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MULTIDISCIPLINARIETÀ
E NUOVO ESAME di STATO

RELAZIONE SULLE ESPERIENZE DIDATTICHE E DI FORMAZIONE
(L. 20/5/82 n. 270; C. M. 10/9/91 n. 267; classe di concorso 037A, Filosofia e Storia)
ANNO SCOLASTICO: 1998 - 1999

DOCENTE NEONOMINATO: Fabio Utili



Ultim'ora:
  • aggiornamenti normativi per l'anno scolastico 2001 - 2002
  • aggiornamenti normativi per l'anno scolastico 2000 - 2001
  • aggiornamenti normativi per l'anno scolastico 1999 - 2000



INDICE








cap. 1
Delle innovazioni didattiche «dal tetto», ovvero della ricaduta del nuovo esame di Stato sull’intero curricolo.
1.1 Innanzi tutto la motivazione della scelta di questo argomento per il presente lavoro
1.2 Pluri- o multi- disciplinare
1.3 Programmazione, modulo, unità didattica
1.4 Consiglio di classe, valutazione e credito scolastico
1.5 Riflessioni conclusive

cap. 2
Le finalità del nuovo esame di Stato, ovvero del significato di un nome nuovo per l’esame di conclusione del ciclo secondario di studi.
2.1 La normativa
2.2 Le «tre C» e la «ratio» del nuovo esame
2.3 Ma cosa significa tutto questo nella concreta attività didattica?
2.4 Riflessioni conclusive e sulla taratura dei test

cap. 3
La multidisciplinarietà, ovvero del nuovo modo di porre i contenuti.
3.1 Cosa significano i termini interdisciplinarietà e multidisciplinarietà?
3.2 I saperi essenziali
3.3 Dalle formulazioni generali sui saperi alla didattica: i moduli
3.4 La ricerca metodologico-disciplinare per una didattica di qualità
3.5 Riflessioni conclusive

cap. 4
Lo svolgimento dell'esame, ovvero del nuovo al suo primo atto.
4.1 L’iter dell’esame
4.2 Il colloquio come perno della pluridisciplinarietà
4.3 Riflessioni conclusive sul colloquio, la certificazione europea, il credito

cap. 5
Le mie esperienze didattiche, ovvero della ricerca del nuovo nelle mie esperienze di quotidiana attività didattica.
5.1 Quanto e come il nuovo esame è entrato nella mia attività didattica
5.2 Profilo e attività svolta nella classe III A in quest’anno scolastico
5.3 Profilo e attività svolta nella classe IV A in quest’anno scolastico
5.4 Profilo e attività svolta nella classe V A in quest’anno scolastico
5.5 Un esempio di modulo per la classe V

Bibliografia
- Repertorio legislativo
- Riferimenti vari


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Ultim'ora.

Aggiornamenti normativi per l'anno scolastico 2001 - 2002:
Tutti i membri della commissione saranno interni: come nell'esame di terza media.
Si può fare riferimento all'OM n. 43/02.

Aggiornamenti normativi per l'anno scolastico 2000 - 2001:
D.M. 26/10/2000 n. 243 Certificazioni e relativi modelli rilasciati al superamento dell'esame di Stato conclusivo dell'istruzione secondaria superiore
C.M. 11/12/2000 n. 272 Norme sulla formazione delle commissioni degli esami di Stato
Ottobre 2000: La nuova struttura della prova scritta di matematica
D.M. 20/11/2000 Regolamento sulle modalità di svolgimento della I e II prova scritta
D.M. 20/11/2000 Regolamento sulle modalità di svolgimento della III prova scritta
In relazione a quest'ultimo è aumentato il numero delle materie che possono essere proposte: da quattro a cinque.
Conseguentemente è ancora aumentato il numero di quesiti per le varie tipologie (5 argomenti per la trattazione sintetica; da 10 a 15 per la risposta singola, da 30 a 40 per la risposta multipla); è confermata la possibilità di prove con tipologia mista (ma solo mettendo assieme risposta singola e multipla).

Aggiornamenti normativi per l'anno scolastico 1999 - 2000:
OM n. 31 del 4/2/99 modalità organizzative e operative.
alcune Circolari (le n. 277, 278, 280 del 19/11/99) danno indicazioni sulla formazione delle commissioni, sulle classi sperimentali e sui candidati esterni
DM 8/11/99 n. 518 Regolamento su materie e commissari
DM 8/11/99 n. 519 Regolamento sulla I e II prova
DM 8/11/99 n. 520 Regolamento sulla III prova
DM 24/2/2000 n. 49 riguarda, invece, le tipologie di esperienze che danno luogo ai crediti formativi.

In relazione alla III prova sono aumentati i numeri di quesiti per alcune tipologie (da 8 a 12 per la risposta singola, da 20 a 30 per la risposta multipla) e si dà la possibilità di prove con tipologia mista (ma solo mettendo assieme risposta singola e multipla).

Ritengo, tuttavia, ancora insufficiente il numero di quesiti (il cui rapporto col numero massimo di materie proponibili rimane ugualmente troppo basso) e, anche se si tratta di un miglioramento, considero sempre valide le osservazioni critiche proposte qui.

Tutte queste norme sono reperibili al sito del Ministero, cliccando poi sulle News o sui link per gli esami di Stato.


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° 1 °
Delle innovazioni didattiche «dal tetto», ovvero della ricaduta del nuovo esame di Stato sull’intero curricolo.







 indice

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 cap. 1

 cap. 2

 cap. 3

 cap. 4

 cap. 5

 bibliogr.
1.1 Innanzi tutto la motivazione della scelta di questo argomento per il presente lavoro.
Sebbene l’esame di Stato riguardi solo, per ogni anno, la classe V è fra gli obiettivi di questa innovazione non solo far cambiare punteggi e numero delle materie da preparare, ma anche far cambiare la didattica e la valutazione negli anni precedenti l’ultima classe, particolarmente del triennio: già da quest’anno occorre tener presente struttura, finalità, difficoltà del nuovo esame anche nell’attività svolta nelle classi III e IV.
La cosiddetta innovazione «dal tetto», per quanto ovviamente graduale, consiste in questa esigenza. Contenuto irrinunciabile dell’esame, al di là delle trasformazioni nello svolgimento del colloquio e nell’introduzione della III prova scritta, è la pluridisciplinarietà: questo è il nucleo, infatti, attorno cui sviluppare gli argomenti specifici di ciascuna disciplina, la programmazione, la valutazione.

1.2 Pluri- o multi- disciplinare vuole indicare che le conoscenze e le competenze degli allievi per essere autenticamente formative vanno sviluppate nel complesso delle discipline; ché nessuna di queste è eliminabile (per quanto ovviamente si possano fare scelte diverse in relazione all’offerta formativa di ciascun indirizzo e oggi, con l’autonomia scolastica, anche in riferimento all’offerta formativa di ciascun istituto): tanto meno eliminabile in sede di esame conclusivo.
In base allo stesso criterio formativo della pluridisciplinarietà può anche essere letto il credito formativo, con cui si attribuisce un punteggio (minimo) per esperienze di un certo spessore fatte al di fuori e in aggiunta all’offerta formativa della scuola medesima.

1.3 Programmazione, modulo, unità didattica
Se la ricaduta dell’esame vuole essere non solo sull’ultimo anno, ma almeno sull’intero triennio, occorre tener ciò presente in primo luogo nella programmazione di inizio anno. La programmazione dovrà essere effettuata sempre più attraverso moduli e unità didattiche: tali termini e tali strumenti didattici non sono nuovi in assoluto ed anzi sono già entrati effettivamente nell’uso delle programmazioni sperimentali curricolari, meno negli indirizzi tradizionali. Le scelte da attuare in sede di programmazione non sono solo di contenuti, ma di metodi, di mezzi, di tecniche1. Data però l’essenzialità della pluridisciplinarietà diventa fondamentale la programmazione per moduli che possono essere definiti come macroargomenti, contenitori di una o più unità didattiche viste come sottoargomenti sviluppati nello specifico di ciascuna disciplina. Ciascun modulo deve essere studiato nei suoi obiettivi disciplinari, ma può anche esserlo a livello di agganci (link) pluridisciplinari, nello stesso modo in cui si costruisce un ipertesto2.
Sono allora proprio questi macroargomenti che possono consentire ai docenti di far sviluppare competenze e abilità da esercitarsi poi negli argomenti specifici di ogni disciplina, e per conversa sono sempre questi moduli che possono consentire agli allievi di passare da uno specifico disciplinare all’altro. Non a caso il «Documento del Consiglio di classe» da compilare entro il 15 maggio prevede l’indicazione dei contenuti disciplinari sulla base di macroargomenti.

