Movimento femminile culturale
e religioso anti-femminista
PROCREAZIONE MEDICALMENTE
ASSISTITA (PMA): LA REALTÀ.
Le tecniche di PMA sono:
1.l’inseminazione intrauterina
(IUI);
2. il trasferimento
intratubarico dei gameti (GIFT);
3. il trasferimento
intratubarico dello zigote ottenuto in vitro (ZIFT);
4. la fecondazione in vitro
(FIV) con trasferimento in utero degli embrioni (ET); 4 bis. la stessa ottenuta
tramite l’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI).
A. I RISCHI PER I NATI DA TECNICHE DI PROCREAZIONE
MEDICALMENTE ASSISTITA (PMA)
Quanto previsto dalla legge 40/2004 -e cioè che “il ricorso alla
PMA è consentito solo
quando
sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della
procreazione”
(art.4 comma 1) – è ampiamente motivato non solo dal fatto che le
procedure di PMA comportano
un alto impegno psicologico e fisico (soprattutto per la donna) e
costi elevati, ma anche e
soprattutto dai rischi per la salute del nascituro, in parte
accertati ed in parte intravisti ma non per
questo irrilevanti.
Rischi che accomunano tutte le tecniche di PMA
I rischi che accomunano tutte le tecniche di PMA, dalle più
semplici (IUI in ciclo stimolato)
alle più complesse (FIV, con o senza ICSI), derivano dalla
stimolazione delle ovaie volta ad
ottenere la maturazione di più oociti (superovulazione). Questi
sono il ben noto rischio di
iperstimolazione ovarica ed ancor più il rischio di gemellarità o
multigemellarità. Quest’ultimo è
più elevato nelle procedure più semplici, che possono portare alla
fecondazione “in vivo” di più
oociti, ed anche in caso di fecondazione in vitro quando la
paziente sia giovane. Come ben noto la
gemellarità e la multigemellarità comportano maggiori rischi di
aborto, di malformazioni, di
inadeguato sviluppo e di parto pretermine (con le conseguenze di
maggior mortalità e morbilità che
questo comporta).
Queste
e altre eventuali conseguenze della superovulazione (si veda oltre) potranno
essere
ridimensionate
(a parte il rischio di gemellarità nelle donne più giovani, che potrà essere
contenuto
ottenendo
non più di due embrioni) dalla norma che impone non vengano ottenuti più di tre
embrioni
(art. 14 comma 2). Si dovrà puntare infatti su stimolazioni più blande volte ad
ottenere
solo
3-4 oociti di buona qualità. Questo comporterà anche altri vantaggi di ordine
biologico e
clinico.
Infatti una stimolazione ovarica massimale comporta una serie di problemi:
alterata
recettività endometriale per livelli estrogenici soprafisiologici
(Simon et al, 1995), elevata
percentuale di oociti in grado di dare embrioni con anomalie
cromosomiche (Reis Soares et al,
2003), più elevato rischio di aborto (Wang et al, 2004). Nell’insieme, questi dati danno
plausibilità
al
rilievo che una procedura FIV volta ad ottenere non più di tre embrioni
presenta un tasso di
successo
simile (nel ciclo di trattamento) a quello ottenibile con inseminazione di un
numero
maggiore
di oociti (Gruppo PMA della SIdR, 2004). [si veda anche: B. Non più di
tre embrioni
nelle procedure di fecondazione
in vitro (FIV): quali conseguenze?]
2. Rischi evidenziati con le procedure di FIV
2.1. Problemi perinatali
Le
prime segnalazioni di una maggior frequenza di problemi perinatali, per
iposviluppo
fetale
e parto pretermine, risalgono a 10-15 anni fa (Saunders et al, 1994; Tan et al,
1992; Wang et
al,
1994; Tanbo et al, 1995; Gissler, 1995). Sono state poi confermate, in
modo coerente, da
numerosi altri studi. Tra questi il più importante è quello
pubblicato da Schieve et al (2002), che,
rifacendosi a 42.463 bambini concepiti tramite procedure complesse
di PMA (FIV-ET, ma anche
ZIFT e GIFT di tipo omologo o eterologo), ha evidenziato, anche
per gravidanze non gemellari
conclusesi a termine, un rischio più che raddoppiato di basso
peso. Una recente meta-analisi
(Jackson et al. 2004), ha rielaborato i dati derivanti da altri
quindici studi (considerati, tra i molti, i
più validi) relativi a 12.283 gravidanze non gemellari, tutte con
concepimento ottenuto tramite FIV
(ICSI compresa). Ne è emerso, anche quando le gravidanze non
siano gemellari, un maggior
rischio: a. che il feto sia piccolo per l’età gestazionale (rischio
aumentato del 60%); b. che il parto
sia fortemente pre-termine, a meno di 33 settimane (rischio
triplicato), o pre-termine (rischio
raddoppiato); c. che il bambino abbia alla nascita un peso molto
basso, meno di 1,5 kg (rischio
quasi triplicato), o basso, meno di 2,5 kg (rischio quasi
raddoppiato); d. di mortalità perinatale
(rischio raddoppiato) (Jackson et al, 2004). Dati sostanzialmente
sovrapponibili sono emersi da
un’altra recente revisione di 25 studi (Helmerhost et al, 2004). Anche gli studi più recenti
confermano,
per le gravidanze singole, una precisa tendenza alla prematuranza e al basso
peso
(Katalinic
et al, 2004; Mc Govern et al, 2004; Schieve et al, 2004a), anche se in uno di
questi è stata
osservata
una riduzione del rischio di basso peso a termine di gravidanza nei bambini
concepiti nel
2000
(rischio aumentato del 39%) (Schieve, 2004a) rispetto ai bambini concepiti nel
1996-1997
(rischio
raddoppiato) (Schieve 2002). Infine, due studi hanno evidenziato un maggior
rischio di seri
danni
neurologici, quali la paresi spastica (rischio, nell’insieme, pressochè
raddoppiato) (Strömberg
et
al, 2002; Lidegaard et al, 2005), non rilevato da altri (Bonduelle et al,
2005).
