12 Gradi di Separazione

 Disclaimer: Tutti i personaggi visti o menzionati in X-FILES appartengono a Chris Carter, Ten-Thirteen Production, FOX network, DD, GA, etc… e sono usati senza permesso. WHERE TIME STANDS STILL di Mary Chapin Carpenter è usata senza permesso (ma vi raccomando assai l’album STONES IN THE ROAD). Non ho soldi, così per favore che nessuno mi faccia causa…

Questa è la 7 parte di una serie di 12, il seguito di 12 RITI DI PASSAGGIO. Se non lo avete ancora letto, fareste meglio a leggerlo prima…


#7
- Dove il tempo si ferma

Di Anne Haynes
Ahaynes33@aol.com

 

Lo smoking sembrava una camicia di forza, e Fox Mulder, lo psicologo, non poteva negare l’evidente connessione. Trovava il mondo esterno limitante. Troppe persone che creavano troppe regole destinate a tenere troppe altre persone indifese e senza voce. Come lo smoking, con la sua inutile formalità e l’assoluta mancanza di comodità, così tante delle regole per le quali lui era costretto a vivere nel suo lavoro e nella vita sembravano inutili ed arbitrarie.

Egli si era messo di impegno nella "scommessa" tanto tempo fa. Aveva addirittura persuaso Scully ad unirsi a lui nella sua anarchia di tanto in tanto. Ma proprio come egli ora indossava la rigida camicia bianca e le code nere malgrado il disagio, così Fox Mulder di tanto in tanto accettava i limiti della sua libertà. Aveva accettato l’incarico a Boston dopo la chiusura degli X-Files perché era la miglior offerta che il Dipartimento gli avesse fatto. Non si era spinto ancora troppo lontano nella sua ribellione da non capire che lavorando all’interno del sistema, seppur ai limiti, aveva anche i suoi vantaggi ai quali non poteva permettersi di rinunciare.

Ed essere nel Dipartimento lo teneva collegato a Dana Scully.

Mulder sapeva che lui e Scully sarebbero rimasti in contatto qualunque cosa fosse successa. Ma finché rimaneva nell’FBI, poteva rimanere attaccato all’idea di lavorare, un giorno, ancora con lei, aggrappandosi al filo di speranza con l' ardente fede di un vero e proprio credente. La sua collaborazione con Dana Scully era stata la più intensa, forte relazione nei suoi trentasette anni di vita.

La rivoleva indietro. Rivoleva indietro Scully.

Non le aveva detto che stava tornando a Washington questo fine settimana.
Voleva farle una sorpresa. Il suo piano era di fare un’apparizione alla festa per il 40^ anniversario di matrimonio del Presidente, baciare un paio di fondoschiena  nella speranza di ritornare un giorno con Scully nel freddo ufficio del seminterrato all’edificio J. Edgar Hoover, e poi guidare dritto verso l’appartamento di Scully. Lei lo avrebbe lasciato dormire sul suo divano.

O forse, stanotte, lo avrebbe alla fine lasciato dormire fra le sue braccia.

Non poteva più prendersi in giro. Lui voleva Scully. Aveva bisogno di lei. Più di un anno fa, sedendo al capezzale di Scully dopo che era quasi morta per una ferita di un colpo d’arma da fuoco, era giunto alla decisione di esaminare tutte le possibilità che esistevano fra lui e la sua collega. Sviato dal ritorno di Samantha, aveva pensato di aver perso la sua occasione con Scully. Ma gli ultimi pochi mesi di separazione forzata li avevano ironicamente uniti più che mai. Fine settimana rubati, lunghe conversazioni telefoniche, interminabili giochi di ping-pong di cliché di e-mail avevano solo rafforzato il vivo desiderio di Mulder per la sua ex collega. Pensieri e sentimenti che non aveva mai completamente ammesso durante il loro tempo insieme, ora lo ossessionavano, emergendo dall’etere oscuro del suo subconscio per fissarlo nel volto profondo della notte quando non riusciva a dormire.

E da quando Scully lo aveva baciato a Natale, il desiderio era aumentato in modo esponenziale. Per tutto Gennaio e il commovente fine settimana che lei aveva trascorso nel suo appartamento dopo aver scoperto del bambino di Melissa.