1.4 Consiglio di classe, valutazione e credito scolastico
Ecco che risulta fondamentale una convergenza all’interno del Consiglio di classe, oltre che su obiettivi trasversali e sviluppo di capacità analitiche, sintetiche e critiche nella pluralità delle discipline, anche su alcuni (ovviamente non e mai tutti) macroargomenti. Tale convergenza può certo nascere nel corso dell’anno, ma va sicuramente ricercata e preventivata in sede di programmazione di inizio anno scolastico e magari attraverso l’intero triennio proprio per preparare gli studenti gradualmente allo sviluppo di queste abilità.
E’ chiaro che quando si parli di moduli e obiettivi venga direttamente coinvolta l’attività di valutazione. In questo settore una novità importante da considerare è legata al credito scolastico: le tabelle prevedono il livello massimo di credito per una media superiore all’otto, perché i ragazzi più bravi possano arrivarvi occorre riuscire a dare nella pagella finale degli anni del triennio anche 9 o 10 individuando gli opportuni indicatori che consentano di registrare le competenze e le capacità di alto livello. I problemi sentiti da parte degli insegnanti, e cui qui si sono poste alcune ipotesi di soluzione, dunque sono: «come armonizzare un nuovo esame con una scuola rimasta sostanzialmente immodificata da anni? E come mettere in comune competenze, esperienze, percorsi didattici...» (dalla rivista Iter, n. 3, p. 50).

1.5 Riflessioni conclusive
A termine di questa introduzione vorrei proporre alcune riflessioni, cui io stesso non ho ben saputo rispondere e che danno il senso delle difficoltà cui ci si può trovare di fronte.
Si parla di innovazione «dal tetto» quando gli standard a livello nazionale o anche locale (in considerazione di particolari situazioni) non si sono ancora definiti: è l'innovazione stessa che li dovrà creare, o è a seguito dell’innovazione entrata a regime che il Ministero potrà fornirli. E’ vero che la riflessione pedagogica ha prodotto delle indicazioni, faccio riferimento al documento elaborato dai «saggi» sui Saperi essenziali, ma questi non sono degli standard e nessuna organizzazione complessa può muoversi seriamente e organicamente se non ha ben chiara non solo la direzione generale, ma anche l’obiettivo preciso (standard) da centrare.
Ancora di più, si è accennato a moduli e autonomia, ma negli indirizzi tradizionali degli scientifici i programmi ministeriali di filosofia sono ancora quelli della Sottocommissione alleata del 1944. E’ chiaro che nessuno più li segua rigidamente. Quelli di storia sono stati cambiati recentemente, ma ponendo i docenti nella condizione di trovare perfino maggiori difficoltà nei collegamenti: in quinta si fa storia del ‘900, mentre per filosofia si fa Hegel o Kant, mentre l’insegnante di lettere parla di Leopardi o Manzoni...
Ecco che la «ricaduta» ovvero la seria ed efficace realizzazione degli intenti del nuovo esame nel ciclo secondario ricade innanzi tutto sulla buona volontà dei docenti, degli studenti, del personale della scuola.


note
1 Alcuni riferimenti bibliografici a studi per una considerazione della filosofia da prospettive metodologiche e didattiche diverse possono essere:
a) A. Girotti: «La filosofia per unità didattiche», ed. Pagus, 1993;
b) AAVV: «Filosofia e ricerca didattica», IRRSAE Puglia, 1995;
c) AAVV: «Didattica breve - materiali 1» (italiano, storia, filosofia), IRRSAE Emilia-Romagna 1995. torna al testo
2 Uso qui il termine ipertesto per alludere ad abilità «vecchie» di alto livello. Qualunque lettore esperto e abbastanza intelligente è in grado di prendere un libro tradizionale (cartaceo) e utilizzare indice e indice analitico per cercare le informazioni che gli servono senza dovere leggere tutto il libro e, nel caso le informazioni cercate siano diverse, si muove come «navigando» fra argomenti e paragrafi. Il possibile rischio con un ipertesto e un lettore inesperto è che si trovino ben poche informazioni; inoltre i link sono prestabiliti e io posso solo accettarli o rifiutarli.torna al testo

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° 2 °
Le finalità del nuovo esame di Stato, ovvero del significato di un nome nuovo per l’esame di conclusione del ciclo secondario di studi.







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 cap. 1

 cap. 2

 cap. 3

 cap. 4

 cap. 5

 bibliogr.
2.1 La normativa con la legge 425 del dicembre 1997 all’articolo 1 individua il fine del nuovo esame conclusivo della secondaria nella: «analisi e verifica della preparazione di ciascun candidato in relazione a obiettivi generali e specifici propri di ciascun indirizzo.» E’ una indicazione generica e generale, una legge non poteva essere più specifica, ma è già chiara: vanno analizzati e verificati obiettivi determinati; non è una valutazione globale sulla persona definita «maturità» (Legge 119 del 1969) né una valutazione che possa solo riferirsi a nozioni, ma deve includere una pluralità di obiettivi generali e specifici; anche se direi che questa seconda esigenza era già da tempo entrata nella legislazione e nell’uso quotidiano didattico, ma ciò che è fondamentale sta nel fatto che questa esigenza sia colta dal legislatore come base per il nuovo esame.

2.2 Le «tre C» e la «ratio» del nuovo esame
Un po’ più nello specifico entra il Regolamento del luglio 1998 che, all’articolo 1 riprendendo la legge, aggiunge: «l'analisi e la verifica della preparazione di ciascun candidato tendono ad accertare le conoscenze generali e specifiche, le competenze in quanto possesso di abilità, anche di carattere applicativo, e le capacità elaborative, logiche e critiche acquisite.» Queste sono le cosiddette «tre C».
Le conoscenze (il sapere) sono il primo obiettivo (sia generale sia relativo a ciascun indirizzo e a ciascuna materia) in quanto le abilità vanno sempre esercitate e verificate a partire da conoscenze acquisite o acquisibili; in modo ancora più preciso: non è possibile far crescere alcuna abilità, specie nella istituzione scuola, se questa abilità non ha come prerequisito l'acquisizione di contenuti relativi a una o più discipline o aree disciplinari; contenuti che sono rappresentati da teorie, principi, concetti, termini, argomenti, regole, procedure, tecniche applicative.
Le competenze (il saper fare) consistono nel saper utilizzare in concreto le conoscenze date, quindi si tratta di abilità di tipo applicativo (anche in contesti organizzati) delle conoscenze acquisite per eseguire specifici compiti e/o risolvere situazioni problematiche.
Le capacità (saper essere, inteso come rielaborazione critica che arricchisce l’individuo) sono di tipo critico e elaborativo delle conoscenze e delle competenze anche in funzione di nuove acquisizioni e quindi di un futuro autoapprendimento continuo.
Le conoscenze (knowledge) sono rappresentate da contenuti imprescindibili legati alle discipline (o anche di livello pluridisciplinare); si presuppone la comprensione di tali contenuti che viene così a costituire la base per l’acquisizione delle competenze, cioè del livello applicativo. Tali competenze (know how) vengono rappresentate dalla capacità del soggetto di conseguire standard riconoscibili di prestazione; mentre le capacità (skill) sono piuttosto competenze soggettive, personali.
La coesistenza e la correlazione di questi aspetti e particolarmente di quello delle capacità critiche e di rielaborazione vuole condurre a una preparazione rispetto a una società complessa con saperi settoriali (basati su conoscenze e abilità specifiche), ma in forte e rapida evoluzione, che richiede, quindi, un costante impegno personale di autoaggiornamento e interpretazione critica dei dati via via disponibili. In situazioni di questo genere è essenziale sapere scegliere le informazioni pertinenti al problema ed interpretarle, tale compito è particolarmente necessario in una società che non sperimenta più il ritardo o la carenza di informazioni, bensì il suo opposto, l’eccessivo numero di informazioni che rende difficile la selezione del dato ricercato e la sua interpretazione.
Sintetizzando, la ratio del nuovo esame vede nell’alunno sia il destinatario sia il protagonista del progetto formativo e didattico, che deve consistere per un verso nella effettiva acquisizione dei «nuclei fondanti» delle diverse discipline (pur nel superamento di visoni nozionistiche, enciclopediche o meramente retoriche), per l’altro nel possesso e nella capacità di utilizzo di saperi essenziali, flessibili, trasversali. Ecco che la valutazione in sede di esame di Stato deve far emergere e certificare conoscenze, competenze, e capacità acquisite3. Ecco che si può arrivare a affermare che la conoscenza dei programmi dettagliati svolti nella classe non è essenziale per i commissari esterni, infatti nel «Documento del Consiglio di classe» sono indicati macroargomenti e il candidato fa vedere tutto ciò che sa evidenziando le proprie capacità e, solo nel caso gli venga chiesto qualcosa di troppo specifico che non ha fatto né in classe né come approfondimento personale, può essere interesse dello studente far riferimento ai programmi svolti.

