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Peterhof  o Petrodvorec presso S. Pietroburgo   (Russian: Петерго́ф, Petergof, originally Peterhof, Dutch and German for "Peter's Court")

26 agosto 2005

 

 

Il prospetto della grande cascata (The Great Cascade). In primo piano la statua dell'Amazzone.

Ancora il prospetto della grande cascata (The Great Cascade) con la statua di Flora

La statua di Sansone che lotta contro il leone (Samson Rending open the Jaws of the Lion)

La cascata del Dragone o la collina della scacchiera (The Dragon Cascade or the Chessboard Hill)

 


L’influenza di Villa d’Este nella residenza imperiale russa di Peterhof 

(Il presente articolo è stato pubblicato nel volume XIX, aprile 2006, degli ANNALI DEL LICEO CLASSICO "AMEDEO DI SAVOIA" DI TIVOLI, pp.93-103, insieme ad alcune foto a colori sotto riportate)

Peterhof[1], che dal 1944 era stato rinominata Petrodvorec (Palazzo di Pietro) ed ora viene chiamata in entrambi i modi, è una delle residenze estive più sontuose della corte imperiale russa, ideata da  Pietro il Grande (1672-1725); vi furono costruiti, a partire dal primitivo progetto e fino al 19° secolo, varie fontane ed edifici, tutti di notevole interesse artistico. Situata a ventinove chilometri ad ovest di San Pietroburgo, nella parte meridionale del Golfo di Finlandia, le origini di Peterhof sono legate al consolidamento del dominio russo sulle terre del Baltico, quando Pietro il Grande riuscì a battere la Svezia (1700-1709) occupando la Livonia, l’Estonia e le principali città della Carelia. La guerra contro la Svezia infine fu terminata quando gli svedesi furono costretti alla pace di Nystad (1721) e Pietro il Grande ottenne la conferma ai possedimenti baltici già conquistati. La costruzione del complesso ha avuto lunghe e complesse vicende: Peterhof  è nominata nel Diario di Campo di Pietro il Grande il 13 settembre 1705, quando lui si fermò nella località mentre viaggiava in barca da Kronstadt a San Pietroburgo. Era una vecchia casa colonica al lato di una strada che corre lungo la spiaggia del Golfo dalla foce della Neva al Golfo di Riga. La sua ubicazione tra Kronstadt e San Pietroburgo, spinse Pietro il Grande a scegliere il posto come luogo di riposo: fu costruito dapprima nel 1710 un piccolo palazzo di legno, egli vide poi la possibilità di far creare giardini, fontane, cascate, decorazioni per rivaleggiare con i grandi palazzi estivi e parchi delle monarchie europee. Esistono più di dieci schizzi di Pietro il Grande, ma in generale le modifiche, le note, le correzioni sono molte, basti dire che si arrivò all’idea di costruire il Parco inferiore, il Parco superiore collegando il Grande Palazzo, la Grande Cascata ed il Grande Canale ed il Palazzo di Monplaisir o Piccolo Palazzo in una sistemazione organica. Non è il caso di fare la storia della costruzione del complesso, la sistemazione del giardino, la costruzione dei canali per portare l’acqua nelle cascate e nelle fontane, voglio evidenziare che gli architetti, molti dei quali italiani, non possono non avere avuto presente la Villa d’Este a Tivoli. Ma qual era stato il destino della Villa d’Este? Essa attirava ancora l’interesse di artisti, pur se all’epoca di Pietro il Grande possiamo considerarla in stato di semi abbandono. Accenneremo solo alle tappe più importanti della Villa tiburtina: “Il vero splendore della villa può stabilirsi nel 1569, cioè diciotto anni dalla fondazione, non ostante che non fossero compiuti ancora tutti i lavori d’ornamento, e gli alberi crescenti facessero desiderare le gratissime ombre di un secolo dopo”[2]

La bellezza e l’importanza della villa avevano avuto perciò una vasta eco quando il cardinale Ippolito II d’Este (Ferrara 1509-Roma 1572) [3], fondatore della villa, era ancora in vita. [4]

Il mecenatismo ed i lavori erano continuati con il nipote cardinale Luigi d’Este (1538-1586), figlio di Ercole II e Renata di Francia.

Alla morte del cardinale Luigi d’Este fu subito accampato dal decano del Sacro Collegio il diritto di possesso sulla villa tiburtina e sugli altri beni inerenti, in virtù di una clausola nel testamento fatto dal costruttore della villa, il cardinale Ippolito II d’Este.

