LA GUERRA D'ETIOPIA 1935-36

"E Noi tireremo dritto", Axum, la stele, il rito della "Fede", faccetta nera, la forestale, Curtatone e Montanara, la Colonna Celere, Cappellani d'assalto

Abbiamo lasciato Ras Tafari Makonnen, col grado di Vicario Imperiale, nell'incerto scenario della successione al trono di Menelik. Nel 1924, convinto che il suo paese dovesse evolversi dal feudalesimo verso una forma più civile nel rinnovato contesto internazionale, portò con se gli altri ras ad una visita della capitali europee. Con se per un motivo molto semplice; se li lasciava a casa non era sicuro di ritornarci lui Incidente ai pozzi di Ual Ualin Etiopia. Le tecnologie del mondo occidentale, ormai diffuse, stupiranno questi signorotti di provincia e convinceranno ancor di più il futuro Negus Hailè Selassiè che l'unica possibilità di salvare l'ultimo grande impero sovrano d'Africa è la modernizzazione o in alternativa essere preda di uno o più vicini (europei) o dei propri stessi cittadini visto quanto era successo in Russia. Inizialmente la politica italiana verso l'Etiopia era stata di benevolo protettorato, sulla falsariga dei vecchi accordi di pace, confermati anche dal nostro ruolo attivo svolto nell'agevolare l'ingresso di Addis Abeba nella Società delle Nazioni. Ad accentuazione di questo stato di cose nel 1928 era stato stipulato un patto di amicizia della durata di 20 anni che avrebbe dovuto mettere il cuore in pace al Negus. Hailé Selassié non nascose però la diffidenza nei confronti del governo di Roma. Nutriva il sospetto che l'aiuto di tecnici italiani preludesse alla penetrazione economica. Per sventare la minaccia chiamò tecnici da altre nazioni (forse questi non facevano penetrazione economica !!!) e ostacolò, per quanto possibile, gli appalti alle ditte italiane per la costruzione di strade, rallentando anche i rapporti commerciali. Nel giro di pochi anni l'atmosfera si avvelenava: secondo la testimonianza di De Bono, Mussolini inizia a meditare l'invasione dell'Etiopia fin dal 1932. Salito al potere nel 1930 il Negus Hailé Selassié si circondò ben presto di consiglieri Inglesi, Francesi, Belgi, Svedesi per il riordinamento dell'esercito, l'addestramento all'uso delle nuove armi e dell'aviazione. Quel che all'Italia occorreva ora era un "casus belli". La zona dei pozzi di Ual-Ual, una ventina di pozzi d'acqua potabile, era stata fortificata dagli italiani per proteggerla dalle frequenti incursioni, e per controllare questa risorsa essenziale per le popolazioni nomadi del controverso Ogaden, a cavallo tra i due paesi. Il possesso della zona non è mai stato riconosciuto dall'Etiopia e, per la vicinanza al confine con il Somaliland britannico, anche l'Inghilterra era da sempre interessata alla questione. Il 24 novembre 1934 una commissione mista anglo-etiopica si avvicinò ai pozzi, accompagnata dalla minacciosa presenza di centinaia di abissini armati di tutto punto. Al momento stazionavano nel fortino italiano due sottufficiali indigeni e una sessantina di dubat, i quali sollecitarono istruzioni al telefono senza cedere la posizione. La tensione salì rapidamente.Autoblindo italiana perforata dai colpi Arrivò il comandante delle bande armate confinarie, capitano Roberto Cimmaruta, il quale si rese immediatamente conto che era meglio fare affluire altre forze, sostenute da autoblindo, e mettere in allarme l'Aeronautica. A nulla servirono i tentativi di negoziare sul campo, britannici compresi, una qualche soluzione con gli abissini che pretendevano l'abbandono immediato della località. La tensione salì ulteriormente quando i pozzi vennero sorvolati dagli aerei italiani. Gli inglesi espressero una vibrata protesta "diplomatica"  ma si levarono dalle castagne. Gli abissini guidati da un audace fuoriuscito somalo, Omar Samantar, noto per le sue azioni di guerriglia invece restarono. Il 5 dicembre, pomeriggio, bastò un gesto di scherno, una parola di troppo e scoppiò il finimondo. La risposta italiana, la mattina successiva, è devastante. Il capitano Cimmaruta fece intervenire i carri veloci e l'aviazione che in picchiata mitragliando e spezzonando i concentramenti abissini decisero la partita: 300 morti fra gli abissini, 21 fra i nostri dubat ed un centinaio di feriti fra gli italiani. Mussolini non sentì ragione di chiudere diplomaticamente la questione e come sua abitudine alzò il prezzo. Gli avvenimenti d'ora in poi si susseguirono con un crescendo tragico: il 27 dicembre la mobilitazione in colonia, il 7 gennaio 1935 l'accordo di desistenza con la Francia (per Gibuti) e da febbraio imbarco dall'Italia delle divisioni dirette a Massaua e Mogadiscio: 