2.3 Ma cosa significa tutto questo nella concreta attività didattica? Ci sono due esigenze da compenetrare. Da un lato la disciplinarietà (che si lega alla pluridisciplinarietà nel momento in cui pongo nel curricolo formativo discipline di tipo diverso), o meglio l’esigenza sentita a livello disciplinare di fornire conoscenze sia di base sia approfondite in ottemperanza ai programmi ministeriali. Dall’altro, la necessità di rendere gli studenti autonomi, capaci cioè di uscire dagli argomenti svolti in classe, pur tenendo il lavoro scolastico come esempio di esperienza precisa e specifica. [Nel prosieguo mi riferirò a queste due esigenze come «esigenza a)» e «esigenza b)»].
Ritengo vadano letti in questo senso i Decreti 356 e 357 del settembre 1998. Il 356 è il Regolamento per lo svolgimento della I e II prova scritta. L’esigenza a) è rappresentata dall’affermazione per cui: «la I prova scritta... accerta la padronanza della lingua italiana» a livello quindi di correttezza e proprietà nell’uso; mentre l’esigenza b) dal «... nonché le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche del candidato, consentendo la libera espressione della personale creatività», ma anche dalle nuove tipologie proposte (uguali per tutti gli indirizzi di studio, anche se per quest’anno non tutte saranno possibili) come l’articolo di giornale o la lettera o lo stesso «saggio breve», che in fin dei conti come testo argomentativo è un vecchio tema di tipo specialistico, che però può prevedere l’invio da parte del Ministero del materiale base su cui svolgere il saggio (quindi l’argomento non deve necessariamente essere già conosciuto in modo approfondito dal candidato, anche se ciò è ovviamente meglio); per quanto riguarda l'analisi del testo, occorre dimostrare il possesso di conoscenze e competenze nella individuazione della natura del testo e delle sue strutture formali. L’innovazione didattica che si vuole generare consiste nel porre attenzione ai «processi di scrittura e alla funzionalità del prodotto di scrittura» (Iter, cit., p. 52).
Per la II prova, quella che ha avuto minori variazioni rispetto al vecchio esame, l’esigenza a) sta nella verifica «del possesso delle conoscenze specifiche del corso di studi» in una materia caratterizzante l’indirizzo; mentre l'esigenza b) può vedersi nella «facoltà di scegliere tra più proposte». Ci sono anche alcune novità interessanti come casi particolari, che però non riguardano i licei scientifici: a) nei corsi sperimentali, quest’anno, la II prova può essere su discipline che non prevedono prove scritte (il Ministero darà indicazioni sullo svolgimento); b) per i licei artistici e gli istituti d’arte può durare anche più di un giorno (fino a cinque).
Il Decreto 357 è il Regolamento sulla III prova. Vuole in base all’esigenza a) «accertare conoscenze, competenze, capacità», ma è soprattutto guidato dall’esigenza b): ha carattere di pluridisciplinarietà e accerta «le capacità di utilizzare e integrare conoscenze e competenze relative a materie dell’ultimo anno» e dovrebbe comprendere, di norma, l’accertamento delle conoscenze della lingua straniera o come breve esposizione o come brevi risposte in lingua (art. 3 DPR 357). Le tipologie previste per la III prova rispondono a entrambe le esigenze, ma soprattutto a quella di far sperimentare agli studenti tipi di prove cui poi possono trovarsi di fronte anche fuori della scuola, in questo senso vanno lette un po’ tutte quelle possibili: la trattazione sintetica, le risposte singole o multiple, il problema a soluzione rapida, i casi professionali, lo sviluppo di progetti; per i primi due anni del nuovo esame è possibile una sola di queste tipologie per non più di quattro materie, ma per quest’anno scolastico è anche possibile in alternativa predisporre la prova mediante un testo di riferimento e di valore multidisciplinare (art. 4 DPR 357). Un ulteriore chiarimento su queste tipologie, altra novità, è venuto sia da Internet sia dal materiale multimediale inviato alle scuole (ad esempio l’articolo 14 del Regolamento prevede il riferimento al sito Internet Cede.it).
Proprio la terza prova impone un lavoro didattico per problemi che superi (o almeno tenda) le separazioni disciplinari (Iter, cit., p. 52) ed in questo senso si è già sottolineata l’importanza di una programmazione per moduli.
L’osservazione per cui occorra preparare gli studenti alle nuove tipologie sia della I sia della III prova, almeno attraverso il triennio, è ovvia.

2.4 Riflessioni conclusive e sulla taratura dei test
Come per la prima parte voglio apportare le mie riflessioni. E questa volta il problema è: cosa si valuta? La risposta data dalla normativa è di valutare le conoscenze, competenze, capacità. Bene, ma la domanda vuole intendere qualcosa di diverso. L’esame non è più sulla «maturità», ma su una verifica in base a degli indicatori precisi mediante i quali io possa appunto misurare le «tre C».
Il problema (grosso) in ogni misurazione è la taratura dello strumento di misura, ed è proprio a questo problema cui faccio riferimento con la mia domanda. La taratura deve certo essere fatta grazie all’esperienza dei docenti, ma il problema rimane. Basti pensare, per essere più chiari, che c’è chi osserva che i test sull’intelligenza (Q.I.) misurano ciò che misura il test, non un valore assoluto, ma relativo al test stesso; cioè i test sul Quoziente di Intelligenza sono autoreferenziali. Ecco che si torna a un problema ancora più grosso, per la scuola, e di cui ho già parlato: quello degli standard.
Date queste premesse voglio analizzare le tipologie previste per la III prova e il modo con cui attuarle. Sono tassativamente (art. 4, comma 2, DPR 357) previsti dei limiti nel numero di quesiti possibili per ciascuna tipologia: 4 argomenti per la trattazione sintetica; 8 quesiti per la risposta singola; 10 quesiti per la risposta multipla; 2 problemi o casi pratici; 1 progetto.
Essenziale in tutti i test è il rapporto fra numero dei quesiti e tempi assegnati per rispondere: la difficoltà del test sta in questo. Per quanto riguarda la trattazione sintetica si può pensare a risposte di 100-150 parole da dare ragionevolmente in un’oretta di tempo; per la risposta singola, si richiede sostanzialmente di fornire una definizione o una rapidissima sintesi, dell’ordine poniamo di 30-70 parole, per una durata un po’ inferiore; per le risposte multiple, invece, si può pensare a un minuto o un minuto e mezzo per ogni item. Più difficile è stabilire in generale tempi per problemi, casi pratici e progetti: dipende tutto dalla loro difficoltà o dalla cura e precisione richieste.
Stabiliti (qui in modo indicativo) questi tempi quello che trovo essere un problema è lo scarso numero di quesiti previsto, specie se lo suddivido fra quattro materie. Faccio un esempio per essere chiaro: ho sempre (e non da quest’anno) utilizzato test nella tipologia prevalente della risposta singola, usando però 20 quesiti, non... due! Il motivo è molto semplice: un test deve calibrare le domande, quindi se ne mettono di più facili, alcune medie e altre ancora più difficili, in questo modo si riesce a equilibrare il test (la taratura definitiva può avvenire in sede di correzione, magari usando il metodo dei punteggi grezzi). Ma come si fa a calibrare due domande (ne occorrerebbero minimo minimo tre)? oltre tutto se si è commissari esterni tali domande sono proposte a classi cui non si è fatto lezione: in questi termini e in queste condizioni trovo il problema della taratura semplicemente insolubile, a meno che non si voglia dire che il test misura se stesso (o ciò che l’esperienza di ciascun insegnante suggerisce che misuri), ma allora gli standard dove stanno? Allora ciascuna III prova di ciascuna commissione misurerà... quel che misurerà.
Concludo con la sottolineatura di un paradosso: un vecchio esame di maturità eternamente sperimentale sostituito da un nuovo esame già definito (anche se non già a regime) che non ha ancora emesso il primo vagito.


note
3 Queste ultime osservazioni sulla «ratio» dell’esame sono prese dal corso di aggiornamento tenuto dal prof. Giuseppe Colosio al Liceo di Rovato e dal materiale da lui fornito. torna al testo

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° 3 °
La multidisciplinarietà, ovvero del nuovo modo di porre i contenuti.