Perciò villa d’Este e i possedimenti sul colle Quirinale passarono, dal 1587, al decano del Sacro Collegio fino al 3 marzo 1599, quando fu elevato alla porpora cardinalizia Alessandro d’Este (1568-1624), nato da Alfonso d’Este, marchese di Montecchio (1527-1587), figlio illegittimo di Alfonso I d’Este e da Violante Signa.

Perciò per dodici anni la villa d’Este ed i possedimenti del colle Quirinale passarono al decano del sacro Collegio. In questo periodo i due decani, Alessandro Farnese prima, Alfonso Gesualdo poi, trascurarono completamente la villa estense, come efficacemente descrive il Seni. “Codesti due cardinali decani, sia per le molteplici cariche che ricoprivano, sia per gli affari, nei quali erano occupati, o perché assuefatti a godere delizie suburbane, se non più belle di quella di Tivoli, forse a loro più care per affetti e ricordi, poco o nulla si curarono del godimento della villa d’Este, che era stata agone di tante lotte incruente.

E quindi alla villa in Tivoli o non andarono mai, o vi fecero breve dimora. In compenso però fu presa, quasi d’assalto, da altri cardinali, i quali, sforniti di delizie suburbane, stimarono grande fortuna, potersi, specie nella lieta stagione, ridurre in quel luogo incantevole, circondandosi di parenti, di ossequiosi amici e di un vero sciame di adepti, i quali, a lor volta, invitarono cortigiani e parassiti a godere una delizia, della quale ancora parlava tutto il mondo, come di un miracolo dell’arte del giardinaggio.

E fra tanta gente che ivi convenne mancò sempre l’occhio vigile e interessato di chi sapesse difendere quel portento di arte e di gusto dalle incurie e dalle continue sottrazioni d’improvisati collezionisti, cui pungeva il desiderio di asportare, come gradito ricordo, qualcosa, fosse pure una scheggia di marmo o una pietruzza di mosaico. Mancò l’autorità necessaria a infrenare tale cupidigia e a correggere le licenze del servidorame prelatizio, avido di vendere, o generoso in regalar fiori, piante ed arbusti, ognuno dei quali rappresentava un valore; insomma, lasciata la villa alla scarsa sorveglianza di chi era male retribuito del suo ufficio, non bene determinato a cui ne spettassero la cura e la manutenzione, dovette nell’infausto decennio soffrire e perdere molto della sua eleganza, se lo stato di scadimento, fu appunto una delle ragioni che indussero…il pontefice Gregorio XV, a togliere la villa stessa al decanato, e restituirla per sempre ai duchi di Modena”[5]

Il cardinale Alessandro d’Este, preso possesso della villa, cercò di rimediare ai guasti provocati negli anni precedenti nelle fontane, nei giochi d’acqua, nel giardino, nelle statue ed infine riuscì nel 1621 a far si che il possesso assoluto della villa d’Este fosse assicurato in perpetuo ai componenti laici della casa estense, sostituendo ai decani del sacro Collegio i duchi di Modena pro tempore. Si preoccupò, il cardinale Alessandro, che in futuro, per mancanza di altri cardinali, la villa ritornasse al decanato del sacro Collegio e che la villa stessa dovesse subire altri danni.

Purtroppo, alla sua morte, la famiglia estense, occupata in altre faccende, non ebbe il modo di provvedere alla villa di Tivoli.

Infatti alla morte del cardinale Alessandro la villa passò a Cesare, duca di Ferrara (1552-1628), che la dovette difendere dai rinnovati assalti del sacro Collegio e respirò solo quando fu concessa la porpora cardinalizia al figlio Borso (1605-1657), ci furono poi Alfonso III, duca di Modena e Reggio (1591-1644, che governò il ducato solo nel 1628-29,  perché poi vestì l’abito dei cappuccini col nome di Giambattista da Modena),  poi Francesco I, duca di Modena e Reggio (1610-1658), che dimostrò, anche con i fatti, un sincero interesse per il possedimento tiburtino, troviamo poi il cardinale Rinaldo d’Este (1618-1672), in seguito ancora Francesco II, duca di Modena e Reggio (1660-1694), che pure apportò qualche miglioria alla villa. Estintosi il ramo primogenito della famiglia Este, un altro cardinale, Rinaldo, (1655-1737), alla morte nel 1694 del nipote Francesco II dovette sposarsi nello stesso anno con Carlotta Felicita Brunswich-Luneburg assumendo il titolo di Rinaldo III, duca di Modena e Reggio, succedendo anche nel possesso della villa al defunto nipote Francesco II. Non vi sono memorie che Rinaldo III provvedesse alla villa tiburtina, “della quale cominciava ad impallidire ogni splendore”

Di conseguenza troviamo poi un figlio di Rinaldo III nel possesso dei beni tiburtini e cioè Francesco III (1698-1780). Ma che la villa avesse una sua solidissima fama lo dimostrano le innumerevoli opere d’arte che la ritraggono, opera di artisti che inserivano la villa stessa nel loro Grand  Tour[6].

