I GONZAGA

Maurizio e Ferrante

Caduto l'Impero Romano, Mantova fu invasa da Goti, Bizantini, Longobardi e Franchi. Intorno all'anno mille, Mantova entrò a far parte per lungo tempo dei possedimenti dei Canossa, la cui ultima rappresentante fu la contessa Matilde alla cui morte, avvenuta nel 1115, la città si costituì in libero Comune. Nel 1273 Pinamonte Bonacolsi iniziò l’era delle Signorie che si concluse per la casata il 16 agosto 1328 quando Rinaldo, detto il Passerino, l'ultimo dei Bonacolsi, fu ucciso durante una rivolta popolare che portò i Corradi da Gonzaga (città, contadini arricchiti) ad acquisire il potere. Inizialmente Capitani del Popolo, nel 1433 Gianfrancesco Gonzaga, dopo il matrimonio del figlio Ludovico con Barbara di Brandeburgo nipote dell'Imperatore germanico Sigismondo, ottenne il titolo di Marchese. Stretto fra Papato, Impero (Germania), Venezia, Milano… etc seppe destreggiarsi e mantenere entrate bastanti ad una corte. La sola vocazione agricola al di fuori del commercio o delle miniere non bastava. Per lunghi decenni tra le massime entrate nei bilanci gonzagheschi erano le condotte militari, proventi derivanti dal capitanato degli eserciti di stati alleati. Il culmine del prestigio per i Gonzaga si ebbe con Federico II, figlio di Isabella d'Este, che dal 1530 divenne Duca di Mantova e sei anni dopo col matrimonio con Margherita Paleologo Duca del Monferrato. Cento anni dopo la casata era alla fine tanto che il titolo passava ai Gonzga Nevers (Francia). Francia e Impero si odiavano e ne nacque una guerra con l’arrivo dei lanzichenecchi tedeschi di Manzoniana memoria (peste del 1632). Il fasto di Mantova era finito. Alla morte ignobile dell’ultimo Nevers i possedimenti passarono agli austriaci (1708) che li inclusero nel vicereame Lombardo. Sopravvissero rami collaterali come quello dei Vescovato da cui discende il principe Maurizio Gonzaga Tenente Generale nella Grande Guerra Comandante della 53° Divisione.

“Verso la fine di settembre (1917) divenne indispensabile decidere di attaccare l’Italia alfine di prevenire il crollo dell’Austria-Ungheria” dalle Memorie del feldmaresciallo Erich von Ludendorff.

Gli sviluppi della rivoluzione russa (non ancora bolscevica) permettevano di distaccare diverse divisioni sia a loro (austriaci) che ai tedeschi dal fronte della Galizia. Una grande offensiva avrebbe distolto anche i movimenti rivoluzionari interni dal fine di rovesciare l’imperatore. Le carenze alimentari e strategiche avevano messo in ginocchio l’impero. Solo il saccheggio della già impoverita penisola italiana avrebbe risollevato le sorti degli Asburgo.

 

     

Luciano Garibaldi, «Maurizio & Ferrante Gonzaga. Storia di due eroi» (Edizioni Ares, Milano, 2006)