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 ultim'ora

 cap. 1

 cap. 2

 cap. 3

 cap. 4

 cap. 5

 bibliogr.
3.1 Cosa significano i termini interdisciplinarietà e multidisciplinarietà?
L’articolo 4 del Regolamento, sui contenuti dell’esame, evidenzia la pluridisciplinarietà particolarmente per il colloquio, ma è obiettivo anche della III prova quello di integrare conoscenze e competenze delle materie dell’ultimo anno.
Anni fa si è cercato di puntare sulla interdisciplinarietà, anche a livello di vecchio esame, e per i ragazzi con le votazioni più alte capitava di leggere nel giudizio di maturità, in aggiunta ad altre note lodevoli, frasi del tipo: «il candidato ha evidenziato capacità di collegamento, anche interdisciplinare.»
Cosa significava? Che il candidato era riuscito a svolgere collegamenti non solo fra temi della stessa disciplina, ma in qualche caso pure fra temi di discipline diverse, magari fra italiano e filosofia o storia, o di nuovo filosofia e fisica (per fare l’esempio di un liceo, ma ciò era ovviamente possibile anche in un istituto tecnico o in un professionale): quindi con un taglio trasversale (inter-, appunto) fra le discipline.
Scrivono Maragliano e Vertecchi nel 1984 («La programmazione didattica», p. 183, ed. Riuniti): «negli ultimi tempi è venuta crescendo una domanda di interdisciplinarietà, vista come esigenza di abbandonare il carattere separato e discriminante delle singole materie e di infrangere l’antica scissione tra studio teorico e momento applicativo, tra lavoro manuale e intellettuale, tra umanesimo, scienza e tecnica.» Le ipotesi di realizzazione sono però incerte perché il taglio trasversale è rappresentato da: a) la dimensione temporale; b) qualche aspetto metodologico; c) «un indefinito ‘spirito critico’ che tenderebbe a problematizzare tutto, ma... con approccio retorico e verbalistico» (idem, cit. p. 183). In questo terzo caso manca proprio la dimensione interdisciplinare perché non c’è «l’acquisizione critica delle abilità e delle conoscenze di base che costituiscono la caratteristica più significativa, almeno sul piano formativo, di ciascun ambito disciplinare... [di ogni] area culturale omogenea» (idem, cit. p.184); cioè l’interdisciplinarietà quando sia solo verbalistica fa perdere di vista le stesse valenze disciplinari e «va da sé che la disciplinarietà non comporta la separazione degli insegnamenti; al contrario...» (idem., cit. p. 184).
Occorre sottolineare che, anche se nei brani citati appare il termine interdisciplinarietà, il titolo del capitolo, invece, registra quello di multidisciplinarietà. Quali le differenze? Per rispondere bisogna fare riferimento al documento sui Saperi essenziali (p. 3), sviluppato nel maggio 1997: vanno superate «le tradizionali partizioni disciplinari; il traguardo finale sarà un insegnamento - apprendimento organizzato per temi... in cui l'analisi dei contenuti specifici sia accompagnata ed arricchita da aspetti storico-epistemologici e tecnico-applicativi».
In sostanza, come 13 anni prima nel testo di Maragliano e Vertecchi: 1) si parte da una base forte di disciplinarietà; 2) si consigliano «temi» che evidentemente hanno sia una dimensione temporale (storica) sia una di tipo metodologico o anche tecnico-applicativa. Ciò può valere per discipline, come la storia o la filosofia, che si sviluppano sostanzialmente su un piano diacronico, sia per discipline il cui insegnamento è meno legato allo sviluppo storico, come quelle scientifiche. Ciò che in modo più chiaro rimane fuori dalla multidisciplinarietà e che poteva rientrare a volte nell’interdisciplinarietà è lo «spirito critico di tipo verbalistico» (peraltro già criticato da Maragliano e Vertecchi).
La multidisciplinarietà ha allora un obiettivo più basso (non il collegare le discipline) ma più chiaro, perché più chiaramente verificabile: proporre la consapevolezza dello sviluppo di un argomento su più discipline mantenendone forte e ferma la base di partenza di tipo disciplinare. Si è aggiustato il tiro rendendo l’obiettivo oltre che più chiaro (più definito) anche più raggiungibile.
Direi che alla base di questo tipo di obiettivo stanno anche le teorie curricolari, che partono dagli studi di Dewey. Cito rapidamente alcuni passi da Becher, Taylor e Thomas, un testo derivato da un convegno organizzato dall’OCSE addirittura nel 1970 («Curricolo per una nuova scuola», ed Giunti e Lisciani, p. 32) sulle nuove esigenze riguardo ai curricoli: «1) la scuola verrà considerata più un agente di trasformazione che di trasmissione delle tradizioni culturali... più aperta ai cambiamenti che si producono nella società... 8) lo sviluppo delle capacità comunicative... sarà parte integrante di tutti gli insegnamenti del curricolo e verrà conferita alla creatività... la medesima importanza dell’allenamento all’analisi... 9) assumeranno un ruolo di primo piano le attività che consistono nel risolvere come nel porre problemi nuovi...»
Alcune linee guida di queste affermazioni (non certo una loro applicazione radicale) possono ritrovarsi anche nella normativa sul nuovo esame: si è già visto nel cap. 2 come il tema della creatività entri nella I prova scritta e come quello della capacità di risolvere problemi nuovi sia una delle motivazioni fondamentali della multidisciplinarietà. Inoltre le teorie curricolari hanno il loro punto di forza (ed anche di difficoltà) nel richiamo ad un programmazione per obiettivi su abilità e conoscenze di ampio respiro attraverso tutti gli anni della durata di un ciclo scolastico, ma anche attraverso una collaborazione fra le discipline che è diversa ma non certo incompatibile con la multidisciplinarietà.

3.2 I saperi essenziali
E’ proprio per la necessità di una riflessione sulla programmazione e i suoi contenuti che nella scuola italiana si è arrivati alla Commissione dei saggi e alla consultazione delle scuole nel giugno 1984. E’ indiscutibile che questo documento debba rappresentare un punto fermo di partenza per ogni programmazione e ogni riflessione futura su programmi e contenuti disciplinari.
Come sono stati formulati «i contenuti essenziali per la formazione di base» seguono due principi: 1) «l’esigenza di definire saperi e valori che possono risultare comuni a tutti i cittadini» e 2) ragionare più che sui programmi specifici delle materie sull’indicazione di «traguardi irrinunciabili e [di] una serie succinta di tematiche importanti». Così il compito fondamentale della scuola è garantire: (a) lo sviluppo della «capacità di orientarsi nel mondo» e (b) «di comprendere, costruire, criticare argomentazioni e discorsi»; tale compito va realizzato da un lato con la delineazione di una «mappa delle strutture culturali di base», dall’altro con l’affermazione del «valore imprescindibile della tradizione storica e lo ponga in relazione con la contemporaneità e con il contesto culturale e sociale» (I saperi, cit., p. 2)5.
Nello specifico, per le discipline che si occupano fondamentalmente del discorso parlato (italiano o in lingua) occorre far perno sulla pluralità delle forme testuali e di scrittura: proprio di qui viene la proposta nel nuovo esame di altre tipologie oltre al tema tradizionale, che i saggi definiscono «composizione retorica»6.
La storia viene legata alle scienze sociali e ai segni lasciati nel paesaggio: viene così riconosciuto l’indirizzo dato agli studi storici come scienza geo-storico-sociale, particolarmente dagli studiosi francesi delle Annales, e non più come disciplina legata a studi umanistici e filosofici (è noto che l’accostamento nella stessa cattedra dei licei di Filosofia e Storia è dovuto alle teorie neoidealiste di Gentile). Supporto devono allora essere sia lo studio delle culture europee e extraeuropee, sia la storia delle idee, della mentalità, del vivere quotidiano. Inoltre la peculiarità della storia del ‘900 viene sottolineata proprio per la possibilità di far cogliere ai ragazzi «le dinamiche del cambiamento culturale e economico» e per «l’affermarsi di ottiche, teorie, linguaggi assai diversi»: proprio la storia contemporanea è la più adatta per un «approccio multidisciplinare (letterario, artistico, filosofico...)» (I saperi, cit. p. 5).
L’insegnamento della filosofia viene definito come «positiva specificità della scuola italiana» proprio per il suo carattere di analisi storica dello sviluppo del pensiero filosofico che però, come tale, «non può venire esteso indiscriminatamente.» In generale tale insegnamento «consisterà nel dotare tutti i giovani di strumenti concettuali adeguati alla ragionevole costruzione di una soggettività propositiva e critica» sia a livello di «questioni di valore» (etiche) a partire magari da situazioni e problemi dell’esperienza concreta, sia a livello di «questioni di verità» (teoretiche) con nozioni di logica, teoria dell’argomentazione, epistemologia (I saperi, cit. p. 5).