E’ probabile che per una parte, difficilmente definibile (Buck
Louis et al. 2004) ma
comunque abbastanza rilevante,
l’aumento dei rischi su ricordati sia attribuibile all’uno o all’altro
tra i numerosi fattori che possono essere alla base delle
situazioni di sterilità o subfertilità (Lambert,
2003; Kovalevsky et al, 2003; Schieve,
2004b). Infatti
un più basso peso alla nascita , una maggiore
tendenza
al parto pre-termine ed un aumento della mortalità perinatale è stata
evidenziata in coppie
subfertili
in cui la gravidanza si sia verificata spontaneamente o con trattamenti che
prescindevano
da
procedure complesse di PMA (Williams et al, 1991; Mc Elrath e Whise, 1997;
Draper et al,
1999; Basso e Baird, 2003; Gleicher, 2003).
E’ anche probabile tuttavia che, per un'altra parte, siano in
causa fattori legati alla
superovulazione e/o alla procedura di FIV. Infatti il rischio di
basso peso a termine di gravidanza è
risultato aumentato anche quando i bambini erano stati concepiti
con gameti di “donatori” fertili, o
(se pur in modo non significativo) quando erano stati “portati”
nell’utero di donne sane (Schieve et
al, 2002). E’ ipotizzabile che alla base di un inadeguato sviluppo
fetale vi sia una disfunzione
placentare in qualche modo derivante dalle procedure complesse di
PMA, forse come conseguenza
di alterazioni su base epigenetica (Cetin et al, 2003;Lucifero et
al, 2004).
2.2. Malformazioni
Una maggior frequenza di malformazioni nei bimbi nati da procedure
complesse di PMA è
stata rilevata da alcuni studi già agli inizi degli anni ’90 (Rizk
et al, 1991; Licata et al, 1993), ma
non
da altri (Van Steirteghem, 1998). Queste discrepanze sono attribuibili alla
limitatezza delle
casistiche
e a problemi di ordine metodologico. Lo studio meglio impostato, pur su di
una casistica
relativamente limitata (837
bambini concepiti con IVF e 301 con ICSI), ha evidenziato un
raddoppio del rischio di malformazioni di rilievo (“maggiori”)
anche nelle gravidanze singole con
parto a termine (Hansen et al, 2002). Una recente meta-analisi,
che ha rielaborato i dati di questo e
di altri diciotto studi (arrivando a valutare 28.524 bambini
concepiti con FIV e 7.234 con ICSI), ha
evidenziato un aumento del 30% (Rimm et al, 2004). Anche secondo
altre due recenti revisioni
(effettuate dallo stesso gruppo) che hanno preso in considerazione
i risultati dei 25-26 studi più
rilevanti, l’incremento del rischio è palese (Kurinczuk et al,
2004) ed è di circa il 30-40% (Hansen
et al, 2005). Le malformazioni di cui è stato rilevato un aumento,
con differenze tra studio e studio
sono: ipospadia, altri difetti genitourinari, difetti del tubo
neurale, difetti gastrointestinali, difetti
muscolo-scheletrici e difetti cardiovascolari (Schieve et al, 2004b). Si
tratta di malformazioni in
gran
parte indipendenti da anomalie cromosomiche, e quindi non diagnosticabili nella
fase pre-impianto.
Non
è possibile definire quanto l’aumento di malformazioni sia dovuto a problemi di
base
collegati alla situazione di sterilità/subfertilità oppure alle procedure di PMA
(Rimm et al,
2004; Schieve et al, 2004b; Hansen et al,
2005). Quando è
stato pubblicato lo studio di Hansen et al
(2002),
biologi di chiara fama si sono chiesti se non potessero essere in causa fattori
legati
all’eventuale
congelamento degli embrioni (crioconservazione), procedura sulla quale non
esisterebbero
ancora dati definitivamente rassicuranti (Winston e Hardy, 2002).