II C.d'Armata -Maravigna I C.d'Armata - R. Santini

Comando Superiore Op. - De Bono 3/10 - 21/11/35 Badoglio 28/11/35 - 5/5/36

CSM Melchiorre Gabba

Riserva D'armata IV cda Gen. Ezio Babbini
  
Div.Cosseria Gen. Adolfo Olivetti (89-90 f 108 ar)
Div.CC.NN 1 Febb. Gen. Attilio Teruzzi
X e XV Indigeni
Div. CC.NN 3 Genn.
Gen. A. Traditi
Div. Sila
Gen. Francesco Bertini


Camicie nere all'imbarco

*La 5° divisione alpina Pusteria è nuova, e per non indebolire le divisioni territoriali, la compongono il 7° reggimento alpini con i battaglioni Feltre, già del 7°, Pieve di Teco, del 1°, Exilles, del 3°;  l'11° reggimento con i battaglioni Trento del 6°, Saluzzo del 2°, Intra del 4°; il 5° reggimento artiglieria alpina, di nuova costituzione, con i gruppi Belluno del 3° da montagna della Julia, e Lanzo, del 1° montagna della Taurinense; in più c'è il VII battaglione complementi alpini (che diventerà il battaglione Amba Uork), l'XI battaglione complementi alpini, la 10° colonna salmerie, e la 5° mista genio e servizi. In totale, compresi i servizi trasporti, la sezione Sanità e quella di Sussistenza, sei ospedali da campo e una compagnia chimica: oltre 350 ufficiali e sottufficiali, 12.750 uomini di truppa e quasi quattromila quadrupedi."

Div.Gran Sasso

Gen. Adalberto di Savoia

Div. Assietta

Gen. Enrico Riccardi

29-30° f - 25 art

Div. Gavinana 

Gen. Nino Villasanta

83-84-70 f 19 art

Div. Pusteria

*Gen. Luigi Negri

7-11° fa - 5 art

Div. Granatieri Savoia

10° granatieri e btg alpini "Uork Amba" e GDF

11° poi con III battaglione bersaglieri A.O.I.

Div. Sabauda

Babbini poi Gen. Italo Gariboldi

45-46° f - 3° Bers (Col. De Simone) -16 art .

3a Div. CC.NN 21 Aprile

Gen. Giacomo Appiotti

230/252/263 leg

2a Div.CC.NN 28 Ott.