Nonostante tutte queste referenze, non ho trovato alcun accenno nel complesso di Peterhof riguardo la Villa d’Este. Le guide illustrate, lo stesso interessante sito web del complesso ed anche la guida russa che mi ha accompagnato in un viaggio che ho effettuato questa estate a San Pietroburgo citano esclusivamente l’influenza dei parchi francesi nell’ispirazione del complesso citato. Ma basta immergersi nella visita del parco per “respirare” l’aria di Villa d’Este.

Il primo impatto con la nostra Villa d’Este è dato proprio dal disegno geometrico complessivo che sembra richiamarsi, anzi si richiama, al mondo romano. Così come a Villa d’Este gli architetti di Ippolito d’Este “ridussero ad ordine” la geologia e la natura del suolo, la “reductio ad culturam” di Peterhof è anch’essa ben evidente se consideriamo come doveva essere la spiaggia antistante il Mar Baltico limitata appena da un terrazzo litoraneo.[7] La “reductio ad culturam” inizia con Johann-Friedrich Braunstein, allievo dell’architetto e scultore Andreas Schluter (1659/60-1714). Proprio tra il 1714 e il 1716, in parallelo con le costruzioni dei Palazzi, della Cascata e del Canale, fu depositato del suolo fertile sul luogo dei futuri giardini dopo aver rimosso lo strato paludoso anche con lo scavo di canali di prosciugamento. Fu costruito un argine per proteggere il Parco più basso dall’allagamento ed il piccolo promontorio dove doveva sorgere il Palazzo di Monplaisir fu fortificato con ciottoli di granito e pietre. Piantagioni furono impiantate su aree estese ed i viali incominciarono ad essere fiancheggiati da alberi, in particolare olmi, faggi, càrpini, aceri, tutti importati dall’Olanda, Germania, Estonia e dalle regioni intorno Mosca e Novgorod. Nell’agosto del 1716 troviamo invece Jean-Baptiste Alexandre Le Blond (1679-1719) uno degli architetti francesi più conosciuti e ben noto all’aristocrazia francese come creatore di residenze e disegnatore di parchi, con il titolo acquisito di Architetto della Corona. La sua erudizione come architetto e la sua abilità come costruttore furono immediatamente riconosciute da Pietro il Grande che lo nominò immediatamente capo architetto. Le Blond aveva trovato che Peterhof già aveva preso forma, ma esaminando il lavoro di Braunstein, preparò un memorandum nel quale elencò il numero di errori strutturali nell’architettura del Palazzo superiore, della Grande Cascata, del Gran Canale e nella configurazione del Parco più basso. Non è questa la sede per parlare delle modifiche intraprese voglio solo accennare al condotto sotterraneo per portare l’acqua dal Palazzo superiore alle fontane e le nicchie nella Grande cascata e all’allargamento del viale di Monplaisir per creare “aperture con passeggiate che divergono fra loro come raggi di luce dalle stelle”e labirinti di arbusti abbarbicati con fontane e piscine nel loro centro. Notevole l’influsso dei Labirinti di verzure della Villa d’Este e, pur se Le Blond morì improvvisamente, quando aveva appena incominciato a realizzare i suoi progetti, notevole fu l’impronta da lui data e l’influenza sugli architetti che continuarono il lavoro dopo la sua morte. Aveva ben presente certamente la Villa d’Este Niccolò Michetti (1675-1759), nominato architetto capo dopo la morte di Le Blond. Allievo ed assistente di Carlo Fontana (1634-1714) aveva preso parte alla progettazione di importanti edifici mentre era in Italia, diventando uno degli architetti più famosi di Roma. Lo ricordiamo in particolare per l’impianto idrico ornamentale e la decorazione scultorea della Grande Cascata. Ma è giusto citare infine anche il primo ingegnere idraulico russo Vastly Tuvolkov, appena ventitreenne, che aveva studiato idraulica in Olanda e Francia (mai che si nomini la culla della regina delle fontane!) il quale sfruttando abilmente il naturale pendio del terreno fece in modo che le fontane potessero “animarsi” nell’estate del 1721 sfruttando solo il principio dei vasi comunicanti come viene con dovizia di particolare spiegato dalle guide turistiche che tralasciano, forse per ignoranza, di citare il principio applicato nella maniera più eclatante nella nostra Villa d’Este. Anche se il canale che porta l’acqua a  Peterhof scende dalle colline distanti ventidue chilometri ed anche se l’acqua arriva fin al mare con quaranta chilometri di canali ed anche se il perfezionamento della struttura idraulica sotterranea si è protratto fino alla metà del XIX secolo  e fu  ripreso poi in grande stile nel 1945, quando si dovette por mano ai restauri dopo i gravi danni provocati al parco, ai palazzi e alle fontane durante i tre anni di occupazione nazista, tutto questo non è certo paragonabile al canale che porta l’acqua a  Villa d’Este realizzato nel 1564-65 (ben centocinque anni prima del primitivo progetto idraulico di Peterhof!) per il quale era stato necessario “forare con grandissima fatica e spesa il Monte passando sotto la città” [8] Nel 1565 si completava  anche a Villa d’Este il sistema di distribuzione dell’acquedotto Rivellese, rimettendo in funzione le cisterne di epoca romana sotto l’attuale Piazza Trento e mettendo in opera i condotti in modo da alimentare le fontane del giardino segreto e della parte alta del giardino fino all’Ovato. Così la raffinata macchina idraulica della Villa d’Este era mossa esclusivamente dalla forza di gravità con un’intricata rete di cunicoli, canali e tubazioni, che ancora oggi rappresentano uno straordinario esempio di ingegneria idraulica.