Gli ultimi soldati di casa Gonzaga da Libri Mantovani
Il saggio tratta i due discendenti di casa Gonzaga, padre e figlio, del ramo dei principi di Vescovato il cui capostipite fu Giovanni, figlio di Federico I, terzo marchese di Mantova. Il principe Maurizio, nato a Venezia nel 1861, già nel 1913 con il grado di colonnello, fu in Libia poi vice-governatore della Cirenaica. Con la prima Guerra Mondiale inizia il periodo più glorioso della sua vita. Comandante di divisione sul fronte dell’Isonzo con la II armata fu in prima linea, a contatto diretto con i suoi soldati dai quali era apprezzato per la tua umanità ed il coraggio dimostrato, e condusse, alla testa delle sue truppe, brillanti operazioni belliche tra le quali, quella, più eclatante, fu la conquista del monte Vodice nel 1917 che gli fruttò il titolo di marchese del Vodice da parte di Vittorio Emanuele III. Egli fu frequentemente ed ampliamente citato dalla stampa internazionale ed estera per il suo modo di condurre la guerra nel corso della quale subì cinque gravi ferite e l’amputazione della mano destra e fu decorato di ben tre medaglie d’argento e due d’oro al valor militare e ricevette una quantità di onorificenze italiane e straniere. Dopo il conflitto, nominato generale di corpo d’armata, ebbe il comando delle regioni militari di Genova e Firenze e la nomina a senatore del Regno. Nel 1925, l’allora capo del governo Benito Mussolini, lo volle a capo della MVSN, incarico che resse per circa un anno per poi ritirarsi nella sua casa di Roma ove mori nel 1938.
Il figlio Ferrante, nato a Torino nel 1889, seguì anch’egli la carriera militare. Nel 1911-12, capitano d’artiglieria, fu in Libia poi nella Grande Guerra dove si guadagnò numerose decorazioni al merito ed al valore tra le quali una medaglia d’argento e due di bronzo. Fu ufficiale di S.M. e studioso d’artiglieria. Durante la seconda guerra mondiale fu in Albania e nel ’43 al comando della 222° divisione costiera di stanza a Salerno. Qui, solo attraverso il giornale radio della sera dell’8 settembre, venne a conoscenza, assieme ai suoi ufficiali, dell’armistizio concluso dal governo Badoglio con gli anglo-americani. Rifiutata la resa ai tedeschi e reagendo alle loro imposizioni, fu ucciso da una raffica di pistola mitragliatrice sparata da un militare germanico quella stessa sera. Ferrante Gonzaga fu il primo ufficiale in servizio caduto per mano tedesca. Alla sua memoria,fu decretata la medaglia d’oro al valor militare

     
Maurizio Gonzaga Tenente Generale    
Il generale Maurizio Gonzaga fu impegnato in servizio in Trentino, alla testa della 9a Divisione Verona e sul Carso al comando della 53° si sarebbe trovato nell’occhio del ciclone proprio nei giorni di Caporetto. La prima medaglia d’argento al valor militare reca però la data di luglio 1916 “Comandante di Divisione, durante l’offensiva austriaca nel trentino diede ripetute prove di sereno ardimento e disprezzo del pericolo. Spingendosi sovente nelle linee più avanzate, riuscendo di incitamento costante e di esempio a tutti i suoi dipendenti. Altipiano di Tonazza maggio ’16 Monte Cimone luglio ’16 .
Passato al comando della 53a Divisione fu protagonista di una serie di operazioni militari che culminarono con la conquista del Monte Vodice (m. 652) subito a Nord oltre l’Isonzo e il Sabotino il 18 maggio 1917. La conquista della vetta non fu che l’inizio di una serie di scontri durati settimane e conclusisi il 29 giugno. Per difendere e riprendere la quota gli austriaci sacrificarono oltre 30.000 soldati, un battaglione al giorno.
ll 25 maggio, il generale Gonzaga aveva fatto arrivare una banda militare e l’avevo collocata in una posizione strategica con l’ordine di suonare ad ogni attacco la marcia Reale, l’Inno di Garbali e l’inno di Mameli. Le note rimbombavano sui costoni della montagna dominando il frastuono degli spari e eccitando lo spirito combattivo del soldati. Ben presto la notizia si diffuse. Ne parlarono i giornali. In quell’occasione, a uno dei giornalisti che lo interrogavano, il generale Gonzaga tenne a precisare: Hanno detto che ho fatto suonare per primo l’Inno di Mameli. Non è vero. I regolamenti militari prescrivono che io faccia la Marcia Reale e concluse - il meglio del concerto è stato però l’accompagnamento. La musica divenne un mito come il suo comandante. La ferrea come veniva chiamata la 53a era composta dalle brigate Teramo e Girgenti. Ecco una corrispondenza della Gazzetta dei Popolo dedicata agli atti di valore 53a divisione: "Tra i caduti il Generale Franceschi raccolto da 4 soldati e portato a Zagora perché trovasse poi pietosa sepoltura. Il sergente maggiore Andrea Chessa di Sassari stando al comando di una sezione di quattro mitragliatrici seppe trasformare un pezzo di roccia in una fortezza inespugnabile. Il caporalmaggiore Giovanni Sergiacomo. Il caporale Nicola Minervino e il soldato Giuseppe Bernagozzi si offrirono di aiutarlo a tenere la posizione ed egli la tenne sino a che, caduti i tre valorosi e rimasto solo, con la sua sola Mitragliatrice riuscì a mantenersi nel valloncello per ber tre giorni, superbo di riportare intatta l’arma alla quale aveva fatto compiere un prodigio".
 