Gen. Umberto Somma 

114/116/180 leg 6° gr ccnn Pietro Montagna

XVIII e XXIII Indigeni Bande Seraè, Cheren, Hamasen V - XXV Indigeni  e banda Scimezana
10° sq. c. veloci Esploratori del Nilo 5° Gr. squadroni carri veloci
Artiglieria di Cda I e IV gruppo Artiglieria di Cda III e V gruppo
Aviazione e servizi e Genio Aviazione e servizi e Genio
secondo http://italie1935-45
III C. d'Armata Ettore Bastico C.d'A. Eritreo A. P. Biroli C.d'A.Somalo R. Graziani 

Ezio Babbini è nato a Pistoia nel 1873. Sottotenente nel 1893, ha percorso la carriera nell'arma di fanteria. Prende parte alla campagna di Libia poi alla grande guerra col grado di capitano; nel settembre 1915 fu promosso maggiore; tenente colonnello nel febbraio 1917; colonnello già nell'agosto (scarseggiavano i quadri). Fece parte dapprima, e per oltre un biennio, dello Stato Maggiore della 3a armata; nel dicembre 1917 gli fu affidato il comando del 15° fanteria che tenne fino al novembre 1924. Fu poi insegnante di storia alla Scuola di Guerra e comandante la Scuola centrale di fanteria. Da generale di brigata e di divisione ha comandato le Scuole centrali militari  di Civitavecchia, indi le divisioni di fanteria "Monferrato" e "Pasubio". È decorato della croce di cavaliere (Gorizia, Altipiano Carsico, maggio 1915-agosto 1917) e di quella di ufficiale (Carso, Piave, 26 ottobre-9 novembre 1917) dell'OMS e della medaglia di bronzo al valor militare (Carso giugno 1915-giugno 1917).

Bassopiano Occidentale

Gen. Amedeo Couture

Btg indigeni bande appiedate, raggr. Celere, Carri veloci

Div. 1a Eritrea

Gen. Salvatore Di Pietro

I Brigata mista  Gen Gallina  III brigata mista Gen. Cubeddu e art. montagna

Div. Peloritana 

Gen. Sisto Bertoldi

(3-4°f -166 a)

Bassopiano Orientale

Gen. Oreste Mariotti

Btg indigeni, Btg Libico, bande Massaua, Dancale, Artiglieria

 

Div. 2a Eritrea

Gen. Achille Vacacrisi

II Brigata mista  Gen. Renzo Dalmasso  

IV brigata mista Gen. Gustavo Pesenti e art. montagna

Div. Libica

Gen. Guglielmo Nasi

(1-2-3° f.lib -1 arl)

Div. CC.NN Tevere Gen. Enrico Boscardi 1a Div.CC.NN 23 Mar.

Gen Ettore bastico

135/192/202 leg. I gr. ccnn Diamanti

Div. CC.NN 7a Cirene
  Gr. squadroni carri  veloci e a cavallo e art. Bande cavall. Indigena e  Squadrone carri v.
Camicie nere Eritrea  Bande Hassamò X Battaglione libico
Artiglieria di Cda e Genio Artiglieria di Cda Artiglieria di Cda e Genio
Aviazione e servizi Aviazione e servizi e Genio Aviazione e servizi

