STORIA DI SAN CIRIACO

VITA E MIRACOLI DEL SANTO

 

 

S. Ciriaco, Martire venerabile e famoso, era originario della Tuscia , nato da famosi e illustri genitori, il cui padre si chiamava Quinto Sessio, mentre la madre Quintia: egli stesso si chiamava non Ciriaco, ma SESTO SESSIO. Questo nome gli fu dato proprio dalla nobiltà romana, perché gli illustri nomi dei genitori, evidenziavano l'antica gloria dei nobili. Leggiamo, infatti, che molti antichi nobili di Roma erano chiamati con il doppio nome, come: Marco Catone, Quinto Tullio, ecc. Anche il Beato Martire ebbe il doppio nome: Sesto Sessio, per mettere in risalto la Sua nobiltà e le sue origini. Il padre fu marchese nella Tuscia e a lui successe suo figlio, il Beato Ciriaco, con lo stesso titolo, infatti anche lui amministrò con saggezza per parecchi anni la stessa provincia. Si precisa in proposito che nella nuova narrazione il titolo di marchese dato a Ciriaco e a suo padre non era in uso ai tempi di Diocleziano. Ciriaco era filosofo di professione e cercava sempre di migliorare le sue conoscenze attraverso lo studio continuo e intenso. Avendo ampliato notevolmente il suo bagaglio culturale e, oltretutto, essendo dotato di non comuni doti di intelligenza e di amore verso il prossimo, meritò di giungere alla vera sapienza che è Cristo. In quel tempo governavano l'impero romano Diocleziano e Massimiano, i quali, essendo venuti a conoscenza delle grandi doti di ingegno e della vasta cultura di cui era fornito Ciriaco, si preoccuparono di chiamarlo e tenerlo presso di loro. Essendo, dunque, il beato Ciriaco entrato nelle grazie dei predetti imperatori, perché fornito di letteratura e di scienze, ottenne di entrare nel tempio di Marte con i sacerdoti dì quel dio, a cui immolavano cose immonde di animali bruti. Ben presto Egli ebbe orrore della loro scelleratezze, ben sapendo che il vero Dio non si dilettava mai di sporcizia, e che lo stesso Marte, a cui venivano offerti sacrifici, era stato uno stupratore di vergini e un uomo osceno. Ciriaco, riflettendo su quanto aveva visto, cominciò ad allontanarsi, perché in un posto così ignominioso e sozzo non poteva esserci il bene Supremo. Mentre meditava su queste cose, un sopore scese su di lui e dormì profondamente. Dio onnipotente, che aveva scelto Ciriaco per chiamarlo a sé, così gli parlò attraverso una visione: "ALZATI TU CHE SIEDI COME UN MORTO E RITORNA A NOVELLA VITA. MORTO INFATTI E' CHI E' SENZA LA FEDE PERCHE' SENZA LA FEDE E' IMPOSSIBILE ESSERE IN GRAZIA DI DIO. ABBRACCIA LA FEDE PER LA QUALE OTTERRAI LA VITA ETERNA". Spuntato il giorno, Ciriaco, rimasto folgorato dalla fede dei cristiani, cominciò a camminare lentamente, essendo infermo, per giungere ai loro nascondigli. Entrato di soppiatto, si accorse che stavano celebrando la messa. Udendo con l'orecchio e con la mente le voci di coloro che cantavano i salmi e leggevano il Vangelo, comprese che i riferimenti fatti nel Vangelo erano a Lui diretti “ Chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita, non camminerà nella luce del peccato, perché la luce che illumina ogni uomo che viene a questo mondo, illumina i diligenti”. LA luce della misericordia si era impossessata del nobile cuore del Beato Uomo. Egli, ormai, era caro al Signore. La luce della misericordia si era impossessata del nobile cuore del Beato Uomo. Egli, ormai, era caro al Signore. Un Angelo, poi, inviato da Dio, aveva riferito anticipatamente al Sommo Pontefice di accoglierlo degnamente, perché veniva mandato a lui per essere battezzato. Aggiungeva che Egli, essendo già cristiano, doveva essere chiamato Ciriaco. Il Papa, dunque, accogliendolo con tutti gli onori, lo battezzò e, come gli era stato ordinato, lo chiamò Ciriaco. Una volta battezzato, il Beato Ciriaco ritornò frettolosamente a casa, liberò i suoi servi e diede loro e ai Cristiani poveri tutte le sue ricchezze. Abbracciata la fede di Cristo, cominciò a compiere il suo ministero; infatti, si unì con