N.H. Principe e Marchese Don Maurizio Ferrante (* Venezia 21-9-1861 + Roma 24-5-1938), Signore di Vescovato e Patrizio Veneto; Conte di Villanova, Conte di Cassolnovo e Grande di Spagna di prima classe dal 1916; creato Marchese del Vodice con Regio Decreto del 29-12-1932 e riconoscimento della qualifica di “Altezza Serenissima”; Senatore del Regno d’Italia dall’11-6-1922 (convalida, 20-6-1922, giura 26-6-1922), membro della Commissione per l'esame del disegno di legge "Nuovo codice penale militare" dal 14-6-1926, membro della Commissione per la verifica dei titoli dei nuovi senatori 30-4-1934/24-3-1938, membro della Commissione per il giudizio dell'Alta Corte di Giustizia 20-11-1934/24-3-1938, membro del Gran Consiglio del Fascismo; Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia dal 5-3-1899, Cavaliere Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia dal 6-11-1913, Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia dall’8-11-1914, Grande Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia dal 10-6-1920, Gran cordone dell'Ordine della Corona d'Italia dal 25-6-1926, Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro dal 13-1-1910, Cavaliere Ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro dal 5-6-1915, Cavaliere Ufficiale dell'Ordine militare di Savoia dal 28-2-1918, Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro dal 24-7-1919, Grande Ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro dal 27-7-1922, Gran cordone dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro dal 12-1-1933; Croce d'oro per anzianità di servizio, 3 Medaglie d'argento al valore militare , 2 Medaglie d'oro al valore militare, 3 distintivi d'onore per i feriti di guerra, Croce al merito di guerra, 2 Medaglie di bronzo al valor militare, Generale di corpo d’armata in riserva.

http://www.camillopavan.it/Grande_guerra

   

 Ricognizione di Stupizza: Nel frattempo, risalendo la strada proveniente da Cividale in senso opposto alla marea dei profughi e degli sbandati, sono giunti a Stupizza, verso mezzanotte, i fanti della brigata Vicenza, 53a div., una delle poche disponibili della riserva italiana. Con loro, due compagnie di mitraglieri di cavalleria, di cui una (853a, Cavalleggeri di Roma) si inerpica sul costone del monte Mia, sulla sinistra, risalendo la valle, e l'altra, (854a, Lancieri di Milano) sale sui contrafforti del monte Nabruna, sulla destra. All'alba del 25 ottobre l'esodo è terminato e la sede stradale viene «chiusa da una barricata fatta con carri, botti e travi, messi a sostegno di un muretto di sacchi ripieni di terra». Attraversato il valico fra il Monte Mia e il Matajur (da Caporetto) gli Imperiali avevano raggiunto il 26 la testata della valle del Natisone. Qui ad attenderli i fanti della 53a Div. Vicenza che formavano in quel punto la retroguardia della II armata.  

Ten. Gen. Principe MAURIZIO GONZAGA prima medaglia d’oro:
”Animato da fortissima volontà, da incrollabile fiducia nelle armi nostre, con raro sprezzo del pericolo, si teneva, durante un intero mese di lotte accanite, a stretto contatto con le proprie truppe di prima linea, portando loro di persona, nei momenti più critici, la parola animatrice, incitandole con l’esempio alle azioni più ardite, rendendosi così primo fattore di quelle gesta memorabili che ci resero padroni del Vodice e che ci permisero di tenerlo inespugnabile di fronte ai più accaniti sforzi nemici - Monte Vodice, maggio-giugno 1917”.

