Le recenti scoperte delle neuroscienze stanno spostando in modo
significativo le frontiere delle conoscenze sulla mente umana, rimettendo
in discussione le concezioni della mente che si erano affermate nel corso
del nostro secolo, come ad esempio la psicoanalisi. Ma non tutti gli
psicoanalisti sono allarmati, anche perché, è importante ricordarlo, nel
loro DNA è presente fin dalle origini la biologia. Freud, infatti, era
secondo alcuni storici della scienza, come l'americano Frank Sulloway, "un
biologo della mente" e fin dai suoi studi universitari coltivò, accanto
alla filosofia, lo studio della fisiologia, dell'anatomia e della zoologia
applicata. Non ancora ventenne fu inviato con una borsa di studio presso
il Laboratorio Sperimentale di Zoologia di Trieste, quando era ancora
parte dell'Austria, e lì passò il suo tempo a dissezionare 400 anguille
che poi osservava al microscopio, senza poter avvicinare le giovani
ragazze triestine come scrisse ironicamente al suo amico Silberstein: "dal
punto di vista fisiologico so soltanto che esse amano passeggiare". Circa
10 anni dopo, quando ormai i suoi interessi si erano indirizzati verso il
trattamento psicologico delle nevrosi, Freud si lanciò in un'impresa quasi
disperata, definire in modo chiaro i concetti psicoanalitici sul
funzionamento della mente umana riconoscendo i meccanismi cerebrali che ne
sono alla base. In una lettera inviata all'amico e collega di studi
Wilhelm Fliess, Freud descrisse il suo travaglio conoscitivo: "in una
tempestosa notte della scorsa settimana, in uno dei momenti di penoso
disagio in cui il mio cervello lavora meglio, le barriere improvvisamente
si sono sollevate, i veli sono caduti e sono riuscito a vedere tutto...
ogni cosa al suo posto giusto... i tre sistemi di neuroni, lo stato libero
e legato della quantità, il processo primario e secondario, le tendenze al
compromesso del sistema nervoso". Sostenuto dall'amico Fliess Freud riempì
due taccuini che dovevano costituire il nucleo del suo Progetto di una
Psicologia, che fu pubblicato postumo quando il materiale fu ritrovato
nelle lettere di Freud a Fliess. Forse nessun altro scritto nella storia
della psicoanalisi è stato discusso come il Progetto, con opinioni così
diverse, addirittura contrastanti. Per gli storici più tradizionali non è
casuale che il Progetto sia stato pubblicato postumo, probabilmente lo
stesso Freud aveva voluto tenere in soffitta il suo manoscritto ancora
legato al suo periodo neurologico, mentre per altri vi sarebbe una
continuità fra questo primo scritto e gli sviluppi psicoanalitici
successivi, come viene affermato nel libro Freud Neurologo scritto a
quattro mani, negli anni '70, dal neurofisiologo Pribram e dallo
psicoanalista Merton Gill. Si tratta oggi di un dibattito poco attuale,
anche perché i tentativi di Freud di coniugare la psiche e il cervello
erano sicuramente troppo prematuri, la psicoanalisi era ai primi passi e
la ricerca neurofisiologica si muoveva con strumenti di indagine ancora
grossolani. Oggi il contesto scientifico è profondamente cambiato, la
psicoanalisi ha 100 anni di vita e le neuroscienze stanno rivoluzionando
le nostre conoscenze del cervello utilizzando sofisticatissime tecniche di
indagine. Per questo motivo il confronto può essere più fruttuoso, come
sembrano indicare nuove iniziative in questo campo. Recentemente a New
York si è tenuta una Conferenza Internazionale di Neuro-Psicoanalisi sulle
prospettive neuroscientifiche e psicoanalitiche nel campo della memoria, a
cui hanno partecipato psicofisiologi come Schacter e Loftus e
psicoanalisti come Solms, oltre alla presenza di Pribram. Questa nuova
occasione di confronto fra ambiti disciplinari diversi non ha tuttavia
risposto all'esigenza posta recentemente da Eric Kandel, Premio Nobel per
la neurobiologia, di delimitare gli ambiti in cui sviluppare l'incontro
fra prospettive diverse, probabilmente perché il lavoro clinico con i
pazienti è troppo lontano dal piano dei meccanismi cerebrali della
memoria. Le difficoltà di questo incontro risultano evidenti in 3 libri
che sono stati recentemente pubblicati. Il primo è di due psicoanalisti
inglesi Karen Kaplan-Solms e Mark Solms, Clinical Studies in
Neuro-Psychoanalysis (Studi Clinici in Neuro-Psicoanalisi, Karnac Books),
che ritengono l'integrazione fra mente e cervello oggi non solo possibile
ma addirittura auspicabile. Ma il tentativo ancora una volta si dimostra
inadeguato perché Solms, che non è un ricercatore ma un clinico,
costruisce un grande edificio teorico a cui mancano le basi. Ben diverso è
il libro di Daniel Schacter Alla ricerca della memoria (Einaudi, pagg.