Ma in generale tutta la concezione di Peterhof ricorda Villa d’Este, l’esempio più rispondente è certamente la prospettiva della Grande Cascata che, ad  un colpo d’occhio ravvicinato, con il Palazzo incombente e le statue che adornano la Cascata stessa ricorda in maniera evidentissima la Fontana dei Draghi a Villa d’Este! Allontaniamoci ed osserviamo la Grande Cascata più da lontano: chi non può non riconoscere un misto tra Fontana dell’Ovato per le nicchie sottostanti il Palazzo o la Fontana dei Draghi o di Nettuno per la grandiosità prospettica?

La stessa ispirazione per gli elementi statuari, purtroppo del tutto scomparsi a Villa d’Este, è ben evidente: cito soltanto una copia della statua di Amazzone ferita[9], mentre anche Villa Adriana è ben rappresentata con la copia della statua di fanciulla coronata di fiori, cosiddetta Flora, proveniente dagli scavi eseguiti nel Pecile nel 1744 dal Michilli, donata sempre da Benedetto XIV al Museo Capitolino,  ed ospitata sempre nella Sala del Galata morente.[10] Nella grande nicchia, sotto la grande cascata di Peterhof, è ospitata altresì la riproduzione dell’eccezionale statua del Fauno ebbro, rinvenuta a Villa Adriana nel 1736 nella zona della cosiddetta Accademia e donata nel 1746 da Benedetto XIV sempre al Museo Capitolino[11]

Non è questa la sede per esaminare con pedanteria Peterhof  per  l’equazione con Villa d’Este, mi sembra opportuno però accennare alla Fontana del covone presente sia nella Villa d’Este che a Peterhof. Esatto, fontana del covone, altro nome della Fontana della girandola o dei draghi nella Villa Estense. Il disegnatore principe della Villa d’Este, il francese Jean-Honoré Fragonard (1732-1806), che nell’estate del 1760 soggiornò per circa due mesi a Villa d’Este[12], presa in affitto dall’altro artista ed amatore d’arte Jean Baptiste Claude Richard, abate di Saint-Non (1727-1791), ci ha lasciato uno eccezionale disegno della scalinata dei Draghi intitolato appunto L’Escalier de la Gerbe de la villa d’Este[13]

Voglio ricordare, a questo proposito, come illustrano il termine “Gerbe”  due dizionari francesi, uno dell’epoca immediatamente antecedente Fragonard e l’altro edito appena due anni dopo il soggiorno a Villa d’Este del pittore francese:

Dictionnaire de L'Académie française, prima edizione (1694) 

GERBE (Page 520) 

GERBE. s. f. Faisseau de bled coupé. Lier en gerbes. faire des gerbes. lier des gerbes. entasser des gerbes. battre des gerbes. disputer la gerbe. enlever la gerbe. lever la gerbe. Ces trois dernieres façons de parler se disent principalement des dismes.  

On appelle fig. Gerbe d'eau, Plusieurs jets d'eau qui estant fort prés les uns des autres representent une gerbe.   

Dictionnaire de L'Académie française, quarta edizione (1762) 

GERBE. s.f. (Page 816) 

GERBE. s.f. Faisceau de blé coupé. Lier en gerbe. Faire des gerbes. Lier des gerbes. Entasser des gerbes. Battre des gerbes. Disputer la gerbe. Lever la gerbe. Enlever la gerbe. Ces trois dernières façons de parler se disent principalement des dixmes.  

