Trincee: la vita al fronte e i trasporti ferroviari locali

la situazione sanitaria in generale

la dolina del 15° Bersaglieri http://www.prolocofoglianoredipuglia.it/index.php?idgallery=5

( 1a parte )

Nei primi mesi di guerra l'Italia sferrò quattro offensive
           1a battaglia dell'Isonzo: 23 giugno - 7 luglio 1915
              2a battaglia dell'Isonzo: 18 luglio - 3 agosto 1915
              3a battaglia dell'Isonzo: 18 ottobre - 3 novembre 1915
                  4a battaglia dell'Isonzo: 10 novembre - 2 dicembre 1915
Solo nelle battaglie d'autunno perdemmo 60.000 uomini e più di 150.000 feriti:  1/4 della forza.

Passeremo l'inverno a leccarci le ferite e a riempire i vuoti.
 

Quella routine giornaliera, quell'abitudine alla morte accettata come un rischio quasi normale dell'esistenza, faceva apprezzare come piaceri eccelsi, una buona dormita in un letto fresco di bucato, un pasto caldo e ben servito, un abito decente. Si spiega così anche l'uso di reparti, solo attaccanti, poi degli Arditi che alternavano quei terribili momenti in trincea con lunghe e divertenti pause nelle retrovie. Queste non erano certamente degli hotel a cinque stelle e si conviveva in ogni caso col pidocchio e con il disagio.  Il pericolo non aveva acuito l'egoismo personale, aveva anzi sviluppato un cameratismo diffuso, che impediva di cercare la salvezza propria a scapito della vita degli altri.  Tutto questo si era creato in seguito all'uso delle nuove armi individuali (mitragliatrici) e di reparto a buona mobilità come artiglierie leggere, bombarde ed altro. Per limitare le terribili perdite dei primi scontri, non restava altro che scavare e rendersi invisibili al nemico. Le trincee, compatibilmente con la natura del terreno, erano state portate quanto più possibile vicino a quelle dell'avversario: talora la distanza reciproca non superava qualche decina di metri impedendo di fatto il tiro di artiglieria. Reti di filo spinato costituivano la prima difesa contro l'improvvisa irruzione del nemico. Agganciato a paletti infissi nel terreno, si poteva stendere il filo soltanto di notte o quando c'era nebbia. Quando poi le trincee erano troppo vicine per permettere qualsiasi lavoro allo scoperto, i reticolati erano gettati alla rinfusa al di là della trincea, attorcigliati con quelli del nemico, per formare una massa inestricabile e difficile da superare. Con sassi, sacchetti di terra e lastre di metallo spesse si creava la postazione del tiratore scelto, il cecchino. La parola forse derivata da Cecco Beppe, come chiamavano gli italiani Francesco Giuseppe Imperatore d'Austria e dai loro primi soldati che attuarono tale tecnica. Gli Austriaci entrati in guerra prima di noi avevano già ampiamente sperimentato la trincea. Usavano calcestruzzo e paletti di ferro a prova di cesoie infissi nel cemento. Anche il filo spinato aveva dimensioni più grosse delle attuali in genere usato per limitare il passo ad animali al pascolo (ma ora si usa il filo elettrico). Per aprire dei varchi, dopo le cesoie di infame memoria e i tubi di gelatina esplosiva, i soli strumenti disponibili nel 1915 erano le bombarde di varia produzione, largamente usate, vere artiglierie da trincea in grado di lanciare a breve distanza e con scarsa precisione enormi bidoni  di esplosivo. Quando uno di questi barili scoppiava all'interno di una trincea, erano di solito stragi paurose. Per mitigare i danni, le trincee non erano costruite rettilinee, ma ad angoli, a zig zag o a labirinto. L'ascia, il piccone e il badile erano strumenti quotidiani con cui sopravvivere. Le pareti delle trincee erano rivestite con tavole di legno per proteggersi dall'acqua, acqua che quando inondava le trincee, obbligava a sopraelevare il fondo con altre assi, col rischio di sporgere al tiro nemico. Non era infrequente che la prima trincea conquistata al nemico si raccordasse con altre del loro sistema difensivo. Dove possibile, si scavava un ricovero più ampio con copertura di legno e travi di ferro, rivestito di tele cerate da usare come comando, deposito o alloggiamento. Chi avesse spaziato con sguardo radente la zona di battaglia, a stento avrebbe notato segni di vita. Questa si svolgeva in modo cauto e silenzioso entro la pelle superficiale della crosta terrestre. Dall'alto lo spettacolo era totalmente diverso molto più simile a Marte e a un verminaio che a un luogo umano. Qui le talpe umane mangiavano, si dissetavano, defecavano, dormivano e morivano. Camminamenti trasversali, che partivano dalle terze linee, incrociavano le seconde e le prime, per arrivare alle trincee degli avamposti e qualche volta del nemico. Infelici gli uomini degli avamposti cui toccava di subire il primo assalto a sorpresa e spesso di mettere in allarme i difensori con le loro grida di moribondi. Lungo questi camminamenti, defilati fin dove possibile al tiro nemico, ma per forza di cose scoperti in taluni punti, si giocava a rimpiattino con la morte. C'erano avamposti dove si doveva stare sdraiati, ci si andava e veniva solo di notte e per protezione si usavano lastre metalliche anche sul "cielo". D'estate questa postazione era più simile ad un forno che all'inferno.  L'artiglieria, guidata da osservatori a terra o in volo, era in grado, se ben piazzata, di colpire per chilometri nelle retrovie, dove si svolgeva l'intenso traffico di rifornimento. Le comunicazioni  telefoniche coi comandi erano assicurate da fili stesi a terra, che si tranciavano sotto i colpi dell'artiglieria, delle incursioni o dei fulmini che amavano in particolar  modo quei cavi. Poi tutto si doveva rifare sotto il tiro nemico. Dinnanzi al reticolato e alla trincea, verso il nemico, si stendeva la "terra di nessuno", popolata dai morti di entrambe le parti.  Lì i feriti, che non potevano più rialzarsi, urlavano il loro dolore inumano fino al dissanguamento o fino a che la cancrena li infettava completamente e ne strozzava i rantoli. Poteva succedere che qualche volta fosse proclamata una tregua temporanea per il recupero dei feriti. Il sangue e gli umori,  portati dalle piogge, finivano nei camminamenti delle trincee rendendo, per qualsiasi persona, in tempi comuni, insopportabile l'odore e la vita. cucina da campoDisinfezioni continue non ostacolarono più di tanto la diffusione di malattie infettive. Il turno di trincea era regolato secondo turnazioni che saltavano in vista di un attacco e che erano alla base di rivolte e sedizioni.

