Documento Cgil Cisl Uil sulla  Riforma dei Servizi Pubblici Locali

 

 

            Si ritiene indispensabile un processo di qualificazione e di sviluppo dei servizi pubblici locali, specie nel Mezzogiorno, per elevare i livelli di convivenza civile per i cittadini e per aumentare la competitività delle imprese, rendendo più attrattivi i territori.

A questo fine si condivide l'impostazione della riforma della 142/90, che prevede la gestione dei servizi in forma di impresa, escludendo i servizi a contenuto sociale.

            Il d.d.l. (A.S. 4014) avvia processi di radicale riorganizzazione in una fascia di servizi definiti di rilevanza industriale (energia, gas, trasporti locali, ciclo dell'acqua e dei rifiuti solidi) con il fine di accrescere la competitività delle aziende ed il livello qualitativo dei servizi erogati, perché servizi più efficienti costituiscono l'indispensabile premessa per indurre nei territori condizioni più favorevoli allo sviluppo delle imprese e per attrarre investimenti.

            Il testo definisce una chiara distinzione tra la gestione ed i compiti del controllo sulla gestione; assegna, per quest'ultima, precise responsabilità agli enti locali, mentre la gestione viene regolata dalle norme del codice civile. Cessa, quindi, la commistione tra ruoli e compiti che, spesso a livello locale, ha prodotto una scarsa visibilità dei criteri di gestione in assenza di esplicite funzioni di controllo.

Per quanto riguarda i servizi pubblici a rilevanza imprenditoriale e commerciale (energia, gas, trasporti locali, ciclo dell'acqua e ciclo dei rifiuti solidi), si ritiene che la liberalizzazione, ovvero la concorrenza per il mercato, richieda un preventivo processo di industrializzazione dei settori dei servizi, che consenta alle imprese pubbliche, trasformate in S.p.A., ed alle aziende private di concorrere a parità di condizioni.

            Questo processo di liberalizzazione, governato da una riforma degli articoli 22 e 23 della legge 142/90, non implica necessariamente una contestuale privatizzazione della proprietà delle società per azioni, derivanti dalla trasformazione delle imprese pubbliche, in quanto le decisioni nel merito della privatizzazione delle S.p.A. sono delegate alle valutazioni degli Enti locali. Inoltre il d.d.l. non deve imporre, esplicitamente od implicitamente, decisioni concernenti la destinazione del patrimonio degli Enti locali, sulle quali va garantita l'autonoma determinazione degli Enti stessi.

Si ritiene, comunque, che le regole sulle privatizzazioni debbano essere riviste profondamente, dopo le recenti negative esperienze, in modo da tutelare, nei servizi di pubblica utilità, gli assetti industriali e la qualità del servizio in caso di cessione del controllo della società e, quindi, nel caso della sua contendibilità nel mercato finanziario.

In base a queste premesse, si esprime un giudizio di inadeguatezza sullo schema di d.d.l., approvato dal Consiglio dei Ministri e presentato al Senato,  in particolare sulla strumentazione per la qualificazione della domanda di servizi, per la politica industriale di crescita competitiva delle imprese pubbliche e private e per la valorizzazione del lavoro e la tutela dei lavoratori. Tale inadeguatezza deriva anche dal limite di impostazione del d.d.l. stesso, che affronta la tematica dei servizi pubblici locali solo dal punto di vista istituzionale.

Per la indispensabile aggregazione della domanda, non si può continuare ad ignorare, sul piano istituzionale, la contraddizione tra la frammentazione degli enti locali e l'individuazione territoriale di ambiti ottimali di gestione dei servizi locali. I sistemi di incentivazione dell'associazione dei comuni devono essere più incisivi, come previsto, in generale, dall'art. 6 del d.d.l. di riforma delle autonomie locali (ex 1388) in fase di approvazione alla Camera dei Deputati (A.C. 4493A), determinando da un lato convenienze per i comuni (ad es. attraverso incentivi fiscali) e dall'altro lato utilità per i cittadini sul piano sia tariffario, che qualitativo dei servizi. E' opportuno che, sulla base dell'esperienza della legge 36/94, si estenda il concetto di ambito ottimale agli altri servizi.

La ridefinizione dei contenuti quantitativi e qualitativi dei servizi, che deve essere la premessa dei riassetti industriali e aziendali, impone agli enti locali un rapporto concertativo preventivo con le parti sociali, per costruire le base di consenso al processo di riforma. Anche nel caso dei servizi pubblici locali, esiste la necessità di affidare ad un soggetto terzo, indipendente e dotato di poteri, con le caratteristiche di una vera e propria Autorità, le funzioni di tutela degli utenti, di vigilanza sulla qualità del servizio ed, ove necessario, di definizione del sistema tariffario.

