PLEZZO - L'ALTRA CAPORETTO

ROMMEL IN CARNIA

L'ULTIMA DIFESA ITALIANA DELLA CLAUTANA E DI S. OSVALDO - LA STRADA DEGLI ALPINI E IL PONTE COLOMBER

 

“Risuonò il grido, senza canto, agli ultimi di Caporetto, il 6,7,8 novembre 1917. Poi il silenzio memore della storia”

  Da "Fanterie all'attacco" di E. Rommel Longanesi 1972 L'avvicinamento...
Nella zona delle Prealpi Carniche si trovarono a operare le tre divisioni (26° Battistoni, 36° Taranto e 63° Rocca) del XII Corpo d’Armata, che nel corso del ripiegamento verso il Piave restarono isolate in una impervia regione montuosa, lontane dalle grandi vie di comunicazione, tagliate fuori dalle direttrici di ritirata della II e III armata nella pianura veneta; prive di collegamenti e di direttive, dovettero gestire in proprio la loro guerra, decidere di volta in volta le loro scelte tattiche e la via da seguire per una possibile ma improbabile salvezza oltre che opporsi a un nemico. Il passaggio della guerra fu rapido, pochi giorni soltanto: non linee di difesa attrezzate, non trincee, scarsissimo appoggio di artiglieria, ma solo una successione di combattimenti di corpo a corpo per contenere l’avanzata di un avversario determinato, imbaldanzito (e deciso a tagliare la ritirata alla IV armata del Cadore) e di disperati tentativi di reparti in ritirata di sottrarsi alla prigionia. Questo rettangolo di terra di Carnia e di Giulia, delimitato a est dall'Isonzo e a Ovest dal Piave misura in linea retta solo 100 km (ma sul terreno un universo di valli, fiumi e montagne incantate), e poggia la base a sud sulla pianura veneto/friulana per una linea strategica pedecollinare di 50 km di lunghezza che va da Barcis al ponte di Ragogna/Pinzano (Tagliamento). Il 3 novembre quando gli austro tedeschi passarono l’Isonzo entrarono in azione anche le armate austro-tedesche del Trentino di Conrad, che il giorno 5 si ripresero Cortina d'Ampezzo. Quello stesso giorno alle 17 iniziò il ripiegamento dal Cadore della IV armata del Gen. Robilant verso il punto strategico di Longarone. Quando al comandante del XII C.d.A, Tassoni, fu chiaro che lo sbocco nella pianura veneta era impraticabile perchè ormai occupato, l’unica strada per far defluire i soldati dalla Carnia rimase la Meduno-Barcis-Cimolais-Longarone (sul Piave), attraverso il passo di S. Osvaldo, prima che le retroguardie della IV armata vi passassero oltre. L'unica alternativa era la scorciatoia Chievolis - Tramonti- Claut - Cimolais sul tracciato della strada degli Alpini costruita nel 1912. Pioveva in pianura e nevicava in montagna: scarseggiavano viveri e munizioni. La “marcia degli spettri” di soldati e civili come dipinto da Sironi (sopra) era iniziata.   Il Comando supremo dell’esercito tedesco inviò un’armata composta da 7 divisioni che già avevano dato buona prova sul campo di battaglia. Un’offensiva congiunta dei due alleati sul fronte dell’Alto Isonzo doveva portare al desiderato alleggerimento. Obiettivo dell’operazione doveva essere quello di respingere gli italiani al di là della frontiera (vecchia) dell’Impero, magari oltre il Tagliamento. Il battaglione da montagna del Wurttemberg entra a far parte della 14a Armata di nuova formazione e viene assegnato al Corpo Alpino Tedesco (o Alpenkorps) della 1a brigata Jaeger bavarese. Il giorno 18 ottobre 1917 partiamo dalla zona di radunata nei pressi di Kranj verso il fronte. …. Durante questa marcia di avvicinamento ogni tappa dev’essere raggiunta prima dell’alba e la truppa sistemata in accantonamenti quanto mai scomodi e stretti ancora prima che faccia chiaro per sottrarsi a un’eventuale osservazione aerea. Il mio distaccamento (di tre) è composto da tre compagnie da montagna e da una compagnia mitragliatrici. La località di Kneza è situata a 8 km a est del fronte di Tolmino. Nel pomeriggio del 21 ottobre (Sabato), il maggiore Sproesser effettua con i comandanti dei distaccamenti una ricognizione sul terreno di radunata per l’attacco assegnatoci. Si tratta del ripidissimo pendio nord del monte Buzenika (Quota 509), situato un chilometro e mezzo a sud di Tolmino, che dalla vetta sprofonda verso l’Isonzo.