L'inverno, anche in presenza di una tregua nelle grandi offensive, costituiva uno dei periodi più duri sulle cime alpine e sul Carso. I ripari erano insufficienti e le vedette dovevano scambiarsi i cappotti pesanti (distribuiti col contagocce) nei turni di servizio. Sulle cime più alte, innevate per periodi superiori ai sei mesi, i ripari erano sotto la coltre nevosa (4/5 metri) e anche qui in queste condizioni continuava la guerra con gallerie che cercavano di intercettare quelle che il nemico andava a sua volta costruendo. Gallerie in roccia invece erano usate dai minatori del Genio per far saltare i ripari avversari e interi costoni di montagna che cambiarono il profilo delle Dolomiti. L'arretramento odierno dei Ghiacciai sta portando in superficie i caduti e molti di questi ripari col rispettivo contenuto. ordine in trincea http://cmbgrguerra.altervista.org/vita.html

LE DECAUVILLE

Le ferrovie Decauville, dal nome del loro inventore (Paul*), erano già conosciute e utilizzate da anni in Europa per cantieri, stabilimenti industriali, porti, cave e taglio di boschi. Ben presto, su questi binari che erano di varia larghezza (ma sempre ridotta rispetto al normale scartamento europeo 1435 mm, 1524 russo (o 1520 a seconda delle linee) 1600 irlandese), come ridotte erano motrici e vagoni, si giunse anche al trasporto persone (tratte brevi). Il sistema di Decauville attrezzato per la guerra, principalmente a scopo logistico, ebbe una estensione di circa 200 km. Erano presenti circa 100 locomotive e 80 stazioni. Sulla rete di una sola armata circolarono normalmente 38 locomotive e 1400 vagoni, che in pochi mesi trasportarono 144.000 tonnellate di materiali.