3.3 Dalle formulazioni generali sui saperi alla didattica: i moduli
Ho già osservato come questo tipo di indicazioni vadano sviluppate mediante una attività didattica e una programmazione per moduli (cfr. qui cap. 1.3), magari concertata a livello di Consiglio di classe.
Il modulo è un gruppo di unità didattiche coordinate nel loro far riferimento a un unico discorso portante. Si vuole evitare l’andamento sequenziale che procede dalla prima all’ultima tappa, fornendo invece una informazione stratificata in cui sia possibile seguire percorsi differenziati e/o personali: si vogliono, cioè, offrire diversi punti di vista con la possibilità di attingere dall’uno o dall’altro procedendo non tanto per argomenti successivi, ma per connessioni (possibili) fra argomenti.
Lo scopo non è fornire un sistema di sapere già elaborato, trasmettendo un’analisi già svolta e risolta, né di presentare un quadro esaustivo e specialistico degli argomenti stessi; bensì quello di porre una problematica come una questione aperta. Certo conoscenze e nozioni devono esserci alla base, ma per queste può essere assai utile il «distillato» delle nozioni (come lo si definisce nella Didattica Breve); l’impiego di schemi, grafici o compendi è quindi raccomandabile, specie se gli stessi ragazzi poi riescono a realizzarne qualcuno: lo schema è ordine mentale.

3.4 La ricerca metodologico-disciplinare per una didattica di qualità7
Ho appena accennato alla «distillazione» e alla «Didattica Breve» (d’ora in poi DB). Il termine DB, pur facendo conoscere le posizioni del prof. Ciampolini, ha forse generato aspettative non sempre realizzabili; la DB è innanzi tutto Ricerca metodologico-disciplinare (d’ora in poi RMD) e in questo sta il suo punto di forza: essa non è affatto breve per i docenti, che anzi devono impiegare molto più tempo nella cura delle lezioni (dei distillati) con chiarezza e rigore, ma lo è per gli studenti che «guadagnano tempo» e, occorre sottolinearlo, non con dei tagli. Questo è infatti il primo e fondamentale obiettivo dichiarato della DB8.
Ma c’è anche un altro obiettivo che è conseguenza di questo primo ed è forse anche più importante: il risparmio di tempo va comunque a vantaggio dei ragazzi e della qualità didattica. Infatti il tempo «ricavato» con la DB può essere impiegato per il recupero visto non come maxi-ripetizione, ma in senso lato, cioè sia recupero degli studenti in difficoltà, sia «recupero di classe», inteso come «una attività rivolta a tutta la classe... va da sé che deve necessariamente essere affidata al Consiglio di classe coinvolgendo tutti i docenti». Tale recupero di classe parte dalla constatazione che «è ben raro trovare qualche studente (anche fra i migliori della classe) che non abbia bisogno di un minimo di recupero logico-linguistico» (Contadini, cit. p. 60): il recupero logico-linguistico è necessario, al di là di una mera ripetizione, proprio perché occorre ribadire che «uno studente si dice ‘recuperato’ quando ha ‘imparato a studiare’ e quindi quando presumibilmente non avrà più necessità di ulteriori recuperi» proprio mediante l’acquisizione di un linguaggio e di una logica corretti (Contadini, cit. p. 59).
Ecco come DB e, ancora più, RMD possono costituire una didattica di qualità.

3.5 Riflessioni conclusive
In questo paragrafo si sono visti termini che vanno dall’interdisciplinarietà ai moduli, alla DB... Non è che possano essere «parole mito», o possano diventarlo, come lo è diventata la «maturità»?
Ora è troppo presto per rispondere, bisognerà attendere e stare a vedere, alcune forse lo diventeranno o lo stanno già diventando. Ma ciò che più mi preme è che non vada persa l’esigenza sentita, sia dalla DB sia dai nuovi esami di Stato, di una didattica di qualità. Certo la sua realizzazione dipenderà dai docenti, ma anche dai Presidi, dal Ministero della Pubblica Istruzione e... da quello del Bilancio. In termini più espliciti: dipenderà da quanto tutti (dai docenti al Governo) saranno disposti a investire sulla scuola sia a livello di risorse umane, sia a livello di risorse finanziarie.


note
4 Sempre Becher, Taylor e Thomas, non per caso, affermano che «gli insegnanti dovrebbero collaborare più strettamente nella elaborazione dei curricoli» (cit. p. 20).
5 Ribadisco la non incompatibilità ed anche in certi casi la convergenza con le nuove esigenze riguardo ai curricoli prospettate nel testo di Becher, Taylor, Thomas (cit.). torna al testo
6 Spesso il tema è stato retorica, ma in realtà esso è innanzi tutto un testo argomentativo e qualora sia effettivamente sviluppato come tale non ne vedo l’inadeguatezza con gli obiettivi che ci si propongono sia col nuovo esame sia a livello di saperi essenziali, anzi. torna al testo
7 Prendo spunto dal titolo di una lezione tenuta dal prof. Nicola Flocchini come parte del Corso di formazione per i docenti neonominati. Mi pare particolarmente significativa la connessione fra qualità didattica, Didattica Breve, e ricerca metodologica proposta da Flocchini, peraltro in accordo con le posizioni del prof. Ciampolini. torna al testo
8 «La DB è l’insieme di tutte le metodologie di insegnamento vecchie e nuove che, a parità di rigore scientifico e di contenuti di programma rispetto alla didattica tradizionale, si pongono anche l’obiettivo di una significativa riduzione nei temi dell’insegnamento e dell’apprendimento.» Da Contadini, «Un percorso di ‘Didattica Breve’ verso la qualità nel recupero scolastico e nella ricerca metodologica disciplinare», p. 11.
Nelle pagine 25-28 viene inoltre chiarito che DB = RMD. torna al testo

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Lo svolgimento dell'esame, ovvero del nuovo al suo primo atto.







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4.1 L’iter dell’esame
Di fronte a una Commissione per metà esterna (le materie vengono preventivamente individuate dal Ministero) e metà interna, designata da ciascun Consiglio di classe fra i docenti delle materie non esterne, si presentano sia i candidati interni che esterni, i quali non sono più «privatisti» che presentano propri programmi, ma candidati che semplicemente non appartengono alla classe. Ecco che per tutti i candidati (oltre che per i commissari esterni) è un punto di riferimento il «Documento del Consiglio di classe» da compilare entro il 15 maggio (circa un mese prima della fine delle lezioni) che contiene indicazioni su: a) obiettivi realizzati in relazione alle «tre C»; b) contenuti disciplinari o pluridisciplinari, con indicazione di tempi, metodi e mezzi; c) attività curricolari e extracurricolari; d) eventuali esempi di prove effettuate (particolarmente delle III prove) e tipologie scelte; e) criteri e strumenti di valutazione, criteri per l’assegnazione del credito scolastico e formativo.
Sia i candidati interni che esterni arrivano alle tre prove scritte mediante la quantificazione del credito scolastico e formativo eventuale (massimo 20 punti, in tutto). Il credito formativo valuta esperienze significative compiute al di fuori della scuola sia di tipo coerente con le materie insegnate nel corso di studi, sia a livello di impegno sociale o civile; per i candidati esterni si tiene conto anche del possesso di altri titoli di studio e viene attribuito dalla Commissione d’esame con pubblicazione il giorno della I prova scritta.
Almeno due giorni prima della prova orale i candidati conoscono il punteggio ottenuto in ciascuno scritto (massimo 15 punti per ogni prova); tali punteggi sommati a quello dell’orale (massimo 35 punti) danno il punteggio finale (con una eventuale integrazione di massimo 5 punti per chi già raggiunge almeno 70 punti e 15 di credito: Regolamento art. 4, comma 6) su base 100 che viene pubblicato il giorno stesso dell’orale. La sufficienza negli scritti equivale a 10 punti, mentre nell’orale a 22 punti; nel complesso dell’esame a 60 punti. Il punteggio viene attribuito alle prove a maggioranza assoluta dei membri della Commissione, se non la si raggiunge e sono proposti più di due punteggi diversi si vota a maggioranza (Regolamento art. 5, comma 9).
Delle tre prove scritte ho già parlato nel cap. 2.3; qui occorre aggiungere qualche osservazione sul colloquio.

