ALBERTO CAVACIOCCHI

Cavaciocchi nasce a Torino il 31/1/1862. Fu allievo al Collegio Militare di Firenze poi alla Reale Accademia di Torino. Da qui ne esce sottotenente d’artiglieria nel 1881 con servizio di prima nomina nei reggimenti 13°, 17° da fortezza e 7° da campagna. Frequenta con onore la Scuola di S.M. di Torino e, con la promozione a capitano nel 1888, è chiamato nel Corpo di S.M. Generale. Maggiore nel 1897, comanda un battaglione del 41°  fanteria, poi ha un incarico di sottocapo di S.M. del IV C.d.A.  Nuovamente addetto al comando del Corpo di S.M. passa poi all'insegnamento di organica alla Scuola di guerra (1901-1906) e infine è capo dell’Ufficio storico dell’esercito dal 1906 al 1910 col grado di tenente colonnello. Come studioso di storia militare il C. si era affermato con un volume sulla campagna napoleonica del 1809 e con altri articoli. Frutto delle sue lezioni alla Scuola di guerra fu poi l’opera di consultazione su “Le istituzioni militari del Regno d’Italia” (Torino 1906 e poi 1910), lucida sintesi ancor oggi valida. Nel giro di pochi anni fornì così alla storiografia militare risorgimentale un contributo documentario e interpretativo decisivo curando lo sviluppo degli studi storici militari e i legami tra ambienti di guerra militari e civili con la creazione nel 1909 della fortunata serie di “Memorie storiche militari”.
Nel 1910 viene promosso colonnello assumendo il comando del 60° fanteria, col quale partì per la Tripolitania nel marzo 1912. Si distingue qui nel combattimento di Sidi Sais (giugno 1912), ottenendo la croce di ufficiale dell’Ordine di Savoia; promosso maggior generale, comanda la I brigata mista nelle operazioni per l’occupazione di Zuara e poi la VI brigata speciale nella zona di Tripoli. Nel maggio 1913 passa con la sua brigata in Cirenaica, guadagnando l’argento nel combattimento di Ettangi (giugno) e prendendo parte attiva alle operazioni nella zona di Derna e poi di Cirene. Rimpatriato nel giugno 1914, tiene per breve tempo il Comando della Brigata Brescia, poi la direzione dell’I.G.M.. Nel periodo della preparazione e delle prime operazioni conto l’Austria-Ungheria viene chiamato alla carica di capo di S. M. della 3a armata . Nel luglio 1915 passa a un comando divisionale col grado di tenente generale nella difesa del delicato settore Valtellina-Valcamonica. Nominato comandante del XXVI C.d.A nel giugno 1916 ha il suo impiego operativo sul Carso (da agosto a novembre) nelle difficili posizioni di Castagnevizza e delle pendici del monte San Marco. Nel novembre 1916 assume il comando del IV C.d.A, il più settentrionale ed esteso della 2a armata di Capello, che con tre divisioni copre il fronte dal monte Rombon all’Isonzo a monte della testa di ponte di Tolmino a contatto con quello di Badoglio, XXVII. Furono proprio il IV C.d.A del C. e il contiguo di Badoglio a ricevere il 24 ott. 1917 l’urto dell’offensiva austro-tedesca detta di Caporetto, soccombendo così rapidamente da aprire al nemico la via di Udine. Il nemico aveva scelto di operare nei settori di congiunzione dove era più facile infilarsi. Mentre Cavaciocchi controllava la sponda sinistra la catena del Kolovrat alle sue spalle, sulla sponda destra era di Badoglio. C. perse il grosso delle sue truppe nella giornata del 24 e fu esonerato dal comando la sera del 25 da Cadorna. Viene collocato a riposo assieme a diversi Generali  (Cadorna, questa volta tocca a lui essere esonerato, Porro, Capello...) dalla Commissione ministeriale d’inchiesta e dal governo Nitti.

Alla campagna denigratoria il C. reagì con dignità e riserbo, rifiutando di entrare in polemiche pubbliche. Il 1° dic. 1919 indirizzò al Senato una petizione in cui chiedeva il riesame della sua posizione, sostenendo che il suo IV C.d.A era stato travolto sostanzialmente per la penetrazione laterale realizzata dagli Austro-tedeschi attraverso il XXVII corpo di Badoglio con preoccupante facilità: proprio la decisione preconcetta di scagionare questo generale aveva portato fuori strada la Commissione d’inchiesta (Per intervento di Orlando furono tolte dalla relazione d'inchiesta della CI 13 pagine riguardanti Badoglio). L’esame della petizione fu demandato ad una commissione composta dai senatori - Quarta, Pecori Giraldi e Pistoia, che nella primavera 1921 concluse i suoi lavori diminuendo le responsabilità del C.; pertanto il ministero tramutò il collocamento a riposo in collocamento in ausiliaria. Il C. non si ritenne soddisfatto e si rivolse successivamente, ma sempre senza successo, al Consiglio di Stato, al ministro della Guerra Gasparotto e infine alla Camera con una petizione del dicembre 1924. Nel frattempo poneva mano ad una serie di opere, purtroppo tutte incomplete e inedite, conservate nel Museo del Risorgimento di Milano, tra cui ricordiamo "Un anno al comando del IV corpo d’armata" e "Il IV corpo d’armata alla battaglia di Caporetto". C. morì improvvisamente a Torino il 3 maggio 1925. Da Istituto Enciclopedia Italiana Dizionario Biografico degli Italiani