Es: In una zona di montagna come quella del IV corpo d'A. (Alto Isonzo), un problema dei più delicati e dei più importanti era quello dei rifornimenti, dipendenti dalle comunicazioni e dai mezzi di trasporto. La strada del Pulfero, opportunamente allargata e migliorata, era la grande arteria del IV corpo e ne divenne anzi l’unica; quando la 19a divisione ne fu staccata ed aggregata al XXVII Cda Badoglio, poiché essa serviva a rifornire la 50a, la 43a e la 46a divisione. Testa di linea ferroviaria era dapprima Cividale; poi, quando nella prima quindicina di agosto cominciò a funzionare la strada ferrata a scartamento ridotto Cividale – Robic (Caporetto), il movimento lungo la rotabile rimase molto alleggerito, con grande economia dei trasporti automobilistici, sui quali incombeva il rifornimento dei magazzini di Serpenizza, Drezenca, Ladra, Staroselo, Svina e Suzid, ai quali i corpi venivano ad attingere con mezzi propriAlberto Cavaciocchi, Un anno al Comando del IV Corpo d’Armata, Gaspari Ed. 2006

Treno ospedaleAlle 11 del 28 ottobre 1917 partì da Udine l'ultimo treno italiano. In quei 4 giorni le nostre ferrovie portarono ben 5.060 carri carichi, più moltissimo altro materiale rotabile, oltre il Piave. Gli italiani, oltre a lasciare tutto il territorio del Friuli lasceranno in mano al nemico ben 24 locomotive, 18 carrozze, 5 bagagliai e ben 615 carri di vario tipo. Durante il periodo d'occupazione (28 ottobre 1917 - 3 novembre 1918) gli austro - ungarici riattivarono il servizio ferrotranviario per poter trasportare i rifornimenti alle loro linee del Piave. http://digilander.libero.it/ferroviemilitari/ 

*Paul Decauville durante la prima metà del decennio 1870-1880, realizzò una ferrovia a scartamento ridotto, di larghezza pari a 40 cm, poi aumentata a 50 cm ed infine a 60 cm. Queste ferrovie erano caratterizzate da un'importante innovazione, consistente nel fatto di poter essere facilmente smontata e rimontata altrove come quelle nelle scatole regalo per bambini.