Con i militari si imbarcarono oltre 100.000 civili portando la forza complessiva a oltre 300.000 uomini. I civili dapprima impiegati per allargare le zone portuali, saranno poi al seguito delle truppe per tracciare ed allargare le strette mulattiere che si inerpicano sulle ambe (alla fine della guerra molti di questi civili resteranno e le strade costruite resteranno per decenni le uniche grandi opere). All'epoca solo una ferrovia collegava Addis Abeba al resto del mondo (a Gibuti francese). Il comando delle operazioni venne dato al Gen. De Bono, quadrumviro della prima ora, che passò l'estate ad allestire il più grande esercito che si sia mai visto in terra d'Africa. L'Inghilterra preoccupata dalla brutta piega degli avvenimenti inviò la Home Fleet nel Mediterraneo ed in risposta ne ebbe la (famosa) frase di Mussolini " ...e noi tireremo dritto ". Loro il gesto lo hanno fatto ora possono ritornare a casa. Il 2 ottobre dal balcone di Palazzo Venezia, dopo che le sirene e le campane avevano radunato in tutte le piazze d'Italia milioni di persone, Mussolini consegnò alla storia la sua prima dichiarazione di guerra (se si esclude Corfù) " Con l'Etiopia abbiamo pazientato quarant'anni. Ora basta ". Il passaggio del canale di Suez, "stranamente" in mano inglese, si deve pagare in oro. A ciò non basterà la raccolta lanciata per l'oro alla patria. Si disse che l'Agip, padrona di diritti di perforazione in Iraq ("stranamente" superprotettorato inglese galleggiante sul petrolio), abbia ceduto le proprie quote in cambio di quell'oro che gli Inglesi si riprendevano poi a Suez. Il Negus visti i voltafaccia di inglesi e francesi si era rivolto per le armi ai soliti Belgi e Svedesi e sicuramente ai tedeschi, offesi per la presunta protezione data dall'Italia all'Austria nel Luglio 1934 all'epoca del Putsch. Fra gli armamenti che saranno poi catturati c'erano infatti 10.000 fucili Mauser, 36 cannoni antiaerei e 30 anticarro "pak 35" tutti tedeschi. I vari Ras  schieravano un ugual numero di armati ma in difetto di trasporto, logistica, artiglieria e aviazione. Le truppe italiane varcarono il confine il 5 novembre 1935 dirigendosi in tre colonne su Axum (la città santa, la città dei cento obelischi), Adigrat e Adua. Qui, il 6, De Bono decise di fermarsi per saggiare l'eventuale reazione avversaria.Smistamento rifornimenti Questa azione mandò su tutte le furie il Duce che gli mandò personalmente l'ordine di attaccare. Il 2 novembre la Società delle Nazioni aveva intanto decretato le sanzioni contro l'Italia, in pratica un embargo su molti prodotti strategici. Gli effetti di questo embargo oltre che rafforzare il fronte interno diedero impulso alla già fiorente industria autarchica. I paesi che non aderirono all'embargo, Germania, Stati Uniti !! e Giappone, continuarono a fornire materie strategiche. Dagli Usa riuscimmo a comprare addirittura Caterpillar e Camion Ford, coi soldi raccolti fra gli stessi italiani d'America (colletta fatta dal sindaco di New York Fiorello la Guardia). Il regime aveva preparato il terreno costituendo negli Usa associazioni tra emigrati che fecero pressione sui "congressmen" di Roosevelt eletti col peso dei voti degli italo-americani. Il 6 novembre, rimesse in moto le armate, occupammo Makallè senza peraltro aver visto segno del nemico. Il 15 novembre, stante la lentezza delle operazioni, De Bono viene però sostituito dal redivivo Badoglio. I tempi della sostituzione, comunque lunghi, comportarono per ora una pausa nella avanzata. In Italia intanto si era celebrato il Rito della Fede dopo le sanzioni. "Oro alla patria" veniva anche chiamato sulla falsariga di quanto avvenne più modestamente nella Grande Guerra in Italia e non: migliaia di donne Italiane avevano donato la loro fede matrimoniale e anche Pirandello offrì la medaglia d'oro del Nobel.Autocarro Ford dagli Usa Gli abissini intanto si preparano, come ben si poteva immaginare, a concentrare le forze ed a muovere le prime schermaglie. Il 15 dicembre, al passo Dembeguinà, Ras Immirù attaccò una colonna italiana di carri "armati" L3 ( detti anche Arrigoni!!! o scatolette per l'esiguità della corazzatura ) del 10° squadrone di cui ebbe ben presto ragione. Il concentramento del nemico che per noi era la minaccia maggiore fu rallentato nei 30 giorni successivi con attacchi aerei e chimici dopo la specifica autorizzazione rilasciata da Mussolini. Le opinioni sull'uso effettivo dell'iprite (vescicante) sono contrastanti sia per la natura del terreno, che non era favorevole, che per la mancanza di maschere da parte italiana. In caso di errori di lancio e per le condizioni sfavorevoli di vento la minaccia si sarebbe ritorta su noi stessi (queste son cose risapute fin dalla grande guerra). Sul fronte nord sicuramente venne usato fosgene (circa 1.000 proiettili o bombe ). Il 20 gennaio Badoglio presa ormai in mano la situazione, vedendo che tutte le scorte erano ripristinate e le comunicazioni con la costa (500 km) pure riprese l'attacco. L'impiego di tale massa di uomini, ricordiamo che i civili e gli stessi militari quando non impegnati provvedevano allo sterro o allargamento di camionabili (3.500 km di strade fatte al '41), comportò a livello logistico una organizzazione altamente efficiente, efficienza che venne accresciuta in mancanza di un reale contrasto nemico o diminuita dalla natura e dalla impossibilità di procurarsi sul posto parte delle scorte. 