4.2 Il colloquio come perno della pluridisciplinarietà
«Il colloquio tende a accertare [1] la padronanza della lingua, [2] la capacità di utilizzare le conoscenze acquisite e [3] di collegarle nell’argomentazione e di discutere ed approfondire sotto vari profili i diversi argomenti.» Inoltre, «si svolge su argomenti di interesse pluridisciplinare attinenti ai programmi e al lavoro didattico dell’ultimo anno.» (Regolamento, art. 4, comma 5). «Ha inizio con un argomento o con la presentazione di esperienze di ricerca e di progetto, anche in forma multimediale, scelti dal candidato» e prosegue su argomenti di interesse pluridisciplinare (Regolamento art. 5, comma 7).
Da queste norme si vede la funzione fondamentale del colloquio che motiva l’attribuzione ad esso di più di 1/3 del punteggio dell’esame e di più del doppio del punteggio attribuibile a ciascuno scritto. In riferimento alle «tre C», possiamo osservare che: a) le conoscenze, non sono nozionistiche, ma a livello di padronanza linguistica e quindi si tratta già anche di competenze; b) le competenze vanno mostrate nell’ambito di utilizzo sulla pluralità delle discipline, anche a partire da un proprio argomento o ricerca e (c) mostrando capacità di collegamento, approfondimento, discussione, argomentazione. Per accertare tali competenze e capacità «gli argomenti possono essere introdotti mediante la proposta di un testo, di un documento, di un progetto o di altra indicazione...»; inoltre, viene «assicurata la possibilità di discutere gli elaborati relativi alle prove scritte» (Regolamento art. 5, comma 7).
Ritengo che il colloquio, più che la III prova o le nuove forme della I, rappresenti contemporaneamente sia un’opportunità di trasformazione e miglioramento dell’esame di Stato, sia una difficoltà per gli studenti, a patto che se ne perseguano seriamente ed effettivamente le finalità sopra menzionate. In altri termini, il compito non è difficile solo per i ragazzi, ma lo è anche per i docenti.
A mio avviso, allora, è proprio il colloquio (più del III scritto) il banco di prova e il momento di realizzazione della pluridisciplinarietà, oltre che delle capacità di tipo propositivo, di organizzazione del lavoro, di argomentazione: è in funzione della verifica di queste capacità che va letto l’aprirsi dell’esame con un argomento proposto dal candidato.
Le capacità che il candidato deve mostrare partono dalla padronanza linguistica e disciplinare, definibile come esigenza di base, e proseguono con capacità di tipo applicativo (utilizzo delle conoscenze), giungendo, per avere un buon punteggio, non solo a quelle di collegamento o argomentazione, ma anche a quelle di tipo propositivo per far emergere una capacità a livello personale nell’argomento scelto per avviare il colloquio, ma anche e soprattutto la capacità di interpretare, fronteggiare e gestire situazioni problematiche nuove proposte dalla commissione con testi o documenti che il candidato non necessariamente deve conoscere preventivamente, ma che ovviamente devono essere pertinenti con gli argomenti studiati nell’ultimo anno.
Ecco allora come proprio il colloquio si configuri come momento di verifica essenziale di tutti gli elementi delle «tre C» (cfr. qui cap. 2.2) e della pluridisciplinarietà; ma ecco che proprio il colloquio pone i docenti di fronte alla necessità di preparare gli studenti sia alla organizzazione di proprie ricerche, approfondimenti o anche progetti, sia al rigore disciplinare, espressivo e terminologico, argomentativo proprio come base indispensabile per ogni ricerca od interpretazione autonoma.