Per il giorno di S. Valentino a New York, dove avevano salutato il 14 Febbraio in una sala da pranzo cromo e vinile vicino a Madison Square Gardens dopo che i problemi di traffico e della macchina avevano sabotato i loro piani per la serata. Quella notte, sedendo in una baracca ascoltando Paul Simon al Jukebox e tenendo le mani di Scully, Mulder accettò una verità che lo stava fissando in faccia da anni.

Era intenzionato a trascorrere il resto della sua vita con Dana Katherine Scully.

Ora tutto quello che doveva fare era dimostrarle che non era troppo tardi, dopo tutto.

Egli sorrise con segreta gioia mentre camminava nel corridoio all’Hotel St. Claire a Washington D.C. Agenti segreti erano dappertutto, ricordando a Mulder che il suo "contatto al Congresso" si era insediato come Presidente degli Stati Uniti più di due anni fa. Di recente, le chiacchiere stavano correndo velocemente attorno agli uffici di Boston, interessando i progetti del Presidente Matheson per il Bureau. Girava voce di alcune ristrutturazioni più importanti.

Mulder era lì per scoprire se Matheson aveva alcuni piani per riaprire gli X-Files...e ristabilire l’unione professionale fra Mulder e Scully. Perché se era così, allora bisognava prendere delle decisioni. Decisioni alle quali lui e Scully dovevano cominciare a pensare ora, mentre c’era ancora tempo per pensare in modo razionale.

Mostrò il suo tesserino di identificazione al gigante in abito da scimmia che sorvegliava l’entrata alla sala del banchetto. Mentre la guardia controllava la lista degli invitati, Mulder diede un’occhiata all’interno della stanza affollata.Vide subito Matheson, circondato da adulatori e supplicanti. Il presidente sembrava un po’ esausto e più di un po’ teso. Mulder non poteva biasimarlo. Questa notte si supponeva essere una festa di anniversario. La lista degli invitati era piuttosto limitata per una riunione presidenziale, ma i leccapiedi trovavano sempre il modo per intrufolarsi. Ed essere presidente, supponeva lui, significava che anche persone che tu chiamavi amici qualche volta  un po’ la testa quando realizzavano che ora avevano a che fare con il presidente.

Il guardiano gli restituì il suo documento di identità, facendo un cenno col capo. "Può andare, Agente Mulder." Mulder entrò nella mischia.

Molte delle persone nella stanza gli erano sconosciute, membri del congresso e membri del governo che si sarebbero scandalizzati di sapere che stavano strusciando i gomiti con un uomo che aveva trascorso anni inseguendo alieni e mutanti per una vita. Ma vide alcune facce che sembravano familiari. Un paio di uomini che avevano lavorato per suo padre al Dipartimento di Stato. Una bella donna Asiatica che lui e Scully avevano incontrato quando un caso li aveva condotti all’Istituto Smithsonian—il Dr. Amy Chan, gli venne in aiuto la sua memoria fotografica. L’ex capo sezione Blevins era in un angolo, a parlare con una donna elegante e ben vestita che Mulder riconobbe come la segretaria di fiducia di Matheson, Genevieve Nolan. Blevins era la persona che aveva assegnato Dana Scully agli X-Files nella speranza di screditare il progetto e la carriera di Mulder. Mulder si fece un appunto mentale per stringere la mano di quell’anziano signore prima che la notte terminasse. La mossa di Blevins era stata la cosa migliore che fosse mai accaduta a Fox Mulder.

Dall’altra parte della stanza, egli distinse la testa pelata del Vice Direttore Walter Skinner. Automaticamente Mulder cominciò a farsi largo tra la folla in direzione del suo ex sovrintendente, lieto di trovare un alleato nella ressa. Quando fu più vicino, egli vide che Skinner stava in piedi vicino ad una donna con un vestito nero alquanto scollato sulla schiena. Mulder non poteva vedere nulla a parte i rari lampi di pelle bianco-latte contornati da pieghe di velluto di mezzanotte. Un cameriere stava fra Mulder e la donna, il suo vassoio di canapè impediva a Mulder di vedere la testa e le spalle della donna, ma vide molto chiaramente quando la mano di Skinner si sollevò e si adagiò contro l’incavo fra le delicate scapole della donna. Il piccolo movimento di carezza delle dita scure contro la pallida pelle esprimeva affetto.

O era possesso?