Cosi cominciava il racconto di Rommel della sua avventura italiana. Il compito dell’Alpenkorps era di prendere il Kuk e il Matajur, terza linea di difesa Italiana prima della pianura. Rommel in quel momento era un tenente in attesa di nomina a capitano. Gli furono affidate 4 !! compagnie delle 10 (equivalenti a un nostro reggimento) del battaglione -WGB (Wurtenbergische Gebirgsbataillon !!!) del maggiore Sprosser. Ma noi lasciamo il suo racconto di Caporetto per spingerci oltre. Dopo tre giorni di battaglia e la conquista del Matajur, il WGB entra venerdì 27 a Cividale, coprendo combattendo 50 km in 3 giorni. Il Torre viene passato il giorno 29 e il 31 Rommel è sul Tagliamento… turno di riposo… L’inseguimento... lo sconosciuto, ma già famoso, tenente di carriera Erwin Rommel, riceve ora l'incarico di fare da avanguardia alla Jaeger e di raggiungere in fretta Longarone sul Piave per tagliare la strada alle truppe del Cadore che si stanno ritirando verso il Monte Grappa (in effetti fino al giorno 4 l’ordine di ritirata della 4° armata non era operativo e quindi c’era una piccola speranza di inchiodare le retroguardie o di cogliere il grosso ancora sulla linea fortificata Cadore Maè). Torniamo alle parole di Rommel …Nei giorni successivi, tutti i tentativi di forzare un attraversamento del Tagliamento falliscono. Solo nella notte sul 3 novembre, il battaglione Redl del 4° reggimento di fanteria bosniaca riesce a mettere piede sulla riva occidentale nei paraggi di Cornino.

Tra il 1 ed i 2 novembre i Bosniaci di Redl occuparo prima l'Isolotto del Clapat in mezzo al fiume, quindi si slanciano verso le sparute compagnie della Brigata Lombardia trincerate sulla riva destra del Tagliamento.

     

Vincere una battaglia magari non
decide le sorti della guerra, ma
perderla non porta a nessun risultato

   Il giorno 3 novembre, il mio battaglione cessa di far parte del Alpenkorps e riceve l’incarico, inquadrato come avanguardia della 22a divisione fucilieri, di forzare per Meduno - Claut il passaggio delle Alpi Carniche e di raggiungere nel minor tempo possibile la valle superiore del Piave presso Longarone allo scopo di sbarrare alle forze italiane schierate sul fronte delle Dolomiti la via della ritirata verso sud. Il battaglione da montagna è uno dei primi a varcare il Tagliamento presso Cornino sui resti ancora agibili del ponte ferroviario. Grossi pattuglioni montati su biciclette ripiegabili italiane di preda bellica vengono mandati in perlustrazione verso Meduno.

Non ci si ferma quindi sul Tagliamento come prevedevano i piani che gli Austriaci non hanno ancora deciso di rompere o modificare. Il fatto che la 14a armata fosse a targa tedesca non esentava da discussioni all’interno degli alti comandi. Otto Von Below era tedesco, Krauss col suo I corpo era Austriaco. Per evitare discussioni sullo sfruttamento del successo a cui gli ufficiali tedeschi si erano attenuti e votati (rispetto ai più prudenti austriaci) si chiese l’avvallo del Capo di S.M.G. Austriaco Arz presente al fronte che assentì. Quando è ancora notte (4 nov.), il WGB passa sul ponte ferroviario di Cornino (semidistrutto). Un solo obiettivo ha in mente ora Rommel non fermarsi più fino a Cimolais. La strada più corta passa da Travesio, Meduno, Chievolis (sui laghi di Tramonti) e quello che poteva essere l’ignoto, ma che si scoprirà poi conosciuto come la strada militare degli alpini che conduceva da Chievolis a Forcella Clautana, Cimolais e Passo S. Osvaldo penultimo ostacolo prima della valle del Piave.

- dal diario di Oscar Bonomi, classe 1898, Aspirante ufficiale del Btg Val Fella dell'8° alpini (36° div.) Dalla relazione di inchiesta sui fatti di Caporetto

Ai soldati del battaglione vennero distribuite gallette e scatolette in quantità Cominciò così la ritirata improvvisa giacche quasi nulla si sapeva dell’affare di Caporetto. Il 28 a sera si giunse a Pecol ed il 29 alle due antimeridiane a Chiusaforte. Essendo il battaglione L’ultimo a ritirarsi dalla valle Raccolana, appena attraversato il Fella il genio fece saltare il ponte che univa Chiusaforte e Raccolana. Riordinati e fatto l’appello continuò la marcia verso Stazione per la Carnia ove si giunse verso le 16 dello stesso giorno. Il 30 ottobre arrivo a Tolmezzo ed il battaglione prende posizione sul Tagliamento a "Villa di Verzegnis" dove rimane fino al 4 novembre a sera e ricomincia la marcia di ritirata su S. Francesco. Il "Val Fella" passa allora in testa alla 36a divisione e riceve l'ordine di portarsi al paese di Pielungo per continuare e sostenere l ’assalto. AI 6 novembre mattina quando il 49° Regg. fanteria distrutto durante la notte non fu più in grado di combattere il "Val Fella" entrò in azione ……. Causa le forti perdite avute il battaglione arrestò l’ assalto ed occupò una posizione migliore poco distante. Ridotti senza cartucce e non potendo quasi più sparare si costituì una linea di difesa e si chiesero rinforzi e altre munizioni che non giunsero mai. Rimasti a pochissimi uomini si rimase passivi sparando a lunghi intervalli quelle poche cartucce che ancora restavano. Ogni tanto qualche altro soldato cadeva assottigliando di più la debole linea dei difensori. Verso le 15 per ordine superiore si lasciarono in linea dodici bersaglieri giunti allora, i quali dovevano sparare con frequenza tutte le cartucce per mostrare al nemico che erano giunti rinforzi e gli ufficiali del "Val Fella" coi pochi uomini che restavano ( un centinaio ancora validi) di portarsi indietro e di raggiungere il Piave coi mezzi che ognuno credeva più opportuni. Ma essendo completamente circondati i resti della divisione cedettero le armi (tra i prigionieri ci fu anche il noto geologo prof. Ardito Desio, allora tenente dell' 8° Alpini).