On appelle figurément Gerbe d'eau, Un assemblage de plusieurs jets d'eau, qui en s'élevant forment comme une espèce de gerbe.     

On appelle aussi figurément dans les feux d'artifice, Gerbe, ou Gerbe de feu, Un assemblage de plusieurs fusées, qui partant toutes ensemble, représentent une espèce de gerbe.

Ecco perciò spiegato il significato di “Gerbe” come “covone” in particolare “Gerbe d’eau”[14] come “un insieme di getti d’acqua, che si innalzano e formano una specie di covone”. Ci viene ancora una volta in aiuto Jean-Honoré Fragonard con l’altro disegno sullo stesso argomento, che per noi ha un duplice valore. Ci fa vedere la Fontana dei draghi o della girandola o del covone funzionante con l’acqua che forma una specie di covone e ci offre una prospettiva della Fontana con le statue e con il Palazzo sullo sfondo che non può non richiamare il prospetto della Grande Cascata di  Peterhof  con le sue statue![15]L’effetto del covone di grano è dato proprio dal getto centrale che arrivato in alto e ricadendo dà proprio l’illusione del covone di grano[16]. Inoltre in questa fontana l’acqua forma una specie di covone in quanto le quattro teste del drago “sputano” l’acqua che arrivata in alto e ritornando nel bacino disegna un arco più accentuato, a corollario del getto centrale, proprio come quello di un covone di grano[17]. Allo stesso modo ed in maniera molto più semplice nella fontana del covone che si trova nel centro (anche quella di villa d’Este si trova nel centro) del giardino di Monplaisir a Peterhof. Un potente getto d’acqua alto quattro metri e mezzo, si innalza dalla cima di un piedistallo di tufo in un bacino rotondo di undici metri di diametro.  Il bacino è circondato da due file di ventiquattro getti parabolici, che scendono, quando il sole filtra tra gli alberi, in uno spruzzo di gocce scintillanti come grani. L’acqua che sale e scende in questo modo dà alla fontana l’aspetto di un covone che sparge il proprio grano. Ma tutto il giardino di Monplaisir a Peterhof ricorda Villa d’Este: gli scherzi d’acqua, pur presenti in altri giardini d’Europa, fanno da corollario al nostro discorso, basti ricordare gli scherzi d’acqua nella Fontana della civetta e nella fontana di Proserpina a Villa d’Este,  così a Peterhof  due fontane sono messe di fronte al termine dei percorsi laterali di Monplaisir. Schizzano acqua all’improvviso da maschere di piombo  oppure sono oggetto di gioco da parte dei bambini che si divertano ad evitare, o forse a evitare non più di tanto[18], lo schizzo d’acqua che fuoriesce all’improvviso dal terreno. Anche gli altri scherzi d’acqua settecenteschi ricostruiti a Peterhof sono molto polari fra i visitatori, come le fontane della quercia, dell'ombrello e del piccolo pino, chiamate  appunto Fontane degli scherzi, veramente caratteristiche per i giochi d'acqua che vari congegni, autentici capolavori di artigiani russi del '700, sanno produrre.[19] Affacciamoci inoltre sul “grande canale o marittimo” lungo 400 metri che congiunge con il mare la vasca con la statua di Sansone che lotta con il leone. Non sembra di osservare la Fontana di Nettuno dalle peschiere (cosiddetti vasconi) a Villa d’Este? [20] E l’ispirazione della cosiddetta Cascata a terrazza non deriva forse dalla scalinata dei bollori a Villa d’Este, per l’effetto scenografico che crea l’acqua stessa cadendo sui vari “gradini” della cascatella a Peterhof? Chiudo citando soltanto le Fontane Romane: si chiamano così perché sul modello di quelle di Piazza S. Pietro a Roma: trovo che l’ispirazione primigenia siano le Mete sudanti di Villa d’Este, così le ho lette visitando Peterhof!                                          

  

 

[1] Per Peterhof segnalo l’ottimo sito web in lingua inglese: http://www.peterhof.org/index1.htm. Le guide illustrate in lingua italiana offrono una descrizione molto sommaria della residenza di Peterhof.

