ALLA SCOPERTA DI SE': 51 GIOVANI A CETRARO

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Trascorsi sei mesi, siamo giunti al Corso di Metà Servizio, svoltosi presso il convento gestito dalle suore Battistine a Cetraro ( CS ).

Hanno partecipato 51 giovani di diverse diocesi: Cassano, Cosenza, Reggio Calabria; San Marco Argentano-Scalea.

La formazione è durata tre giorni ed ha riguardato momenti diversi.

Ognuno di noi si è trovato ad elaborare una sorta di verifica personale e collettiva.

Una delle attività che ci è stata proposta dai nostri formatori consisteva proprio in lavori di gruppo, ovvero ogni diocesi esponeva su di un cartellone episodi significativi che hanno caratterizzato il servizio svolto nei loro centri durante questi sei mesi.

E' nato così un confronto tra le varie diocesi nel quale sono emerse alcune problematiche che hanno interessato sia gruppi che singoli.

Noi 51 giovani abbiamo scelto di intraprendere questo cammino, consapevoli delle nostre risorse e dei nostri limiti, essendo giovani diversi con vissuti diversi, con sogni, talenti, caratteri e aspettative diverse, ognuno con le proprie fragilità, ma uniti dallo stesso desiderio: essere sostegno per coloro che soffrono e vivono situazioni di disagio.

Un'attività significativa è stata quella del ”Mandala“, ciascuno di noi ha disegnato su di un foglio ciò che in quel momento desiderava esprimendo il proprio stato d'animo attraverso la creatività; i nostri formatori ci hanno fornito il materiale adatto ovvero: nastrini colorati, pennarelli, colla, forbici, spillatrici e fogli di carta.

C'era davvero da sbizzarrirsi, ma una volta scaduto il tempo a nostra disposizione i disegni sono stati ritirati e distribuiti per terra come a formare un tappeto e ciascun “Mandala” trasmetteva sensazioni diverse; molti erano davvero belli, ricchi di colori e sfumature, altri invece erano cupi e trasmettevano angoscia.

Attraverso quei disegni sono emersi diversi stati d'animo, qualcuno sereno, qualche altro turbato e confuso.

Anche un'altra attività mirava ad esternare le nostre emozioni, ma questa volta solo quelle che ci turbavano, questa attività è chiamata il “teatro dell'oppresso”. Ogni diocesi doveva unirsi in gruppo e pensare ad una scena dove vengono fuori stati d'animo che esprimono disagio, malessere, conflitto, oppressione.

Questo teatro è usato come linguaggio del corpo dove le parole non servono, come mezzo di conoscenza e trasformazione della realtà interiore, relazionale e sociale.

Il teatro dell'oppresso permette di mettere in scena, analizzare e trasformare la realtà che ognuno di noi in quel momento sta vivendo; è uno strumento di liberazione, un'attività che mira a sciogliere le meccanizzazioni del nostro corpo, della nostra mente e delle nostre emozioni che sono cristallizzate nella cosiddetta “maschera sociale” .

Ogni gruppo ha manifestato e trasmesso ciò che stava vivendo ed anche qui le risposte sono state tante, ogni corpo lanciava un messaggio diverso, leggibile solo dai nostri formatori.

Questi tre giorni sono stati davvero intensi per qualcuno in modo significativo, per qualche altro meno, personalmente sono felice di questa tappa raggiunta, anche se ho incontrato dei piccoli ostacoli: i sei mesi di servizio hanno messo alla prova le mie capacità, ho avuto modo di toccare con mano diverse realtà che mi hanno fatto riflettere.

Vorrei concludere questo cammino riscoprendomi una persona migliore, capace di ascoltare, confortare e donare tutto l'amore possibile a chi è solo, infelice e oppresso.

Noi giovani siamo la speranza, dobbiamo essere veri portatori di pace, armonia e serenità. Dobbiamo colorare questo mondo, altrimenti prevarranno solo colori cupi e tetri, mancano ancora sei mesi per il corso di fine servizio e mi auguro di arrivare con un animo sereno affrontando le difficoltà che si presenteranno poiché solo accettando e accogliendo che è diverso da me mi renderà una persona migliore di quella che sono oggi.

Marina R. Cogliandro

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