Ettore Marchand - 3a parte ...... torna alla 1a parte 

21 dicembre 1894 - 28 ottobre 1918

Nella fase più difficile dell'offensiva finale, l'attraversamento del Piave in direzione di Nervesa, il LXXII (72°) lasciò "su l'isola dei morti" molti dei suoi uomini. Questo il racconto lasciato da Padre Agostino di Cristo Re anni dopo monaco agostiniano. Padre Agostino al secolo Umberto Visetti ex bersagliere del 4° reggimento e futura Medaglia Oro in Africa nel '37, era Sottotenente dei Reparti d’Assalto:"Dalle spalline al camaglio", Firenze, Sansoni, 1955 (Bologna, S.p.A. Poligrafici “Il Resto del Carlino”). 8°, pp. XXVIII-322  Campagne militari di Umberto Visetti: Grande Guerra, A.O.I. Onorificenze: 1 M.O.V.M Dengheziè 9 ottobre 1937 2 M. Argento V.M. (1920) - M. Bronzo V.M.  (1918). ....

....  Servendoci di barconi del genio pontieri occupammo un isolotto che sarà poi chiamato isola dei morti perché vi perdemmo circa 600 bersaglieri arditi con due ufficiali; ma la tenace resistenza del nemico abbarbicato sull'altra sponda con grande abbondanza di mitragliatrici Schwarzlose mai viste, ci impedì di varcare il Piave in piena, che si trascinò via i barconi con il glorioso carico di morti. Finalmente, sotto l'imperversare delle nostre terrificanti bombarde che vomitando tonnellate di alto esplosivo volatilizzarono con i reticolati i nidi di mitragliatrice, riuscimmo a passare, buttandoci a nuoto dietro un barcone superstite che per fortuna aveva qualche fune; reggendoci a catena l'un l'altro, aggrappati chi alle funi, chi al cinturone delle giberne. Perdemmo altri arditi, il Capitano Marchand scomparve nell'esplosione di una granata di grosso calibro. Come ufficiale più anziano, avendo assunto il comando del battaglione puntai decisamente su Pieve di Soligo, obbiettivo assegnatoci dal generale Vaccari. 

 

     Marchand Capitano degli arditi

IL FATTO TECNICO
Il 22° Corpo d’Armata Cda (Gen. Giuseppe Vaccari) dell’8° armata doveva forzare il Piave e costituire una testa di ponte sulla Piana della Sernaglia per poi spingersi, attraverso la vallata del Soligo, sulla strada di Vittorio “Veneto”. Il 27° Corpo doveva agire a copertura della sua destra e l’8° corpo passare il fiume a Nervesa e gettarsi sulle colline antistanti che erano i capisaldi della difesa austriaca. Tutto il terreno era terribilmente insidioso per gli alveari di artiglierie di ogni specie e calibro e di numerose mitragliatrici che vi si annidavano. Il 22° (XXII) C.d.A disponeva di tre Divisioni: la 1a Divisione d’Assalto, generale Zoppi col I° raggruppamento del
Col. Brigadiere Oreste De Gaspari; la 57a Generale Cicconetti e la 6a Generale Mozzoni, più la 12a Divisione e il LXXII (72°) Reparto d'Assalto a disposizione del comando sul quale si basò il successo della sapiente concezione strategica di Enrico Caviglia. Il comando di Vaccari stava sul Montello di qua dal Piave a Casa Benedetti e da qui poteva osservare la gettata di tre ponti da Fontana del Buoro (costruito di fronte alla 13a presa del Montello) a casa Guizzo, ed uno, con carattere più dimostrativo che effettivo, di fronte a Falzè, sotto tiro d’artiglieria. Questo ponte fu sistematicamente distrutto dai tiri delle artiglierie avversarie (dimostrativo serviva anche a scaricare la loro attenzione e individuare le postazioni più pericolose).  
 

un'altra testimonianza... Avuto il compito di forzare il Piave, l’attacco fu sferrato nottetempo. Servendosi di barconi del Genio Pontieri, fu prima occupato un isolotto, poi chiamato Isola dei Morti, perché la tenace resistenza del nemico, abbarbicato sull’altra sponda, impedì di varcare d’un balzo il fiume. Barconi, Bersaglieri e Pontieri furono trascinati dalla corrente, ma dopo un fuoco micidiale delle nostre artiglierie, in maggior parte lombarde, che annullò reticolati e nidi di mitragliatrici, il 72° riuscì a passate, lasciando sul terreno il proprio comandante, Cap. Ettore MARCHAND.