4.3 Riflessioni conclusive sul colloquio, la certificazione europea, il credito
Il nuovo esame è più severo e più serio (alludo alle prove scritte e all’orale, ma anche alle certificazioni) o è semplicemente un chiedere ancora di più a una struttura che non può dare di più? Per rispondere occorrerà forse attendere alcuni anni e, come spesso accade, forse la risposta sta a metà fra le due opposte eventualità.
Un problema, invece, abbastanza facilmente risolvibile con una semplice tabella di conversione è il fatto che sia per lo scritto sia per l’orale il punteggio della sufficienza corrisponda a più del 60% del punteggio massimo attribuibile: il 60% di 15 punti sarebbe 9, mentre il 60% di 35 sarebbe 21; non 10 e 22 punti.
Un problema su cui trovo più importante riflettere è il tempo a disposizione per ciascun colloquio orale. Per poter capire, faccio un esempio pratico: il candidato inizia con un suo argomento e poniamo che lo illustri, magari anche con qualche intervento per chiarimenti e approfondimenti proposto da commissari, per una quindicina di minuti; mentre presumibilmente altri dieci minuti verranno riservati alla fine dell’esame per una rapida discussione sulle tre prove scritte. Bisogna poi considerare che per ogni colloquio possono essere necessari anche altri cinque o dieci o più minuti per decidere il punteggio, specie se si rendono necessarie le votazioni. Bene, se pensiamo di «fare» cinque candidati in sei ore (dalle 8 o 8,30 del mattino alle 14 o 14,30) per la parte dell’orale condotta dalla commissione restano dai 30 ai 35 minuti, che divisi per cinque o sei materie fanno grosso modo cinque minuti a materia.
Mi pare assai poco per verificare e certificare conoscenze, competenze e capacità anche complesse, nelle varie discipline mediante, poi, la tipologia della proposta di testi o altro. E’ ovvio che non sia pensabile di sottoporre ogni candidato a mezz’ora di interrogazione su una disciplina, come avveniva per il vecchio esame, ma direi che una decina di minuti per materia sarebbero indispensabili. In questo caso, però, non è possibile «fare» più di tre o quattro candidati per mattinata (a meno di non voler fare esami per otto o più ore di fila).
Un altro problema connesso a questo, ma che rappresenta anche una importante novità, è la certificazione: il diploma rilasciato con il vecchio esame di maturità dichiarava solo l’indirizzo di studi e il voto assegnato allo studente in sessantesimi; mentre il nuovo diploma specificherà le conoscenze, competenze e abilità dello studente e sarà conseguentemente riconosciuto in ogni paese europeo. A questo scopo è, infatti, indispensabile che il nuovo diploma includa l’indicazione, oltre che dell’indirizzo di studi, anche della sua durata in anni, delle materie di insegnamento e la durata oraria complessiva di ciascuna; oltre che della votazione (punteggio) complessiva, pure delle conoscenze, competenze e capacità (anche professionali) acquisite all’interno della scuola e accertate con l’esame di Stato e di quelle esterne con l’indicazione dei punti riconosciuti per crediti formativi documentati (D.M. 450).
Ciò significa per ciascuna prova, e particolarmente per l’orale, che dovranno essere verbalizzati dalla commissione i livelli effettivamente verificati per ciascuna competenza o capacità e da cui scaturisce il punteggio sintetico di ogni prova e dell’esame stesso.
Il credito scolastico, comprensivo del credito formativo, (il passato dello studente) può valere un quinto del punteggio complessivo. Perché si parla di credito?
Il termine «credito» fa la sua comparsa proprio in funzione della certificazione europea e dopo, come controparte, del termine «debito» entrato in uso con l’abolizione degli esami di riparazione a settembre9 ed è quindi rappresentato da insufficienze lievi o gravi in una o più materie, tali però da non precludere, a giudizio del Consiglio di classe, la frequenza per l’anno successivo.
Ora procedo in analisi per problemi del credito scolastico. Primo problema: il credito, proprio perché si lega alla certificazione europea, è rappresentato da un punteggio oggettivo, ma tale punteggio è derivato da una media dei voti, quindi gli addendi della media potrebbero non rispondere esattamente a questo criterio di oggettività e all’altro, necessario in una media, di omogeneità. Per questo problema devo ribadire la necessità di un forte accordo (lavoro in comune) all’interno del Consiglio di classe anche sull’utilizzo degli indicatori specifici per la valutazione e direi che tale accordo dovrebbe ricercarsi anche a livello di intero istituto.
Come si calcola esattamente il credito? Le tabelle prevedono quattro fasce per il credito calcolato negli ultimi tre anni del corso (quindi l’andamento nel biennio ne rimane escluso): 1) media = 6; 2) media fra 6,01 e 7; 3) media fra 7,01 e 8; 4) media oltre 8. Ciascuna fascia a regime (nell’anno scolastico 2000/01) prevede una oscillazione di un punto, inoltre se si ha un debito già da quest’anno va attribuito il punteggio minimo della fascia, salvo una possibile integrazione l’anno successivo in caso di accertato superamento del debito.
Quali i problemi in questo calcolo? Innanzi tutto il fatto che un ragazzo con tutti 6 e un 7 sia nella stessa fascia di un ragazzo con tutti 7: per qualunque insegnante d’Italia (e presumo pure d’Europa) si tratta di due ragazzi a un livello completamente diverso, che però per legge rientrano nella stessa fascia; sarebbe allora stato meglio proporre fasce per delle medie poniamo da 6 a 6,5; da 6,6 a 7,3... certo più rispondenti alla diversità dei livelli dei ragazzi.
Ma in questo calcolo c’è un problema ancora più grosso: ho detto che il debito dà il minimo del credito di quella fascia. A parte la battuta che anche col debito si ha il credito, la cosa grave è che non diversifico i debiti.
Mi spiego di nuovo con degli esempi: un ragazzo con un debito da 5 è posto sullo stesso piano di un altro con un debito da 3 o 2; infatti, se entrambi vengono promossi, sia il 5 sia il 3 vengono trasformati in «6 con debito» e con quel 6 trasformato si fa la media con gli altri voti. Ecco allora, al di là delle possibili divergenze all’interno del Consiglio di classe, che gli addendi della media non sono omogenei fra loro o, in modo più chiaro, che il credito scolastico certificato per legge non tiene conto dell’entità del debito, come invece dovrebbe visto che si tiene valida la distinzione fra diverse entità del credito (voti positivi). Penso che basterebbe calcolare la media coi voti effettivamente proposti dai docenti e dopo questa operazione, che dovrebbe evidentemente ammettere anche una fascia per medie inferiori a 6, valutare se il ragazzo può o no frequentare proficuamente la classe successiva, trasformando quindi, se del caso, tutti i voti negativi in «6 con debito». Oltre tutto in questo modo si eviterebbe la disparità di trattamento fra l’ultimo anno e gli anni precedenti: solo nello scrutinio delle classi V, che non è promozione perché si deve poi sostenere l’esame, è possibile una media inferiore a 6; dunque solo in questo caso si tiene conto dell’entità del «debito» (voto negativo), ma solo dopo aver già falsato il credito per gli anni precedenti.
Ritengo questa disparità, ma soprattutto la mancata considerazione dell’entità del debito, proprio un falsare il punteggio del credito, un falso imposto dalla legge nella certificazione europea dell’esame, da cui risulta che un ragazzo ha frequentato x ore complessive di una materia, ha certe abilità e competenze verificate sulla generalità delle discipline, anche se in realtà proprio quella materia non l’ha mai studiata ed ha sempre ottenuto valutazioni gravemente negative sistematicamente trasformate in «6 con debito».
Concludo, su questa scia, con un timore: il credito vuole premiare i ragazzi meritevoli che hanno una buona media, giustissimo; ma è anche possibile che si inneschi un meccanismo perverso per la didattica, cioè che a ogni voto per una verifica il ragazzo faccia i calcoli in prospettiva sull’entità del proprio credito. E’ evidente che ciò è assurdo, ma è un pericolo possibile e ciò genererebbe un atteggiamento estremamente utilitaristico verso l’impegno scolastico che invece, come tutti gli impegni, richiede anche generosità e gratuità.


note
9 Va però ricordato che alcune sperimentazioni già lo usavano: alludo al progetto SIRIO dei corsi serali. In questo progetto addirittura il credito ottenuto, dopo un esame su questa o quella disciplina che ne attesti il raggiungimento degli obiettivi e l'acquisizione dei contenuti, permette di non frequentare quella materia: è un sistema di crediti e debiti compiutamente realizzato e non solo pensato in funzione di un punteggio per l’esame di Stato.torna al testo

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° 5 °
Le mie esperienze didattiche, ovvero della ricerca del nuovo nelle mie esperienze di quotidiana attività didattica







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5.1 Quanto e come il nuovo esame è entrato nella mia attività didattica
Innanzi tutto una premessa: è ovvio che le riflessioni che ho svolto fin qui sono nate anche dall’esigenza sentita in tutto quest’anno di comprendere e ragionare sul significato delle innovazioni cui ci si veniva a trovare di fronte e, di conseguenza, dalla necessità di iniziare ad applicarle nella concreta attività didattica. Ecco che tutti i paragrafi precedenti sono nati anche da una necessità di analisi e chiarificazione delle mie attività didattiche.
Conseguenza, prevedibile, di questa premessa sta nel fatto che la riflessione sul significato metodologico delle innovazioni e sulla loro possibilità di applicazione e realizzazione ha preso buona parte del tempo così che l’attività didattica effettivamente svolta è risultata da un compromesso fra esigenze nuove e presenza di metodi e criteri forse vecchi, ma già collaudati.
La classe nella quale per forza di cose più si è cercato di applicare le indicazioni provenienti dalla normativa sul nuovo esame di Stato è la V; pertanto la si lascerà per ultima presentando anche un esempio di modulo svolto. Gli altri moduli o unità didattiche sono stati generalmente più tradizionali, ovvero più aderenti al libro di testo, ferma restando la possibilità di integrazioni date dal docente o da altri testi.

5.2 Attività svolta nella classe III
Omesso il profilo della classe.
L’impatto con una materia nuova come la Filosofia e con autori che vanno da Eraclito a Aristotele genera sempre un po’ di sconcerto, come anche dei problemi terminologici e nella comprensione dello statuto epistemologico da parte di ragazzi di 16 o 17 anni verso una disciplina che oltre tutto ha le sue basi di sviluppo nelle colonie e polis greche.
Per quanto riguarda la storia, invece, un mio obiettivo è quello di far comprendere la differenza fra storia (avvenimenti) e storiografia (studio e interpretazione) oltre che la periodizzazione; naturalmente ciò va congiunto allo studio dei fatti politici, economici, giuridici, demografici, sociali o religiosi. In questi elementi e nelle loro interconnessioni consiste lo statuto epistemologico della storia, come studio del passato in funzione di una migliore comprensione del presente.
Gli obiettivi didattici (le «tre C») da perseguire nel triennio per Filosofia sono:
- individuazione delle modalità in cui l’episteme si è presentata nella storia del pensiero;
- ricerca dei rapporti storico-teoretici fra filosofia e scienza;
- capacità di cogliere la struttura sistemica di una teoria e di confronto fra le strutture sistemiche;
- padronanza delle terminologie filosofiche.
Mentre quelli da perseguire nel triennio per Storia e Educazione civica sono:
- conoscenza dei fatti storici e della loro collocazione cronologica;
- capacità di valutare ed analizzare le fonti storiche e storiografiche, e il manuale adottato;
- sviluppo del senso storico e dell’abilità critica connessa;
- distinzione fra «lunga durata» e «storia evenemenziale»;
- padronanza del linguaggio storico;
- conoscenza dei principi informatori della Costituzione italiana e maturazione civico-sociale.
Gli obiettivi didattici (conoscenze e competenze) che mi sono posto per la classe III in Filosofia e Storia sono:
- acquisire conoscenza dei contenuti, relativi ad autori, argomenti, sistemi di pensiero; fatti o processi storici;
- essere in grado di comprendere e di spiegare i concetti caratterizzanti gli argomenti svolti;
- essere in grado di individuare i costituenti logici di un testo o di una argomentazione;
- conoscenza di termini specifici dei linguaggi disciplinari.
Questi obiettivi che ho riferito alle «tre C» sono stati perseguiti con l’utilizzo del manuale, delle letture dirette e del commento di brani di filosofi o di storiografia o di documenti, oltre che con l’utilizzo di integrazioni, anche in fotocopia, e schemi alla lavagna.
Le verifiche sono state svolte sia in forma di test, con l’intento di sondare soprattutto conoscenza e comprensione ma anche le capacità logiche, sia con verifiche orali che vanno viste a mio avviso, oltre che come elemento di valutazione, anche come veri e propri esercizi di esposizione e organizzazione del pensiero atti a sviluppare, nel corso del triennio, le capacità argomentative e di approfondimento su argomenti specifici richieste dal nuovo esame di Stato. Proprio queste capacità vanno sviluppate nel corso del triennio.