2.3. Alterazioni epigenetiche
Che le procedure di FIV possano causare alterazioni epigenetiche
(disordini
dell’imprinting genomico) è noto da alcuni anni (De Rycke et al,
2002). Le
prime osservazioni si
riferiscono
a bovini ed ovini nei quali è stata identificata un’alterazione epigenetica
quale causa
della “large off-spring syndrome”. E’ stato ipotizzato che un
analogo meccanismo possa causare
anomalie
dello sviluppo fetale, quali il basso peso alla nascita, nei bambini concepiti
con FIV (De
Rycke et al, 2002; Thompson et al, 2002;
Cetin et al, 2003). Il
dubbio che anche in campo umano la
FIV,
con o senza ICSI, possa determinare alterazioni epigenetiche si è avuta a
partire dal 2003. In
tale anno sono stati pubblicati tre studi, uno britannico, uno
statunitense e uno francese che
evidenziano una maggior
frequenza di casi di sindrome di Beckwith-Wiedemann (macrosomia e
malformazioni della parete addominale) dovuti ad alterazione
epigenetica (rivisti da Gosden et al,
2003). Lo stesso meccanismo è stato individuato come causa di
sindrome di Angelman (gravi
alterazioni neurologiche) in alcuni bambini concepiti con ICSI
(Gosden et al, 2003).
E’ da rilevare che alcune forme di alterazione epigenetica possono
favorire la crescita dei
tumori, attivando oncogeni o bloccando geni onco-soppressori
(Bjornsson et al, 2004; Feinberg,
2004). Una preoccupazione d’ordine biologico sul futuro impiego terapeutico
delle cellule
staminali di embrioni ottenuti con FIV sta appunto nel rischio
tumorigeno causato da difetti
epigenetici (Allegrucci et al, 2004). Lo studio di un’ampia coorte
nazionale olandese non ha
evidenziato
un maggior rischio tumorale in bambini concepiti con FIV tra il 1980 e il 1995
e seguiti
per
una media di sei anni dopo la nascita (Klip et al, 2001). Invece in
bambini olandesi concepiti
con FIV tra il 1995 e il 2001 è stata segnalata una maggior
frequenza di retinoblastoma (Moll et al,
2003), un tumore dell’occhio che si manifesta entro i primi
quattro anni di vita, generalmente
dovuto ad alterazioni geniche ma che potrebbe essere causato anche
da alterazioni epigenetiche
(Gosden et al, 2003; Lee et al, 2004; Niemitz
e Feinberg, 2004).
Le
alterazioni epigenetiche che sembrerebbero associate alle tecniche di PMA sono
patologie
molto rare che difficilmente emergono dalle casistiche. Tuttavia, che le
procedure di PMA
possano
causare alterazioni di questo tipo è suggerito da molti altri dati in campo
animale e
sperimentale
(Lucifero et al, 2004; Niemitz e Feinberg, 2004; Paoloni-Giacobino e Chaillet
2004).
E’
da considerare che altre alterazioni dell’imprinting genomico in grado di
causare un maggior
rischio
di alterato sviluppo e/o di neoplasie (ad es. il cancro del colon; Feinberg,
2004), potrebbero
rivelarsi
in tempi più lunghi rispetto a quelle già sospettate (Lucifero et al, 2004;
Devroey e Van
Steirteghem,
2004; Niemitz e Feinberg, 2004), tanto che queste potrebbero considerarsi la
punta di
un iceberg (Maher et al, 2003).
I dati sinora disponibili non permettono di escludere tale eventualità
anche
se, fortunatamente, i bambini seguiti per alcuni ani dopo la nascita non
sembrano mostrare
una
maggior incidenza di tumori attribuibili ad alterazioni epigenetiche (Bradbury
e Jick, 2004;
Lidegaard et al, 2005).
Anche
per questo tipo di alterazioni (che non sono diagnosticabili nella fase
pre-impianto) è
incerto
quali siano i fattori in causa. E’ possibile che le coppie sterili abbiano con
maggior
frequenza
nei loro gameti dei difetti epigenetici che vengono evidenziati dai
concepimenti ottenuti
con
PMA (Niemitz e Feinberg, 2004; Paoloni Giacobino e Chaillet, 2004; Ludwig et
al, 2005).
Tuttavia,
un rilievo potrebbero avere la coltura extracorporea degli embrioni e le altre
manipolazioni
(Lucifero et al, 2004; Devroey e Van Steirteghem, 2004; Niemitz e Feinberg,
2004;
Paoloni-Giacobino
e Chaillet, 2004) o, in alternativa, il prematuro recupero e/o il non
fisiologico
numero
di oociti causato dalla superovulazione (Lucifero et al, 2004; Niemitz e
Feinberg, 2004;
Paoloni-Giacobino
e Chaillet, 2004; Chang et al, 2005; Ludwig et al, 2005).
3. Rischi specifici della procedura ICSI.
La
procedura ICSI -oltre ai rischi elencati al punto 2, ed in particolare quelli
di alterazioni
epigenetiche
che potrebbero essere facilitati dalle manipolazioni tipiche della procedura
stessa
(Devroey
e Van Steirteghem, 2004)- comporta alcuni rischi peculiari. Innanzitutto
la possibilità di
trasmissione al nato delle alterazioni causanti l’infertilità
maschile: alterazioni cromosomiche,
microdelezioni del cromosoma Y e mutazioni causanti la fibrosi
cistica (Silber e Repping, 2002;
Kurinczuk
et al, 2003; Aittomäki et al, 2004; Devroey e Van Steirteghem, 2004; Clementini
et al,
2005).
Inoltre un maggior rischio di alterazioni cromosomiche “de novo” (Devroey e Van
Steirteghem,
2004). A parte una maggior frequenza di ipospadia (Pinborg et al, 2004;
Bonduelle et
al,
2005), anch’essa probabilmente attribuibile a fattori genetici legati alla
sterilità paterna, il rischio
di
malformazioni è non dissimile da quello della FIV senza ICSI (Hansen et al,
2005).