"Nel pomeriggio (27) gli attacchi nemici si fecero violentissimi. Il LXXII (72°) Reparto d’assalto, attaccato presso C. Mira e Boaria del Magazzeno da forze tre volte superiori, le respinse, le contrattaccò, le avvolse, le catturò. Il 3° Gruppo d'Assalto, rimasto scoperto al fianco sinistro e minacciato d'aggiramento; ripiegò leggermente solo per ubbidire ai comandi superiori; le batterie della I Divisione d'Assalto si comportarono eroicamente nei momenti più critici; molti prigionieri nemici, riarmatisi con le armi disseminate sul campo di battaglia, attaccarono alle spalle gli arditi, che, rivoltatisi, ne fecero un macello. La notte, arditi e fanti della brigata " Pisa " respinsero forti contrattacchi sulla linea presso la Sernaglia Anche in questa seconda notte l'VIII Corpo d'Armata non riuscì a gettare alcun ponte sul suo fronte tra Falzè e Nervesa. Per colmarla e per agevolare il passaggio dell'VIII Corpo, al quale era affidata l'azione risolutiva su Vittorio, il Comando dell'VIII Armata aveva disposto che altro Corpo di Armata, il XVIII, della riserva, passasse il Piave sui ponti della X Armata più a sud, per operare nella giornata del 28 dal fianco sinistro di questa in direzione sudnord, puntando su Conegliano e venendo così a liberare in gran parte la fronte dell'VIII, in modo che questo potesse a sua volta effettuare sicuramente il passaggio nella notte successiva. " La mattina del 28 il XVIII (18°) Corpo d'armata iniziava il passaggio a Solattuol sui ponti della X Armata, pure interrottisi durante la notte e riattati a fatica, e contemporaneamente nuove truppe della XII e dell'VIII Armata (XVII e XXII Corpo) passavano il fiume fra Pederobba e Falzè".

** Era questo un terreno arato dai colpi di artiglieria e sconvolto dalla battaglia del Solstizio di metà Giugno che era giunto fino alle pendici del Montello (Nervesa occupata) terza delle teste di ponte austriache di qua dal Piave. Logorata da quattro giorni di lotta durissima, la possente massa d'urto, s'afflosciò, s'infranse e non appena le divisioni italiane passarono al contrattacco chiudendola a tenaglia tra lo sperone più a nord del Montello di fronte a Falzè e Nervesa, cercò in fretta di guadagnare la riva da cui era partita ma che una improvvisa piena provvidenziale del Piave glielo impediva. Il 19 giugno, la Battaglia del Solstizio era terminata. Decine di migliaia di morti, d'ambo le parti, coprivano letteralmente le doline del Montello, giacevano negli acquitrini, sulla grava. L'acqua del Piave era veramente rossa di sangue. I superstiti cogli occhi sbarrati , curvi sotto il peso della tragedia, come volpi braccate e senza scampo, cercavano un nascondiglio qualsiasi pur di tirarsi fuori da un incubo mostruoso. Sul terreno erano rimasti 90.000 dei nostri e il doppio dei loro. Un esercito austriaco esisteva ora solo sulla carta, perché lo spirito se ne era andatohttp://www.montegrappa.org..

 

- LXXII (72°) reparto d'assalto - Si costituisce nel giugno del '18 per il XXII Corpo d'Armata in sostituzione del XXII reparto d'assalto assegnato alla Divisione d’assalto "A". Il nuovo Reparto entrò subito in azione con la controffensiva del Solstizio, raggiunse Selva (sul rovescio del Montello) e dopo diversi sbalzi e accaniti combattimenti (che videro l’olocausto di 3 ufficiali fra i quali il Ten. Gattu Remigio), occupò Casa Pia. Successivamente, seguendo l’argine del Piave, si avvicinò a Nervesa che fu conquistata e tenacemente mantenuta fino ad Ottobre tagliando la testa di ponte del Montello (vedi sopra**). Nell'autunno viene assegnato al Comando 8a Armata Caviglia. E' decorato di Med. d'Argento. Il reparto come tutti sarà sciolto nel febbraio 1919.

