Alle nove circa di
mattina di un giorno feriale l’operatrice del 114 riceve una telefonata:
c’è una ragazza, minorenne, di origine sudamericana, che si rifiuta di
andare a scuola da diversi giorni e che rischia di perdere anche gli esami
di licenza media che si terranno praticamente l’indomani. Il suo rifiuto ha
una ragione ben precisa: la ragazza è stata aggredita, pesantemente,
all’uscita di scuola da alcune sue compagne. L’hanno buttata a terra, presa per i capelli e addirittura colpita
in testa con delle chiavi... Bisogna fare qualcosa, non è giusto che la
ragazza perda l’anno scolastico, per non parlare del danno psicologico...
La mamma, anche se qui da diversi anni, non sa bene a chi rivolgersi…
A fare la segnalazione
al 114 è la datrice di lavoro della mamma della ragazza, preoccupata della
sorte della figlia della donna che, ormai da diversi anni, collabora in
casa con lei. L’operatrice riesce a farsi spiegare meglio la storia. La
ragazza, di sedici anni, è da appena un anno in Italia e frequenta la terza
media. Apparentemente non c’era stato nessun problema di integrazione a
scuola se non un piccolo episodio, di poco precedente all’aggressione.
In quella
occasione l’adolescente e una sua amica avrebbero trovato le loro borse
aperte e alcuni rossetti spariti; allora avrebbero chiesto a un gruppetto
di ragazze (resesi poi protagoniste dell’aggressione) se ne sapessero
qualcosa: da lì insulti e minacce, che sarebbero stati rivolti anche alla
mamma che era andata a prendere la ragazzina all’uscita di scuola. La ragazza è molto bella, non vorrei che
fosse questo il vero motivo del furto e poi dell’aggressione…
La donna chiarisce
anche che, in seguito all’aggressione, la mamma avrebbe accompagnato la
ragazza all’ospedale (dove le sarebbero stati dati sette giorni di
prognosi) e fatto regolare denuncia ai Carabinieri. La ragazzina sta bene, almeno fisicamente, ma è terrorizzata all’idea di rincontrare
quelle sue compagne di scuole… e domani ci sono gli esami di italiano.
Il quadro è ormai
chiaro e vista l’esiguità del tempo a disposizione l’operatrice sottolinea
alla donna la necessità che sia la mamma o la stessa ragazza a contattare
il 114.
L’operatrice attva
quindi la rete d’intervento, valutando la necessità di coinvolgere i
Servizi Socio-Sanitari per avviare un percorso di supporto psicologico
della ragazza. Contatta quindi lo psicologo del Consultorio Familiare della
ASL di riferimento e lo informa del caso, quindi concorda con lui di
proporre alla ragazza di rivolgersi ai Servizi Sociali per un primo
appuntamento. Rispetto all’aggressione, l’operatrice contatta il dirigente
scolastico per un confronto sull’accaduto, in modo da comprendere le
motivazioni di tale gesto da parte delle compagne, verificare eventuali
indicatori di reazioni aggressive che possono essere sintomi a loro volta
di possibili disagi, infine valutare un percorso di affiancamento e
sostegno di queste ragazze.
A distanza di meno
di un’ora, in effetti, mamma e ragazzina richiamano. L’operatrice riesce a
tranquillizzare la ragazzina, che appare piuttosto timida: la mamma
l’accompagnerà e l’andrà a prendere a scuola, in modo da evitarle di
restare sola con le ragazze in
questione. L’operatrice le propone quindi di essere seguita da uno
psicologo del territorio. Su quest’ultimo punto la ragazza tentenna,
comunque promette di pensarci e di richiamare l’indomani, subito dopo
essere tornata da scuola.
L’emergenza si
risolve positivamente: l’adolescente riesce ad andare a scuola e a
sostenere l’esame di italiano per il conseguimento della licenza media. E’
lei stessa a raccontarlo mantenendo fede alla promessa di richiamare il
114. E anche l’ipotesi di essere seguita da uno psicologo del territorio
che all’inizio l’aveva spaventata, viene poi accolta positivamente.
L’operatore del 114 le fornisce il numero di telefono e il nominativo del
referente del servizio precedentemente allertato.
Il Servizio 114
Emergenza Infanzia ha così contribuito alla prevenzione di un disagio che,
se trascurato, avrebbe potuto causare successivi e ben più difficili
problemi di integrazione.
