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E' sempre esistito un rapporto fra poesia e musica. Suono e parola hanno in comune il fascino e la potenza di espressione di qualcosa che non deve necessariamente essere immediatamente presente nelle vicinanze. Ma che al tempo stesso è dominabile, quasi controllabile, proprio mediante l'espressione e il canto, quindi tramite la parola e le figure retoriche, il verso, e il suono. E' poi ovvio che la parola sia suono, molto prima che segno o immagine scritta. Inoltre, poesia e musica obbligano a contare: c’è anche il fascino per il controllo su qualcosa creato dall’uomo e contemporaneamente misterioso (come per i pitagorici)1; originariamente il ritmo e la ripetizione di elementi sonori serve a ricordare meglio. Oltre che all'origine della letteratura occidentale, come in Omero o negli aedi o nel teatro greco, l'accompagnamento musicale della poesia risulta fondamentale in altre epoche ed in altre occasioni, come nella poesia provenzale e trobadorica in età medievale, o in molte forme di poesia popolare, come quella dei cantastorie, o negli odierni cantautori, questi ultimi esempi vanno però tenuti distinti dalla «poesia alta», cioè dalle «forme migliori» della poesia del nostro tempo e del tempo passato, che sono però anche forme legate ad alcune élites sociali, alle loro raffinatezze estetiche, alle scelte e necessità degli strati dominanti. Il rapporto fra la poesia e la musica è fondamentale in Omero (VIII-IX sec. a. C.), negli aedi (cantori) delle gesta eroiche e della poesia epica nell'antica Grecia, ma anche nel teatro greco: all'epoca di Eschilo (VI sec. a. C.) assistere a una rappresentazione teatrale consiste nel partecipare a un rito religioso, gli avvenimenti che si raccontano sono un patrimonio comune e la tragedia (come la poesia epica) deve essere austera e grave in quanto svolge la funzione di «poesia educatrice», moralizzatrice, per eccellenza ed ecco che deve essere integralmente in versi. Il verso serve ad essere cantato, dal coro, ma anche nei monologhi o nei dialoghi; il verso, soprattutto, serve a dare espressione forte e condensata ai contenuti morali. Col verso le parole rimangono più impresse e possono essere ricordate meglio anche grazie a figure retoriche di tipo espressivo (anafora, metafora, ellissi): sono meccanismi utilizzati oggi nei ritornelli delle canzoni o negli slogan pubblicitari. Se i meccanismi possono esser gli stessi, ovviamente non lo sono i risultati; occorre allora una educazione del gusto mediante un percorso dal facile al difficile (cfr. Renzi: «Come si legge la poesia», edito Mulino) o dal vicino al lontano, sia in senso spaziale, temporale o di percezione. Al di là dei percorsi possibili e definibili via via, è necessario un prerequisito, suggerito da Dino Buzzati in un breve racconto intitolato «La poesia» (da «Le notti difficili»), cioè il non essere troppo occupati da non aver tempo per la poesia. Occorre, a spettatori abituati alla frenesia della vita moderna, il tempo necessario ad ascoltare poesia; a noi oggi abituati all'immagine e alla pragmaticità del testo e non più così affascinati dal rapporto fra parola e suono, occorre chiederci come distinguere la poesia dalla prosa. Sono utilizzabili alcuni criteri (dal facile al difficile, suggeriti ancora da Renzi) per riconoscere una poesia, e quindi per rispondere alla domanda «cosa è poesia»: E' così anche possibile proporre uno schema (da Armellini: «Come e perché insegnare letteratura» edito Zanichelli) in cui ordinare alcuni generi letterari in base al secondo e terzo criterio:
La poesia, allora con questi criteri, è sì quel testo in cui si contano le sillabe e si fanno le rime, perché ciò permette di evidenziare la musicalità della parola, come nella tradizione delle lingue classiche (che erano quantitative e non basate su altezze di tono, accenti tonici), permette alle parole in rima di richiamarsi a vicenda facendosi meglio ricordare rimanendo maggiormente impresse (come nella pubblicità, nelle canzoni, nell'uso connotativo della poesia); ma è anche quel testo che esprime emozioni e sentimenti facendo perno su se stesso e su rimandi fonici, linguistici, retorici suoi propri, più che sul riferimento a fatti e oggetti esterni. |
1) Forma:
3) Contenuto: varia a seconda del genere poetico specifico La rima La rima è la perfetta uguaglianza del suono finale di due parole dal loro accento in poi; può allora essere piana, tronca o sdrucciola, a seconda di come sono le parole in rima. Esempi: amóre-dolóre; sentì-compì; càntano-piàntano (R. Spongano: «Nozioni di metrica» edito Patron). La rima sta alla fine del verso, ma può ricorrere anche al suo interno, e si chiama interna, o in fine di emistichio (metà verso), e si chiama rimalmezzo. La rima si dice: Si ha invece assonanza quando le parole hanno le stesse vocali, ma diverse consonanti. Esempio: campàne-celàre. C'è però chi parla anche di una assonanza consonantica o semplicemente consonanza per intendere una assonanza in cui sono uguali le consonanti e non le vocali. Se le parole hanno suoni simili, cioè stessa vocale e consonante vicina ovvero sillaba simile, si parla di allitterazione (ripetizione delle stesse lettere o di gruppi uguali o affini). Esempi: onnipotente, bon... honore... onne... konfano (dal Cantico creature); Po, ben puo' tu portarne la scorza (Petrarca). Se i suoni delle parole si ripetono in «ordine incrociato», si può parlare di chiasmo sonoro. Esempi: konfano; morte troverà. I versi I nostri versi hanno preso il nome dal numero delle loro sillabe, ma per poterle contare con precisione occorre tener presente che ogni verso stabilisce la posizione della vocale tonica per la rima (ictus) e non il numero di sillabe. Ad esempio: un settenario ha la sillaba tonica nella sesta posizione (7 - 1) e quindi le sillabe sono sette se la rima è piana, ma sono sei se è tronca e sono otto se sdrucciola. I versi lunghi (dall'ottonario in su) sono detti composti o a due accenti (ictus): vi è la cesura, una pausa del ritmo coincidente con quella del senso, fra i due emistichi di cui il verso è composto. Inoltre il numero delle sillabe viene modificato da fenomeni comuni come: elisione e iato, sinalefe e dialefe, sineresi e dieresi, aferesi sincope e apocope (normalmente non segnati in manoscritti antichi). Elisione è la caduta della vocale finale di una parola: Voi ch'ascoltate... Iato è il contrario dell'elisione, cioè l'emissione separata di due vocali con l'apertura della gola. Sinalefe è la pronuncia unita e in un'unica sillaba della vocale finale di una parola e di quella iniziale della successiva: Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono (Petrarca, Rime). Dialefe è la pronuncia separata, in due sillabe, della vocale finale di parola e della iniziale successiva: Che fece me | a me | uscir di mente (Purgatorio VIII, 14). Sineresi è la pronuncia unita e in un'unica sillaba di due vocali consecutive interne alla parola, che altrove possono essere pronunciate separatamente: «ubbi-dien-te» e non «ubbi-di-én-te». Dieresi è la pronuncia separata e in due distinte sillabe di di due vocali consecutive interne di parola. Aferesi è la caduta della sillaba iniziale di una parola: `nanzi per innanzi o `sti per questi. Sincope è la caduta di una sillaba nel mezzo di una parola: spirto per spirito. Apocope è la caduta della sillaba finale di una parola: fe' per fede. Infine, è possibile la licenza poetica: una irregolarità sintattica, grammaticale o fonologica in funzione stilistica, voluta o trovata per necessità ritmica. |
1. Molto a margine vorrei osservare come nella filosofia indiana la ripetizione di un suono o di una serie di suoni, cioè di un mantra, possa avere addirittura un potere di strutturazione del reale, oltre che della propria interiorità. torna al testo 2. La polisemia è la possibilità, per le parole, di avere più significati che si fondono o si richiamano.torna al testo 3. La denotazione è il significato espresso direttamente dai segni; è l'oggetto di riferimento, referente, mediante cui si fa attenzione alle cose che vengono dette e comunicate come tali. La connotazione è il significato al di là del riferimento (ad esempio, emozionale); si fa attenzione al messaggio in sé, le parole sono obbligate a dire di più rispetto al loro normale riferimento (significato denotativo).torna al testo 4. Figure fonetiche sono l'allitterazione, l'assonanza e la consonanza, l'onomatopea, la paronomàsia (ghiaccio/giaccio).torna al testo 5. Anafora è la ripetizione di un elemento (una o più parole), a volte con qualche piccola modifica, all'inizio di una unità sintattica o metrica. Es: Laudato sie... Laudato si' (Cantico creature); Per me si va ne la città dolente/ per me.../ per me... (Inf).torna al testo 6. Ellissi è l'omissione di un elemento sintattico, che viene quindi sottinteso. Come struttura letteraria, invece, consiste nel tralasciare la narrazione di episodi negativi o dolorosi.torna al testo 7. Sinestesia è l'associazione espressiva (anche metaforica) di due parole appartenenti a sfere sensoriali diverse. Es: urlo nero.torna al testo 8. Metonimia è l'uso del nome della causa per quello dell'effetto (es. vivere del proprio lavoro, invece che lavorare per vivere), del contenente per il contenuto (bere una bottiglia), della materia per l'oggetto (sguainare il ferro), dell'astratto per il concreto (eludere la sorveglianza). Simile alla metonimia è la sineddoche che riguarda la sostituzione di parole in relazione di maggiore o minore estensione. Esempi: fare vela (per nave) o borsetta di foca (per pelle di foca). torna al testo |
10/12/1999