Giovanna Procacci Soldati e prigioneri .... Alle cause di morte determinate dalla scelta della strategia di attacco, si unirono infine quelle connesse al comportamento degli ufficiali, e in particolare degli alti comandi; di esso fu data una definizione lapidaria: «Esonerazioni per gli ufficiali; fucilazione per la truppa non furono disdegnate, all'occasione, come mezzi per procurarsi facile fama di energia». Le accuse più violente furono ovviamente quelle rivolte ai maggiori responsabili, (a Cadorna e a Capello, comandante quest'ultimo della II Armata, interamente coinvolta nel cedimento del fronte nell' ottobre 1917. La CI non risparmiò tuttavia neppure gli altri comandanti delle grandi unità, i quali «mentre si appartavano dalle truppe e spesso non ne apprezzavano i patimenti, i disagi e gli sforzi, generavano in esse un penoso senso di distacco, di sfiducia e di irritazione [ ... ] specialmente per 1'accentuato sistema di salvare se stessi prendendo l'abbrivio della difesa coll' addossare la responsabilità degli insuccessi tattici o di fatti disciplinari agli inferiori, prossimi o lontani». Ma soprattutto gli alti comandi erano colpevoli, sempre secondo le testimonianze raccolte dalla CI, di ordinare di raggiungere determinati obiettivi senza curarsi della reale possibilità di attuare 1'operazione, provocando così la distruzione di interi reparti. Tale comportamento era conseguente al fatto che il CS pretendeva sempre e comunque il successo delle operazioni (l'insuccesso era sempre una colpa); il «rappresentare la sproporzione fra gli obiettivi e le forze e i mezzi disponibili, il segnalare avverse condizioni di luogo, di tempo e di circostanze non in armonia col presupposto del superiore, era esporsi all' accusa di fiacchezza, di cattiva volontà, di poco ascendente sulle truppe o di disobbedienza, era andare incontro ad una sanzione che raramente era un rimarco, spesso un fulmine o siluramento e talvolta persino il deferimento al tribunale».
Fin dall'inizio del conflitto il CS usò infatti come arma di ricatto la sostituzione dei comandanti, che spesso risultò poi immotivata o determinata da criteri burocratici; la CI calcolò che fino all'ottobre I9I7 erano stati esonerati 807 ufficiali, tra i quali 217 generali e 255 colonnelli. «Il malcontento serpeggiava visibilmente nell'esercito - annotava lo storico ufficiale del CS, il colonnello Angelo Gatti -. Dappertutto dove si va, si sentono, specialmente nei gradi da tenente colonnello in su, amari rimpianti, e preparazioni alla partenza. Con i sistemi in uso, in cui liquidazioni e promozioni dipendono dal volere di un solo superiore, senza nessun controllo, non è possibile che gli animi siano tranquilli». Se il non seguire pedissequamente le direttive, o esprimere qualche dubbio, portava a tali conseguenze, il comportamento opposto era quello che favoriva gli avanzamenti di carriera e le promozioni sul campo degli ufficiali. 16 Il desiderio di una facile e rapida carriera, la preoccupazione di salvarsi dall'accusa di mancanza di fede nella vittoria- concludeva la CI - avevano dunque fatto sì che, «pur riconoscendo le difficoltà immense che rendevano dubbia la riuscita di un'azione tattica», fosse stato deciso l'impiego delle truppe in attacchi spesso né utili né necessari, ma sempre spaventosamente cruenti; e che si fosse largheggiato in deferimenti a giudizio e in esecuzioni sommarie «non assolutamente imposte da eccezionalissime circostanze», senza porre alcuna attenzione alle necessità e allo stato d'animo delle truppe.
le critiche erano partite dagli stessi ambienti militari; notava infatti Douhet nei primi mesi di guerra:
«La saldezza [ ... ] non si procura colle minacce e col timore morale e materiale, ma si raggiunge con la fiducia che si sa inspirare [ ... ]. Bisogna inspirare nel nostro soldato la fiducia che lo si risparmia, che non gli si domanda se non il necessario, che non lo si sperpera per vana gloria, per errore, per mancanza di criterio» (Diario critico di guerra, I, I9I5 cit., p. I28). Il giudizio della CI fu altrettanto severo: «Abbagliato dalle novità tecniche con cui la guerra europea si apri, e soprattutto dallo sviluppo formidabile assunto dalle artiglierie, taluno perdé di vista [ ... ] che la guerra si è sempre risolta e sempre si risolverà in un processo spirituale, verità che avrebbe imposto la massima cura della formazione morale e ideale dei combattenti» (CI, p. 381). Solo Caporetto riuscì a far modificare tale strategia: allora su esempio delle linee d’azione adottate dagli altri eserciti, si procedette per piccole operazioni, appoggiate dalla artiglieria, con il risultato di un numero di perdite molto inferiore.
 

Altre opere: relazione ufficiale sulla campagna del 1848-49, curata da Fabris e Barone, con la pubblicazione di quattro volumi di documenti, “I Rapporti finali sulla campagna del 1848” ed i “Rapporti finali sulla campagna del 1849”. Con la collaborazione del capitano Carlo Rocca curò poi la preparazione e pubblicazione della relazione ufficiale su “La campagna del 1859” e di un volume integrativo sulla campagna del 1866.

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