entusiasmo ai Cristiani, pur sapendo che ciò non era gradito agli Imperatori. Dopo aver conversato a lungo con i Cristiani e pregato con loro, accolse, su loro pressante richiesta, l'ordine de' leviti . Per intercessione di Ciriaco furono operati molti miracoli, come si legge con dovizia di particolari nella sua passione, finché giunse alla palma del martirio attraverso innumerevoli forme di tormenti: la pece bollente, lo slogamento delle membra, la lacerazione delle carni ed in fine la decapitazione. Quando Diocleziano costruì le terme a Roma, Ciriaco era uno dei cristiani che l'Imperatore costrinse ai lavori dopo averlo fatto incarcerare. Ciriaco sia nei lavori sia in carcere si distinse per carità e servizio verso i suoi compagni. Essendo, poi, Artemia, figlia di Diocleziano, ammalata e avendo l'Imperatore saputo che solo Ciriaco poteva guarirla, lo fece liberare dal carcere e dai lavori e lo pregò di guarirgli la figlia. Ciriaco, commosso, guarì Artemia e cacciò dal suo corpo il demonio che l'affliggeva. In seguito a questo fatto Artemia volle il Santo Battesimo e Diocleziano donò al Diacono Ciriaco una casa a Roma. Re Sapore di Persia, avendo appreso dei prodigi operati dal Giovane Ciriaco, pregò Diocleziano e sua moglie Serena dì inviarlo colà, in quanto la figlia Giobbia era gravemente ammalata e posseduta dal demonio. Ciriaco, partito con alcuni suoi compagni dì fede ed ivi giunto, operò la guarigione di Giobbia, la liberò dal demonio e la battezzò unitamente al padre e ad altri 430 persiani. Il Re voleva regalare a Ciriaco molte ricchezze, ma Egli non accettò e fece ritorno a Roma dopo 45 giorni di digiuno. Si vuole, ma la notizia non trova riscontro nel documenti in nostro possesso, che Ciriaco, nel fare ritorno a Roma dopo essere sbarcato a Brindisi, abbia toccato il territorio di Torre le Nocelle, motivo questo per cui ne é poi divenuto il protettore. Ritornato a Roma dopo la morte di Diocleziano, fu arrestato da Massimiano con altri Cristiani e gettato in carcere, perché* aveva reso cristiana la sorella Artemia. Gli fece togliere la casa e tutti. i beni concessigli da Diocleziano. Il feroce Massimiano Erculeo ordinò che il giorno della sua processione, Ciriaco venisse scarcerato e trascinato nudo e incatenato davanti al suo cocchio . La stessa sorte toccò al suoi compagni Largo, Smaragdo e Crescenziano, che con Lui erano in carcere. Il vicario Carpazio gli cosparse la testa di pece liquefatta e dopo quattro giorni, trascinato nuovamente fuori dal carcere e fatto stendere su una catasta di legna, fu ripetutamente colpito a scudisciate e abbattuto a bastonate. Dopo alcuni giorni, per ordine di Massimiano, fu decapitato con Largo, Smaragdo e altri venti cristiani. Così è stato scritto nelle gesta di Marcello Papa. Nello stesso periodo Massimiano uccise sua sorella Artemia per aver ricevuto il battesimo dal Diacono e per essere diventata Cristiana. Dalle ricerche fatte appuriamo che il feroce Massimiano, imperatore romano dal 286 al 305 e dal 30.7.308 al 3 10, catturato a Marsiglia, fu costretto dal genero, divenutogli accanito avversario, ad uccidersi 15. Lo stesso Carpazio, con altri 19 suoi compagni, deridendo la fede cristiana e utilizzando, per imbandire un banchetto, una fonte, nella quale Ciriaco battezzava, improvvisamente cadde a terra e morì con tutti gli altri commensali. Fioravante Martinello 16 nella sua opera italiana riferisce varie notizie su S. Ciriaco e per conciliare la fede con la sua narrazione, cita anche un codice manoscritto di Heidelberg, che afferma conservarsi nella biblioteca vaticana al n.5516. Riteniamo che il fedele apografo del medesimo codice, ai cui margini vi è annotazione che è stato estratto dal codice Paladino del 591, fu così trasmesso ai nostri antenati; infatti, il frammento latino, che Fioravanti Martinello pubblicò nel luogo sopra citato, concorda perfettamente con il nostro trattato. Degna di menzione e di attendibilità è la narrazione che di