La situazione sanitaria in generale: le epidemie e le malattie mentali

Il problema del colera, oltre che nella "nemica" Gorizia, c'era anche da questa parte del fronte ad Udine, sede del Comando Generale Italiano. I casi di dissenteria collegati alla diffusione virale crescevano giorno dopo giorno tanto che si registrarono anche 50 nuovi casi in un giorno. In tutte i paesi dove risiedeva la truppa l'epidemia di colera crebbe a dismisura, tanto che anche a Palmanova ed a Cividale si erano manifestati nella popolazione civile. I mesi estivi videro l'escalation della malattia ed in un bollettino statistico dell'ufficio sanitario del Comune di Udine si informava che dal 7 al 31 agosto 1915, erano pervenute all'ufficio ben 117 denuncie fra colera, portatore di colera e gastro-enteriti sospette. Di questi: colerosi accertati 42, sospetti 17, portatori colera 58. Morti per colera 20, per gastro-enterite sospetta 14. Le denunce suddette risultavano suddivise: borghesi 15, militari 11, profughi 90. da La guerra e il Friuli, del Bianco ed. Nota: i casi di colera e tifo in totale ammontarono ad oltre 10.000 in Italia
Tifo. La malattia causata da un batterio, la Salmonella, poteva presentarsi sotto svariate forme, una più grave, altre più leggere dette Paratifo. Ogni esercito disponeva da tempo di un proprio vaccino nazionale, ma il più utilizzato era senza dubbio quello di tipo inglese da somministrarsi in tre dosi intervallate dieci giorni l’una dall’altra: il T.A.B. (Typhus paratyphus A e B). Purtroppo non era stato possibile vaccinare con rigore e determinatezza tutti i soldati per una naturale diffidenza della truppa nei riguardi dell’iniezione che era in grado di causare violenti effetti collaterali e febbroni. I più tendevano a evitare le vaccinazioni o a non completare il ciclo di iniezioni. Così anche nel territorio della 1ª armata italiana scoppiava, da luglio ad ottobre 1916, una epidemia di paratifo (5100 casi ad ottobre) che doveva portare a numerosi decessi. (il 13,2 % tra i malati non vaccinati, contro il 4,6 % dei vaccinati !!!). Tutto il Veneto regione ricca di acque superficiali utilizzate sia a scopi agricoli sia per uso domestico, accusò allora un numero di ammalati e di decessi triplo, tra militari e civili, rispetto all’anno precedente. (Vicenza ebbe 376 casi nel 1914, 1039 nel 1915 e 2998 nel 1916. Fu seconda solamente ad Udine dove affluivano gli ammalati di tre armate.) Oltre al tifo si contarono pure molti casi di Itterizia, ittero da Leptospirosi, altra malattia infettiva legata all’utilizzo di acque infette. Con l’inverno la situazione migliorava notevolmente lasciando il predominio della patologia di guerra alle febbri da raffreddamento ed ai congelamenti. rielaborato da ASPETTI SANITARI della Grande Guerra 1915-1918 sul fronte vicentino http://www.valgame.eu/trincee/files/aspsanita.htm 
Malaria
Malaria infected soldiers from malarious countries were introduced in large numbers into an area where there was a potential for the transmission of malaria. In the same area there were large numbers of non-immune soldiers who were highly susceptible to the disease. Bersaglieri e genieri inglesi sul fronte italiano del PiaveAfter the end of the Great War, returning British soldiers who had served in malarious areas 'introduced' malaria, to Southern England and 500 cases of malaria occurred in the civilian population. The hugely disruptive effect of war could be highly favourable to the increase in mosquito numbers. The normal man-made, or natural, means of mosquito control were interrupted, and huge numbers of water-holding excavations and containers were created that were favourable for mosquito breeding. Domestic animals, which normally provided the preferred feeding sites for mosquitoes, were distributed elsewhere or destroyed, and the huge numbers of potential human feeding sources took their place.
The Italian Front: Italy and Austria-Hungary
In the early part of the 20th Century the Roman hinterland was notorious for its summer malaria epidemics. But the war zone was limited to the north in the Trentino Valley and the River Isonzo plateau along the Italian/Austro-Hungarian Alpine border. Most of the fighting took place in the foothills of the Alps, where the main health hazard was the winter rain, cold and snow avalanches. Malaria when it occurred was sporadic and limited to the river valleys.

Non così nel paesi balcanici come l'Albania dove avevamo soldati poi nella Grecia Orientale (Salonicco) dove arriveranno anche i nostri.  >>The British soldiers in the image  are Royal Engineers and may well be from the Railway Operating Division running the railway system >>


The chief enemy on the Salonika front proved to be the malarial mosquito. Malaria was a far bigger threat than it had been in Gallipoli; there were over 7,000 reported cases in the 10th Division in August 1916 alone. In fact, though they didn’t appreciate it at the time, the British Salonika Force had arrived in Europe’s most malarial region. General Mahon had asked for the nets, quinine and protective cream needed to stave off the threat as early as 1915, but a British army general in 1915—especially one engaged in a French-supported sideshow—was unlikely to get much of what he wanted, and the division wasn’t adequately protected against malaria until the spring of 1917. The reaction of the men to these shortages can be guessed at, with Lt. Campbell of the Royal Irish Rifles writing in 1916 that he had heard a ‘rumour’ (rumours being especially popular amongst soldiers with too much to complain about) that the staff in Salonika had spent money earmarked for mosquito nets on a swimming-pool at headquarters. The situation got so bad that in July 1916 it was decided to retire from the Struma Valley for the summer months, again breaking contact with the Bulgarians. The patrols that were sent out would often ignore their Bulgarian opposite numbers rather than engage in a fruitless fire-fight. The Allied army was known back home as the "Gardeners of Salonika" due to the apparent lack of activity. However life in Macedonia was far from easy. The British Salonika Force had to cope with the extremes in temperature and also malaria. In 1916 it was possible to evacuate the most serious cases. However, with the introduction of unrestricted submarine warfare in April 1917 this was no longer possible. Consequently the cases of malaria soured as the infected men were compelled to stay in Macedonia. Hospital admissions in 1917 alone were 63,396 out of a strength of about 100,000 men. By early 1918 the British were again able to evacuate the worst cases and nearly 30,000 were evacuated.
 