 

Il combattimento di Meduno -Dal Libro di Tullio Trevisan Gli ultimi giorni dell'armata perduta- Ed.Gaspari Udine pag 52
Il maestro Andrea Ragogna di Meduno, testimone di quell’avvenimento, così descrisse il fatto d’arme avvenuto presso il paese. “Difendeva il bivio d’Agnul il LVIII (58°) battaglione del 16° reggimento bersaglieri (gli altri erano il 57 e il 63), agli ordini del capitano De Pace, che si era insediato nella casa di Francesco Paveglio, situata al crocicchio. Sulla quota 482 (Case Del Bianco) si erano schierate la V e la VI compagnia, quest’ultima al comando del tenente Mario Tata. La VII (cap. Guglielmo Garzari) era appiè della quota stessa, e la VIII in direzione della strada che conduce a Navarons. Cinque grossi massi sporgenti dalle alture servivano di schermo a due mitragliatrici, comandate dal tenente Raineri, soldato valorosissimo. Sbarrava la strada un plotone della VII compagnia con quaranta uomini agli ordini dell’aspirante ufficiale Natali Filippo. Erano circa le venti. Una nostra pattuglia guidata dall’aspirante Enzo Cannata, piena di impulso e di audacia, veniva a contatto con un pattuglione nemico. Aperto il fuoco da entrambi le parti, rimaneva ferito gravemente alle gambe l’aspirante Cannata e alcuni soldati della pattuglia stessa. L’azione andava nel frattempo ampliandosi e nel disperato tentativo di arrestare il nemico cadevano quindici bersaglieri insieme al caporale Ernesto Natale, mirabile tempra di soldato, tutti falciati dalle mitragliatrici austriache, appostate presso la casa di Caterina Andreuzzi. Poco dopo il tenente Tata, colpito a un polmone, cedeva il comando della VI compagnia al sottotenente Caruso; il comandante della VII capitano Guglielmo Garzari e il sottotenente Modica venivano fatti prigionieri. Gli invasori, delusi della inaspettata resistenza, dovevano rinunciare al loro disegno e aspettare nuovi rinforzi. Durante la notte la situazione si faceva di più in più precaria. Le perdite subite diminuivano gli affettivi nostri, mentre il nemico rinforzatosi con truppe fresche, continuava nella pressione e disponeva l’accerchiamento per il giorno seguente. Rimaneva intanto ferito leggermente a una gamba anche il S.ten.Caruso. Alle ore 6 del mattino, gli austriaci sferrarono l’ultimo attacco. Essi, calando dalla quota 482, stringevano sempre più i resti del battaglione in un cerchio di ferro e di fuoco. Tuttavia i valorosi bersaglieri resistevano con furiosi attacchi e contrattacchi. In uno di questi cadeva gravemente ferito il sottotenente Natale Filippo e cadeva pure il sottotenente Francesco Benelli, colpito alla regione intercostale destra con lesione polmonare da scheggia di granata. La lotta continuava sempre più aspra e accanita e la situazione si faceva disperata. Alla fine, quel pugno di eroi, rimasto privo completamente di munizioni e accerchiato dalle forze preponderanti del nemico veniva sopraffatto. 23 i morti, tantissimi i feriti. Più in generale questa è conosciuta come la battaglia di Pradis.

La 36ª e 63ª Divisione (resti) s'erano infatti riunite in Val d’Arzino e il 5-6 novembre combatterono la più sanguinosa battaglia della ritirata verso il Piave: la battaglia di Pradis. Una colonna di queste Divisioni fuggì alla triste sorte in quanto il giorno 5 era stata avviata verso la Val Meduna; raggiunto Tramonti di Sotto, alcuni reparti proseguirono per Chievolis (6 novembre), Val Silisia e la Forcella Clautana, proprio proprio mentre l’intera Val Meduna veniva occupata dalle truppe austro-tedesche. Nei dintorni di Meduno un cippo commemora il sacrificio di reparti del 16° reggimento bersaglieri.
 