recente ci viene fatta da un insigne storico francese, Paul Allard, autore di numerose opere sull'antichità cristiana 17. Dopo la morte di Marcellino, la persecuzione dei cristiani continuò ad affliggere inesorabilmente la Chiesa dì Roma. Negli ultimi mesi del 304 e sui primì del 305, vengono probabilmente datati i martirii di S. Ciriaco, di Saturnino, di Sisinnio, di Aproniano, di Smaragdo, di Largo, di Crescenziano, di Papia, di Mauro e di tanti altri. Sventuratamente i racconti che vi stiamo narrando sono mescolati ad anacronismi, in quanto, a quel tempo, si era terrorizzati soltanto a dover nominare un cristiano, per cui nessuno poteva azzardarsi a pronunziarne il nome o a riferirne sulle torture cui era stato sottoposto. Possiamo, tuttavia, affermare con sufficiente verosimiglianza, in considerazione anche di alcune indicazioni topografiche, segno tangibile delle tradizioni locali, sopravvissute spesso ai documenti scritti, che a Roma Massimiano erculeo aveva condannato alcuni fedeli a lavorare alla costruzione delle terme, che Diocleziano stava facendo realizzare sul Viminale, servendosi della plebaglia di Roma. Per mezzo del Diacono Ciriaco e di Sisinnio, Largo e Smaragdo,il cristiano Trasone mandava loro aiuti e viveri. Arrestati nell'esercizio della caritatevole missione, il Diacono e i suoi compagni furono anch'essi obbligati a trasportare la sabbia per i muratori. Tra costoro vi era anche il vecchio Saturnino, di origine cartaginese, che fu poi gettato in carcere unitamente agli altri. Il processo a Sisinnio e a Saturnino fu celebrato separato dagli altri dinanzi al Prefetto di Roma residente nel foro di Nerva. Tra queste scene cruente, veniva istruito da un Vicario del Prefetto, tale Carpazio, il processo di Ciriaco, dei suoi compagni e di 21 fedeli. Crescenziano morì sotto la tortura alla prima udienza e il suo cadavere fu gettato "ai piedi della salita dell'Orso, sulla piazza dinanzi al tempio di Pallade". Il processo, poi, fu interrotto per ricominciare nei primi del 305. Dopo la seconda udienza, sopportate con santa intrepidezza torture inenarrabili, Massimiano Erculeo comandò al Vicario Carpazio che Ciriaco, a cui come ultimo oltraggio era stato cosparso il capo di pece bollente, venisse decapitato insieme con i suoi compagni. L'esecuzione avvenne il 16 marzo sulla via Salaria in una dipendenza degli orti di Sallustio, ove in estate risiedevano -11 Imperatori e dove più di una volta fu versato il sangue dei Martiri. Sembra che ì condannati ricevessero una sepoltura provvisoria in quel luogo, ma più tardi la Matrona Lucina ne trasportò i corpi tra il settimo e l'ottavo miglio della via d'Ostia nel luogo che poi prese il nome di S. Ciriaco. Tale località era posta fuori dalla zona dei cimiteri romani coemeterium Cyriaci" è indicato, anziché nel VII, nel XII secolo, nel nel libro di Pietro Mallius su la Basilica di S. Pietro . I più antichi calendari romani, la Depositio martyrum, il calendario conservato nel martiriologio geronimiano, segnano agosto l'anniversario di Ciriaco e dei suoi compagni al VII della via d'Ostia e fanno anche riferimento alla via Salarla, da dove l' 8 agosto i loro corpi furono traslati. Dopo che la Chiesa crebbe nella sua universalità e nella convennero da diverse parti della terra uomini di grande culti, raccolsero nuovi documenti, riformando in meglio gli antichi, sulla vita dei Santi, quanto sulle gesta e le genealogie di colc scrissero più compiutamente. Ci cimentiamo, perciò, nella narrazione di questi fatti, al tutti conoscano il BEATO CIRIACO e i suoi miracoli. Abbiamo detto che Massimiano l'Erculeo fece sopprimere l'Almifico Ciriaco, dopo averlo sottoposto al martirio del cavalletto della pece bollente, dello slogamento delle membra e di altre inenarrabili torture, tra le terme di Sallustio lungo la via Salaria fuori le mura, ordinando di tagliargli il capo. Infine, trascorsi otto giorni, la beata Lucina trasportò il suo corpo nel suo podere lungo la