5.3 Attività svolta nella classe IV
Omesso il profilo della classe.
Gli obiettivi da perseguire per la classe IV (oltre a quelli dell’intero triennio) vedono in aggiunta a quelli della III per Storia e Filosofia (cfr. qui cap. 5.2) anche quello di: essere in grado di collegare i contenuti attraverso forme di ragionamento e/o di organizzazione.
Le verifiche, come per la III, includono sia test sia verifiche orali.

5.4 Attività svolta nella classe V
Omesso il profilo della classe.
Gli obiettivi da perseguire per la classe V (oltre a quelli dell’intero triennio) vedono in aggiunta a quelli della III per Storia e Filosofia (cfr. qui cap. 5.2) anche quello di: essere in grado di collegare i contenuti attraverso forme di ragionamento e/o di organizzazione (già proponibile per la classe IV); oltre a quello di essere in grado di esprimere valutazioni fondatamente critiche su idee, fatti, argomentazioni.
Il lavoro ha incluso test, verifiche orali per cercare di sviluppare le capacità espressive e argomentative, lettura e commento di brani dei testi filosofici, consigli e indicazioni (anche bibliografiche) sugli argomenti a scelta (da presentare anche in forma di tesine).
Il programma svolto in Filosofia va da Kant al fallibilismo di Popper; in Storia da metà ‘800 al boom economico.
L’esempio di modulo che voglio proporre riguarda il programma di Storia, visto che in Filosofia si è seguita una partizione per autori, a parte l’ultimo argomento che ha riguardato le interpretazioni della scienza di ‘800 e ‘900 legando per contrapposizione e sviluppo positivismo, neopositivismo, fallibilismo.

5.5 Un esempio di modulo per la classe V
Questo modulo effettivamente svolto riguarda i concetti di «destra e sinistra» e prende spunto dal testo di Norberto Bobbio fornito ai ragazzi in epitome fotocopiata: è questo il discorso portante. Il modulo ha richiesto nell’insieme delle sue parti 9 ore di attività in classe.

° 5.5.1 Contesto storico-sociale.
Il punto di partenza è offerto dalla storia di fine ‘800 con i tradizionali temi su Destra e Sinistra storica, e la loro analisi e trattazione sotto gli aspetti politici, storici, sociali come vengono presentati nel manuale di storia rappresenta un primo nucleo tematico, una prima unità didattica coi suoi obiettivi di conoscenza e comprensione.

° 5.5.2 Analisi dell’arco parlamentare attraverso la storia.
Questo secondo nucleo prende spunto dal primo, ma tratta questioni di educazione civica, oltre che storiche. L’osservazione di partenza e di connessione col precedente nucleo è lo scarso numero di cittadini aventi diritto di voto e perciò le non grosse differenze politiche e soprattutto sociali fra Destra e Sinistra storica; ma la linea guida di questa seconda unità è l’osservazione per cui attraverso gli ultimi secoli c’è stato uno spostamento verso sinistra dell’arco parlamentare: un esempio per tutti possono essere le idee di Mazzini che da posizioni di sinistra extraparlamentare all’epoca dei moti divengono il punto di riferimento per posizioni anche di centro destra (alludo al Partito Repubblicano) nel ‘900. In questo caso gli obiettivi, oltre che la comprensione, riguardano la capacità analitica e di correlazione.

° 5.5.3 Incontro con l’opera e nozioni di base: proposta dell’epitome da Bobbio e sua analisi.
Nel testo di Bobbio ciò che è essenziale capire, oltre ai criteri di distinzione fra destra e sinistra, è anche quello fra area moderata e estrema. I riferimenti a posizioni o situazioni storiche servono come esempi (e non più come analisi storiche o di educazione civica), ma a maggior ragione dovrebbero risultare come chiarificatori. Le capacità coinvolte sono quelle dell'analisi e interpretazione di un testo nelle sue linee argomentative, e quindi di argomentazione e collegamento, di approfondimento e anche di valutazione.

° 5.5.4 Altri richiami.
In altre occasioni questi elementi sono stati richiamati, sia quando si sono svolti successivi argomenti storici, sia quando i termini ne hanno offerto il pretesto (come per la destra e sinistra hegeliana).

° 5.5.5 Conclusioni e riflessioni sullo svolgimento del modulo.
Ritengo che i ragazzi, le verifiche sono state sia formative (informali) che sommative, ma queste ultime anche su altri argomenti di storia, abbiano almeno iniziato a comprendere quali sono le motivazioni e il significato di alcune etichette politiche; ritengo così raggiunto l’obiettivo di base. Non altrettanto, ma l’ho già rilevato nel cap. 5.4, per gli altri obiettivi, specie per quelli di alto livello.
Capisco che l’accostamento di tematiche storiche e politiche di epoche diverse possa lasciare perplessi, ma da un lato la possibilità di «navigare» fra temi è una caratteristica voluta di ogni modulo e una esigenza per preparare alla pluridisciplinarietà e all’autonomia di studio e interpretazione; dall’altro è proprio un obiettivo il far capire come in contesti storici e politici diversi gli stessi termini abbiano significati diversi, ma nuclei di significato (i criteri di identificazione proposti da Bobbio) simili. Del resto ho già osservato come l’obiettivo di una programmazione per moduli non sia l’esaustività, pur con la presenza di conoscenze e nozioni di base (cfr. qui cap. 3.3).


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BIBLIOGRAFIA
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° Repertorio legislativo:
Saperi essenziali: la parola alle scuole; aprile - giugno 1998 (ma il testo dei saggi è di maggio)
Legge n. 425, 10 dicembre 1997: Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi
D.P.R. 323, 23 luglio 1998: Regolamento
D.M. n. 356, 18 settembre 1998: Regolamento sulla I e II prova scritta
D.M. n. 357, 18 settembre 1998: Regolamento sulla III prova scritta
D.M. n. 358, 18 settembre 1998: Regolamento sulle aree disciplinari
D.M. n. 359, 18 settembre 1998: Regolamento per l’affidamento delle materie ai membri esterni e nomina dei componenti delle commissioni
D.M. n. 449: Norme per le classi sperimentali
D.M. n. 450: Certificazione finale e modelli
D.M. n. 452: Tipologie di esperienze che danno luogo ai crediti formativi
D.M. n. 462: Formazione delle commissioni
O.M. n. 38: Istruzioni e modalità organizzative e operative
° Riferimenti vari:
AAVV: «Filosofia e ricerca didattica», IRRSAE Puglia, 1995
AAVV: «Didattica breve - materiali 1» (italiano, storia, filosofia), IRRSAE Emilia-Rom. 1995
AAVV: «Iter - scuola, cultura società», rivista della Treccani, n.3 - settembre 1998
R. Becher, G. Taylor, D. Thomas: «Curricolo per una nuova scuola», ed. Giunti e Lisciani, 1980
S. Contadini: «Un percorso di ‘Didattica Breve’ verso la qualità nel recupero scolastico e nella ricerca metodologica disciplinare» IRRSAE Emilia-Romagna, 1996
A. Girotti: «La filosofia per unità didattiche», ed. Pagus, 1993
R. Maragliano, B. Vertecchi: «La programmazione didattica», editori Riuniti, 1984
R. Tassi: «Itinerari pedagogici della programmazione didattica, ed. Zanichelli, 1990

Sabato, 11 dicembre 1999

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