   

- Da Cesco Tomaselli - La battaglia di Pradis -

 

Nella notte dal 29 al 30 (domenica e lunedì) la 36a Divisione passò il Tagliamento e si schierò, fronte a est, a difesa del fiume, fra Trasaghis e Mena: aveva alla sua sinistra, da Mena sino al ponte di Tolmezzo, la 63° divisione del generale Rocca, traslocata in fretta da sud da Palmanova per chiudere la falla che s’era aperta fra la conca di Plezzo e le alture di Gemona. Da quel momento le due divisioni ebbero in comune la fronte e la sorte. Isolate dalla pianura, ormai invasa dal nemico, non avevano che una sola via di scampo: la strada dell’Arzino, che per Pielungo e Clauzetto porta alla valle del Meduna (verso la pianura). Ma il Tagliamento resisteva a sud o era già stato varcato dagli invasori? Chi aveva in mano i ponti di Pinzano, di Spilimbergo, e della Delizia ? La risposta a questi quesiti non sarebbe mai più pervenuta: giunse invece, nelle prime ore del 4 novembre, un ordine di ritirata, nel quale si accennava a un precedente ordine mai arrivato. Il movimento cominciò a scaglioni, sotto la protezione del forte di monte Festa che continuava a resistere bravamente. Aprivano la marcia due battaglioni di alpini friulani, il Gemona e il Vai Fella: il grosso era composto di fanti, bersaglieri, di cavalleggeri e di altri alpini, truppe eccellenti, temprate da due anni di guerra sul Carso e sugli Altipiani. I Tedeschi forzato Cornino, per la comoda strada pedemontana di Forgaria e Vito d’Asio spingevano la divisione dei cacciatori imperiali verso Clauzetto fino dal mattino del 5 scantonando nella valle dell’Arzino. Il nemico aveva manovrato in modo da sorprendere i nostri alla svolta della valle. La via di scampo era chiusa: bisognava che i nostri se l'aprissero con le armi. Tragiche giornate del 5 e del 6 novembre alla stretta di Pielungo e ai pascoli di Pradis, quanti Italiani, oltre ai superstiti, conoscono la vostra gloria sanguinosa ? Dai combattenti, completamente circondati, nessun messaggio poteva giungere: occorreva aspettare le notizie dal nemico.Il costone di Pradis, fra monte Pala e monte Dagn, fu guarnito da una miriade di mitragliatrici disposte a semicerchio: intanto due battaglioni della guardia prussiana risalivano la strada di Pielungo, incontro agli Italiani. Era il mezzogiorno del 5 novembre.

     

Strada degli Alpini http://www.parcodolomitifriulane.it/linea58/download/Strada_degli_Alpini.pdf
Era questa una strada militare larga dai 2 ai 3 metri costruita nel 1912 lunga ca 25 km e con un dislivello di 1.000 metri che arrivava alla testata della Valcellina fra quello che oggi è il lago diga di Ca Selva sopra Chievolis, in val Silisia, e Lesis in ValCellina. Presso la forcella, nel 1912, gli Alpini dell8° posero una lapide sulla quale fu incisa una frase che, 5 anni più tardi, si dimostrò profetica
“Ove in queste valli, grido di guerra risuoni, su questa via, dagli alpini dischiusa, si alzi il canto della vittoria”.
Accanto a questa lapide, una targa posta nel 1990 riporta il seguito scritto dalla storia:
“Risuonò il grido, senza canto, agli ultimi di Caporetto, il 6,7,8 novembre 1917. Poi il silenzio memore della storia”.
Ora è in molti tratti franata ma i manufatti e i ponti che restano parlano della sua maestosità.
 

  A.n.a Ass.Naz. Alpini Spilimbergo De Carli Bruno: Lo stato d' animo delle truppe era di profonda depressione e scoramento in quanto il cerchio del nemico si stava chiudendo e l' unica via di scampo era di tentar di guadagnar la salvezza lungo la direttrice Pielungo-Pradis-Clauzetto . dal diario di un ufficiale si legge: ˙Commovente fu l' occupazione del paese da parte del nostro Battaglione del quale parecchi erano nativi di Pielungo . Quelli del posto entravano nelle proprie case a riabbracciare i loro cari e poi in fretta tornavano in linea per continuare a combattere. Ricordo con vero orgoglio di italiano quella gente che senza paura ci seguì per un tratto di strada aiutandoci a portare i carichi e incitandoci alla lotta. Sembra incredibile che le truppe germaniche, così lontane dalle loro basi, riuscissero a passare dalla Val d' Arzino alla Val Meduna risalendo la Val Silisia fino alle Tronconere , dimostrando un' eccezionale conoscenza topografica. Eppure fu proprio così: la loro ricognizione aerea aveva stampato migliaia di foto del territorio e distribuite fino alla più piccola unità col rischio di svelare anche i piani. La sera del 6 novembre il WGB si scontrò con le difese italiane attestate a Forcella Clautana , con alcuni reparti di alpini del Battaglione Monte Canin e bersaglieri del 16° abbarbicati sulle pendici del Monte Resettum e del Monte Dosaip che segnano il colle. Nella giornata dell' 8 Claut e Cimolais furono occupate. Gli italiani lasciano una retroguardia sul passo di S. Osvaldo sovrastante Cimolais , ultimo colle verso la valle del Piave. Lo sbarramento del S. Osvaldo trovava i capisaldi sul Monte Cornetto e Lodina e per questo motivo i tedeschi tentarono l' aggiramento a destra ed a sinistra, attraverso Forcella Lodina ed attraverso casera Ferron . Chi effettuò l' attacco frontale risolutore fu il tenente Rommel. In questo assalto rischiò la pelle egli stesso, come ricorda in "Fanterie all' attacco" e per il fuoco di fucileria dovette velocemente ripararsi fra le sbrecciate mura di una chiesetta poco sotto il passo. Vinte le ultime resistenze, la strada per la valle del Piave era aperta. La sera del 9 novembre si attestò sotto Longarone per tagliare la ritirata agli ultimi italiani della 4a armata.