piccola trad: La Malaria infettava soldati grazie alla provenienza di molti (coloniali) da paesi malarici e in zone ad alto potenziale per la trasmissione della malaria. Nella stessa zona c'era un grande numero di non-immuni che erano altamente suscettibili alla malattia. Dopo la fine della Grande Guerra, il ritorno dei soldati (britannici) diffuse nei paesi d'origine la malaria (nel sud dell'Inghilterra 500 casi di malaria tra la popolazione civile). L'effetto estremamente dirompente della guerra poi favoriva le pozze (i crateri delle bombe) e l'aumento del numero delle zanzare. I nemici naturali delle zanzare erano stati distribuiti e potenziali fonti di alimentazioni umane presero il loro posto.
Il fronte italiano: l'Italia e l'Austria-Ungheria
Nella prima parte del 20 ° secolo l'hinterland romano (paludi pontine) era noto per le sue epidemie estive di malaria. Ma la zona di guerra era limitata a nord nelle valli del Trentino e fiume Isonzo. La maggior parte dei combattimenti si è svolta ai piedi delle Alpi, dove il pericolo per la salute era la pioggia invernale, il freddo e le valanghe di neve. La malaria, quando si  verificava, era sporadica e limitata alle valli.
Il principale nemico sul fronte di Salonicco si è rivelata la zanzara malarica (anofele). La malaria è una minaccia molto più grande di quanto non fosse stato in Gallipoli: ci sono stati più di 7.000 casi segnalati nella sola 10a divisione nell'agosto del 1916. Gli inglesi, volenti o non volenti, erano arrivati nella regione più malarica d'Europa. Mahon, generale, aveva chiesto chinino e una crema di protezione necessaria per allontanare la minaccia già nel 1915 ma non venne fatto nulla per ottenerlo e la divisione non è stata adeguatamente protetta contro la malaria fino alla primavera del 1917. La reazione degli uomini di fronte a queste carenze è immaginabile: il tenente Campbell dei fucilieri reali scrittore irlandese nel 1916 diceva di aver sentito una 'voce' (radio gavetta) che il personale (alti ufficiali) a Salonicco avevano speso i soldi stanziati per le zanzariere per costruire una piscina presso il comando centrale. La situazione peggiorò a tal punto che nel luglio 1916 venne deciso di ritirarsi dalla Valle Struma per i mesi estivi, di nuovo interrompendo il contatto con i bulgari. L'esercito alleato era conosciuto a casa come i "giardinieri" di Salonicco a causa della apparente mancanza di attività. Tuttavia la vita in Macedonia è stato tutt'altro che facile. Gli inglesi della Salonicco Force hanno dovuto fare i conti con gli estremi di temperatura e con la malaria. Nel 1916 è stato possibile evacuare i casi più gravi. Tuttavia, con l'introduzione della guerra sottomarina nell'aprile del 1917 questo non era più possibile. Di conseguenza gli uomini infetti sono stati costretti a rimanere in Macedonia. I ricoveri ospedalieri nel 1917 erano solo 63.396 su una forza di circa 100.000 uomini !!!. All'inizio del 1918 gli inglesi erano di nuovo in grado di evacuare i casi più gravi e circa 30.000 sono stati evacuati.
 

LA MALATTIA MENTALE

… E’ a letto da tre giorni. Trema, si agita, la febbre lo divora. Urla di terrore, smania e suda tanto che le donne che lo assistono devono cambiargli più volte le lenzuola. Ma spero che col tempo riuscirà a dimenticare gli orrori vissuti…. Il soldato “SANO” ritornava dalla guerra molto debole e privo di difese organiche sia per le vicende vissute, i patimenti e le eventuali ferite (c’erano soldati che morivano anche dopo 2 anni) che per quella malattia che circolava nel paese, la spagnola che si portò via un’altra fetta di gioventù ma molti altri non ritorneranno pur essendo vivi perché erano “sepolti” nei manicomi. Erano gli “scemi di guerra”Bersaglieri del 15° reggimento. Il piumetto è stato levato come da ordini