[2] Francesco Saverio Seni, La Villa d’Este in Tivoli, Roma, 1902, pag.52. Il recente libro di Gérard Desnoyers, La Villa d'Este à Tivoli, Paris, 2002 (cento anni esatti da quello del Seni) inserisce il disegno unitario della Villa nel neoplatonismo cristiano formulato da Marsilio Ficino (1433-1499) alla fine del XV secolo. Imbevuto di ermetismo (proprio il Ficino aveva tradotto in latino il Corpus ermetico, che ci è giunto col nome di Ermete Trismegisto, diventando uno dei testi chiave nel Rinascimento), questo platonismo cristiano pone al centro la filosofia dell’amore, che segnò profondamente le corti europee fino all’autunno del Rinascimento, evidenziando nella  sua speculazione filosofica, come fa Baldesar  Castiglione (1478-1529) alla fine del suo  Cortegiano, il cammino dell’anima tra terra e cielo.  […E però, come il foco materiale affina l’oro, così questo foco santissimo nelle anime distrugge e consuma ciò che v’è di mortale, e vivifica e fa bella quella parte celeste che in esse prima dal senso mortificata e sepolta. Questo è il Rogo, nel quale scrivono i poeti esse arso Ercule nella sommità del monte Oeta e per tal incendio dopo morte sembra esser restato divino e immortale; questo è lo ardente Rubo di Mosè, le Lingue dispartite di foco, l’infiammato Carro di Elia, il quale raddoppia la grazia e la felicità nelle anime di coloro che son degni di vederlo, quando da questa terrestre bassezza partendo se ne vola verso il cielo. LIX,16-17]. Logicamente G. Desnoyers cerca di ricostruire l’unità della Villa  come si presentava al momento  della sua creazione (il giardino ideale come risulta da incisioni e descrizioni dell’epoca) con una paziente peregrinazione condotta passo passo, stanza dopo stanza, fontana dopo fontana. Così  la villa d’Este diviene “Le songe d’Hippolyte. Un rêve d’immortalité héliaque” e quella che si avvicina di più all'ideale della Villa, così come fu concepita, è l'immagine data dall'incisione del du Pérac, vedi nota 4. Ho recensito il libro di Desnoyers negli Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e Arte, vol. LXXVIII, 2005, pp. 227-230, auspicando altresì una pubblicazione in lingua italiana.

[3] Figlio di Alfonso I, duca di Ferrara e di Lucrezia Borgia, a dieci anni era già arcivescovo di Milano, in seguito alla rinuncia di suo zio, il cardinale Ippolito I. Ebbe parte importante nei rapporti tra il Papato e la Francia; doveva infatti a Francesco I re di Francia la sua nomina cardinalizia, avvenuta in pectore nel 1538 e proclamata da Paolo III solo nel 1539. Nel 1550 fu eletto Governatore di Tivoli e diede il via alla costruzione della celeberrima villa. Nel 1552 fu mandato a Siena, come luogotenente di Enrico II di Francia, ma dovette presto ritirarsi per divergenze politiche con lo Strozzi che voleva una lotta ad oltranza contro i Medici. Nel 1561-1563 fu mandato in Francia presso Caterina dei Medici per le discordie tra cattolici ed ugonotti e per la riapertura del Concilio di Trento, ma pur avendo ottenuto qualche successo, finì col dispiacere a Papa Pio IV per la sua eccessiva tolleranza. Nel 1566 fu reggente a Ferrara, mentre suo nipote Alfonso II si recava in Ungheria a combattere i Turchi. Varie volte aspirò al soglio pontificio, valendosi anche di manovre simoniache; vi sarebbe forse riuscito, se non si fossero collegati contro di lui i cardinali del partito spagnolo (che lo giudicavano troppo legato alla Francia) e quelli, desiderosi della riforma della Chiesa, che lo ritenevano troppo mondano. Uomo coltissimo, fu generoso mecenate di poeti e di artisti.

[4] La fama della villa, a parte la pubblicità fatta dagli ospiti del cardinale, parte con il prototipo delle vedute dovuto all’architetto, pittore ed incisore francese Etienne du Pérac (circa 1525-1604). Il maestro francese fu ospite a Tivoli dei cardinali Ippolito II e Luigi d’Este. Infatti da un libro spese di quest’ultimo, il 3 luglio 1571, risulta che l’architetto ritrasse in tela la prospettiva della villa : “scudi 23 a M. Stefano Duperac pittore francese per fattura d’una prospettiva del giardino di Tivoli fatta in pittura sopra un quadro sopra la tela”. Inciso in rame il disegno fu dedicato nel 1573 dal du Pérac a Caterina de’Medici, madre di Carlo IX, re di Francia. L’autore dichiarò in maniera leggendaria che l’incisione era una riduzione del più grande disegno da lui eseguito per ordine del cardinale d’Este, al quale lo aveva richiesto l’imperatore Massimiliano II d’Austria. (V. Pacifici, Ippolito II d’Este, Cardinale di Ferrara, Tivoli, 1920, pp.395-396). Di questa incisione si “tirarono” altre serie con leggere modifiche e si continuò a a stamparla per tutto il XVII secolo.