via ostiense, più o meno all'ottava pietra miliare da Roma, e fu composto, con molta cura, da S. Marcello Papa . Ivi riposò il corpo fino ai tempi del santissimo Agapito, il giovane Papa, mentre regnava il signor Ottone, principe pacifico preordinato da Dio. A Roma era a quel tempo console Alberico, illustrissimo uomo, il quale aveva tre sorelle, una si chiamava Morotea o Mororea, l'altra Stefania e la terza Teodora. Costoro, per farsi perdonare le loro colpe, fecero costruire un monastero lungo la via Larga., che dedicarono a S. Stefano, e lo ere arricchirono di molti doni, collocandovi al servizio di Dio le serve del Signore. La mente di queste donne cominciò a bruciare come se per caso, dietro rivelazione di Dio fossero riuscite a trovare il Santo Corpo che era nascosto proprio in quel luogo. Intanto, un religioso,s cegliendo una vita solitaria, era rimasto accanto al cimitero lungo la via ostiense. A quest'uomo si rivolsero le tre donne, le quali cominciarono pertinacemente a chiedere se per caso in quel cimitero non vi fosse qualche santo corpo, di cui avesse avuto con certezza il nome. Egli, annuendo alle loro preghiere, disse che nel cimitero era sepolto l'ALMIFICO CORPO E IL BRACCIO DEL MARTIRE CIRIACO. Soggiunse che se fosse stato di loro e piacimento e affinché celebrassero degne esequie avrebbero potuto trasportare il Corpo del Martire. Esse, a tale invito, divennero trepidanti di gioia e felici, come se avessero trovato un tesoro. Si recarono al cimitero ostiense e, come aveva promesso i brav'uomo, trovarono il santissimo luogo e il seguente epitaffio posto sopra il sepolcro: "QUI E' SEPOLTO IL CORPO DELL'ALMO LEVITA E MARTIRE CIRIACO COMPOSTO NEL SEPOLCRO DALLA MATRONA LUCINA". Allora i becchini, prelevato il Capo dal feretro, cercarono di condurlo velocemente a Roma, ma, non lontano dal cimitero, il Santissimo Capo si fermò così saldamente che i trasportatori in alcun modo riuscirono a muoverlo. Allora, tristi e piangenti, consigliatisi fra loro, fecero voto che se il capo del Martire Ciriaco avesse permesso di essere portato attraverso le proprietà delle suddette matrone, gli avrebbero dato magnifici doni: e Dio dall'alto, accettando i voti di quelle, permise che il capo santissimo si muovesse. Il Santo Capo, traversando l'alveo del Tevere, arrivò in un campo spazioso, che una volta veniva chiamato Merui ed ivi si fermò di nuovo ricevendo grandi onori. Le suddette matrone, visto questo, promisero in dono tutta la loro, eredità, se il capo si fosse degnato di muoversi per assecondare il loro desiderio. Ricevuto questo dono, si mosse velocemente finché pervenne al luogo chiamato Criptolo, dove si fermò di nuovo perché la proprietà era delle Matrone predette. Costoro fecero irrevocabilmente dono al Beatissimo Martire anche di questa proprietà con perpetuo diritto fino alla Porta Portuense. Entrato, poi, il carro nel Castello attraverso il Tevere, passando per l'isola di Licaobia attraverso le falde della Rupe Tarpea, imboccò un sentiero, dal quale, continuando lungo il pendio dell'Argentario, giunse alla regione che si chiamava via Larga. Giungendo il Santissimo Capo su un carro nel luogo di cui abbiamo parlato, cominciò ad essere gravato di tanto peso e a rimanere talmente immobile che in nessun modo poté essere mosso da forze umane. Allora si aggiunsero molte paia di buoi, ma nemmeno in questo modo poté essere rimosso. Si verificò subito un accorrere di popolo e immediatamente furono radunati senatori e nobili in un'assemblea di chierici; tutti, per il meraviglioso fatto, commentavano l'accaduto. Allora, tenuta un'assemblea, decisero di recarsi dal Pontefice per narrargli l'accaduto; il Santo Presule Agapito, informato dell'accaduto, escogitò un piano insieme al clero, che si manifestò di per se stesso un grande prodigio. Venendo, dunque, il santissimo Pontefice nel luogo ove il carro sostava immobile, estasiato per eccessiva ammirazione, la suamente cominciò a ondeggiare per lo