Strada alpini

 

Württembergischen Gebirgsbataillon
(Battaglione da montagna del Württemberg)

  Ma torniamo al dettaglio del racconto.
Forcella Clautana
Una Brigata di Alpini in retroguardia rallenta a Chievolis il cammino delle avanguardie tedesche.
- Il 6 novembre Alpini del 5°, Bersaglieri ed artiglieri oppongono strenua resistenza, arrendendosi solo quando hanno finito le munizioni.
- Martedì 7 novembre, il WGB è a Forcella Clautana. Al centro della Forcella stanno gli arditi del XVIII° reparto d'assalto, alla sinistra la 34°- 35° e 36° compagnia del battaglione alpino Val Susa, a destra, sulle pendici del Monte Resettum, due compagnie di bersaglieri del 16°, con 6 cannoni da montagna. Sono le truppe di retroguardia dei resti della 26° divisione, che hanno il compito di trattenere il nemico il più a lungo possibile. Alle 19 il primo assalto. Gli italiani si difendono con ordine, non arretrano, pur subendo gravi perdite.

Dal diario di Rommel: "Concedo un po' di riposo ai miei uomini e nel frattempo vado a dare una occhiata... Riesco a trovare degli appostamenti favorevoli per le mitragliatrici, distanti poche centinaia di metri dal passo" si replica a mezzanotte col buio. Ancora Rommel: ".. sono scocciato. E' il primo assalto dall'inizio della guerra che mi va male. Duro lavoro di ore andato in fumo. Una ripetizione dell'azione sembra senza speranza."

Dipende dalla 1ª Brigata Jäger bavarese del Corpo alpino tedesco (Alpenkorps) inquadrata nel III Corpo bavarese Stein
Comandante: Maggiore Theodor Sproesser
Era composto da:
- Comando di battaglione
- Compagnia trasmissioni
- Compagnia mortai leggeri da trincea
- Compagnia complementi
- 3 reparti (Abteilungen) formati cd. da 2 compagnie da montagna e da una compagnia mitragliatrici
Comandanti di reparto: Tenente Erwin Rommel, Tenente Schiellein, Tenente Wahrenberger
  Nella giornata dell’8 novembre erano confluiti nella zona di Cimolais molti reparti superstiti del XII C.d.A. Preclusa ogni possibilità di scendere verso la pianura. Tutti i superstiti delle battaglie di Pradis, di Meduno, di Tramonti, di Barcis e di Forcella Clautana avevano tentato di raggiungere la Valle del Piave per unirsi alla 4a Armata. Da poco erano passate le salmerie della 36a e della 63a divisione con la 155a compagnia del M. Canin e 4 battaglioni della brigata Benevento (della 36a), che avevano lasciato la Val d’Arzino il giorno 5 ed erano scesi a Claut per la Forcella Caserata; erano seguiti poi i difensori della Forcella Clautana (colonna Danise della 26a divisione), che provenivano dalla Val Meduna e avevano per due giorni contenuto l’attacco nemico sul valico che si apre sulla conca di Claut; infine la colonna De Negri, risalita da Barcis lungo la Val Cellina. Le condizioni degli uomini erano al limite della resistenza, le munizioni stavano esaurendosi. Forse mancò anche un Comando presente sul posto e capace di tempestive decisioni; infatti il Comando del XII Corpo d’Armata e anche quello della 26a erano già a Longarone e non esisteva alcun sistema di collegamento, di catena comando. Considerata l’impossibilità di ogni tentativo di difesa nella piana di Pinedo (confluenza della Val Cimoliana e della Val Settimana con la Val Cellina), fu accelerato il ritiro, mentre fu inviato solo un modesto contingente (2 compagnie del X battaglione del 7° bersaglieri della 4 Armata al comando del maggiore Omero Santini), per un’estrema resistenza sul Passo di S. Osvaldo, ultimo valico prima di scendere lungo la Val Vajont nella Valle del Piave. Il X battaglione bersaglieri faceva parte di un dispositivo di retroguardia creato dal generale Marocco della fortezza Cadore Maè con il 38° Btg. bersaglieri, gli alpini del Fenestrelle, e 2 battaglioni del 46° fanteria.
     

