La guerra fredda

Conflitto che a partire dalla seconda metà del 1945 vide come protagonisti gli Stati Uniti d'America e l'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, paesi usciti dalla seconda guerra mondiale come le due uniche superpotenze.

Senza mai sfociare in uno scontro effettivo combattuto con le armi, grazie al potere deterrente del vastissimo arsenale nucleare posseduto da entrambe le nazioni contrapposte, il conflitto si risolse in uno stato di continua tensione politico-economica e diplomatica tra gli stati che costituivano i blocchi formatisi attorno a USA e URSS, nonché in una serie di guerre locali combattute soprattutto nel Terzo Mondo. La durezza del confronto tra i due giganti ebbe origine in primo luogo nell'inconciliabilità delle ideologie poste alla base del sistema statunitense e di quello sovietico (capitalista l'uno, comunista l'altro), che ispiravano quindi interessi geopolitici opposti. Il carattere di bipolarità prodottosi nello scenario mondiale semplificò d'altra parte il quadro internazionale, congelando molte delle dinamiche di scontro che avevano caratterizzato il precedente sistema, dominato da più potenze, con l'esito paradossale di garantire il più lungo periodo di pace nella storia dell'Europa contemporanea.

Origini del conflitto

Il successo del comunismo in Russia nel 1917 (vedi Rivoluzione d'Ottobre) e la formazione dell'Unione Sovietica furono visti con forte sospetto dalle principali nazioni occidentali (Stati Uniti inclusi) e dal Giappone, che intervennero nelle vicende successive del paese sostenendo le Armate bianche controrivoluzionarie in lotta contro i bolscevichi, sino a tutto il 1922. L'Unione Sovietica venne isolata diplomaticamente fino alla seconda guerra mondiale, quando anch'essa entrò a far parte del fronte costituitosi contro le potenze dell'Asse. La liberazione dell'Europa orientale dalle forze nazifasciste attuata dalle armate di Stalin determinò l'inclusione di quella regione nella sfera d'influenza sovietica, alterando profondamente l'equilibrio politico internazionale prebellico. Dopo una fase iniziale di indecisione, il presidente americano Harry Truman adottò una linea politica decisa nei confronti di Stalin, rivedendo molte delle posizioni concilianti assunte su diversi temi dal suo predecessore, Franklin Delano Roosevelt, al fine di prolungare oltre la fine delle ostilità l'alleanza con URSS e Gran Bretagna. La crescente diffidenza reciproca caratterizzò quindi le relazioni tra le due superpotenze.

Strategie politiche e principali episodi della Guerra Fredda

Mentre nuovi motivi di tensione sorgevano in seguito ai tentativi sovietici di estendere la propria influenza in Iran e in Turchia, un discorso tenuto da Stalin nel febbraio del 1946, che confermava l'inconciliabilità tra i sistemi comunista e capitalista, sciolse gli ultimi dubbi statunitensi circa le reali possibilità di cooperazione con gli ex alleati. Enunciando nel marzo del 1947 la dottrina Truman in difesa dei diritti di libertà e autonomia dei popoli, il presidente degli Stati Uniti inaugurò la politica di contenimento del "pericolo sovietico", inviando aiuti economici e militari a quelle nazioni (come la Grecia e la Turchia, le prime a beneficiare degli aiuti) che per la loro instabilità interna erano particolarmente esposte alla propaganda comunista e alle mire espansionistiche di Mosca.

Fu questo contesto di confronto a tutto campo che il giornalista Walter Lippmann definì "Guerra Fredda", termine che entrò subito nell'uso comune. Sul fronte interno delle nazioni occidentali, un tratto caratteristico della Guerra Fredda fu l'insieme di provvedimenti (molto diversi per estensione e radicalità) adottati per controllare l'attività di partiti, movimenti o semplici simpatizzanti comunisti; negli Stati Uniti la sindrome del "pericolo rosso", particolarmente acuta negli anni Cinquanta, trovò esemplare manifestazione nelle campagne di denuncia del senatore Joseph McCarthy. Molto più efficace fu invece l'iniziativa lanciata dal governo statunitense nell'estate del 1948: un piano quadriennale di aiuti economici per oltre tredici miliardi di dollari destinati alla ricostruzione dell'economia e del sistema produttivo dell'Europa occidentale (il cosiddetto piano Marshall), compresa la Germania Ovest. Con la creazione della NATO (1949), il sistema integrato di difesa militare della regione euroatlantica, che coordinava le forze armate delle principali nazioni europee, degli Stati Uniti e del Canada, si tentò di garantire la difesa collettiva nell'eventualità di un attacco dell'URSS e dei suoi alleati.