Il camion di sempreBadoglio, prima dell'offensiva, disponeva fra l'altro di 500.000 scatolette di carne, 150.000 unità di latte condensato, 150.000 bottiglie di acqua minerale, 99 q.li di marmellata, 500.000 hl di vino, 500 hl di cognac, 700.000 limoni, 450 q.li di frutta secca, 20.000 scatole di frutta sciroppata e 15 milioni di sigarette; il tutto portato sull'altopiano con la teleferica e la ardita ferrovia terminata nel 1911.

In successive battaglie Badoglio prende l'Amba Alagi sconfiggendo Ras Muluighetà e nelle montagne del Tembien Ras Cassa e Ras Sejum. Contrariamente ai voleri del Negus le varie forze s'erano presentate divise all'attacco degli italiani permettendo a questi, secondo un antico concetto tattico, di batterle singolarmente. Dalle bocche dei legionari all'addiaccio sotto il cielo stellato d'Africa e nelle lunghe marce sotto il sole cocente escono parole e musica della più famosa canzone di quel tempo: Faccetta Nera http://www.mussolinibenito.net/mp3.htm  . Altri due fronti, a cui s'aggiunse la colonna da Assab, erano stati aperti in via precauzionale per impegnare parte delle forze del Negus. A sud il Gen. Rodolfo Graziani dalla Somalia si mosse il 12 gennaio nella zona di Ganale Doria e Daua Parma tenuta dalle forze di ras Destà. Le sue colonne in parte autocarrate (Aosta e Genova Cavalleria) sono comandate dai Generali Bergonzoli, Nasi e  Augusto Agostini. 

Forestali di fine 800Il Luogotenente Generale Augusto Agostini, già comandante della Milizia Forestale in Patria aveva il comando di una colonna così composta: oltre alle 4 bande autocarrate c'erano il gruppo bande Dubat (agli ordini del T. Col. alpino Camillo Bechis), una coorte della milizia forestale con annessa batteria di artiglieria (65  e 70 mm) e il Battaglione Universitari Curtatone e Montanara. La Coorte di volontari si imbarcò a Napoli l' 8 ottobre 1935, diretta in Somalia  ed ai primi di dicembre era già schierata in prima linea fra Dolo e Malga Rie dopo aver fatto traghettare i suoi numerosi automezzi, nottetempo, oltre il Giuba. Una centuria proseguiva oltre il Daua Parma assieme al 4° Rgt. fanteria ed al XIV Btg. mitraglieri Arabo Somalo, all'artiglieria, a sezioni autoblindo e lanciafiamme e a reparti di Dubàt. Con la colonna Agostini, venne inquadrato anche  il gruppo dei Carabinieri Reali. Il porto fissato per lo sbarco dei Carabinieri era quello di Obbia, nella regione della Migiurtinia, non praticabile come altri per i fondali (a causa del pescaggio eccessivo della nave). Uomini e materiali furono quindi sbarcati, il 10 marzo, a un miglio dalla costa. Venti giorni dopo arrivarono anche gli automezzi e le quattro bande furono a quel punto pronte ad aggregarsi alla colonna Agostini nella zona di  Rocca Littorio (250 Km nell'entroterra migiurtino. Consistente fu il contributo dato dalla Milizia forestale (vedi sotto)* per la conquista dell’Impero (42 decorati di cui una medaglia d’oro alla memoria e quattro d’argento (oltre il conferimento dell’Ordine Militare di Savoia al suo Comandante). Fatti d’arme -Vallone della Morte – Daua Parma 21/01/36, Dagahbùr 14/04/36, Gunu Gado 24/25-04-1936. http://www.littorio.com/home-i.htm ccnn in aoi