[5] Seni, op. cit., pp. 113 sg.

[6] “Ma sia nel tempo del suo fiorire che in quello del suo decadimento la Villa d’Este non cessò mai di attirare il più vivo e più largo interesse, suscitato dalla sua bellezza, dal vago mistero delle rovine, dal profumo occulto delle cose accarezzate dall’arte, consunte dal tempo e, soprattutto, originato dall’incantesimo impareggiabile del sito” (A. Rossi, La Villa d’Este a Tivoli, Milano, 1935, pag. LXXI)

[7] Riguardo l’opera titanica per la costruzione di Villa d’Este, assimilabile ad un’impresa di Ercole, cfr. soprattutto recentemente Isabella Barisi, Marcello Fagiolo e Maria Luisa Madonna, Villa d’Este, Roma, 2003, pag.15 seguenti.

[8] Villa d’Este, cit., pag.62.

[9] Una statua di Amazzone ferita da originale di Fidia, si trovava acefala a Villa d’Este, nella Grotta di Diana e fu acquistata e donata nel 1753 da Benedetto XIV al Museo Capitolino, dove ora si trova nella Sala del Galata morente; fu poi restaurata con l’aggiunta della testa del tipo di quella di Kresilas; la statua di Peterhof presenta lo stesso restauro anche se manca l’altro errato restauro dell’arco, presente nell’Amazzone dei Capitolini, errato perché l’Amazzone doveva appoggiarsi alla lancia, cfr. R. Borgia, Schede di Antichità della Valle dell’Aniene, scheda n. 6, L’Aniene, Tivoli, n.11-12, 30 giugno 1980, pag. 13. Moltissime statue, rinvenute a Villa Adriana, ebbero il singolare destino di essere trasportate a Villa d’Este, poi, per ragioni economiche, disperse in vari musei e collezioni. Il nucleo più numeroso si trova nei Musei Capitolini e sarebbe auspicabile un calco delle opere stesse per ricollocare in situ almeno la copia  nella villa estense. Gli scorci della villa ne risulterebbero notevolmente arricchiti.

[10] R. Borgia, Schede di Antichità della Valle dell’Aniene, scheda n. 23, L’Aniene, Tivoli, n. 7, 15 aprile 1981, pag. 23.

[11] R. Borgia, Schede di Antichità della Valle dell’Aniene, scheda n. 20, L’Aniene, Tivoli, n. 3, 15 febbraio 1981, pag. 18.

[12] Cfr. soprattutto Saint-Non e Fragonard, Panopticon italiano. Un diario di viaggio ritrovato 1759-1761, a cura di Pierre Rosenberg, con la collaborazione di Barbara Brejon De Lavergnée, nuova edizione riveduta con una postfazione del curatore, Roma, 2000, pag. 159. Dispiace che questo libro d’arte, già edito nel 1986, sempre dalle Edizioni dell’Elefante, presenti gli stessi errori ed imperfezioni veramente esecrabili per un libro, dicevamo, di così alto livello. Così, ad esempio, si continua a scambiare il titolo delle sanguigne di Fragonard Le scuderie di Mecenate e La grotta di Nettuno a Tivoli (pag. 26 seguente), mentre “il y a cent cinquante ans” dalla fondazione di Villa d’Este diventano “cinquant’anni fa” nella traduzione italiana, che per di più è a fronte (pag. 159).

[13] L’eccezionale sanguigna di cm. 35 x 48,7 si trova nel  Musée des Beaux-Arts et d’Archèologie di Besancon in Francia, insieme ad altre nove sanguigne, chiamate comunemente “sanguines de la villa d’Este”, anche se in realtà rappresentano, oltre che la villa d’Este, anche altri luoghi della nostra città. Nel volume di Pierre Rosenberg, Dal disegno alla pittura, Milano, 2002, pag. 132, il titolo di questa sanguigna appare con l’esatta traduzione italiana di “La scala del covone di villa d’Este a Tivoli”. Segnalo altresì, con la medesima inquadratura, l’altra opera di Fragonard, questa volta un olio su tela conservato nel Minneapolis Institute of Arts in USA con l’attuale intitolazione The Grand Staircase of the Villa d'Este at Tivoli”, di ben 81,5 x 105 cm., esposto, insieme ai due disegni citati, nella Mostra “J-H. Fragonard e H. Robert a Roma” a Villa Medici a Roma dal 6 dicembre 1990 al 24 febbraio 1991. Il quadro ad olio risale certamente anch’esso al 1760, ma è certamente meno riuscito del disegno a sanguigna.  Riguardo le opere di Fragonard dedicate alla nostra città segnalo la pagina http://xoomer.virgilio.it/borgia/Fragonard.htm, che contiene i link per approfondire le singole opere.