Estensione e portata della Guerra Fredda crebbero peraltro nello stesso 1949 a seguito dell'esplosione della prima bomba atomica sovietica (che, ponendo fine al monopolio atomico statunitense, diede il via a una continua corsa al riarmo) e del successo in Cina della rivoluzione comunista guidata da Mao Zedong; l'immediata alleanza di quest'ultimo con Stalin fece rientrare anche l'Estremo Oriente nella scena dello scontro bipolare.

Proprio in Estremo Oriente si verificò la crisi più pericolosa del conflitto, quando il regime comunista della Corea del Nord invase la Corea del Sud nell'estate del 1950, dando inizio alla guerra di Corea. Sotto gli auspici delle Nazioni Unite, ma con l'effettiva leadership statunitense, una forza d'intervento internazionale frenò l'avanzata nordcoreana ristabilendo il precedente statu quo nella penisola a prezzo di un sanguinoso conflitto protrattosi per tre anni.

Alla morte di Stalin nel 1953 seguì un periodo di rallentamento della tensione, durante il quale il quadro generale sembrò stabilizzarsi; nel 1955, mentre la Germania federale entrava a far parte della NATO e le nazioni dell'Europa orientale opponevano a quest'ultima il patto di Varsavia, si formava un terzo blocco, quello delle nazioni non allineate (per la maggior parte appartenenti al cosiddetto Terzo Mondo), deciso a non accettare che lo scontro tra USA e URSS condizionasse tutto il pianeta.

Una nuova fase di tensione riprese sul finire degli anni Cinquanta a causa della costruzione, da parte di entrambi gli schieramenti, di missili balistici atomici intercontinentali: il muro di Berlino, eretto nel 1961, divenne il simbolo della Guerra Fredda. Nel 1962 sembrò essere imminente una guerra nucleare, quando l'URSS installò a Cuba, sua alleata, alcuni missili in grado di raggiungere il territorio statunitense; di fronte al blocco navale dell'isola ordinato dal presidente Kennedy, Mosca smantellò le basi missilistiche sull'isola (vedi Crisi cubana dei missili).

L'esito della crisi cubana dimostrò la possibilità di passare da uno scontro frontale, teso all'eliminazione dell'avversario, a una "coesistenza competitiva" tra le due superpotenze, le quali d'altra parte stavano assistendo a un progressivo ridimensionamento della rispettiva egemonia: Mosca dovette subire la rottura dell'alleanza con la Cina di Mao e affrontare la rivolta della Cecoslovacchia (Vedi Primavera di Praga), chiaro segno del malessere presente oltrecortina; dal canto loro gli Stati Uniti conobbero una pesante sconfitta nella guerra del Vietnam.

Con l'avvento degli anni Settanta veniva così inaugurata la politica della distensione, con i colloqui SALT (Negoziati sulla limitazione delle armi strategiche) intesi sia a rallentare l'ormai costosissima corsa al riarmo, introducendo forme di controllo degli armamenti, sia ad arginare il pericolo di guerre nel Terzo Mondo.

Ultime fasi e fine della Guerra Fredda

La distensione ebbe un brusco colpo d'arresto con l'invasione sovietica dell'Afghanistan nel 1980 (vedi Guerra dell'Afghanistan) e l'imposizione della legge marziale in Polonia nel 1981 per stroncare i moti di protesta guidati dal movimento democratico di Solidarnoßç; il governo statunitense decise dapprima di non ratificare il trattato SALT II, quindi, sotto la presidenza di Ronald Reagan, di rilanciare drasticamente la competizione nucleare, dando seguito al costosissimo progetto dello scudo di difesa spaziale, nonché di incrementare il sostegno ai movimenti di resistenza ai regimi comunisti in America latina, Asia e Africa.

Nel 1985 Michail Gorbaciov, esponente di punta di una nuova generazione di leader politici, giunse al potere in Unione Sovietica; lanciando le parole d'ordine glasnost' e perestrojka, il presidente si accinse a riformare radicalmente il sistema sovietico per porre fine alla lunga contesa con l'Occidente, i cui costi erano divenuti per Mosca ormai insostenibili. Conseguenza diretta di ciò fu il crollo delle tensioni tra Est e Ovest (sancito dalla sottoscrizione di nuovi accordi sul disarmo nucleare e convenzionale), e all'interno del Blocco Orientale il ridimensionamento dell'egemonia sovietica.

La caduta del muro di Berlino nel novembre del 1989 e il successivo sfaldarsi dell'intero blocco comunista, la riunificazione delle due Germanie nel 1990, il collasso e la disgregazione dell'URSS nel 1991 furono le principali tappe che posero fine alla Guerra Fredda. Sembrarono maturati i tempi per l'instaurarsi di un nuovo "ordine mondiale", ma questa prospettiva venne immediatamente smentita dal sopraggiungere di crisi come la guerra del Golfo o il conflitto nella ex Iugoslavia (vedi Guerra serbo-bosniaco-croata), che hanno allungato molte ombre sulla futura fisionomia del quadro internazionale.