Battaglione Universitari Curtatone e Montanara: questa formazione che ritorna nel tempo, come una fenice che risorge dalle ceneri, la incontreremo ancora nella guerra di liberazione al sud  Libri Ed. «Bur Scibis» Via F. Pinelli 13 - 00136 Roma. Gaetano Falzone IL BATTAGLIONE UNIVERSITARIO
Sono passati 60 anni dall'epopea africana (1936) ed è stato fatto di tutto perché se ne perda la memoria storica. Il battaglione CC.NN. «Curtatone e Montanara» formato da giovani universitari che rinunciarono al grado di Ufficiale pur di partecipare alle operazioni belliche, fu assegnato al fronte Somalo sotto il comando di Graziani.
Beppe Rebuffa C'ERA UNA VOLTA IL BATTAGLIONE UNIVERSITARIO «CURTATONE E MONTANARA»
C'era una volta un paese pulito, ordinato, laborioso nel quale vivevano studenti, professionisti, operai, impiegati, madri e spose, fieri della loro Patria. Fra costoro 800 studenti universitari chiesero di partecipare alla guerra d'Africa e diedero vita al Battaglione «Curtatone e Montanara». Emuli di quelli toscani del
29 maggio 1848 che opposero strenua resistenza agli austriaci, permettendo la vittoria di Goito. Il testo parla della costituzione del Reparto e, attraverso gli scritti dei volontari, riusciamo a partecipare al loro entusiasmo e alla loro avventura. Gli elenchi completi dei volontari e del personale di inquadramento permettono di ritrovare i nomi ed i volti dei camerati di un tempo.

Sterratori aprono nuove stradeDopo scontri ripetuti Graziani entrò a Neghelli il 19. Nessuno fino a quel momento aveva capito l'importanza del fronte Sud che poteva destabilizzare la reale continuazione della guerra ( gli inglesi 5 anni dopo rifaranno la stessa strada per venirci a prendere). Spostate le forze nell'Ogaden orientale, e perdendo tre mesi preziosi, Graziani mosse all'attacco dell' Harrar con obiettivo la ferrovia Addis Abeba Gibuti allo snodo di Dire Daua che raggiungerà il 10 maggio 1936. La cosiddetta seconda battaglia dell'Ogaden prevedeva sempre l'avanzata per linee parallele di tre colonne (Nasi, Frusci, Agostini), con il compito di convergere sul nodo strategico di Dagahbur per poi avanzare sui passi di Giggiga e sull'importante città di Harar. L'obiettivo operativo era di frustrare un ritorno offensivo abissino guidato dal degiac Nasibù Michael, favorito in febbraio dall'iniziativa del suo sottoposto, il fitaurari Abatè Tafari, che era riuscito, dopo un aspro combattimento, a eliminare il presidio di una sessantina di dubat a Curari, permettendo la creazione di una buona base offensiva per la riconquista dell'Ogaden. Nell'estremo nord  con obiettivo Gondar e Lago Tana si mosse il 19 marzo la colonna celere Starace composta dai bersaglieri del 3° reggimento con un battaglione di camicie nere, autoblindo e artiglieria. La colonna, ( 5000 uomini autoportati) che si snodava per 15 km, sfondava foreste di bambù sotto un sole accecante con la temperatura interna delle macchine a +50°. Tratto a tratto, proteggendo sia il grosso degli uomini che gli sterratori all'opera, si avanza per 15-20 km al giorno. Il 1 aprile abbandonati i mezzi negli ultimi chilometri la colonna entrerà a Gondar a piedi dopo 300 chilometri di terra desertica e inesplorata. A sbarrare la strada della capitale non restavano che i resti delle varie armate dei Ras e la stessa guardia imperiale del Negus. Vicino al lago Ascianghi per 13 ore si combattè l'ultima battaglia. Era la fine per gli abissini. Persa Dessie capitale dei Galla ( nemici acerrimi del Negus ) non restava altra strada che l'ultimo treno per Gibuti (2/5). Il 5 maggio Badoglio entrò ad Addis Abeba scortato dal Gruppo Battaglioni Nazionali composto da rappresentanti di tutti i reparti. Questa Guardia personale, costituita un mese prima, comprendeva il battaglione misto cp. Bersaglieri motociclisti, Granatieri, Finanzieri e S. Marco. La guerra è finita o almeno così sembra. Ras Desta impegnerà però ancora per 8 mesi le armate italiane. Il costo dell'impresa non è mai stato determinato ma si stima arrivò a raggiungere il 12% del reddito nazionale.