 

Ettore, giacca aperta, girocollo e mostrine del corpo, è in compagnia della sua cagna Adriana (se la era portata al Fronte: erano sfizi che solo gli arditi potevano permettersi) che, alla sua morte nel 1918, verrà riportata a Bardi e curata dallo zio Giacomo. La cagna morirà nel 1928. La foto è datata ad un anno dalla sua morte e la dedica è di Amelia Bussa (Bardi 25/10/1886-4/3/1980) nipote della moglie dello zio Giacomo. 

Lo schieramento dell'avversario sulla riva sinistra del Piave era ormai spezzato in due tronconi; quello meridionale era immobilizzato dalla X Armata, e quello settentrionale, ancora aggrappato alle colline di Conegliano, minacciato di avvolgimento dall'VIII Corpo d'Armata, doveva cedere. Il 72° reparto d’assalto Fiamme Rosse ebbe l’incarico di puntare su Falzè. Fu il reparto di sacrificio che con la sua azione doveva attirare sopra di sé le offese nemiche sollevandone le truppe che traghettavano a Fontana del Buoro. Esso assolse il suo compito nella maniera più eroica. Era riuscito a traghettare 150 uomini sulla sponda sinistra quando un colpo di grosso calibro fece saltare l’esile passerella uccidendo il comandante , Capitano Marchand. Purtuttavia gli uomini resistettero asserragliati fra le rovine di Falzè, bersagliati ed assaliti di continuo. La 1a Divisione d’Assalto s’era frattanto concentrata a S. Mama poco lungi da Fontana del Buoro: essa era divisa in due gruppi, uno composto dal 22° e dall' 8° reparto d’assalto e l’altro costituito da reparti di Fiamme nere al comando dell'ex Bersagliere Oreste De Gaspari. La notte sul 27 alle ore 23,30 la Divisione traghettò silenziosamente sull’altra sponda, non senza cruenti sacrifici, giacché la violenza della corrente travolse le prime imbarcazioni i cui equipaggi perirono tutti. Sui ponti di Fontana del Buoro, audacemente gettati dal Genio, passava, inoltre, gran parte della 57a Divisione nonché la Brigata Cuneo del 27° Corpo, che non aveva potuto gettare i ponti sul suo fronte, seguita dalla Brigata Messina. Esse costituirono l'estrema sinistra delle truppe operanti di là del fiume. Il nemico non si era accorto di nulla, ma alle 23 tutta la linea è in fiamme: le batterie austriache di Valdobbiadene, di Moriago e di Soligo aprono il fuoco di sbarramento sul fiume. Il 22° reparto Arditi si butta in avanti, vince le prime resistenze alla roggia di Molino Pillonetto e si getta risolutamente sulla strada di Moriago rafforzandosi nel cimitero, mentre l'8° reparto, con marcia obliqua, punta su Fontigo: sono poco più di duemila uomini che si prodigano in un'azione serrata e fulminea che sconcerta il nemico. Intanto a mezzanotte la nostra artiglieria apre un fuoco di distruzione, interdizione, terribile e preciso sulle posizioni nemiche. I ponti vengono ben presto presi di mira e colpiti. Rifatti, vengono nuovamente distrutti fino a tanto che non si rinunzia a questo snervante lavoro di Sisifo, rimandandone la ricostruzione alla prossima notte. La notte del 28 è notte di contrassalti e di furiosi duelli di artiglierie sotto il cielo stellato. Il Genio riprende il lavoro, ma l'opera, prima di essere finita, si sfascia sotto i colpi dei cannoni. Sussiste, come per miracolo, di breve vita, uno dei ponti; vive per pochi minuti una passerella, anch'essa travolta, in breve, dalla corrente. Ma sui fuggevoli passaggi è transitato il Generale Mozzoni colla sua 60a Divisione (brigate Piemonte e Porto Maurizio) mentre il Generale Monesi, colla 12° divisione (brigata Casale e 5° bersaglieri) è rimasto di qua. In queste condizioni, quanto mai precarie, il Generale Vaccari passa il fiume in mezzo ad un uragano di fuoco e porta il suo quartier generale a Mulino Manente: “Ali alle Ali, qualunque crisi deve risolversi sull'altra sponda” aveva detto Vaccari.  