4. Conclusioni
Per
i bambini concepiti tramite FIV, con o senza ICSI, vi sono preoccupazioni ed
incertezze
che
è necessario considerare e di cui è doveroso informare i candidati genitori.
Esse, nell’insieme,
non
sono forse tali da distogliere dall’applicazione di queste tecniche quando
siano inevitabili per
ottenere
la gravidanza; sono indubbiamente tali da sconsigliarne l’impiego in casi in
cui esistano
ancora discrete probabilità di
risoluzione spontanea o alternative di ordine medico.
Il limite posto dalla legge 40/2004 di ottenere embrioni in numero
non eccedente quelli
trasferibili nel ciclo di trattamento, e comunque non superiore a
tre, e il contestuale divieto (fatti
salvi casi eccezionali) di crioconservazione degli embrioni, ha
ingenerato allarme ed apprensioni. Si
è sostenuto infatti che tale limitazione avrebbe fatto crollare le
probabilità di successo – impedendo
da un lato la scelta, tra molti, degli embrioni più appropriati da
trasferire nel ciclo di trattamento e
privando d’altro lato delle possibilità aggiuntive offerte dall’avere
embrioni crioconservati – con
conseguente necessità di procedere ad un numero maggiore di
stimolazioni ovariche, con rischi
ulteriori per la salute della
donna.
Come vedremo, queste apprensioni sono in larga misura infondate.
Infatti da un lato la probabilità di successo (“resa” della
procedura) si è rivelata, ed ancora di
più lo sarà nel futuro, sostanzialmente invariata a riguardo del
trasferimento di embrioni “freschi”.
Dall’altro lato la perdita delle probabilità aggiuntive offerte
dall’eventuale crioconservazione di
embrioni, nell’insieme modeste, risulterà compensata non solo dal
fatto che in alcune circostanze ci
si potrebbe avvalere del congelamento degli oociti eventualmente
in eccesso, ma soprattutto dal
fatto che le restrizioni imposte dalla legge faciliteranno la
scelta di procedure basate su di una
stimolazione ovarica di minore entità, procedure che da anni sono
raccomandate dai maggiori
esperti a livello internazionale e che sinora sono state
largamente trascurate nel nostro Paese. Ne
conseguiranno minori rischi per la salute della donna (minor
rischio di “sindrome da
iperstimolazione ovarica”) ed anche, minori apprensioni per la
salute dei nati (si veda A. “I rischi
per i nati da tecniche da PMA”).
“Given our findings, we recommend that
informed consent for women undergoing IVF should
include a discussion of possible perinatal
risks.”
· Jackson RA,
Gibson KA, Wu YW, Croughan MS. Perinatal outcomes in singletons following in
vitro
fertilization:
a meta-analysis. Obstet Gynecol 2004; 103: 551-63.
“Whatever the explanation, singletons from
assisted conception are significantly disadvantaged
compared with other singletons, but this
is substantially les so for twins. Women undergoing
assisted reproduction should be informed
of the increased risks in singleton pregnancies. With a
twin pregnancy they may be relatively
advantaged compared with other twins gestations, but this is
poor consolation for he much greater risks
of twin pregnancy overall.”
· Helmerhorst FM, Perquin DAM,
Donker D, Keirse MJNC. Perinatal
outcome of singletons and twins after
assisted
conception: a systematic review of controlled studies. BMJ 2004; 328: 261-4.
“ For the moment, consultation of
infertile couples undergoing any infertility treatment should
include data on pregnancy course,
pregnancy outcome, and major malformation risk. Couples must
be counselled that there is an increased
risk of complication in any of these three parameters as
compared with for pregnancies
spontaneously conceived in fertile relationships. This risk seems
mainly to be related to background risk
factors. A procedure-linked risk. However, cannot be
excluded at the moment.”
· Katalinic A,
Rösch C, Ludwig M. Pregnancy course and outcome after intracytoplasmic sperm
injection: a
controlled,
prospective cohort study. Fertil Steril 2004; 81: 1604-13.
“The results of our systematic review and
meta-analyses suggest that infants born following ART
treatment are at increased risk of birth
defects, compared to spontaneously conceived infants. This
information should be made available to
couples seeking ART treatment.”
· Hansen M, Bower C, Milne E,
deKlerk N, Kurinczuk JJ. Assisted
reproductive technologies and the risk of
birth defects-a systematic review. Hum Reprod
2005; 20: 328-338.
C. GENETICA/EUGENETICA NELLA PROCREAZIONE
MEDICALMENTE ASSISTITA. LA DIAGNOSI PREIMPIANTO.
La
diagnosi genetica reimpianto (Preimplantation Genetic Diagnosis, PGD) consiste
nell’analisi
delle qualità genetiche degli embrioni concepiti in vitro, prima dell’impianto
nell’utero
della
madre; lo scopo di tale
metodica è scartare gli embrioni che presentano una possibile anomalia
genetica e selezionare per il
trasferimento solo quelli che posseggono le caratteristiche desiderate
dai genitori. E’ evidente che
il diffondersi delle procedure di procreazione medicalmente assistita
(PMA) tende ad incoraggiare
l’uso di queste tecniche sostenendo un tipo di mentalità eugenetica
che molte persone nella nostra
società erano solite considerare ripugnante. Secondo la visione
eugenetica gli individui sono
valutati non in rapporto alla loro umanità ma per le qualità che
possiedono. Assecondando questa
linea di pensiero la fecondazione artificiale presto verrà usata
non solo come rimedio
all’infertilità, ma come mezzo per scegliere le qualità del proprio figlio.