La politica industriale è praticamente assente dal d.d.l. perché non propone una strumentazione adeguata ed incisiva per la costruzione di imprese, capaci di gestire i cicli integrati dell'acqua o dei rifiuti solidi urbani, l'insieme delle attività della mobilità; mancano incentivi, diretti alle aziende, verso la fusione, sia per crescere sul piano dimensionale, sia per aggregare parti di ciclo produttivo, sia per favorire la domanda di tecnologie.

Considerando che l'apertura alla concorrenza metterà a dura prova le imprese italiane, occorre che la fase transitoria venga indirizzata alla crescita non solo dell'efficienza delle singole gestioni, ma anche della competitività delle più grandi aziende pubbliche e private, al fine di sostenere al momento delle gare, la concorrenza dei grandi gruppi stranieri, ferme restando le norme sulla reciprocità. Inoltre il processo di industrializzazione deve essere supportato da un programma di investimenti di adeguamento e diffusione delle reti infrastrutturali e di ammodernamento tecnologico delle aziende, impegnando a questo fine anche quote consistenti dei Fondi strutturali 2000 - 2006.

L'approccio al superamento delle gestioni in economia è altrettanto debole, di quanto evidenziato per l'incentivazione dell'associazione dei comuni; ritenendo che va esclusa la proliferazione di piccole S.p.A., una per ogni ex-gestione in economia, deve essere privilegiata, nella fase transitoria, la sola ipotesi dell'affidamento diretto ad una azienda già esistente nell'ambito o nel bacino, al fine di favorirne il rafforzamento competitivo.

La questione dei tempi della trasformazione, in relazione agli obiettivi sopra indicati, assume un peso decisivo; pertanto i tempi della transizione, nella quale si confermano gli affidamenti diretti o si limitano le concessioni in essere, devono essere adeguati ai tempi della riqualificazione tecnico-produttiva e del risanamento economico.

Per quanto riguarda i tempi previsti per gli affidamenti mediante gara, è necessario individuare una normativa più flessibile, che consenta, nelle diverse realtà territoriali, un più corretto equilibrio tra l'entità degli investimenti infrastrutturali necessari a riqualificare il servizio e la giusta sollecitazione dell'efficienza nella gestione operativa del servizio.

Infine si conferma la necessità, che, in coerenza con il protocollo di intenti per il Giubileo, le scadenze previste per la trasformazione delle aziende e delle gestioni in economia vengono spostate dal 30 giugno 2000 al 30 giugno 2001.

La valorizzazione del lavoro e delle professionalità, essenziale per la crescita della qualità dei servizi, deve essere obiettivo esplicito della riforma, sia nella fase transitoria, che negli assetti a regime determinati dalle gare.

In primo luogo la concorrenza per il mercato non deve essere fatta in condizioni di dumping sociale, pertanto le gare dovranno essere svolte sulla base del contratto di settore, che dovrà essere definito nella fase transitoria, unificando gli attuali contratti pubblici e privati.

In secondo luogo la ristrutturazione delle imprese, nella fase transitoria, dovrà prevedere una riorganizzazione del lavoro, delle normative e delle forme di retribuzione, legate alla produttività ed alla qualità del servizio.

In terzo luogo dovranno essere attivati adeguati strumenti a carattere settoriale, orientati ai processi di qualificazione professionale ed alle politiche attive del lavoro, al fine di consentire l'attenuazione degli impatti sociali delle ristrutturazioni.

Nella fase transitoria, la tutela del personale delle gestioni in economia, che dovrà transitare in aziende esistenti o costituite ad hoc, dovrà trovare adeguata copertura normativa nella legge.

In questo contesto i regolamenti dovranno prevedere una fase di concertazione tra gli Enti locali e le parti sociali prima della attivazione della gara sui contenuti del servizio e sui criteri di selezione delle imprese ammesse.

Inoltre in caso di subentro, dopo la conclusione di una gara, di un nuovo soggetto gestionale, la riforma dovrà prevedere, come per gli investimenti e gli ammortamenti, la continuità occupazionale ed il riconoscimento dall'assetto della contrattazione aziendale, consolidato al momento della gara.

L'ampiezza dell'impatto della riforma della gestione dei servizi pubblici locali e dei problemi politici, ancora irrisolti dal d.d.l. governativo, impegna il sindacato a tutti i livelli ad una adeguata e coordinata iniziativa politica nei confronti degli Enti locali e delle imprese per far maturare le condizioni di un dibattito parlamentare tempestivo, ma anche efficacemente modificativo.

Per queste ragioni e con questi obiettivi, si attiveranno confronti di merito con le rappresentanze delle autonomie locali (ANCI, UPI, CINSEDO) e con le rappresentanze delle imprese (CISPEL, CONFINDUSTRIA) per valutare le possibili convergenze al fine di creare le condizioni per un reale ed efficace processo riformatore.

 

 

Roma, 6 luglio 1999