[14] Viene in mente la composizione “Le Jet d'eau” di Charles Baudelaire (1821-1867)  …..La gerbe épanouie/En mille fleurs,/Où Phoebé réjouie/Met ses couleurs,/Tombe comme une pluie/De larges pleurs... ”

[15] Il lavis di bistro su controprova di sanguigna, cm. 43,2 x 55,3 appartiene alla collezione Peter Jay Sharp di New York. Tale disegno, di una sobrietà maggiore e dalla fedeltà estrema, potrebbe essere uno dei primi paesaggi eseguiti da  Fragonard a Villa d’Este nel 1760.

[16] “…Un grosso fiocco sgorga con veemenza dal gruppo dei draghi e si slancia contro il cielo e gorgoglia, spumeggia, gonfio, candidissimo, ricade esausto su se stesso e si frange fra mille rivoli e nuove spume e densi vapori lattei, nel quadro mirabile dei lecci secolari, dalle lunghe chiome cadenti sull’acqua, dei cipressi solenni, immobili, fra intrecci, e festoni di allori…” (A. Rossi, cit., commento alla tavola 13)

[17] L’incisione di  Giovanni Francesco Venturini (1650-post 1710) è forse quella che fa apprezzare di più l’effetto citato. Le incisioni del Venturini sono di straordinaria importanza per la lettura delle fontane e del giardino di Villa d’Este. Furono pubblicate col titolo di Le fontane del giardino estense in Tivoli, con…veduta della cascata del fiume Aniene, come quarta parte dell’opera di Giovanni Battista Falda (1648-1678) sulle Fontane di Roma,  pubblicata da Giovanni Giacomo de' Rossi (1627–1691) dal 1675 fino al 1791 in prima edizione, e successivamente riproposte. Occorre rilevare inoltre la difficile lettura delle teste del Drago, nell’estate del 1760, considerato che i giardini di Villa d’Este “…oggi sono in uno stato di abbandono tremendo, il Duca non viene mai e non spende quasi niente per la manutenzione. Una volta c’erano le più belle fontane del mondo, che venivano considerate uno dei gioielli d’Italia, ma ormai più dei due terzi non funzionano.” (Saint-Non e Fragonard, op. cit.,pag. 159) (Le incisioni del Venturini sono state recentemente ripubblicate da Franco Sciarretta per i tipi di Tiburis Artistica, Tivoli, nel 2005 in formato A4 a corredo della ristampa anastatica del fondamentale testo di Antonio Del Re, Dell’antichità tiburtine, Cap.V,1,Le meraviglie del Palazzo, & Giardino della Serenissima Fameglia d’Este, & loro Fontane, e Statue, Roma, 1611).

[18] Molte famiglie portano gli abiti di ricambio ai loro figlioli per permettere loro di giocare, in costume da bagno,  in questa fontana-scherzo “water-jokes”

[19] “they are an endless source of funny situations and general merriment” (dal sito ufficiale di Peterhof)

[20] Occorre dire che  la sistemazione definitiva della Fontana di Nettuno a Villa d’Este è relativamente recente, anche se l’effetto scenografico dell’acqua che scende a cascata fu ideato da Bernini nel 1661. L’affresco nella Sala di Passaggio a Villa d’Este,ora ridenominata Sala della Fontana) e che rappresenta l’asse delle Peschiere come la Fontana di Nettuno fu ridipinto appunto  per far  vedere le “acquatiche canne d’organo”, derivanti dal restauro di A. Rossi a partire dal 1925, cfr  Attilio Rossi, cit., commento alla tavola 18 e 19. “A monte delle peschiere sotto la mostra architettonica dell’Organo idraulico, sta la nuova grande fontana di Nettuno. Diciamo “nuova” perché nel suo aspetto attuale, nelle parti e nei dispositivi che la compongono – salvo la cascatella centrale – nell’eccezionale volume d’acqua che l’alimenta, essa non esisteva in antico...Le forti differenze di quota ivi esistenti, le opere murarie già in  opera ed infine la considerazione dell’Organo idraulico, già in antico istallato in alto e la disponibilità di un volume d’acqua sufficiente per creare una nuova grandiosa fontana, furono gli elementi che ci permisero di ideare di questa il progetto e di eseguirlo. Salvo la cascatella che venne conservata, come il motivo centrale dell’insieme, tutto il resto è opera moderna; nella quale fummo ispirati, come era indispensabile, dai principi stilistici dominanti nelle fontane Estensi…”

Roberto Borgia 2005. Tutti i diritti riservati.

 

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