto da costringere le
autorità ad organizzare il ritiro progressivo degli
austro-ungarici, ad iniziare dai luoghi in cui si fossero
verificati casi di concorrenza con la manodopera locale.
All’inizio del novembre del 1919 una Commissione presieduta dal
Presidente del Consiglio del tempo Francesco Saverio Nitti
stabilì di informare tutti i ministeri che entro la fine di
quello stesso mese l’economia italiana sarebbe tornata a contare
solamente sulle braccia dei lavoratori italiani. |
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Dalla nostra parte erano profughi civili i
veneti sfollati in altre parti d'Italia o per la vicinanza al fronte o
per la fuga dopo Caporetto, così come le popolazioni della valle dell'Isonzo. Una piccola parte, ampezzani ed ebrei ladini
del Comelico erano prigionieri etnici
politici poiché considerati di razza o simpatizzanti tedeschi . Di
converso per gli austriaci erano italiani comunque da internare !!!.
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I prigionieri rispediti a bordo di treni alle loro case furono accolti
nelle stazioni di sosta dei loro paesi di provenienza con freddezza e
ostilità.
L’Austria aveva individuato i capri espiatori per la sua sconfitta e
appariva simile all’Italia nel negare solidarietà a quanti per puro caso e
non per un atto deliberato si erano ritrovati prigionieri del nemico.
F. Capalbo L’articolo è stato pubblicato su “La
Provincia” in data 4 Novembre 2007.
« (…) Nell'alta valle dell'Isonzo Drezenica
(austriaca) fu evacuata nei primi giorni di giugno del 1915 a seguito di
un presunto attentato al generale degli alpini Donato Etna, che sarebbe
stato perpetrato ai suoi danni da elementi locali. I suoi abitanti
furono esiliati assieme al curato prima a Breginj (Bergogna) e poi in
provincia di Avellino. Analoga sorte spettò ai paesani dei villaggi alle
falde del Krn/Monte Nero: Ladra, Smast, Libusnje, Kamno, Vrsno e Krn. Il
4 giugno 1915 venne commesso in questi villaggi un crimine inaudito. I
combattimenti sulle falde del Monte Nero dei primi giorni di guerra
avevano rarefatto le file italiane del 42° e del 49° reggimento;..(…) Le
autorità militari italiane accusarono i contadini abitanti alle pendici
del Monte Nero di aver sparato ai loro soldati feriti. Di conseguenza,
il 4 giugno 1915 i carabinieri perquisirono tutte le case dei paesetti
alla base della montagna ed arrestarono tutti i 61 uomini che vi
trovarono. I contadini arrestati furono condotti oltre l'Isonzo fino ad
Idrsko, dove vennero messi in riga e sottoposti a decimazione. I
villaggi alle falde del Monte Nero furono evacuati ed i loro abitanti
trasferiti in Italia». [Titolo di C. Pavan; testo di P. Svoljsak,
da "La popolazione civile nella zona di guerra", 1997, in Grande Guerra
e popolazione civile, vol. 1 - Caporetto]
INTERNATI CIVILI |
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Gli italiani dell’altopiano di Lavarone, come quelli di altre località, che si trovavano nelle immediate retrovie del fronte
austriaco, furono deportati in Austria e Cecoslovacchia (Boemia). Uno dei campi più grandi era Branau, sull’Inn, che
arrivò ad ospitare anche 9000 profughi (una città per quei tempi).