Nel corso della Prima Guerra Mondiale un numero enorme di uomini visse in condizioni disumane nelle trincee, costantemente sotto il tiro dell’artiglieria nemica. Soldati male o per nulla equipaggiati, terrorizzati ed affamati, cominciarono a dare segni di squilibrio mentale. Portati nei manicomi, incontravano psichiatri, se tali si potevano definire, che non sapevano come affrontare questa nuova patologia e applicavano terapie improvvisate, nel tentativo di rispedirli al fronte nel minor tempo possibile. Solo per i casi più gravi era previsto un ricovero e nel linguaggio popolare il paziente iniziò ad essere definito "scemo di guerra". Per tutti gli altri la destinazione era il fronte.  Una prima considerazione che salta agli occhi è la sproporzione dei ricoverati nei centri di cura fra soldati e ufficiali: Mentre il rapporto ufficiali-soldati nell’esercito italiano fu nel complesso di 1 a 26, tra gli accolti al manicomio di Treviso troviamo 1 ufficiale ogni 10 soldati, in quello di Padova 1 ogni 22, al centro di Reggio Emilia, nel 1918, 1 su 13. Nel 1915 e nel 1916 negli ospedaletti da campo della II Armata gli ufficiali affluirono nella proporzione di 1 a 12 rispetto ai soldati. Il non allontanamento dal fronte degli Ufficiali (retrovie di comando) si spiegava con l’intenzione di recuperarli data la scarsità e di riavviarli in trincea o riformarli. A Colorno di Parma su 300 militari non fu ricoverato nemmeno un ufficiale
Effetti prodotti sugli ufficiali dalla prolungata vita in trincea: Da qualche tempo si notano frequenti casi di esaurimento nervoso specialmente negli ufficiali, che si presentano la maggior parte sotto una forma depressiva ed in alcuni, fortunatamente rari, sotto forma eccitatoria. Mentre i primi si presentano in genere apatici, indolenti, ipobulici, attoniti, gli altri si presentano con fenomeni alterni di eccitabilità e di depressione. Queste ultime forme si osservano prevalentemente in chi ha diretta responsabilità, e per sua natura e temperamento non ha energia nervosa sufficiente da superare le emozioni che sono intimamente legate alla vita speciale al fronte. Gl’infermi presentano tutti una fisionomia particolare, sopra un fondo tenue di tristezza, con uno stato dell’animo assillato da una paura indefinita di cui essi stessi non sanno darsi conto.  Il caso più semplice da individuare si presentava dunque, com’è ovvio, quando al trauma psichico si associava direttamente quello fisico, come avvenne per il fante padovano Giovanni T., classe 1879, ricoverato alla fine di giugno 1917 per uno «stato stuporoso con sordità e afasia», conseguente allo scoppio ravvicinato di una granata. Giovanni aveva subito un primo ricovero in un ospedale da campo della VI Armata, dove fu segnalato come un sospetto alienato mentale per lo stato nel quale versava: Non parla. È abbastanza quieto; assume uno stato stuporoso e nulla pare capisca. Prende gli alimenti che gli si danno. Qualche volta si agita e salta giù dal letto senza però correre o cercare pericolo. Il malato pare in preda ad una allucinazione da depressione. Dopo essere passato dall’ospedale di Bassano e dal Centro di prima raccolta di Reggio Emilia, che probabilmente non aveva spazio per custodirlo, Giovanni giunse a Colorno con la diagnosi di «sordità, mutismo e lievi turbe mentali». Qui trascorreva le sue giornate sempre cupo e concentrato, non riuscendo a parlare se non a frammenti, e rimaneva spesso « accovacciato in terra con il capo appoggiato a qualche rialzo». Il comportamento di Giovanni era lo stesso del soldato Antonio T., trentenne parmense, il quale nell’ottobre 1916 fu trasportato dall’ospedale da campo di San Giorgio di Nogaro a Reggio Emilia, e poi da lì a Colorno con la diagnosi di «stato depressivo». Come Giovanni, anche Antonio non riusciva a dormire, rifiutava il cibo e continuava ad avere allucinazioni continue e terrificanti anche a distanza di mesi. Nell’aprile dell’anno successivo si trovava ancora in manicomio, e sebbene fosse «più quieto», il suo stato d’animo e la sua disperazione non erano mutati: Sta quasi sempre nel corridoio dell’infermeria, in un angolo, col viso nascosto fra le braccia, silenzioso. Se lo si interroga non risponde, se si insiste a lungo solleva il capo e con atteggiamento irato e disperato dice: ma sì! Ammazzatemi pure, fate ciò che volete, assassini. Da UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA Dottorato di ricerca in Storia Ciclo XXIV “Scemi di guerra”. Domenico Vera Comportamenti sociali e nevrosi psichiche tra i soldati della Grande guerra. Il caso di Parma
http://dspace-unipr.cilea.it/bitstream/1889/1846/6/tesi%20la%20fata.pdf 
 