La medaglia gli fu consegnata un mese dopo da Capello e due anni dopo il titolo di Marchese del Vodice. Nel 1918 passerà al comando della 14° div. Chieti. 

       

 A pochi passi dall’abitato le barricate che ostruivano la carreggiabile: Nessuno cantava, nessuno rideva, tutti erano silenziosi e attenti, davanti non si udiva altro che il silenzio e il sibilo della tempesta. Sarà stato mezzogiorno quando, dal paese, fu visto avanzare al trotto un drappello del 3° Sq. Cavalleggeri “Alessandria” con in testa il ten. Lodovico Laus. Lo seguiva dappresso, in automobile, il comandante della 53°, Gonzaga che aveva appena detto loro “Bisogna sapere dove sono arrivati e chi abbiamo veramente di fronte. I cavalleggeri di Alessandria si spingano verso Robič”. Chini sulle groppe degli animali, le sciabole protese verso il nemico si erano lanciati avanti nella valle e nelle sue anse ripide e strette. Solo il battere degli zoccoli faceva eco lungo il fiume. Poco più avanti, alla vecchia casa doganiera, lo scontro. Calarono veloci su una pattuglia in avanscoperta non appostata e proseguirono. Li aspettava il grosso della avanguardia armato di mitragliatrici spalleggiate. Le prime raffiche di mitragliatrice soffiarono rabbiosamente sulla strada. La galoppata tragica era finita cavalli e cavalieri a terra o aggrappati al cavallo entrambi feriti in fuga per chissà dove. Pochissimi scamparono alla strage; alcuni, e tra essi il gen. Gonzaga (ferito a un ginocchio e a una mano), ritornarono feriti alle linee; molti, quasi tutti, rimasero al di lá della barricata... Dei 28 cavalleggeri solo 5 ritornano alle linee. » (Del Bianco, p. 145).

On the crest and flanks of Vodice both sides had been entrenched at close quarters ever since the battle in May. The hero of Vodice was the fine old soldier, General Prince Gonzaga. He combined a complete control of the operations of his Division with a boyish enjoyment of danger, a perpetual appearance on the top of the disputed mountain and a gaiety which won the hearts of his soldiers and of all who came near him. Così diceva, parlando dei fatti di maggio (quando qui arriva Kipling), il capo della Croce Rossa Inglese G.M. Trevelyan all’epoca della 10a battaglia dell’Isonzo.

Gli austro tedeschi ebbero cosí via libera verso la valle del Natisone. In base agli ordini ricevuti le truppe italiane in fuga incendiarono baracche e vettovaglie. "Tutto ardeva intorno a noi. Tutto era un braciere, tutto una fiamma". Erano le fiamme di Stupizza che piegavano verso di noi, come a proteggerci, come a nasconderci, come a salutare gli ultimi soldati della Patria... Trovammo Loch giá in fiamme. La stazione, i treni fermi sui binari, i pali, le macchine tutto ardeva, i vagoni erano carichi di uniformi, di scarpe nuove, di armi e tutto ardeva. Le ossature dei vagoni erano incandescenti. (Del Bianco, o.c. p. 145-l66). (nota del sito: si tratta del materiale rotabile della ferrovia a scartamento ridotto Decauville per Caporetto)

 

Seconda M.O. per l’episodio di Stupizza 25/26 ottobre 1917:
"Nel momento più grave della guerra, sbarrando con la sua divisione il passo all’avversario premente con vigorosa grande offensiva, dava alle sue truppe brillante esempio di coraggio e di valore personale, nei siti più esposti alle offese nemiche, e manteneva un così esemplare contegno anche quando fu gravemente colpito in più parti del corpo dal piombo nemico, rimanendo mutilato, finchè fu costretto a lasciare, suo malgrado il campo di battaglia,sul quale nel nome del Re e della Patria minacciata, aveva mostrato la via dell’onore: quella che portava al nemico. Magnifico e nobile esempio di alto sentimento del dovere. di sapiente spirito offensivo, di fulgido eroismo”.

http://www.lintver.it/storia-dueguerre-disfatta.html dal natisone al Piave Stupizza              Tolmino:  l'Isonzo e il Kolovrat a sinistra