  - Mercoledì 8 novembre, nel buio pesto, una pattuglia tedesca sale a Forcella Clautana per saggiare la resistenza italiana ed ha una sorpresa: il passo è vuoto, nessuna traccia dei difensori che hanno approfittato della notte per sganciarsi. Riprende l'inseguimento, i tedeschi alle 14 entrano a Claut dove una pattuglia dell'8° bersaglieri, 2 ufficiali e 30 uomini, tenta una resistenza subito vinta. Intanto la ritirata della retroguardia italiana prosegue, ordini e contrordini si susseguono: viene approntata una nuova linea di resistenza al passo di San Osvaldo sopra Cimolais, l'ultimo prima di Longarone. La sera dell'8 il gruppo del maggiore Sproesser raggiunge l'avanguardia di Rommel a Cimolais.
- Giovedì 9 novembre, freddo e neve che taglia la faccia, alle 5 del mattino le truppe da entrambe le parti sono in attesa. Di fronte al passo San Osvaldo ancora Rommel e la sua avanguardia, mentre un’altra compagnia tenta l'aggiramento passando sui roccioni alti del Monte Cornetto: è un disastro. La neve fresca tradisce gli attaccanti che scivolano nei dirupi. La linea di difesa italiana è composta solo da due compagnie Bersaglieri del X battaglione (7°), che viene investito dalle raffiche delle mitragliatrici sui lati e di fronte, mentre le truppe tedesche si fanno sotto. Alle 9,45 gli attaccanti riescono a penetrare ed a disorganizzare la difesa e catturano 4 ufficiali e 120 soldati, gli altri si ritirarono verso Longarone.

Estratto degli ordini emanati dal comando di battaglione verso mezzanotte: « Mentre la 3 compagnia attaccherà al mattino del 9 novembre, partendo dal margine occidentale di Cimolais, i distaccamenti del battaglione da montagna del Wùrttemberg aggireranno le posizioni nemiche a ovest di Cimolais seguendo i percorsi a fianco indicati: distaccamento Rommel (la e 2a compagnia fucilieri, l compagnia mitraglieri). passando per il monte Lodina (salirà in quota prima dell’alba); distaccamento Schiellein (4a e 6 compagnia fucilieri, 2a compagnia mitraglieri), passando per il monte Cornetto (1793) - monte Certen (1882) - Erto; distaccamento Gossler (5a compagnia fucilieri, 3a compagnia mitraglieri), passando per Quota 995 - Quota 1483 - Erto ».

  Rommel: Comincia già a far buio quando raggiungiamo la sponda orientale del torrente Celina, subito a est di Cimolais. Il letto sabbioso del corso d’acqua, largo varie centinaia di metri, è quasi asciutto. Sembra che il nemico si sia allontanato nella direzione di Longarone. La località di Cimolais, a quanto pare, non è occupata dall’avversario. Con i ciclisti varco il torrente su di un ampio fronte. Non si sente un solo colpo di fucile. Subito dopo, il tenente Streicher ed io entriamo a cavallo a Cimolais. Il sindaco ci saluta con squisita cortesia. Dice che è stato già preparato tutto per le truppe tedesche. Poi vorrebbe consegnarmi subito la chiave del municipio. Dobbiamo fidarci di lui? Che non si tratti di una trappola del nemico?. Tanto per essere sicuro, mando alcuni ciclisti a perlustrare un tratto della strada che in direzione ovest porta a Longarone.

Il distaccamento Rommel, stanco morto, entra nel paese e si accantona nella parte sud. (Se non s'è capito Rommel parla di se sempre in terza persona)

Ponte Colomber prima che venisse costuita la diga sul Vajont

Anche la strada militare che dalle pendici di Roeda si incunea lungo il fianco sinistro della valle del Vajont venne costruita tra il 1911 e il 1912. Il tracciato, scavato in roccia a colpi di mina, collegava Erto a Longarone attraverso Dogna. Lo scavalco della gola fu realizzato mediante un’ardita struttura in cemento armato, il Colomber (vedi sopra), che si guadagnò allora la fama del ponte più alto d’Italia (135 metri). Il Ponte verrà poi eliminato dalla diga che si innalzerà a 270 metri.

 
Elementi di sicurezza vengono disposti sulla strada di Longarone e sulla mulattiera che porta a Fornace. Gli alloggi sono decenti, il vitto abbondante. Dopo le enormi fatiche sopportate dai fucilieri (32 h ininterrotte di combattimento e marcia) alcune ore di sonno sono indispensabili per ridare a questi uomini il vigore combattivo. Chissà che cosa ci aspetta nella valle del Piave distante ormai solo dieci chilometri? Nella parte nord di Cimolais si accantonano il comando del battaglione da montagna del Wurttemberg, la compagnia collegamenti, il distaccamento Schiellein (4a e 6a compagnia fucilieri, 2a compagnia mitraglieri) e il I battaglione IR 26° reggimento fucilieri. Quest’ultimo provvede alle misure di sicurezza in direzione nord. Nel frattempo è calata la notte. I ciclisti del distaccamento Rommel agli ordini del tenente Schoeffel segnalano che il nemico ha preso posizione sulle pendici del monte Lodina (1996 metri) e del monte Cornetto (1793 metri) e si sta trincerando alacremente. La segnalazione viene inoltrata al comando di battaglione.
  L’arrampicata notturna sul massiccio montano roccioso e dirupato, alto 2.000 metri (1400 di dislivello), con il distaccamento Rommel completamente esausto mi appare irrealizzabile. Perciò mi reco poco dopo mezzanotte dal maggiore Sproesser e lo prego di modificare l’ordine. Gli propongo di attaccare frontalmente al mattino del 9 con tutto il distaccamento. Il maggiore Sproesser modifica parzialmente di malavoglia, l’ordine nel senso che solo una compagnia del distaccamento Rommel deve effettuare l’aggiramento del monte Lodina, mentre le altre compagnie rimangono a mia disposizione per l’attacco frontale.
     