Mulder affrettò il passo attraverso la stanza, curioso di vedere la misteriosa donna di Skinner. Dopo la morte di Sharon Skinner, il vicedirettore si era allontanato praticamente da tutti, seppellendo il suo dolore e la sua solitudine nel suo lavoro.

Suona come un’altra persona di mia conoscenza, pensò Mulder. Ma quello era successo prima che Scully lo salvasse da se stesso.

Era solo a quindici passi di distanza quando il cameriere finalmente si spostò, dandogli la completa visuale di una donna minuta al fianco di Walter Skinner.

Mulder si fermò a metà passo, deglutendo in modo convulso.

Sopra la carnagione pallida della sua schiena nuda, sopra la mano possessiva di Skinner, riccioli rossi ondeggiavano sull’esile collo che Fox Mulder una volta aveva esaminato in una minuscola, claustrofobica stanza ad Icy Cape, in Alaska. Rossi riccioli che si espandevano da un lucente chignon tenuto a posto da un pettinino decorato di granato che lui aveva comprato per lei all’incirca più di un anno fa. Una spolverata luminosa di lentiggini su un viso a forma di cuore che lui aveva visto nei suoi incubi ogni notte per tre lunghi, solitari mesi quasi cinque anni fa mentre si domandava chi gliela avesse portata via, cosa le stessero facendo e se gliela avrebbero mai restituita.

Lei sollevò la sua testa per guardare verso Skinner, e lui vide gli occhi grigio-azzurro che avevano visto oltre la sua pungente corazza per cercare il vero Fox Mulder, l’unico che la desiderava e bramava e amava.

Lo stesso Fox Mulder che ora fissava Dana Scully e Walter Skinner e voleva raggomitolarsi e morire.

* * * * *

"L’Agente Scully è a capo del Dipartimento Forense all’Accademia dell’F.B.I.," disse Skinner all’esile uomo dai capelli grigi davanti a loro. Scully cercò di ricordare il suo nome, desiderando, e non era la prima volta, di avere una memoria fotografica come Mulder. Thomas, si ricordò. Il senatore Graham Thomas dall’Iowa. Faceva parte della Commissione dei Servizi, e Skinner aveva voluto essere sicuro che il buon senatore si ricordasse di Dana Scully.

Lei non voleva soffermarsi sulla ragione del Vice Direttore di portarla a questa festa. Non voleva aumentare troppo le sue speranze. Anche se c’era una ragione maggiore per sperare ora di quanta ce ne fosse stata in sei lunghi mesi.

"Conoscevo suo padre, Agente Scully," Stava dicendo il Senatore Thomas.

Ella alzò lo sguardo, mentre un sorriso agrodolce le attraversava il viso. "Davvero?"

"Bill e io prestavamo servizio insieme in Marina durante il blocco Cubano. Me lo ricordo, l'unica cosa di cui riusciva a parlare era di ritornare a casa dalla sua Maggie."

Il suo sorriso di Scully si allargò, poi si gelò appena Walter Skinner sussurrò. "Posso capirne il perché."

Lei lanciò un’occhiata in direzione del Vice Direttore. Gli occhi scuri di lui incontrarono i suoi, senza espressione, e lei si domandò se lo avesse udito correttamente.

"Mi è dispiaciuto sentire che era morto. I migliori se ne vanno sempre troppo presto." Il Sen. Thomas sorrise, un cenno di tristezza nei suoi occhi scuri. "Ho anche sentito di sua sorella. Lei e la sua famiglia avete avuto un paio d’anni davvero difficili."

Scully annuì, il dispiacere attraversò il suo cuore. Due dei più difficili e tristi anni della sua vita, attenuati solo dalla presenza di Fox Mulder al suo fianco e, sempre più, nel suo cuore. Lo stesso giorno in cui Missy era stata colpita a morte, Mulder aveva attraversato la porta del suo appartamento ed era tornato nella sua vita, e loro non erano mai stati davvero distanti da allora. Nemmeno ora, con quattrocento miglia che li separavano. Lui era ancora con lei. Parte di lei.

E presto, forse, lui sarebbe tornato di nuovo qui a Washington, fissandola oltre i suoi occhiali con la montatura in metallo, provando a convincerla della validità di una teoria bizzarra  mentre rabbrividivano nel freddo, buio ufficio seminterrato, che lei aveva cominciato a considerare come il suo piccolo pezzo di paradiso.