Diceva Crispi dopo le sconfitte "nelle guerre coloniali le più grandi difficoltà vengono dopo".  Badoglio dopo l'inaugurazione di una strada lasciò a Graziani la patata bollente e questi ebbe a dirgli "Tu non hai tagliato un nastro hai tagliato la corda". Dopo l'attentato (vedi foto sotto) lui fece altrettanto.

La guerriglia qui come in Libia aveva iniziato la sua opera destabilizzante con reazioni altrettanto violente. Dopo l’attentato subito il 19 febbraio 1937 Graziani procedette all’esecuzione sommaria di oltre 3.000 persone, alla distruzione di villaggi e, Attentato a Graziani: le feritetra il 19 e il 20 maggio, al massacro nel convento copto di Debrà Libanòs, nel corso del quale vennero uccisi 297 monaci, 129 giovani diaconi e 56 laici, rei di aver collaborato all’attentato. Nel dicembre del '37 arrivò a Massaua il Principe Amedeo d'Aosta, con immenso sollievo degli Italiani e degli Etiopi. Amedeo d'Aosta portò in Etiopia una atmosfera nuova, illuminata. Cessarono le rappresaglie e si diede inizio a grandissime opere civili. Ospedali, scuole, strade, città. Era stata abolita la schiavitù, annullata la politica feudale dei Ras. Malattie e fame andarono calando. Hailè Selassiè, il Negus, al ritorno definì gli italiani più bravi come costruttori che come guerrieri. Nessuna ritorsione venne attuata col suo consenso. Come terra di ripopolamento del sovrappiù nazionale non funzionò o non ne ebbe il tempo, perché 5 anni dopo l'intera Africa Orientale Italiana era persa.

In tutte queste vicende non è stato finora citato l'atteggiamento della principale confessione religiosa italiana (riconosciuta dal '29), che era la Chiesa Cattolica Romana. Pentecostali e altre minoranze religiose in questo momento erano guardate con diffidenza per il solo fatto che erano minoranze «diverse» in uno Stato totalitario. Diverse anche per i loro legami e rapporti con l’estero (soprattutto con i paesi anglosassoni, con quell'Inghilterra che aveva voluto le sanzioni). Degli Ebrei si sa come andò a finire, mentre una relativa neutralità si ebbe dai Valdesi, liberati coi predetti, nel 1848. Il codice penale Rocco del 1930 stabilì implicitamente la superiorità del culto cattolico, proteggendolo con il reato di vilipendio depenalizzato solo recentemente da Berlusconi. Il primo articolo della legge del 1929 sui culti ammessi afferma:Mussolini si mangia l'Africa «Sono ammessi nel Regno culti diversi dalla religione Cattolica Apostolica e Romana, purché non professino principi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume». Con la guerra d’Etiopia ed il clima di crescente fascistizzazione la vigilanza del regime conobbe una nuova stagione. Se i pentecostali, i cui riti vengono giudicati «... nocivi alla salute fisica e psichica della razza..**.», sono quelli che subiscono maggiormente (ma anche testimoni di Geova ed Esercito della Salvezza), pure la Chiesa valdese non venne risparmiata ed i suoi dirigenti diventarono oggetto di un’inchiesta di polizia perché: « restii ad assumere un netto atteggiamento patriottico nei riguardi delle attuali divergenze italo-inglesi (L'uso del francese dovette sparire nelle loro conversazioni e scritti)». Nel clima quindi euforico dell'Impero, si crearono i cappellani d'assalto che avrebbero dovuto ricondurre il paese africano nel solco della chiesa cattolica, oltre la soluzione politica già prevista.