da 1915 - 1918 Baricella, vita di paese durante la Grande Guerra di PAOLO ANTOLINI

La guerra, che per qualche misterioso motivo doveva durare solo pochi mesi, entra nel suo primo inverno; il nostro esercito ha cappotti e divise invernali per non più di 500.000 soldati, per gli altri debbono pensare le famiglie stesse, da casa, a confezionare indumenti di lana, ricevendo una modesta retribuzione. Già l'11 settembre 1915 il sindaco di Baricella (Bo) rendeva noto che: " chiunque intenda confezionare indumenti di lana per uso militare potrà rivolgersi a questo ufficio …. per chi non possa dare opera gratuita, i lavori saranno retribuiti con la seguente tariffa:
sciarpe di lana l'una minimo L. 1,40 max L. 1,70
calze al paio                         "  L. 0,50         " L. 0,70
manichini al paio                 "  L. 0,40         " L. 0,60
ventriere l'una                     "  L. 1,20         " L. 1,50

La guerra del soldato (questa volta alle pulci)

ginocchiere al paio            "   L. 0,60         " L. 0,80

guanti al paio                     "    L. 0,70         " L. 0,90

.... In agosto si evidenzia un problema, il caldo fa imputridire le cibarie nei pacchi prima che queste vengano consegnate tramite la Cri: questa interviene con una proposta:" non spedite pacchi ai prigionieri, acquistateli già confezionati da noi che ne garantiamo l'arrivo a destinazione ". Da Genova , dove vi era il magazzino generale di rifornimento della C.R.I. , viene inviata a tutti i sindaci d'Italia una circolare, la nr. 1 del 20 agosto, con allegato il "menù" da scegliere; così troviamo che il pacco tipo da L. 10 conteneva:
pasta o pastina kg. 1,00
riso kg. 1,00
fagioli kg. 1,00
salsa di pomodoro kg. 1,00
condimento kg. 1,00
formaggio kg. 0,125
Il pacco da L. 15 aveva in più burro e latte condensato, quello da L. 20 addirittura della cioccolata

Produzione e prezzi di mercato grano
1911   q.li 52.362.000   x q.le 26,81
1912   q.li 45.102.000             31 34
1913   q.li 58.452.000             29 32
1914   q.li 46.153.000             29 34
1915   q.li 46.414.000             40 45
1916   q.li 48.044.000             38 42
1917   q.li 38.102.000             43 50
1918   q.li 49.885.000            56 65
1919   q.li 46.204.000           69 79

Una profonda depressione sulla natalità, per la insufficienza delle nozze, si ebbe durante il periodo bellico, con una debole ripresa in quello post-bellico, il 1918 fu l'anno di maggiore depressione della natalità: vi si ebbero appena 655.000 nati con una differenza in meno di oltre 2-5 sulla media degli ultimi anni prebellici. Può calcolarsi che il disavanzo di nascite a causa della guerra sia stato di un milione di vite.

Nell'estate del 1916 (a metà guerra) i prezzi di alcuni generi alimentari (calmierati) erano i seguenti :
- pasta di qualità 0,80 lire al kg.; pochi anni prima (5) era a 0,55
- carne di bovino (bassa scelta) 1,50 lire al kg.;         "    2,15
un litro d'olio lire 2,30;           pochi anni prima (5)    era  2,0
uno di latte 0,50;               pochi anni prima (5)         era 0,34
un uovo lire 0,10.,

formaggio parmigiano reggiano a lire 4,80 il Kg

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