1° Corpo d'armata del Piemonte

CAP. ETTORE MARCHAND - Medaglia d'Argento al V.M. alla memoria. B.U. del Ministero della Guerra del 26/3/1920
Splendido campione di comandante, di soldato e di organizzatore, dedicava tutta la sua intelligente ed appassionata attività alla riuscita del tentativo di passaggio del Piave dal saliente di C. De Faveri. Trasfondeva nei suoi dipendenti tutto l’ardore della sua fede e l’irresistibile impulso della sua volontà tenace. Nel passaggio del Piave, effettuato il mattino del 28 sotto l’intenso tiro di grossi calibri nemici. Slanciavasi primo alla testa dei suoi incontrando serenamente e coscientemente morte gloriosa. Piave 28/10/1918.  

Frattanto anche la 60a Divisione riesce a passare e punta su Pieve di Soligo, preceduta dai superstiti delle Fiamme Rosse del 72° reparto. Il nemico comincia a dare segni indubbi di stanchezza: quando, ad un tratto, come per incanto, il colle della Tombola tace. Tacciono tutti i cannoni della sponda austriaca: tuona soltanto il nostro cannone, soltanto i nostri riflettori perlustrano il cielo. La Vittoria è nostra e la disfatta nemica si pronuncia in tutta la sua gravità.    
 

Lord Cavan  «Nessun esercito al mondo può sorpassare l'italiano in vigore e slancio» (Londra, 23 gennaio 1919).

ORESTE DE GASPARI  

 

Di famiglia Ligure nasce a Potenza il 10 dicembre 1864. Frequenta la Scuola Militare di Modena e svolge incarichi di prima nomina nel 53° Fanteria. Nel 1898 viene trasferito al 2° Bersaglieri e nel 1900 come capitano è in Cina alla Rivolta dei Boxer (encomio). Nel 1904 viene iniziato nella Loggia "Garibaldi e Avvenire" di Livorno e ne diviene maestro dal 1906. Nel 1915 è al comando del II° battaglione del 2° reggimento bersaglieri. Con la promozione a Colonnello passa al 138° Fanteria con il quale merita il Bronzo a Sei Busi (novembre 1915). Ritorna a comandare il 14° Bersaglieri l'anno dopo sull'altopiano di Asiago. Qui sullo Zebio il 6 luglio viene gravemente ferito ad una gamba da un colpo di granata che gli mutilò anche la mano sinistra (med. Argento). Dopo sedici mesi di ricovero in ospedale, rifiutò la convalescenza e prese il comando della brigata «Como» con la quale combatté sui Solaroli; quando, approssimandosi la decisiva battaglia di Vittorio "Veneto", venne costituito il Corpo di Armata d’assalto, Oreste De Gaspari - promosso colonnello brigadiere generale - assunse il comando di uno dei suoi Raggruppamenti col quale attraversò il Piave a Falzè, nella notte tra il 26 e il 27 ottobre. Per le ripetute prove di valore gli viene assegnato l'Oro. L'anno dopo è in Libia. Promosso Generale di Brigata nel 1923, dopo la conquista di Agedabia, viene rimpatriato e tiene per un anno il comando della Brigata Roma. Ormai 60enne viene collocato nella Riserva e muore nel 1933 a Genova.

Motivazione della Medaglia d'oro: Comandante di due gruppi d’assalto rinforzati con elementi d’artiglieria e genio, li condusse risolutamente ai di là del Piave e raggiunse con precisa manovra gli obiettivi assegnatigli. Durante un grave contrattacco nemico, spiegò la più grande energia, manovrando con la più grande opportunità le provate sue truppe. Nel momento più critico, quando maggiormente ferveva la lotta, fu alle sue schiere simbolo di indomito eroismo e inflessibile forza di comando. Dominate con fermissimo imperio le sanguinose vicende del combattimento, non appena possibile riordinò le truppe per la ripresa dell’attacco, che condusse a completo compimento. I suoi arditi, nella gioia della vittoria, provarono la fierezza più grande alla quale potessero aspirare: quella di vedere impersonati nel loro comandante il valore insigne ed i fulgori di eroismo che la battaglia aveva richiesti. Falzè di Piave, 27-28 ottobre 1918.