Non correre troppo, Scully, si ammonì da sola. E’ troppo presto. Non c’è ancora nulla di stabilito.

"Per favore, porti i miei saluti a sua madre, Agente Scully." Il Sen. Thomas sorrise nuovamente e si congedò.

"Quello è un buon segno se ne ho mai visto uno," commentò Skinner. "Non sapevo che conoscesse suo padre. Scommetto che possiamo contare sul suo appoggio."

"Forse." Scully prese un sorso veloce di champagne prima di posare il flute di cristallo per lo più pieno su un tavolo affinchè un cameriere potesse raccoglierlo. "Cos’altro devo fare? Baciare fondoschiena non è una delle mie attitudini naturali."

"No! Veramente?"

Scully alzò lo sguardo, sorpresa dal secco sarcasmo di Skinner. Nonostante la tensione si avvolgesse come serpenti nel suo addome, lei ridacchiò. "Bè, non è un talento che ho avuto molto modo di coltivare lavorando con Mulder."

"Lo ha già visto?"

Lei aggrottò la fronte, confusa. "Mulder?"

Skinner annuì. "Il suo nome è sulla lista degli invitati."

Scully si guardò attorno. Ma era troppo bassina per vedere oltre il muro di smoking e abiti da sera che la circondavano come steccati attorno a una fortezza. "Lei lo vede?" Domandò a Skinner, cercando di non tradire l’ansia che la attraversava come scariche di elettricità.

La testa di Skinner ruotò, contraendo i suoi occhi mentre scrutava attraverso i suoi occhiali la folla attorno a lui. Scully guardò la faccia del V.D., cercando un lampo di riconoscimento, provando a non agitarsi troppo. Sicuramente se Mulder aveva intenzione di venire a Washington, l’avrebbe chiamata e glielo avrebbe fatto sapere. Oppure no?

Dopo il giorno di S. Valentino, era stata sicura che lei e Mulder si stavano dirigendo verso un nuovo livello della loro relazione. Nessuno dei due aveva detto nulla, ma il tocco delle mani di lui nelle sue in quel ristorante a New York, lo sguardo nei suoi occhi quando Paul Simon cantava qualcosa rigurado a "something so right" ...lnon se lo era immaginato, vero? Lei non aveva immaginato il nuovo calore nella sua voce ogni volta che lui chiamava da Febbraio. O il nuovo calore cibernetico dei sui messaggi e-mail, pensò con un sorriso interiore.

Poi vide la piccola improvvisa contrazione verso il basso della bocca di Skinner. Provò a seguire gli occhi di Skinner, ma la folla attorno a loro le impediva di vedere.

"Cosa c’è?" Chiese. "E’ Mulder?"

Skinner annuì. Abbassò lo sguardo verso di lei, i suoi occhi scuri pieni di qualcosa che Scully non riconobbe. Ma qualsiasi cosa fosse, non era nulla di buono. "Cosa c’è che non va, signore?"

"Ha detto all’Agente Mulder che stava venendo a questa festa?"

"No." Non le piacque la piega di questa conversazione, non le piacque il tono cupo della voce di Skinner, chiara anche fra il brusio circostante delle conversazioni e i soffici toni brillanti della musica che proveniva dalla sala da ballo.
"Perché me lo chiede?"

Skinner sospirò. "Perché l’Agente Mulder…non è solo."

Il cuore di Scully precipitò. Strinse le sue labbra fra loro e si fece largo fra la folla, seguendo la traiettoria che aveva visto nello sguardo attento di Skinner. Ella spuntò, in fine, al margine del parquet da ballo, dove una manciata di coppie dondolava ai toni lievi di "Someone to Watch Over Me."

Lei individuò Mulder immediatamente, una visione snella, mozzafiato in uno smoking nero, le sue braccia lunghe che stringevano la vita di una donna bruna che Scully conosceva da Quantico. Una analista calligrafica... Elaine Henderson. Tempo addietro, nel primo anno della sua collaborazione con Mulder, aveva sentito... e rifiutato... le chiacchiere su Mulder e la perspicace Agente Henderson.

Ora, osservando i loro corpi ondeggiare come una cosa unica alla musica, guardando le mani di Mulder premute contro la schiena di Henderson, si domandava quante altre dicerie che aveva rifiutato potevano tornare a perseguitarla ancora. Fece un paio di passi indietro, lasciando che la folla la inghiottisse. Mulder non la vide mai.