stupore e per ciò che si era presentato ai suoi occhi. Egli allora eccitò i cuori delle donne perché dalla via Ostiense lo portassero a Roma e così ad alta voce l'almo Pontefice cominciò a gridare: "cittadini, senato consulto e popolo romano, udite: questo che vedete è stato compiuto dalla provvidenza e dal volere di Dio. Se si spingesse con le mani di tutti quelli che la forza romana é capace di raccogliere in una sola cosa, non varrebbe a niente, perché ciò che ha reso immobile la provvidenza di Dio, in nessun modo può essere smosso dalle forze umane. Si ritirino tutte le forze degli uomini, si sleghino tutti i gioghi dei buoi, si mettano da parte i pungoli dei bifolchi e si rimettano soltanto i due buoi che furono legati avanti al carro e nessuno vada davanti ad esso, né alcuno si faccia avanti per condurlo o spingerlo. Allora tutta la schiera dei romani, insieme alle serenissime matrone, cominciò con voci in lacrime a supplicare Dio perché conducesse il Santissimo Capo dove voleva che esso fosse. A queste pietose suppliche i buoi mossero il carro senza alcuno sforzo e senza alcuna guida. Tutti i presenti, quindi, percorrendo una via sicura, giunsero alle porte del cenobio che le citate illustrissime tre matrone avevano costruito. Teresa, matrona serenissima, inginocchiatasi a terra, fece voto di donazione con atto pubblico di un fondo con relative pertinenze, chiamato Selva maggiore, nonché di altro fondo chiamato Palagio e dì ancora altro fondo denominato Reatina, preavvertendo che se qualcuno avesse tentato di sottrarlo alla disponibilità del Santo, sarebbe stato colpito dalla scomunica. Fatto il voto, i buoi trascinano il carro dentro il monastero e il Presule, supplicato da quelle potentissime matrone, seppellì il Capo dell'Almo Martire beato Ciriaco in quel monastero, accanto alla via Larga. e, siccome un tempo era chiamata chiesa di S. Stefano il Pontefice mutò il nome del monastero, perché fosse chiamato S. Ciriaco. Tale fatto avvenne al tempo dei gloriosissimo Ottone Augusto, mentre era Papa in Roma il SS. Agapito. Straordinario miracolo che avvenne a Roma presso le reliquie di S. Ciriaco. Nel lodato Codice Palatino o -Vaticano si legge un miracolo, riferito da certo Benedetto, sacerdote della Chiesa dei Santi Ciro e Giovanni nella chiesa di Roma. Egli racconta che nell'anno 1233 del pontificato di Papa Gregorio IX, nel sesto delle idi di marzo, nel convento dei monaci, S. Ciriaco di Roma compì grandi miracoli .Narra, invero, che un chierico di nome Enrico, sacerdote dotato di sacri incarichi, si fermò nel convento di S. Ciriaco di Gernrod in Sassonia (Germania), che sin dalla sua fondazione fu soggetto al convento di S. Ciriaco di Roma tanto in capitis quanto in membris. Proponendosi di visitare la Terra Santa e il Santo Sepolcro, abbandonò le passeggere ricchezze e intraprese il viaggio e, dopo molti rischi, giunse a Roma, dove visitò con devozione le porte dei Beati Apostoli Pietro e Paolo. Dopo giorni di ricerche, giunse al convento di S.Ciriaco di Roma e qui pregò con infinita devozione davanti all'altare di S.Ciriaco Martire. Terminata la preghiera, chiese con insistenza che gli venisse mostrato il Capo del Beatissimo Martire, sostenendo, come sì diceva dalle sue parti, che chiunque si fosse fermato a guardare la ferita, infertagli dai carnefici durante la sua passione, avrebbe visto uscire del sangue proprio dal taglio della ferita. Dopo molte esitazioni ed incertezze, i monaci acconsentirono al pio desiderio del suddetto sacerdote, affinché gli venisse mostrato il Capo del Glorioso Martire. Fecero portare al detto monastero l'urna sigillata, nella quale era stato chiuso il Santissimo Capo con le reliquie di altri santi. Alla presenza di moltissime persone di ambo i sessi fu aperto il vaso d'argento dove era riposto il Glorioso Capo e dal quale cominciò ad uscire sangue vivo in modo molto chiaro ed evidente. L'urna che conteneva il capo si presentò bagnata nella parte interna e