Occorre aver presente che in
una tale società le persone portatrici di handicap saranno guardate
come il risultato di errori
della biotecnologia o della irresponsabilità dei loro genitori.
Dopo
che nel 1988 fu pubblicato il primo studio preliminare che dimostrò la
possibilità di
rimuovere
una cellula da un embrione di topo allo stadio di 8 cellule “pungendo” la zona
pellucida
(membrana
esterna che racchiude le cellule embrionarie) 1 , la PGD fu applicata alla diagnosi della
fibrosi
cistica e della beta-talassemia.2,3 Nel 1990 mediante tecnica di amplificazione del DNA
furono
determinate sequenze del cromosoma Y così da differenziare gli embrioni
maschili da quelli
femminili. Questa tecnica poteva così essere utilizzata in soggetti portatori
di malattia X-linked
(malattia determinata da geni che si trovano
sul cromosoma X e che nella maggior parte dei casi si
esprime nei maschi) come ad
esempio la distrofia muscolare di Duchenne o l’emofilia, al fine di
selezionare e trasferire in utero
solo gli embrioni di sesso femminile.
Nel 1992 una prestigiosa
rivista
medica riportò il caso della nascita della prima bambina ottenuta da
fertilizzazione in vitro e
trasferita
nell’utero della madre dopo biopsia embrionale per l’esclusione della diagnosi
di fibrosi
cistica.4
Attualmente
la PGD viene presa in considerazione per le seguenti motivazioni:
1)
Screening di malattie genetiche in coppie a rischio di trasmettere queste
malattie alla prole al
fine di prevenire la nascita di bambini affetti.5
2)
Screening di anomalie cromosomiche (alterazione del numero dei
cromosomi) da utilizzarsi sia
nelle
donne con età fertile avanzata sia con la finalità di migliorare i risultati
delle tecniche di
fecondazione
artificiale eliminando gli embrioni portatori di tali anomalie, responsabili
del
basso
tasso di successo delle tecniche espresso come nati vivi (circa 25%).6-8
3)
Tipizzazione del sistema HLA (sistema di istocompaibilità) al fine di
preselezionare donatori
per
il trapianto di cellule staminali in fratelli/sorelle malati; le cellule
staminali verranno
ottenute alla nascita dal sangue residuo del cordone ombelicale.
Ne sono un esempio alcune
malattie
ematopoietiche come la beta-talassemia e l’anemia di Fanconi.9-11
4) Selezione degli embrioni secondo il sesso per ragioni non
mediche ma sociali o per
bilanciamento famigliare.
Riguardo
questo punto è bene qui riportare quanto scritto nelle linee guida della
European
Society of Human Reproduction and
Embryology (ESHRE):12
“Riguardo al problema della selezione del sesso mediante PGD per ragioni
non mediche, la
Task Force non è stata capace di giungere a decisioni unanimi. Due
posizioni possono essere
distinte: coloro che si oppongono ad ogni applicazione di selezione
genetica del sesso per ragioni
non mediche e coloro che le accettano per un equilibrio famigliare.
Posizione 1: selezione del sesso
e diritti umani. Per alcuni la selezione del sesso per ragioni non
mediche è intrinsecamente una
discriminazione sessuale. La selezione del sesso per ragioni sociali è
vista come un problema dei
diritti umani che implica una non discriminazione sulla base del sesso
(così come per la religione o
per il fenotipo) stabilito sia
nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 che dalla
Convenzione Europea dei Diritti Umani del 1950. Posizione 2: selezione
del sesso per l’equilibrio
della famiglia. Desiderando incrementare l’autonomia pur evitando
conflitti con altri principi etici
si giunge alla posizione che la selezione genetica del sesso per ragioni
non mediche è permessa
solo per equilibrare la famiglia. Non è permessa la selezione per il
primo figlio o dove c’è un
numero uguale di figli di entrambi i sessi. L’applicazione della
tecnologia per l’equilibrio della
famiglia non è considerata così buona ma è moralmente accettabile.
Conseguentemente la
selezione del sesso per questa ragione dovrebbe essere permessa. La
restrizione della selezione
genetica del sesso ad applicazioni per bilanciare la famiglia dà ai
genitori più controllo sulla
composizione della famiglia e simultaneamente evita i disastri (come un
asimmetrico rapporto tra i
sessi nella società) causati
dall’applicazione non restrittiva di questa procedura.”
3. Rischi della diagnosi genetica preimpianto
La
PGD non può considerarsi esente da rischi anche per gli embrioni che giudicati
geneticamente
sani vengono trasferiti nell’utero materno. Come
tutti i nati da tecniche di
fecondazione extracorporea,
anche per questi bambini va tenuto presente della possibilità di
aumentato rischio per quanto
riguarda parto pretermine, basso peso alla nascita, mortalità e
morbosità perinatale, incidenza
di anomalie congenite (vedi capitolo sui Rischi dei nati da tecniche
di PMA). Inoltre non vi sono
dati di follow up a lungo termine che attestino il normale sviluppo
dell’individuo.