ROMMEL A LONGARONE
Il blocco della Valle del Piave era cosa fatta la mattina di venerdì 10 (ore 7). Così scriveva Rommel nel bollettino del 10 novembre 1917: «200 ufficiali. 8mila uomini. 20 cannoni da montagna. 60 mitragliatrici. 250 carri carichi. 600 bestie da somma. 12 camion. Perdite 1 morto, 1 ferito grave, 1 ferito leggero. Tempo soleggiato, sereno, freddo». Ma prima che lui giunga a Pirago gli italiani fanno saltare il ponte sul Maè. Quando gli uomini di Rommel, superato l'ostacolo si dirigono verso le porte del paese, uno spettacolo indimenticabile li accoglie: il S.ten Schoeffel, uno dei militari da poco fatti prigionieri, sventola la resa firmata dal comandante la guarnigione di Longarone. Inizia, il sacco di Longarone, dettato da una fame e una stanchezza che ha origini lontane. Perdite dalla partenza alla presa di Longarone sempre secondo le sue memorie: 6 morti 2 feriti gravi 19 feriti leggeri 1 disperso. Rommel resterà in Italia ancora 2 mesi per scontrarsi sul Grappa col dispositivo di difesa italiano approntato da tempo. Dal 15 novembre al 19 dicembre i tedeschi del WGB tentarono più volte di prendere il sopravvento sulle difese italiane. Queste erano imperniate, oltre che sui soldati francesi sul Tomba, sugli alpini del Feltre già comandati dal capitano G. Nasci e dal Gruppo alpino Val Majra e Monte Avernis ora comandati dal T. Col. Gabriele Nasci (il generale Nasci comanderà poi nel '42 il Corpo d'armata alpino in Russia). Dopo ripetute azioni,intervallate da riposi (l'ultima si ha all'inizio dell'anno nuovo), il Wgb viene ritirato.

 