 

Era compagno di strada con gli arditi della divisione d'assalto il Colonnello Brigadiere, già comandante del 14° reggimento Bersaglieri, Oreste De Gaspari

L'EPILOGO    
La sera del 28 le teste di ponte oltre il Piave cominciavano a saldarsi, segno evidente che non c’era da parte del nemico la capacità di reazione: 15 Divisioni italiane, l’equivalente di una armata era già oltre il Piave e venivano regolarmente rifornite. Il 31 la XIIarmata espugnò la stretta di Quero ed avanzò in Val di Piave mentre l'ottava leggermente attardata s'impadronì di Susegana: mentre il XVIII C.d.A occupava Conegliano, spingeva in avanti una colonna celere (lancieri di Firenze e bersaglieri ciclisti) ad occupare Vittorio. Mentre l’ottava e la dodicesima armata si occupavano della pedemontana a sud la decima e la terza correvano verso Gorizia e Trieste. Il 30 le nostre truppe coprivano un arco che andava da Valdobbiadene a Vittorio “Veneto”, dalle propaggini di Sacile (Pn) a Oderzo. Per una eventuale rotta del nemico era stata disposta anche la costituzione di unità di Cavalleria e Bersaglieri per l’inseguimento veloce entro i termini della validità dell’Armistizio per evitare l’-Uti possidetis***di risorgimentale applicazione che ci avrebbe inchiodato su terre italiane ancora lontane dai confini stabiliti in sede di Patto di Londra. I colloqui ufficiali cominciano il 30 ottobre e si concludono il 3 novembre alle 18.30 a Villa Giusti, presso Padova. L'armistizio doveva avere esecuzione a partire dalle ore 15 del 4 novembre.  Il Comando Supremo italiano aveva quindi fatto affluire due Divisioni di Cavalleria (1a e 4a) su 4 Brigate (2 reggimenti ciascuna) in cui era presente sempre un Battaglione bersaglieri ciclisti. E’ doveroso quindi riferire del ruolo di queste unità, e in particolare della 1a Brigata e del Reggimento Lancieri di Firenze nella presa di Vittorio. Alle 21.10 di martedì 29 ottobre, il Generale Roberto Brussi,comandante della 58a Divisione, ordinava al Ten. Col. Arrivabene del 2° Gruppo (btg) Lancieri di Firenze, di procedere con la colonna da lui dipendente (due squadroni (cp) di lancieri e il 3° Battaglione Bersaglieri ciclisti) su Vittorio “Veneto”. Alle ore 6 del 30 ottobre Arrivabene informava Brussi che vi era giunto. Come vi era arrivato è un po’ un miracolo, perché queste unità partivano dalle retrovie e non erano la semplice fanteria che rastrellava il territorio per evitare sorprese alle spalle. Questi delle colonne celeri avevano un punto di partenza e uno di arrivo e un tempo massimo di esecuzione come in un rally ne più ne meno di un commando a cui era delegata una missione. L’avvicinamento da Susegana ebbe inizio alle 22.15 del 29, coi Ciclisti che precedevano la Cavalleria. La marcia notturna, lenta anche a causa dell’ingombro stradale di una brigata di fanteria in marcia costrinse il reparto a cercare un percorso alternativo alle già difficili e presidiate strade delle retrovie (e col rischio di trovare anche austriaci con la stessa idea di percorso “facile”. La colonna Arrivabene trovò qualche resistenza (superatala facilmente), e dopo che la ricognizione aveva stabilito che non vi erano Austriaci a San Vendemiano, alle 4.30 di mattina dal Menarè venne raggiunto San Giacomo di Veglia. Alle 4.45 a.m. l’avanguardia della colonna celere comunicava che San Giacomo di Veglia era sgombra e di essere ormai prossima a Vittorio, ma di non esservi entrata perché la città era presidiata, da “notevoli forze avversarie con artiglierie e mitragliatrici”  

Bollettino di guerra austriaco del 30 ottobre:

"Fra il Brenta e il Piave, forze fresche nemiche attaccarono in numero soverchiante l'Asolone e il Pertica. Le nostre truppe, con eroismo e fedeltà annientarono tutti gli sforzi nemici. Nella pianura veneta, gli italiani e gli inglesi avanzarono ulteriormente. Essi riuscirono ad ampliare notevolmente i settori di sfondamento a Nord e a Sud del Montello. Tenendo conto della nostra risoluzione più volte esternata di conseguire un armistizio e una pace che ponga fine alla lotta tra i popoli, le nostre truppe combattenti sul suolo italiano sgombereranno le terre occupate".