3.1. Danneggiamento dell’embrione.
Il
primo rischio connesso alla PGD è quello di apportare un danno all’embrione nel
corso
delle
procedure di biopsia. Si ritiene che l’effetto di danneggiamento dell’embrione
sia quello
definito
come “tutto o nulla”, vale a dire che se l’embrione risulta danneggiato in modo
irreparabile
non
prosegue il suo sviluppo, viceversa lo continua senza che ne conseguano
evidenti alterazioni.
Se
da una parte si ritiene che la rimozione delle cellule non ne comprometta la
disposizione nella
massa
cellulare interna,29 dall’altra
alcuni ricercatori ritengono necessari ulteriori studi per meglio
definire
l’esito di embrioni a cui sono stati rimossi 2 blastomeri.30 Il rischio di arrecare danno
all’embrione
è stimato dell’1% o più e comunque l’incidenza dipende dalla competenza di chi
pratica
la biopsia.31 Sulla
base dei dati pubblicati solo 1/4 degli embrioni biopsiati risulta idoneo al
trasferimento in utero.32
Per quanto riguarda lo screening delle anomalie cromosomiche è
sorprendente osservare
che, malgrado vengano trasferiti in utero solo embrioni con
normali cromosomi, il tasso di
gravidanze non è aumentato e la percentuale di nati vivi è
addirittura diminuita. Questo dato pone
dei dubbi sul fatto che l’elevato tasso di perdita di embrioni
concepiti mediante tecniche di
fecondazione in vitro dipenda
dalla presenza di errori cromosomici.
D. Le Tecniche Eterologhe
La
legge 40/2004 vieta, nell’ambito della PMA (Procreazione Medicalmente
Assistita), le
cosiddette tecniche eterologhe, che si avvalgono dell’impiego di
spermatozoi o di oociti ottenuti da
“donatori” estranei alla coppia.
Queste
tecniche, soprattutto quelle basate sulla “donazione” del seme, sono state
ampiamente
utilizzate dai centri privati italiani in un contesto di segretezza (“donatore”
anonimo e
nessuna
intenzione di informare il nascituro) e a costi tutt’altro che contenuti (senza
che alcuno se
ne
preoccupasse: è sorprendente che solo ora venga evidenziata l’ingiustizia nei
confronti dei più
poveri,
che diversamente dai ricchi non potrebbero aggirare il divieto posto dalla
legge andando
all’estero).
Le
procedure eterologhe comportano problematiche d’ordine medico relative alla
selezione
del
“donatore” estraneo alla coppia, soprattutto a riguardo della donazione degli
spermatozoi. Non è
affatto
agevole annullare il rischio della trasmissione al bambino di anomalie
genetiche o della
trasmissione alla “ricevente” di malattie infettive (epatite
virale, AIDS, etc) che potrebbero
danneggiare la donna stessa, e/o rendere patologico il decorso
della gravidanza ed eventualmente
infettare il bambino.
Al
di là delle problematiche strettamente mediche, le TRA “eterologhe” comportano
dei
problemi
di fondo che dovrebbero causare un disagio d’ordine deontologico nei medici che
intendano applicarle (Campagnoli
et al., 1993).
1. L’inseminazione da “donatore”
L’inseminazione
artificiale da “donatore” (IAD), essendo una procedura assai semplice, è
stata
ampiamente applicata da decenni in molti paesi. Di conseguenza è stata oggetto
di numerosi
studi
e riflessioni che hanno evidenziato potenziali problemi che coinvolgono sia la
madre sia il
“padre” e che, inevitabilmente,
in un modo o nell’altro, possono ripercuotersi sul nato.
Particolare
attenzione è stata posta ai problemi derivanti dal “segreto” che porta la
coppia a
far
passare il bambino come figlio proprio. “La percezione dell’esistenza di questo
segreto può
minare
l’intera rete delle relazioni famigliari. I bambini IAD possono sentire
oscuramente di essere
ingannati dai loro genitori, di essere in qualche modo diversi
dagli altri e che gli uomini cui
guardano come padri non siano i
loro veri padri”.
E’
stato così stabilito, nel 2003, che i/le ragazzi/e concepiti come
risultato
della “donazione” di seme o oociti a partire dal 1990 (anno a partire dal quale
è stata resa
obbligatoria
la registrazione dei dati del “donatore”), avranno diritto, una volta raggiunti
i 18 anni
ad avere informazioni quali la
descrizione dell’aspetto fisico, la professione e, gli interessi del proprio
padre (o madre) genetici (Dyer, 2003).
E’ da rilevare che
l’accostamento dell’”eterologa” all’adozione, che a volte viene fatto, è del
tutto improprio: l’adozione è quanto di meglio possa essere fatto
a favore di un bambino già nato.
Riguardo la “donazione” degli oociti, si aggiungono quelli
relativi alla maggiore complessità e ai rischi per la
“donatrice”. Questi derivano dalla stimolazione farmacologica
delle ovaie, volta ad ottenere
numerosi oociti, e dalla procedura di prelievo degli stessi, caratterizzata
da una sia pur moderata
invasività.