Ma Henderson sì.

* * * * *

"Ah, la faccenda si complica." La voce di Elaine Henderson era profonda e asciutta nell’orecchio di Mulder. Lui tirò indietro la sua testa e guardò in basso verso di lei.

"Cosa?"

"Sapevo che la tua improvvisa passione per un ballo romantico era troppo bella per essere vera. Allora, Mulder, vuoi dire alla tua vecchia amica Henderson cosa hai intenzione di fare premendo il tuo bellissimo, magro e longilineocorpo contro il mio dopo tutti questi anni?"

"Mi sei mancata, Henderson. Mi stai accusando di una ragione meno nobile?" Mulder mantenne la sua voce intenzionalmente chiara. Aveva avuto anni di esperienza fingendo di provare una cosa quando nell’intimo stava provando qualcosa di completamente differente.

"Tu e la tua piccola testa rossa avete litigato?"

Mulder sbatté le palpebre. "La mia piccola…, cosa?"

"La Regina di Ghiaccio. La Signora Frigidaire. Dr. Antartica."

La collera attraversò Mulder ed egli strinse la sua presa su Henderson fino a farla sussultare.

"Mi sono sempre chiesta cosa ci sarebbe voluto per sfondare il tuo guscio, Mulder." La voce di Elaine era un po’ addolorata. "Avrei dovuto comprendere tanto tempo fa che si trattava di Dana Scully."

Egli allentò la sua stretta e la tirò con lui fuori dalla pista da ballo. Agguantò un flute di champagne al suo passaggio verso un angolo appartato, ingoiando la bevanda frizzante in due sorsi. Raggiungendo i tre bicchieri di champagne che aveva già bevuto a stomaco vuoto, l’alcool sussultò in lui come un terremoto. Appoggiò la sua mano contro il muro per mantenersi in equilibrio.

"Ci ha visto ballare, Mulder."

Egli osservò Henderson, cercando di mantenere un’espressione neutrale. Si domandò se stesse fallendo nell'impresa così schifosamente come pensava. "Allora?" La aveva vista prima, comodamente a proprio agio con Skinner. Forse ora erano ancora così.

"Allora lei non sembrava felice."

Egli sorrise. "E’ buffo. Sembrava molto felice quando l’ho vista prima."

Immediatamente rimpianse quelle parole, sapendo cosa avevano rivelato. Il sorriso di Henderson si allargò. "Aha. E lasciami indovinare... l’adorabile Agente Scully non era sola prima?"

Non voleva parlare di Scully. Voleva bere ancora pochi bicchieri di champagne fino a smettere di soffrire. Poi voleva riportare Elaine Henderson al suo appartamento e darsi alla pazza gioia. Forse così avrebbe dimenticato che dannato stupido era stato per aver pensato sempre di avere una possibilità con Scully. La sua fortuna con le donne era quasi abissale... e Scully era stata la sua speranza più viva per un vero colpo di felicità.

Si sarebbe dovurto fermare a Phoebe. Ci erano voluti dieci anni per togliersela dalla mente.

Sospettava che Dana Scully, si sarebbe presa il resto della sua vita.

* * * * *

Scully trovò Skinner vicino al vano della porta, a parlare con un uomo che sembrava vagamente familiare. Skinner le fece un cenno. "Agente Scully, le voglio presentare George Callahan, il capo di stato maggiore del Presidente Matheson. "George, questo è l’Agente Speciale Dana Scully. Ti ricorderai di lei quando lavorava al caso Wellington lo scorso anno. Il miglior lavoro forense che il Bureau abbia mai visto."

La testa di Scully si sentì martellare mentre ascoltava il Vice Direttore adularla. Si sentì come se lui stesse parlando di un estraneo.

Callahan le porse la sua mano. "E’ un piacere incontrarla, Agente Scully." I suoi occhi azzurri erano colmi di un apprezzamento molto virile, e la mano di lui strinse la sua più a lungo di quanto lei desiderasse. Diede un’occhiataccia a Skinner, resistendo a stento all’impulso di asciugarsi la mano sul bordo del suo vestito.

L’espressione di Skinner si congelò in un mezzo sorriso, ma egli la condusse velocemente lontano da Callahan. "Mi dispiace," mormorò quando furono fuori portata d’orecchio.