tutta la superficie del capo era irrorata di preziosissimo sangue, mentre la testa tumida aveva riempito il vaso sino alla sommità. La devozione e !o stupore sia delle monache sia dei presenti fu così grande che non si può spiegare. Certo è che per la commozione tutti si sciolsero in lacrime. Fu subito ordinato di suonare le campane e di celebrare solenni messe e, mentre si attuavano questi riti, una immensa moltitudine di uomini e donne, udendo le meraviglie e i prodigi Divini, corsero al monastero gridando: "Abbi pietà di noi, Gesù Cristo, figlio del Dio vivente, per i meriti del Beato Ciriaco tuo Martire, fortissimo atleta. Uscendo sigillata, nella quale era stato chiuso il Santissimo Capo con le reliquie di altri santi. Alla presenza di moltissime persone di ambo i sessi fu aperto il vaso d'argento dove era riposto il Glorioso Capo e dal quale cominciò ad uscire sangue vivo in modo molto chiaro ed evidente. L'urna che conteneva il capo si presentò bagnata nella parte interna e tutta la superficie del capo era irrorata di preziosissimo sangue, mentre la testa tumida aveva riempito il vaso sino alla sommità. La devozione e !o stupore sia delle monache sia dei presenti fu così grande che non si può spiegare. Certo è che per la commozione tutti si sciolsero in lacrime. Fu subito ordinato di suonare le campane e di celebrare solenni messe e, mentre si attuavano questi riti, una immensa moltitudine di uomini e donne, udendo le meraviglie e i prodigi Divini, corse al monastero gridando: "Abbi pietà di noi, Gesù Cristo, figlio del Dio vivente, per i meriti del Beato Ciriaco tuo Martire, fortissimo atleta. Uscendo poi in processione unitamente al Clero e ad una folta schiera di popolo, tra i recinti del monastero e lungo lo sbarramento, fu fatto vedere il Capo di S. Ciriaco bagnato di sangue e, mirabile a dirsi, dalla parte superiore del capo si vedeva scorrere il sangue e colare in un vaso d'argento. Avvenne poi un fatto meraviglioso, che fu affidato ai fedeli del Glorioso Martire e alla memoria dei posteri: sulla pianeta e sulla tovaglia, con cui era ornato il Sacerdote che portava il Glorioso Capo, caddero alcune gocce di sangue che sono rimaste su quegli ornamenti sino ai giorni nostri. Terminata la processione e compiute le solenni messe, il Santo Capo, dopo essere stato posto sull'altare per le celebrazioni, venne riposto nell'urna d'argento. Verso mezzogiorno quasi tutto il popolo romano, correndo ansioso verso il monastero e volendo constatare l'evento miracoloso, chiese a gran voce al clero di riportare il Santo Capo dal monastero al campo Camillo; assecondata la richiesta, furono operati altri grandi miracoli dal Martire Ciriaco: ad una donna di nome Bianca, priva di un occhio, fu restituita la vista, come essa stessa dichiarò. Un' altra donna, che aveva il fianco immobilizzato e che non poteva alzarsi dal letto, si raccomandò al Martire e, alzatasi immediatamente come per incanto, si recò al monastero e fu guarita della parte malata. Nello stesso luogo avvenne altro fatto soprannaturale: alcune gocce del preziosissimo sangue, sgorgato dal Capo del Martire, caddero sull'indumento sacro di Stefano, canonico di S. Marcellino, cosa che egli stesso fece subito notare a tutti i presenti. Giunta la sera e riposto il capo nel sacrario del monastero, i venerabili padri Don Romano, episcopo portuense, Don Stefano, titolare di S.Maria al di là del Tevere, e parecchi Cardinali, venendo al monastero e facendo un'indagine sul fatto, notarono con inconfondibile oculatezza una cosa meravigliosa che era stata compiuta: il giorno successivo, coagulatosi il sangue, che era caduto nel vaso d'argento, cominciò a sgorgare dallo stesso Santo capo acqua purissima e ciò per ben sette giorni. Comunque, ogni qualvolta i fedeli guardavano il Santissimo Capo, altrettante volte si vedeva qualcosa di nuovo e di miracoloso.

Tratto da “Vita e Miracoli di S. Ciriaco D. e M. Patrono di Torre le Nocelle” di Carmine Capone.