Tale
pratica, pur evitando le stimolazioni farmacologiche e i traumatismi
esclusivamente
volti alla “donazione”, è ben lungi dall’essere esente da problematiche
d’ordine
psicologico
(ad es. per la “donatrice”, soprattutto nel caso in cui non riesca ad ottenere,
con gli
oociti
che le sono rimasti, la desiderata gravidanza), nonché dal rischio di
prevaricazioni o abusi
(Johnson,
1999; Lieberman, 2001; Blyth, 2002 b).
Un problema di tipo medico che dovrebbe essere oggetto di attenta
riflessione è il rischio di
reazioni immunologiche ( il feto ottenuto con ovodonazione è del
tutto estraneo alla madre) ( Styer
et al., 2003), con conseguenze anche gravi per il bambino ( Curtis
et al., 2005) e potenziali problemi
per la donna ( Johnson e Bianchi,
2004).
E. Le terapie con le cellule staminali Angelo L. Vescovi
Intervento all’Accademia dei Lincei, al convegno su “I problemi e
le prospettive della procreazione
assistita” organizzato dall’Isle
(31 gennaio 2005).
Durante la campagna per i Referendum 2005 gli pseudo-progressisti
(distruttori dell’umanita’) ci hanno bombardato con queste ed altre FALSE
AFFERMAZIONI, per ingannare di nuovo tutte le donne (dopo i referendum per
l’aborto)
“Essendo queste cellule in grado di produrre qualunque tipo di
cellula matura dei tessuti
del nostro organismo, esiste la possibilità che le cellule
staminali embrionali possano essere
utilizzate per lo sviluppo di numerose terapie rigenerative ad
oggi incurabili, quali il diabete, il
morbo di Alzheimer eccetera.”
“Le cellule staminali
embrionali rappresentano se non l’unica (concetto che comunque in
molti propongono),
sicuramente la via migliore per lo sviluppo di terapie cellulari
salvavita. Si allude spesso, nemmeno
troppo velatamente, al fatto che
le terapie a base di cellule staminali embrionali sarebbero
addirittura già disponibili.”
tale approccio è totalmente
infondato e pone il
cittadino, presto chiamato a
decidere sulla validità della legge sulla fecondazione assistita, di fronte
ad un dubbio dilaniante: lasciare morire milioni di persone o permettere l’uso degli
embrioni umani
per generare cellule salvavita? Ovviamente, in un contesto simile la natura dell’embrione
umano
viene stravolta, negata e
banalizzata fino a renderlo un semplice “grumo di cellule”, qualcosa di
sacrificabile ignorando gli enormi problemi etici che questo
sacrificio solleva.
RISPOSTA:
Primo:
Non
esistono terapie nemmeno sperimentali, che implichino l’impiego di cellule
staminali embrionali. Non è attualmente
possibile
prevedere se e quando questo diverrà possibile, data la scarsa conoscenza dei
meccanismi
che
regolano l’attività di queste cellule, che ci impediscono di produrre le
cellule mature necessarie
per i trapianti, e data la
intrinseca tendenza delle staminali embrionali a produrre tumori.
Secondo,
Ma
non meno importante, esistono numerose terapie salvavita che
rappresentano realtà cliniche
importanti,
quali le cure per la leucemia, le grandi lesioni ossee, le grandi ustioni, il
trapianto di
cornea. Tutte queste si
basano sull’utilizzo di cellule staminali adulte.
Terzo:
Le terapie cellulari per le malattie
degenerative non si basano solo sul trapianto di cellule
prodotte
in laboratorio. Esistono tecniche altrettanto promettenti basate sull’attivazione
delle cellule
staminali nella loro sede di residenza. Saranno quindi le cellule del
paziente stesso che si
occuperanno
di curare la malattia, una volta stimolate con opportuni farmaci. Ovviamente,
trattandosi
delle cellule staminali del paziente stesso, i problemi di rigetto che,
ricordiamolo,
possono
esistere col trapianto di staminali sia embrionali che adulte, in questo caso
non sussistono.
Quarto:
la produzione di cellule staminali embrionali può avvenire senza
passare attraverso la
produzione di embrioni. Sono infatti in corso studi grazie ai
quali è possibile deprogrammare le
cellule adulte fino a renderle uguali alle staminali embrionali
senza mai produrre embrioni. Si tratta
di una procedura che ha la stessa probabilità di funzionare della
clonazione umana, ma scevra da
problemi etici e che produce
cellule al riparo da rischi di rigetto.
Da
quanto descritto sopra, emerge
molto
chiaramente la seguente conclusione: il dibattito riguardante la legge sulla
fecondazione
assistita
deve avvenire in assenza delle pressioni emotive e psicologiche che,
artatamente, vengono
fatte
scaturire dalla supposta inderogabile necessità di utilizzare gli
embrioni umani per produrre
cellule staminali embrionali che
rappresenterebbero l’unica o la migliore via per la guarigione di
molte malattie terribili e incurabili. Questa affermazione è incauta
non solo perché fondata su
concetti
facilmente questionabili ma anche in relazione all’esistenza di linee di ricerca, di sviluppo e
di cure almeno altrettanto valide,
molto più vicine alla messa in opera nella clinica corrente e prive
di controindicazioni etiche. Il dibattito
sulla legge deve quindi incentrarsi sugli aspetti relativi alla
dignità
dell’embrione e al suo riconoscimento come vita umana a tutti gli effetti.