Scully scosse la testa. "Non importa. Sto per chiamare un taxi, signore. Ho un po’ di mal di testa, e penso di voler solo andare a casa."

Il sopracciglio rialzato di lui le disse che non stava bevendo quella scusa. Ma che aveva la decenza di non commentare. "La porterò a casa io."

"Non è necessario—"

Egli scosse il capo. "Io penso di sì."

Scully piegò il capo in segno di  silenzioso consenso e aspettò mentre lui andava a prendere i loro cappotti. Ritornò in un attimo e la aiutò ad avvolgere attorno a lei la mantellina di velluto nero. Le mise una mano contro la schiena mentre la conduceva attraverso la porta nell’anticamera. Il piccolo gesto le ricordò di Mulder, il modo in cui lui la toccava sempre, le piccole carezze che l’avevano fatta sentire speciale e protetta.

Dannato lui per averle fatto questo proprio ora, quando loro stavano cominciando ad avvicinarsi di nuovo…

Lei e Skinner aspettarono proprio sulla porta mentre il cameriere andava a prendere l’auto di Skinner. Scully studiò il tipo di tappeto Orientale sotto ai loro piedi, volendo essere ovunque tranne che lì. Dietro di lei, attraverso la porta aperta sulla sala da ballo, il brusio della folla nel suo cranio palpitante. Poi, una voce un po’ più forte delle altre. Più vicina. Un po’ impastata. Dolorosamente familiare.

"Su, Henderson, te lo sei sempre chiesta, no?

Scully chiuse gli occhi.

"Speravo tu fossi in condizioni un po’ migliori quando lo avrei finalmente ho capito." La voce secca e divertita di Henderson, ancora più vicina.

"Bene, bene, bene. Guarda, Henderson. E’ come la solita settimana a casa."

Scully aprì gli occhi e si voltò a guardarli. Mulder stava con il braccio attorno alla spalla di Henderson, il suo viso scintillante e i suoi occhi troppo luminosi. Era ubriaco, realizzò Scully. Né completamente ubriaco fradicio, né del tutto sobrio.

Il Mulder che lei conosceva beveva di rado e non era MAI ubriaco. Ciò gli ricordava troppo come fosse diventato suo padre alla fine.

Che diavolo gli stava succedendo? Cosa lo aveva istigato, questa volta?

"Agente Mulder, Agente Henderson." Skinner parlò pacatamente. Ma Scully intuì il filo profondo di collera nelle sue parole. Levò lo sguardo su di lui e vide la linea severa della sua bocca. E capì, con un piccolo soprassalto di meraviglia, che lui era arrabbiato a causa sua. Perché sapeva che Mulder la stava ferendo.

Skinner aveva sempre visto dannatamente troppo. Sapeva troppo e aveva detto loro troppo poco. Ma proprio ora, era felice che lui fosse lì al suo fianco, una fonte inaspettata ma benvenuta di sollievo e di sostegno. Quasi inconsciamente lei si fece più vicina alla mole massiccia di lui.

"Henderson e io eravamo sul punto di volare via da questo posto alla ricerca di qualcosa di eccitante." Mulder guardò Scully, l’espressione di lui dura e distante, ma il suo sguardo intenso e spietato.

"Stai attenta, Henderson," Disse Scully a voce bassa, sorpresa che la sua voce funzionasse ancora. "Mulder è pericoloso quando è di umore spericolato."

Mulder si fece più vicino a Scully, mezzo trascinando Henderson con lui. "Cosa ne sai di come sono quando sono davvero spericolato?"

Scully indietreggiò come se lui l’avesse schiaffeggiata. Il disprezzo nella sua voce calma e profonda vacevano lo stesso male di uno schiaffo. Sentì la mano di Skinner vicina sopra alla sua spalla, che la tirava nella curva protettiva del suo braccio.

Henderson trascinò Mulder in direzione della porta. "Su, Mulder. Io penso che Scully sia stanca di giocare adesso." Gli fece largo attraverso la porta nella gelida notte di Marzo.