Tratto dal sito: http://www.114.it/114/rendernews.aspx?channel=234&content=648&type=3&open=true
Corriere della Sera
Angherie, ricatti, emarginazione. Gli
esperti: le ragazze iniziano alle elementari a imitare i cattivi compagni.
I presidi: spesso si creano grandi sofferenze
Bulle
in classe, quando la violenza è al femminile
L’allarme: sono prepotenti e aggressive, molto più dei maschi. I
professori: fenomeno in aumento, difficile da riconoscere
Sono prepotenti, non accettano
regole, allontanano chi è diverso da loro, hanno sete di potere e guai a
chi non sta dalla loro parte. Proprio come i loro compagni maschi. «Bulle»
a scuola. Alle elementari e alle medie, in competizione tra loro e
all’inseguimento del «modello vincente», quello maschile. Anzi, sono ancora
più aggressive e spietate. Episodi di soprusi, piccoli furti,
emarginazioni. Fino a causare, in alcuni casi, un disagio profondo, ai
limiti della sofferenza.
Iniziano a 9-10 anni, pronte a imitare i loro compagni con ricatti, prese
in giro, a volte alzando anche le mani. «Anche se quello femminile - spiega
la psicologa Silvia Vegetti Finzi - è un bullismo più psicologico rispetto
al modello maschile. È come il gioco della torre: bisogna cacciare dal
gruppo un capro espiatorio. È un sistema di relazioni aggressive, molto
violente e che lasciano quelli che io chiamo "i lividi
dell’anima": sono più difficili da mandare via dei lividi veri». Anche
perché, precisa la psicologa, spesso nella vittima delle bulle scatta un
processo di autodenigrazione. «Chi è rifiutato - continua Silvia Vegetti
Finzi - si accanisce nel voler entrare in quel gruppo e non rivela a
nessuno i suoi problemi. Per questo è così difficile individuare il
bullismo al femminile».
Ne sanno qualcosa i presidi delle scuole: «I maschi - afferma Chiara
Bonetti, a capo dell’istituto comprensivo Cadorna di via Dolci - hanno
atteggiamenti macroscopici che gli insegnanti riescono subito a individuare
e arginare. Con le bambine è più difficile». Cominciano in quarta-quinta
elementare, una leader sceglie i componenti del gruppo che si ritrova in
classe e, di pomeriggio, nei cortili, visto che gli studenti abitano nello
stesso quartiere.
«A volte - continua la preside Bonetti - si creano situazioni di profonda
sofferenza: la ragazzina emarginata inizia a rifiutare la scuola, si finge
malata, non parla. Spesso sono i genitori a segnalarcelo, accusandoci di
non aver colto certi segnali. A quel punto cerchiamo di intervenire con
l’aiuto delle famiglie, magari chiedendo un supporto psicologico esterno».
Circa il 40 per cento degli iscritti alle elementari dichiara di aver
subito qualche angheria. E alle medie la situazione peggiora. Tra gli
adolescenti un bullo su sei è femmina. «All’intervallo è come vedere l’ape
regina con il suo seguito - sospira Antonella Natasi, insegnante di inglese
alla media Marconi di Cologno Monzese - : si atteggiano a donne arrivate,
circuiscono i compagni di entrambi i sessi. Le bulle stanno diventando un
problema grave: con i maschi basta una sgridata per ridefinire i ruoli,
mentre le ragazze covano rancore e sono ambigue».
Questione di emulazione: «Le ragazze crescono prima - commenta Romano
Mercuri, preside della scuola media di viale Brianza - e magari c’è
qualcuna che frequenta i più grandi, quelli del liceo, ed emargina chi è
ancora una bambina. Se capitano episodi del genere, la scuola interviene
spiegando agli studenti che le relazioni vanno mantenute fra tutti i
componenti della classe. La cosa più inquietante? Il fatto che alcuni
genitori non si accorgano della prepotenza dei loro figli. Sempre
il solito problema: ragazzi abbandonati a loro stessi e famiglie assenti».
Allora come difendersi dal bullismo? «È meglio non limitarsi all’amicizia
con la compagna di banco, al gruppetto nato a scuola - consiglia Silvia
Vegetti Finzi -: meglio avere rapporti vari, nati in gruppi sportivi, tra boy
scout, in un coro. Insomma, fare attività che permettano d’avere tante
appartenenze spezzando così la dipendenza dalle bulle».
Annachiara Sacchi
11/01/2004
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