Diario di Luigi Gasparotto - 1 nov. 1918

Quando si arriva alle porte di Motta (di Livenza), alla chiesa delle Grazie, dalla semplice e bella facciata del Sansovino, crepita la mitragliatrice. E’ caduto un momento fa un amico, il tenente Barbesti. Stamane si è presentato al comando del 5° reggimento bersaglieri a offrire i suoi servigi un giovane triestino, il comandante del porto militare di Motta. Troppo tardi.” “Sulla Livenza è stata gettata una testa di ponte. E’ opera generosa dei bersaglieri dell’8° reggimento, i quali all’ordine di passare alla riserva, si buttarono in acqua e passarono invece al di là. Santa disobbedienza! Durante la notte, il Genio getta i ponti; il nemico spara sul paese ravvivando l’incendio delle case bruciate e uccidendo parecchi borghesi; i bersaglieri estendono la testa di ponte sui due rami della Livenza; arrivano prigionieri, contro i quali le donne di Motta, inferocite, scagliano sassate ed insulti. Arde ancora la casa del poeta Giacomini

Bollettino di Guerra n. 1260 del 31 ottobre 1918 ore 12
Il successo delle nostre armi si delinea grandioso. Il nemico è in rotta ad oriente del Piave e riesce stentatamente a contenere la incalzante pressione delle nostre truppe sulla fronte montana . Nella pianura e sulle prealpi le nostre armate puntano irresistibilmente sugli obiettivi loro assegnati. Le masse avversarie si incanalano tumultuosamente nelle valli montane e cercano di raggiungere i passaggi sul Tagliamento. Prigionieri, cannoni, materiali, magazzini o depositi pressoché intatti, cadono nelle nostre mani.
La 12a armata ha completato il possesso del massiccio del Cesen e combatte per espugnare la stretta di Quero.
L’8a continuando a svolgere con magnifico slancio la manovra affidatale, ha conquistato la dorsale fra la conca di Follina e la valle del Piave; ha occupato la stretta di Serravalle, avanza verso il piano del Cansiglio e tende nella pianura verso Pordenone.
La 10a armata ha portato il suo fronte alla Livenza.
La 3a armata si spinge avanti, travolgendo e catturando il nemico che di fronte ad essa si accanisce nella resistenza. Truppe czeco-slovacche partecipano all’azione
Nella regione del Grappa le nostre truppe, rinnovato l’attacco, hanno espugnato stamane il Col Caprile, il Col Bonato, L’Asolone, il Monte Prassolan, il saliente del Solarolo ed il Monte Spinoncia
Sull’altopiano di Asiago l’avversario, molestato da riusciti colpi di mano nostri ed alleati, mantiene una sensibile aggressività di fuoco.
La brigata Campania (135-136°) la VI Brigata Bersaglieri (8-13°), l’11° reparto d’assalto hanno meritato l’onore di particolare citazione.
L’attività aerea nel cielo della battaglia si mantiene intensa nonostante le sfavorevoli condizioni di visibilità. Due apparecchi nemici ed un pallone frenato vennero abbattuti.
Il numero dei prigionieri accertati supera i 50.000. Sono stati finora contati più di 300 cannoni. Generale Diaz
 

***uti nunc possidetis quo minus ita possideatis vim fieri veto (dispongo affinché non si faccia violenza per impedirvi di possedere così come ora possedete). Viene cioè riconosciuto valido il mantenimento della sovranità su un determinato territorio quando questa, in certe situazioni, è stata già in qualche modo acquisita (anche attraverso una occupazione militare) Commentari di Caio (IV).

   

 