Scully si morsicò il labbro inferiore, adirata con Mulder per essere un tale assoluto deficiente e con se stessa per avergli permesso di arrivare a lei. Sapeva come era lui. Un grande ammasso tremolante di insicurezza e di angoscia. Lo era sempre stato, da quando lo aveva conosciuto. Qualcosa stanotte lo aveva scosso. Forse qualcosa di semplice come vedere lei qui con Skinner, come una situazione innocua, quale era. Nonostante la stupefacente dimostrazione di supporto da parte di Skinner poco fa, Scully sapeva che quell’uomo più anziano non pensava a lei come nulla di più di una amica e di una stimata collega. Infatti, Scully aveva udito voci sul fatto che il V.D. stava finalmente vedendosi con qualcuno.

E, sperava lei, anche Mulder se lo sarebbe immaginato. Probabilmente lo stava già realizzando in questo istante. Si sarebbe fatto portare da Handerson ad un albergo, e quando Scully sarebbe tornata a casa, avrebbe probabilmente trovato la sua voce sulla sua segreteria telefonica, scusandosi per essere un tale bastardo e chiedendole se avrebbero potuto vedersi il giorno seguente. Dopo tutto, sapeva che lui si fidava di lei, se non altro. Si fidava sicuramente di lei abbastanza da sapere che lei non lo avrebbe mai incoraggiato.

Ma quando tornò a casa, non c’erano messaggi in attesa in segreteria.

E il telefono non squillò per tutta la notte.

Dormì molto poco, riflettendo sul da farsi. Cercare di trovare Mulder al mattino e parlare di quello che era successo? O solamente lasciar passare le cose, come se nulla fosse accaduto, e andare avanti da lì?

Finalmente, alle sei di Sabato mattina, ella sollevò la cornetta e cominciò a chiamare gli alberghi nella più vasta area di Washington D.C.

* * * * *

Un rumore come di martello pneumatico accolse Mulder, trasportato una nuvola di aria nociva che fece scattare i suoi riflessi annebbiati. Rotolò giù dal letto--letto? Il letto di chi?—e inciampò attraverso una porta—Dove mi trovo? Di chi è questa stanza?—quello che desiderava davvero era dirigersi verso un bagno. Lo fece, e riuscì a tirare su la tavoletta del water prima di rimettere il contenuto del suo stomaco e pure ciò che era convinto fossero alcuni pezzi del suo fegato.

"Buongiorno anche a te, gigolò."

"Dio!" Mulder tenne la sua testa fra le mani e si raggomitolò in un angolo fra il gabinetto e la vasca. "Smetti di gridare!"

Elaine Henderson fece una smorfia e tirò l'acqua. "Questa è una parte di te che le ragazze del consorzio segretariale non avevano mai menzionato."

"Cosa ci faccio io qui?"

"Vomiti, a quel che vedo."

"No, intendevo dire cosa ci faccio QUI." Aveva vaghi, confusi ricordi che gli davano un’altra sensazione di nausea negli intestini. "La festa..."

"Te la sei fatta sotto perché Dana Scully era lì con il Vice Direttore Skinner. Poi ti sei ubriacato e mi hai fatto delle avance, e io ti ho portato qui."

Mulder premette i palmi delle mani contro gli occhi per non fare entrare la penetrante luce del sole che gli stava affettando il cervello in strisce sanguinanti. "Non starai dicendo che noi..."

"Non nelle condizioni in cui eri, Mulder. Non sono così disperata."

Dio, era un vero idiota. Una scusa meschina, svenevole, vomitevole per un essere umano. "Mi dispiace, Henderson." Strinse le mani sulla vasca da bagno e fece forza sui suoi piedi, barcollando un po’. Il bagno era molto freddo, pensò.

Poi si accorse che stava indossando nulla se non i suoi boxer neri di seta.

Si sentì incredibilmente nudo. Perché era Henderson che lo stava guardando invece di Scully.

Scully—oh mio Dio, pensò, Scully.

Scully e Skinner.

Nella luce dolorosamente sobria dell’alba, Mulder realizzò che quello che era accaduto la notte scorsa era inevitabile. Se non fosse stato Skinner, sarebbe stato qualcun altro. Perché Scully non aveva bisogno di uno come lui. Aveva bisogno di un uomo libero da cicatrici e fantasmi, qualcuno che la amasse come lei si meritava. Uno che non aveva paura di amarla. Un tipo che lei non doveva sempre raccogliere e rispolverare. Qualcuno che non se la dava a gambe e che non  partiva per la tangente all’improvviso. Uno equilibrato e leale.