La discussione sulla legge
40/2004 ha visto il prevalere di informazioni incomplete o distorte che
contrastano con la realtà dei
dati scientifici.
A. I rischi per i nati da tecniche
di PMA. La norma secondo cui “il ricorso alla
PMA(procreazione medicalmente assistita) è consentito solo quando sia
accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti
le cause impeditive della procreazione” è ampiamente motivata
dal fatto che le tecniche complesse di PMA
(fecondazione in vitro –FIV- ed ICSI) comportano non solo un alto
impegno psicologico e fisico (soprattutto per la
donna) ma anche rischi per la salute del nascituro, in parte
accertati ed in parte intravisti ma non per questo
irrilevanti. Questi rischi dipendono in buona parte da fattori di
base legati alla sterilità, ma è
probabile che siano in causa anche fattori legati alle stimolazioni ovariche
massimali e/o alle procedure “in vitro”.
B. Il limite del numero di
embrioni, non superiore a tre. E’ stato detto, e
sorprendentemente viene ribadito
ancora oggi (creando il panico nelle
coppie con problemi di fertilità), che questa limitazione avrebbe causato, o
causerebbe, un crollo delle probabilità
di successo. In realtà, i presupposti per sostenere che ciò
non sarebbe
avvenuto sono confermati dai
risultati ottenuti nei mesi seguenti l’applicazione della legge dai centri di
PMA
aderenti alla S.I.d.R.: il 24,2% di gravidanze per
ciclo contro il 27,0% del periodo precedente la legge. Vi sono
motivi di ritenere che un affinamento delle
metodiche (stimolazioni farmacologiche più contenute; scelta degli
oociti da sottoporre a fecondazione) potrà portare
a risultati persino migliori. Questo già emerge dall’esperienza
di altri centri. La perdita delle possibilità
offerte dalla crioconservazione degli embrioni ( circa 5% per ciclo ) è
ampiamente compensata dalla riduzione dei rischi da iperstimolazione ovarica,
potenzialmente gravi per la
salute della donna (e forse anche per quella del
bambino).
C. Il divieto di ogni forma di
selezione eugenetica degli embrioni. La cosiddetta diagnosi
pre-impianto (DPI)
sottopone ad esami sofisticati due cellule
prelevate dall’embrione in vitro; essa permette di individuare il sesso, i
cromosomi e una serie di caratteristiche genetiche
comprese quelle che, trasmesse da genitori portatori,
potrebbero causare una malattia. Quando impiegata
con il fine di individuare queste ultime, richiede un grande
numero di embrioni, da 30 a 50 per bambino nato.
Nessuno può dire che sia sicura: i potenziali rischi legati alla
perdita di 1-2 cellule in una fase di sviluppo così
precoce si sommerebbero ai rischi di base derivanti dalla
procedura FIV (si veda punto 1). Si presta a degli
abusi: ad es. la selezione del sesso del nascituro viene effettuata
anche per motivi non medici. Per questi motivi è
vietata da importanti Stati europei. Non è pensabile che la DPI
venga applicata in una routine
di terapia della sterilità, il campo regolamentato dalla legge 40.
D. Le tecniche eterologhe, che
si avvalgono di spermatozoi o di oociti ottenuti da “donatori”, e che la legge
vieta.
Si tratta di procedure decisamente problematiche.
Nel caso di “donazione” del seme il problema principale
consiste nel segreto da molti, e
qualificati, considerato non solo ingiusto ma anche ad alto rischio per la
coppia e
per il nascituro. Per questo, ad esempio, le leggi
svedese e britannica richiedono che il ragazzo sia informato e
possa accedere ai dati del donatore. Non vi è chi
non veda l’alta problematicità anche di questa soluzione. Nel
caso della “donazione” di oociti, ai rischi
suddetti si aggiungono i problemi derivanti dall’invasività della
procedura per la “donatrice” e rischi biologici sia
per la madre che per i bambini. Per questo la “donazione” di
oociti è vietata nella maggior
parte degli Stati europei.
E. Il divieto di sperimentazione sugli
embrioni e di produrre embrioni ai fini di ricerca o di sperimentazione.
L’opinione pubblica è stata ampiamente influenzata
da un’informazione distorta, secondo cui si priverebbero
molti malati di terapie. Si è creata confusione
attorno al termine “staminali”, per cui pochi hanno compreso che
queste cellule non sono solo negli embrioni “in
vitro” ma sono presenti anche nelle ulteriori fasi dello sviluppo e
nell’adulto, e che le migliori prospettive di cure
vengono dalla ricerca su queste ultime. Sulle cellule embrionali ci sarebbe da
lavorare ancora a lungo, in ricerche per le quali ci si può avvalere di
embrioni di altre specie animali.
Non vi è motivo alcuno perché le donne sterili, e i
loro potenziali figli, corrano maggiori rischi da una
stimolazione ovarica massimale per avere embrioni
“d’avanzo” per la ricerca. A maggior ragione se si considera
che gli embrioni “d’avanzo” sono già migliaia come
conseguenza delle procedure di FIV nel periodo precedente
la legge 40.
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