396, lire 28.000) che proviene dall'ambito della ricerca sperimentale. In
un libro brillante con ampi riferimenti letterari, ed artistici Schacter,
che insegna all'Università di Harvard, descrive il suo emozionante
percorso di ricerca sulla memoria iniziato più di 25 anni fa. I suoi
interrogativi e i suoi tentativi di spiegazione, che via via scaturiscono
nel lavoro con i pazienti che hanno perso la memoria per lesioni
cerebrali, fanno vedere la complessità e spesso la contraddittorietà del
procedere scientifico che ha portato Schacter a riconoscere varie forme di
memoria, da quella esplicita a quella implicita e a quella procedurale,
conclusione basata su evidenze ma che fu intuita dal filosofo Bergson: nel
1911 distinse la memoria conscia dall'abitudine. E' sicuramente di grande
interesse la scoperta della memoria implicita, quella che ci aiuta nella
vita quotidiana senza che ne rendiamo conto, ad esempio quando guidiamo la
macchina ed eseguiamo le differenti operazioni con un'abitudine sostenuta
da processi di memoria quasi automatici. E la memoria implicita è
particolarmente importante nei primissimi anni di vita quando, ad esempio,
il bambino utilizzando le precedenti esperienze archiviate nella sua
memoria sa che nei momenti di difficoltà i genitori lo possono aiutare e
proteggere. Come mette in luce Schacter, le strutture cerebrali alla base
della memoria implicita sono funzionanti prima di quelle che interverranno
per la memoria esplicita, più consapevole, che si basa fondamentalmente
sui lobi frontali del cervello che si sviluppano più tardivamente. E a
proposito di funzionamento infantile il terzo libro è particolarmente
interessante: si tratta de La mente relazionale di Daniel Siegel (Cortina
Editore, pagg. 362, lire 63.000), il cui titolo originale in inglese The
developing mind (La mente che si sviluppa) forniva meglio la cornice
concettuale del libro. Al termine del "decennio del cervello" si è creata
una situazione addirittura entusiasmante che ha messo in luce come i
processi mentali prendano forma dalle attività del cervello. La mente si
sviluppa nell'ambito delle interazioni con gli altri durante l'infanzia e
negli anni successivi. La creazione di specifici circuiti cerebrali
avviene con un "timing" influenzato dalla genetica, particolarmente nei
primi mesi di vita, influenzata, tuttavia, dai rapporti con i genitori e
con le altre persone importanti e il modo in cui le strutture e le
funzioni cerebrali si sviluppano sarà decisivo per l'organizzazione
mentale. Ma in che modo i processi mentali emergono dall'attività
neuronale del cervello? Come possono le relazioni umane influenzare le
attività e lo sviluppo del cervello? Attraverso quali meccanismi
l'esperienza con gli altri può dar forma all'attività e allo sviluppo
neuronale ? A questi interrogativi Siegel cerca di rispondere secondo un
modello concettuale che lui definisce "neurobiologia dell'esperienza
interpersonale". La mente a differenza del cervello non può essere
visualizzata, tuttavia ha un'organizzazione con i suoi processi che
possono essere descritti e studiati. Processi mentali come la memoria, le
emozioni, l'attenzione, la regolazione del comportamento e le conoscenze
sociali possono essere comprese esaminando la natura dell'attività
cerebrale. I progressi tecnologici, infatti, hanno consentito di
illuminare più a fondo la natura della mente. Quantunque siamo soltanto
agli inizi è fondamentale - questa è l'opinione di Siegel - accogliere
queste nuove idee e i dati delle neuroscienze per comprendere meglio come
la mente si sviluppa dall'intreccio delle esperienze sociali. Da questo
confronto fra teoria dell'attaccamento e neurobiologia scaturisce un
messaggio molto chiaro: le connessioni cerebrali che creano la mente si
sviluppano nell'ambito delle relazioni interpersonali, per cui le
relazioni umane modellano la struttura cerebrale dalla quale la mente
prende corpo.