Qualcuno che NON fosse Fox Mulder.

Non era colpa di Scully. Era colpa sua.

Era sempre sua..

Un metallico suono squillante riecheggiò nella sua testa e stridette lungo la sua spina dorsale. Lasciò cadere la testa nelle sue mani e gemette.

"Il campanello," disse Henderson lasciando il bagno.

Mulder andò a tentoni alla ricerca dell'armadietto del bagno, in cerca di una aspirina o di una anfetamina o qualsiasi cosa che calmasse le seghe ronzanti nel suo cervello. Tutto quello che trovò fu una bottiglia di Midol e qualche pastiglia Sucrets per la gola. Prese seriamente in considerazione il Midol. Anche se un rilassante muscolare sarebbe servito solo a confondere il suo cervello già vuoto.

Inciampò fuori dalla camera da letto e nell’ingresso. Prima di accorgersene, l’ingresso finì e lui stava camminando in quello che doveva essere il soggiorno di Henderson. C’era un divano, un paio di sedie, un televisore e una porta aperta.

E nel vano della porta, in piedi vicino ad Elaine Henderson, c’era Dana Scully.

Per un lungo, frammentato istante, l’intera scena sembrò raggelarsi. Mulder non udì nulla, non sentì nulla, non fiutò nulla, e non assaporò nulla. Vide soltanto.

Vide gli occhi azzurri di lei, spalancati per lo shock e qualcos’altro. Qualcosa di cupo e indimenticabile.

Dolore.

E allora seppe solamente che tremendo errore aveva fatto.

* * * * *

Scully si trascinò al suo appartamento, sentendosi come se fosse stata appena investita da un camion. Gli occhi le bruciavano di lacrime che non poteva--non voleva--far cadere. Lasciò cadere la sua borsa sul divano e andò in cucina. La caffettiera era sul timer automatico e ora era piena e ancora calda. Se ne versò una tazza e agitò un cucchiaino da te nel bricco per la panna, concentrandosi sull’odore forte, un po’ amaro. Prese un sorso, focalizzando il caldo corso del liquido che le stava bruciando la gola.

Pigiò il tasto play sul piccolo lettore CD portatile sul bancone di cucina solo per sentire un po’ di rumore, non sapendo cosa ci fosse nel lettore. Mary Chapin Carpenter, fuori uscì dai parlanti. Il CD che Samantha Mulder le aveva regalato per il suo compleanno.

Mio Dio, pensò. Samantha.

Perdere Mulder era più che perdere soltanto un, forse un giorno--sperandoci--amante. Perdere lui significava perdere una immensa, insostituibile parte di lei. Come strappare un braccio o una gamba o una testa o un cuore. Significava perdere Samantha e Caroline Mulder. Perdere la sua migliore amica, la sua più grande speranza per il futuro.

Il suo partner.

Aveva già perso il suo partner.

Il bastardo.

Sul lettore CD, leggere corde di pianoforte accarezzavano il velluto sull’inossidabile bellezza della voce di Mary Chapin Carpenter.

Baby, where’s that place where time stands still?
I remember like a lover can,
I forget it like a leaver will,
It’s no place you can get to by yourself,
You’ve got to love someone and they love you,
Time will stop for nothing else.
And memory plays tricks on us,
The more we cling, the less we trust.
And the less we trust, the more we hurt,
And as time goes on it just gets worse,
So, baby, where’s that place where time stood still?
Is it under glass inside a frame?
Was it over when you had your fill?

La gelida riservatezza di Scully si sgretolò e le lacrime cominciarono a cadere.

Fine del 7^

(Traduzione approssimativa della canzone: Piccola, dov’è quel luogo dove il tempo si ferma? Ricordo come può solo un amante, dimentico come solo chi lascia farà, non c’è un luogo dove tu possa andare da sola, Tu hai potuto amare qualcuno e loro ti amano, il tempo non si fermerà per null’altro. E la memoria si prende gioco di noi, più noi cerchiamo di aggrapparci, meno fiducia siamo disposti a dare. E meno fiducia siamo disposti a dare, più facciamo del male, e come il tempo va avanti la cosa non fa che peggiorare, Così, Piccola, dov’è quel luogo dove il tempo si fermava? E’ sotto un vetro dentro una cornice? Finì quando ne avesti abbastanza?)

Continua...