A questo punto, l’Arrivabene disponeva perché i Ciclisti si spingessero subito avanti, da Ceneda su Serravalle (Serravalle è sempre la località che chiude una vallata, un punto strategico in questo caso la via di fuga), occupandone lo sbocco nord, mentre uno squadrone di Lancieri dal quadrivio doveva entrare in Vittorio, attraverso gli sbocchi della via di circonvallazione. Erano le 6.30 quando i lancieri, precedendo di 4 ore l’arrivo della Fanteria, entravano “di carriera” a Vittorio Veneto impedendo all’avversario di organizzarsi a difesa a Ceneda. Un’altra colonna detta Piella, dal nome del Col. Paolo Piella, procedeva di concerto con i suoi 28 ufficiali, 98 bersaglieri e 294 cavalieri. La colonna Piella distaccò da Refrontolo (ponte di Maset) due pattuglie che dovevano puntare su Vittorio: una, al comando del Ten. Airoldi dei cavalleggeri (17°) di Caserta, procedendo per Tarzo, Revine e Serravalle, l’altra al comando del Ten. Pittarelli, avrebbe dovuto puntare da Villa De Bernardi, Cozzuolo, direttamente su Vittorio. Come guida di questa seconda pattuglia era stato designato il Tenente di Cpl Giacomo De Carlo dei Lancieri di Firenze. De Carlo continuò la sua rapida avanzata entrando, anche lui nella mattinata del 30 ottobre da Ceneda:. La resistenza Austro-ungarica si era irrigidita immediatamente a nord di Vittorio Veneto, sui contrafforti rocciosi che circondano Serravalle. La natura del terreno era tale per cui non si potevano usare né gli squadroni di cavalleria e neppure bersaglieri con le loro biciclette. Fu allora richiesto prima l’intervento di alcune moto mitragliere dei bersaglieri (sidecar attrezzati) e verso le 14 di una sezione d’artiglieria per distruggere i nidi nemici in caverna. Alla fine, verso le 17, il Raggruppamento d’Assalto, agli ordini del Col. Trivulzio, passò all’attacco e riuscì a forzare la stretta di Serravalle. La sera del 30 ottobre nel triangolo Conegliano – Vittorio - Sacile si era creato un pauroso ingorgo di truppe nemiche che più o meno in stato di disorganizzazione tendevano a ritirarsi in parte verso Fadalto e Ponte nelle Alpi (valle del Piave) e in parte verso Sacile e Pordenone con l’intento di attraversare il Tagliamento a Casarsa per poi risalire verso Pontebba. riassunto da un articolo di Mario A. Morselli LA BATTAGLIA di VITTORIO VENETO  

     
Intanto a…. Venezia, ore 5. — Le torpediniere, i caccia, i trasporti, fumano nella notte nebbiosa che ancora non schiarisce nell'alba. Eruttano vulcani di nafta incombusta che avvolgono la città d'una caligine nera. I « Mas » fremono nel buio. Bagliori e faville di caldaie che s'accendono. I bersaglieri del generale Coralli, i bersaglieri dell'Ermada, s'imbarcano. I carabinieri s'imbarcano. I marinai in grigio-verde (Fanteria Marina S. Marco) s'imbarcano. Calpestio di scarpe ferrate, battiti di fucili sulla pietra, tintinnii di mitragliatrici portate a spalla. Un mormorio dovunque; dovunque lo stesso nome -Trieste -sussurrato come una preghiera ...... Maffio Maffi
La mattina del 1 novembre 1918 (festa di Tutti i santi) il 39° battaglione dell'11° reggimento bersaglieri era accampato a Sala di Campagna di Treviso. Dopo il rancio della mattina e la Messa, arrivò l'ordine di marcia. Incolonnati sui lati della strada i bersaglieri si trasferirono in stazione a Treviso. Da li con una tradotta con un altro battaglione, il 10° del 7° reggimento, sempre della 2a brigata si portarono allo scalo marittimo di Venezia.
... Ma che avviene dunque a Trieste perché noi v'accorriamo con questa fretta guardinga? Una cosa semplice e meravigliosa: Trieste ha fatto la rivoluzione. Da tre giorni s'è proclamata italiana. Appena ha saputo che il nostro esercito, sui monti ed in pianura, inseguiva il nemico in rotta, il popolo triestino è insorto, sicuro dell'appoggio della nostra vittoria. Mercoledì 30 ottobre, dopo mezzogiorno, dal Caffè degli Specchi usci fuori all'improvviso uno stormo di giovani. Spettacolo inaudito : portavano spiegata una bandiera tricolore. Fu la scintilla che accese la fiammata. In un attimo, Piazza grande ed il Corso si vestirono di vessilli bianco-rosso-verdi. Tele cucite alla meglio nel momento, pezzi di carta colorata incollati insieme, lenzuoli tinti di fresco. Alle prime grida di Viva l'Italia, le strade s'empirono di folla plaudente, decisa a tutto. - L'ora è scoccata ! Il Governo austriaco è decaduto per sempre ! » M.Maffi
 