Qui non vigeva la detenzione chiusa (totale) giacché erano
ancora formalmente sudditi dell’Impero, di lingua italiana. Vi
erano i sacerdoti, le levatrici, gli artigiani tanto che venne a
ricrearsi un nuovo paese, con nascite, morti, matrimoni. Si
contarono 728 decessi, 319 nascite (27 illegittime). Le
condizioni di sopravvivenza erano critiche, già difficili per
gli Austriaci, potete immaginare per gli Italiani. I rapporti
con la popolazione locale erano tesi. Nella stessa regione vi
erano anche i campi di prigionia per italiani, russi e
dell'apolide di tutte le nazioni, il pidocchio. Le razioni
alimentari diminuivano giorno dopo giorno o peggioravano in
qualità. Si arrivò anche al pane di paglia. Nei campi dei
prigionieri di guerra la situazione apparente poteva sembrare
anche migliore, perché qui arrivavano i pacchi viveri
dall’Italia. Fuori dai reticolati c’era quindi uno scambio
vivace. Tessere del tabacco degli internati contro riso
italiano. |
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Sotto il ponte del fiume Inn si poteva dire che l’attività era quella di un supermercato. Gli Ebrei locali scambiavano tessere di vario tipo con farina, fagioli etc. Ci si spingeva anche in Germania (Baviera)
subito oltre il fiume, dove la situazione non era migliore. Il 5 novembre 1918, cessato il conflitto, i militari italiani del vicino campo assunsero il controllo del territorio in base alle clausole armistiziali
(potenza vincitrice) ed issarono il tricolore su tutti i campi. Iniziarono
poi i rientri che terminarono
nel Gennaio del 19 in un paese completamente distrutto. Gli Altoatesini, incerti
come Italiani, lo erano ancora di più sulle effettive capacità di sopravvivenza. Si era sparsa, fra le tante, la diceria che in Italia si mangiava ormai solo cipolla e aglio. La previsione non era andata molto lontana. Ironia della sorte, sopra quel ponte dell’Inn, dove gli ebrei liberamente commerciavano, il 12 aprile 1938 passava Adolf Hitler, qui nato, che andava ad occupare la
sua Austria:
Era l’Anschluss. Qui, dove era fisicamente finita la guerra, ne sarebbe cominciata un’altra vent’anni dopo. Ma questa è tutta un’altra
storia.
http://claweb.cla.unipd.it/home/lcharvatova/settimana.html
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Gli Altri Profughi nelle
"Città di legno"
di Drago Sedmak
A causa degli eventi bellici, migliaia di civili austro sloveni che
vivevano nella zona del fronte isontino tra Plezzo e il mare Adriatico (…)
abbandonarono le proprie case ed i beni e, per salvare soltanto la vita,
se ne andarono o furono evacuati in paesi sconosciuti. Partivano su mezzi
di trasporto diversi, ma per lo più a piedi. Analoga sorte toccò agli
impiegati statali, regionali, circondariali, ai ferrovieri,
all'arcivescovo di Gorizia e alle autorità religiose di fedi diverse, ai
frati e alle suore nonché a una serie di istituzioni, ospedali scuole,
officine, che nel maggio 1915 avevano sede a Gorizia e nelle località più
esposte alla minaccia della guerra. Se ne andarono anche gli impiegati
comunali, i sindaci e i parroci delle località di campagna.
Per affrontare il numero eccezionalmente elevato di profughi e
specialmente di quelli privi di mezzi – che dipendevano perciò in tutto
dall'assistenza statale – le autorità di Vienna fecero la scelta di
concentrarli in campi-profughi [le "città di legno"] situati in varie
località.Così anche molti "fuggiaschi" provenienti dalla zona del fronte
dell'Isonzo furono sistemati nelle baracche in legno dei campi di Bruck
a/d Letha, Gmünd, Mitterndorf, Teinklamm (Austria Inferiore), Brixlegg -
succursale di Steinklamm - nel Tirolo, Deutsch Brod in Boemia, Wagna (Stiria)
e Strnišče presso Ptuj (Slovenia). I sospettati politici conobbero i campi
di Katzenau presso Linz e Tapiosuly in Ungheria.
In quasi tutti i campi profughi austriaci si pativa la fame,
imperversavano le malattie e un'alta mortalità sia fra i bambini sia fra
gli adulti (…)(Pagine 272-275)
http://www.storiain.net/arret/num61/artic5.htm Camillo Pavan
Prigionieri
VERSO I CAMPI DI INTERNAMENTO
http://www.anaroncegno.com/filomena_boccher.html
http://www.anaroncegno.com/roncegno_e_i_profughi_1914-1918.html
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