IL PONTE DEL COLOMBER - troppo facile

I fucilieri avanzano ansimanti sotto il peso degli zaini, delle mitragliatrici leggere e pesanti. Il distaccamento Rommel raggiunge ormai una lunghezza di vari chilometri. Ogni fuciliere sa che deve mettercela tutta per superare il nemico, che il successo dipende dalla velocità dell’inseguimento. Dopo Erto la valle si restringe di nuovo. La strada scende verso la gola del Vajont. Quattro chilometri ci separano ancora dalla valle del Piave, il nostro obiettivo. Davanti a noi si stende la parte più difficile del terreno: la gola del Vajont, lunga 3,5 km e straordinariamente profonda e stretta. La strada, scavata con le mine nelle pareti rocciose verticali, alte 2/300 metri, prosegue all’inizio sul lato nord. Il centro della gola è attraversato da un ponte lungo 40 metri, 150 metri al di sopra del torrente montano che scende rombando verso la valle. Vi sono varie gole laterali, tutte superate da ponti (piccoli). Spesso la strada s’infila in lunghe gallerie. Una bella mina nel punto adatto basterebbe per sbarrare per vari giorni la strada verso Longarone. Anzi, una sola mitragliatrice, piazzata all’ingresso di una delle gallerie, potrebbe trattenerci per molto tempo. A dir la verità, tutto questo avrei potuto rilevarlo dalla lettura della carta topografica, ma finora non ho avuto tempo di studiarla a fondo.
Attraversata Erto, i ciclisti hanno un notevole vantaggio sugli uomini a cavallo a causa della strada in ripida discesa. Nei pressi di una svolta della strada essi superano altri gruppi di italiani. Poi scompaiono alla nostra vista. Poco dopo udiamo degli spari. Più lontano nella gola vediamo un’automobile italiana dirigersi verso ovest. Scendiamo con i cavalli alla velocità massima consentita dalla strada in ripida discesa e ci inoltriamo nella prima galleria che è completamente buia. Poi una formidabile esplosione poche centinaia di metri più avanti a momenti ci scaraventa a terra. Avanziamo a tentoni nella galleria priva di luce, per di più piena di italiani, come scopriremo più tardi, verso l’uscita. Cinquanta metri più a ovest vediamo il risultato dell’esplosione. Ai nostri piedi si apre una profonda voragine. Il nemico è riuscito a far saltare in aria il ponte che varcava una gola laterale della valle del Vajont.
Superiamo i resti del ponte saltato in aria e risaliamo il versante opposto raggiungendo la strada. All’estremità nord del ponte che con un solo arco supera la gola del Vajont troviamo i ciclisti al riparo della casa cantoniera. Questi sono impegnati in uno scontro a fuoco con la scorta di un autocarro italiano che poco prima si era infilato nella galleria al di là del ponte. Tutto sta a indicare che si tratta di un gruppo di guastatori italiani che ha il compito di far brillare le mine predisposte nei fornelli delle varie opere nella gola del Vajont. I ciclisti riferiscono brevemente di aver superato il ponte minato parecchi secondi prima dell’esplosione, e che il sergente Fischer è saltato in aria con il ponte nel tentativo di strappare la miccia accesa dalla carica esplosiva.
Alle due estremità distinguiamo benissimo le cariche sistemate nei profondi fornelli rettangolari nel bel mezzo della carreggiata. Che le micce siano già accese? Il nemico al di là del ponte cessa il fuoco e non si fa più vedere all’ingresso della galleria. Che si sia ritirato? Se il ponte davanti a noi dovesse saltare in aria, ci vorranno forse, alcuni giorni prima di raggiungere la valle del Piave pur così vicina. Si tratta di agire rapidamente. Al sergente Brùckner della 2a compagnia, che so un combattente particolarmente audace e coraggioso, do il seguente ordine: “Prenda un’ascia, superi a balzi il ponte e tagli tutte le condutture elettriche che raggiungono il ponte. Non appena lo avrà fatto, la raggiungeremo e cammin facendo strapperemo le micce “. Poiché vari cavi pendenti nel vuoto raggiungono il ponte, temo che gli italiani provochino il brillamento della mina con una scarica elettrica. Il sergente Brùckner, un combattente veramente in gamba, esegue immediatamente l’ordine. Quando cade l’ultimo cavo, avanzo correndo con i ciclisti, strappando man mano le micce dalle cariche. Il ponte cade così indenne nelle nostre mani.
L’avanzata verso la valle del Piave continua con la massima fretta. Dobbiamo impedire ai guastatori nemici di effettuare altri brillamenti. Il sergente Brùckner ci precede con alcuni ciclisti. Il distaccamento a tergo riceve l’ordine di accelerare il passo al massimo. Attraversiamo altre gallerie. La strada scende man mano verso lo sbocco della valle. La parete di roccia a picco nella quale è stata ricavata raggiunge ora un’altezza di quattrocentocinquanta metri. Davanti a noi, là dove si trova la pattuglia Bruckner, non si sente sparare, il sergente deve aver raggiunto lo sbocco della gola.
Alle 11 anch’io raggiungo con vari ciclisti e fucilieri della 3a compagnia e del comando del distaccamento, complessivamente dieci moschetti, lo sbocco della gola del Vajont, un chilometro a est di Longarone. Ai nostri occhi si offre un panorama di incomparabile bellezza: la valle del Piave si stende ai nostri piedi sotto la vivida luce del sole meridiano. Centocinquanta metri più in basso scorrono le acque verde chiaro del fiume montano nell’ampio letto roccioso, diviso in molti rami. Sull’altro versante Longarone, una cittadina di forma allungata, e alle spalle di essa di nuovo roccioni alti come campanili che raggiungono i duemila metri. Il ponte sul Piave è attraversato proprio in quel momento dall’automobile dei guastatori italiani. Sulla grande strada nel fondovalle, lungo la sponda occidentale del Piave, sfila un’interminabile colonna nemica composta da elementi di tutte le armi che, proveniente dalle Dolomiti nel nord, attraversa Longarone dirigendosi verso sud. Longarone e la sua stazione ferroviaria nonché la località di Rivalta rigurgitano di truppe e di colonne di veicoli parcheggiati. Pochi soldati si sono visti offrire durante la guerra mondiale, credo, quanto a noi si offre ora nella valle del Piave. Migliaia di nemici che si ritirano ancora ordinatamente in una valle non troppo larga ignari del pericolo che li minaccia sul fianco. I nostri non stanno nella pelle …….
Rommel da Fanterie all’attacco 17 giorni dopo l'inizio dell’offensiva.

     

MG 8/15 brandeggiabili

 

Rommel negli anni '40 trasse profitto dal fatto che le sue campagne precedenti avevano comportato operazioni fluide e mobili. Coglieva al volo qualsiasi opportunità. In tutto il corso della sua vita riuscì sempre a prendere rapidamente le decisioni, agire con determinazione e come diceva Liddel Hart "di ricordare con chiarezza e raccontare con vivacità !!!" (Liddel Hart si riferisce forse a quella degenere abitudine di scrivere le proprie memorie che è la cosa peggiore che una persona possa fare Lidell Hart compreso. A questa tentazione non sfuggì neanche Rommel. Lo aveva fatto Garibaldi raccontandoci un sacco di panzane e lo fanno sempre in molti con lo stesso risultato).

Cominciava già a delinearsi in lui anche quella tendenza alla precipitazione per cui in seguito sarebbe stato criticato. La sua presenza in prima linea e a volte oltre fu una costante anche da Feldmaresciallo " Dove c'è Rommel, c'è il fronte" si diceva. Questo era il credo di Rommel. Vincere una battaglia magari non decide le sorti della guerra, ma perderla non porta a nessun risultato.

 

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