dal profilo di famiglia - ... Il 28 ottobre 1918 quando suona l’ora della riscossa Ettore Marchand lascia, alle prime luci dell’alba, la sua giovane vita oltre il Piave riscattato. I resti di Ettore, dilaniato da una granata, furono raccolti pietosamente dai compagni e deposti in una cassettina zincata  in un cimitero di guerra sul Piave. Ignoro dove. Nel 1926, a cura dello zio Giacomo Marchand, benestante,  è stato traslato a Bardi (Parma) e sepolto in una tomba singola di marmo bianco. A tutt'oggi  riposa in questa tomba. A Gassino Torinese (luogo di residenza della madre) il suo nome è graffito insieme agli altri caduti della Grande Guerra in un monumento al Cimitero. In Torino il suo nome è graffito al Colle delle Maddalene su di una targhetta di bronzo e nei sotterranei della Chiesa della Gran Madre, insieme agli altri Caduti.

 

Giuseppe  Rotolo, 4 novembre 1918  -Gli ultimi caduti

"La mattina del 4 novembre la X Armata attaccò. Prima di attraversare il Tagliamento venimmo a sapere che alle 15 sarebbe scoccata l'ora dell'armistizio. Provammo una grande gioia mista a sgomento. L'idea della fine della guerra a breve distanza di ore ci parve perfino assurda. La verità era (ma noi non potevamo saperlo) che i nostri comandanti avevano ricevuto l'ordine perentorio di accelerare la marcia perchè l'armistizio ci cogliesse quanto piu' vicino possibile al vecchio confine. "Domani la 23esima Divisione preceduta dai cavalleggeri Aquila, punti su Gradisca per la direttrice Madrisio - Rivignano - Castion di Strada - Versa - Gradisca." E allora avanti verso il vecchio confine!. Bersaglieri e cavalleggeri si rimettono in marcia. Ad Ariis, oltre il piccolo ma profondo fiume Stella, gli austriaci ci attendevano al varco. Cavalleggeri, ciclisti e nostri arditi reggimentali, al comando del sottotenente Alberto Riva di Villasanta dell’8° reggimento bersaglieri misero in fuga il nemico; il piccolo ponte venne riparato e il reggimento pote' riprendere la marcia verso Torsa, all'avanguardia era Riva con i suoi arditi. Dal campanile di Torsa, gli austriaci tenevano sotto controllo la strada di accesso al paese e quando gli arditi dell'8° si lanciarono all'attacco per neutralizzare la resistenza nemica una pallottola colpì alla fronte il coraggioso comandante. Alberto Riva cadde mezz'ora prima dell'armistizio, aveva 18 anni. A Torsa il Comando decise di accelerare l'inseguimento degli austriaci che frattanto si erano asserragliati a Paradiso, con l'impiego anche della cavalleria. Erano le 14,45. L' 8° Bersaglieri riprese la marcia verso Paradiso, in testa era il 12° battaglione. Paradiso, un mucchio di case contadine nella campagna bassa di erbe e di sterpi, sorge tra Muzzana del Turgnano e Castion di Strada, cinquecento metri più a nord v'e' un trivio (il trivio di Paradiso, appunto). Quando sulla strada per Paradiso fummo raggiunti dalla cavalleria al galoppo ci buttammo nei fossati laterali gridando: "Viva la cavalleria!". Sembravamo ragazzi che giocavano alla guerra e avevamo dimenticato che la morte era li' a due passi... Mentre i bersaglieri aggiravano il paese catturando i tenaci cecchini asserragliati nelle case, i cavalleggeri, superato il rettifilo che taglia il paese, raggiunsero il trivio dove li attendeva, armi alla mano, un battaglione di mitraglieri magiari: la pazza eroica galoppata scagliò contro la resistenza nemica l'ultimo sacrificio dell'esercito vittorioso

BOLLETTINO DELLA VITTORIA N. 1268

 

Comando Supremo, 4 Novembre 1918, ore 12
La guerra contro l’Austria-Ungheria che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 Maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso Ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuna divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatre divisioni austroungariche, è finita. La fulminea e arditissima avanzata del XXIX corpo d’armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l’irresistibile slancio della XII, dell’VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente. Nella pianura, S.A.R. il Duca d’Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute. L’Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni e nell’inseguimento ha perdute quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecento mila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinque mila cannoni. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza. A. Diaz

 

 

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