(Il 12 dicembre 1935 monsignor Giorgio Maria Del Rio, arcivescovo di Oristano, sul “Bollettino dell’Arcidiocesi”, denigrava l’infimo livello religioso e morale delle popolazioni abissine e aveva parole d'esaltazione per la “generosità” dell’Italia, che portava loro, insieme al pane, alle strade, alla liberazione dalla schiavitù, “gl’insegnamenti e gli aiuti della Religione cattolica, apostolica, romana”. La “vera guerra”, “ingiusta, incivile, insensata”, era quella aperta dalla Società delle nazioni, vale a dire dai paesi protestanti con le loro sanzioni).

**La scomunica fascista ai Pentecostali verrà ritirata solo nel 1955 !!!.

*Milizia forestale.  - L'impiego bellico di altre specialità della M.V.S.N, (es.Contraerea, Stradale, Ferroviaria era, se non plausibile, possibile per gli eventi bellici che avevano,anche  fuori dal territorio nazionale, sconfinato dai campi di battaglia . Un impiego para bellico per la Forestale fuori dai confini fu del tutto inaspettato, poiché le aree boschive straniere erano sicuramente l'ultimo dei nostri problemi. D.L. 16 maggio 1926 n. 1056; il fascismo che voleva assicurarsi la massima disponibilità delle forze di polizia con le diverse milizie speciali (stradale, ferroviaria, confinaria, ecc.) soppresse il Corpo Reale delle Foreste ed istituì al suo posto la Milizia Nazionale Forestale. La Milizia Forestale nell'esercizio dei compiti tecnici dipendeva dal Ministero dell'economia nazionale - trasformato successivamente in Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste con R.D. 12/9/1929 n.1661 - mentre come corpo armato dipendeva direttamente dal Comando generale della Milizia e quindi Forza Armata. Vennero costituite 10 legioni (10a Tripoli) territoriali a cui s’aggiunsero in seguito Addis Abeba e Tirana. Sul piano tecnico i Forestali operarono per la difesa della superficie boschiva, anche se, nella fase di autarchia voluta dal Governo, dovettero curare sempre di più gli aspetti produttivi con una maggiore attenzione alle colture legnose a rapida crescita a usi civili, militari e industriali. Sul piano militare, durante il secondo conflitto mondiale furono chiamati maggiormente ad assicurare il rifornimento di legna e carbone per le forze armate e per le popolazioni dei centri urbani. La Milizia Forestale ebbe una Scuola per Ufficiali a Vallombrosa (Fi) e una per sottufficiali a Cittàducale. I forestali oltre alla coorte mobilitarono un raggruppamento su due Legioni della Milizia che operò sul fronte alpino (1940) e sul fronte albanese -jugoslavo (1941) di cui non si conoscono vicende. Dopo l'8 settembre 1943 la Forestale inclusa nei territori della Repubblica Sociale continuò ad operare nel proprio servizio nell'ambito della Guardia Nazionale Repubblicana come G.N.R della Montagna e delle Foreste. Dal giugno 1944 la Forestale assunse connotati bellici poiché venne sempre più armata per far fronte alle bande partigiane che frequentavano le loro stesso zone. Con decreto dello stesso anno si occupò anche delle risorse idriche (dighe di montagna) e minerarie (come i pozzi petroliferi). Si calcola che ebbe circa 150 caduti in servizio. Con l'avanzare del Fronte la scuola di Cittàducale e l'Accademia di Firenze vennero chiuse a favore prima di Oderzo poi di San Pellegrino Terme.

 


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