 

 

Tolmino e la vista dell'isonzo verso Caporetto

 

       
Vincenzo Ferrante Gonzaga Generale

S.A.S. N.H. Principe e Marchese Don Ferrante Vincenzo (Torino 6-3-1889 + 8-9-1943-trucidato dai tedeschi, Buccoli di Eboli ), 2° Marchese del Vodice, Conte di Villanova, Conte di Cassolnovo, Signore di Vescovato (linea Gonzaga), Patrizio Veneto e Grande di Spagna di prima classe dal 1938; Generale, decorato con Medaglia d’oro, Medaglia d’argento e 2 Medaglie di bronzo al Valore Militare, Medaglia d’argento al Valore Militare di marina, Croce di Guerra al Valore Militare.

Ferrante Gonzaga era nato a Torino nel 1889 dove si era laureato in Ingegneria. Per tradizione familiare viene però indirizzato alla carriera militare sulle orme del padre. Maurizio. E’ in Libia poi sui fronti della Grande Guerra dove merita diverse decorazioni. Dopo vari incarichi nel 1936 e in comando al 1° Reggimento artiglieria “Cacciatori delle Alpi”. Ha incarichi nel comando artiglieria del XIII e XXV C.d.A (Albania). Nella primavera del 1943 gli fu affidata la 222a divisione costiera schierata a Salerno

In una lettera alla sorella del 13 aprile 1943, l’alto ufficiale aveva scritto: “…non ti dico che momenti sto vivendo. E purtroppo non sentiamo una parola dall’alto per rincuorarci. Nel Governo non ha più fiducia nessuno, le organizzazioni varie si sono sciolte al primo pericolo; i contadini non consegnano più il grano agli ammassi, lo mettono in damigiane e lo sotterrano. Si ha l’impressione del tracollo…”

Era venuto il 25 luglio che non aveva cambiato molto nei piani italiani, ma la sensazione che qualcosa di grosso stesse succedendo era diffusa. In previsione di un rivolgimento di alleanze il Gen. Ferrante Gonzaga aveva fatto spostare le poche artiglierie a disposizione per poter dominare tutte le strade di accesso all’Osservatorio di Bucali di Battipaglia (Eboli) in caso di attacco tedesco. Era stato da poco diffuso in radio il comunicato dell’Armistizio con tutti i suoi enigmi e limiti, ma una cosa certa c’era: La rabbia dei tedeschi. E non solo quella perché da Napoli a Salerno questi erano sotto tiro delle navi da sbarco alleate della operazione Avalanche e non volevano italiani fra i piedi o in quelle strutture antisbarco dove operavano le quasi disarmate Divisioni Costiere. Una pattuglia tedesca si presentò all’osservatorio intimando al consegna delle armi e lo sgombero come erano soliti fare. Ricevutone un rifiuto, i tedeschi aprirono il fuoco. Una scarica di mitra del maggiore von Alvensleben uccise il generale di Brigata Ferrante Gonzaga del Vodice.

 

 

Comandante di una divisione costiera, avuta notizia della firma dell’armistizio tra l’Italia e le Nazioni Unite, impartiva immediatamente gli ordini del caso per opporsi ad atti ostili da parte delle truppe germaniche, pronto a tutto osare per mantenere fede alla consegna ricevuta dal Governo di S.M. il Re. Mentre si trovava con pochi militari ad un osservatorio, invitato da un ufficiale superiore germanico — scortato da truppa armata — ad ordinare la consegna delle armi dei reparti della Divisione, opponeva un reciso rifiuto. Minacciato a mano armata dall’ufficiale germanico, insisteva nel suo fermo atteggiamento e portando a sua volta la mano alla pistola, ordinava ai propri dipendenti di resistere con le armi alle intimazioni ricevute, quando una scarica di moschetto automatico nemico l’uccideva all’istante. Chiudeva cosi la sua bella esistenza di soldato, dando mirabile esempio di elevate virtù militari, cosciente sprezzo del pericolo, altissimo senso del dovere. — Buccoli di Conforti (Salerno), 8/9/1943.

 

   

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