Una vita contemplativa              http://www.certosini.org/

 

Le parole di San Bruno

«Quanta utilità e gioia divina rechino la solitudine e il silenzio dell'eremo a coloro che li amano, lo sanno solamente quelli che ne hanno fatto esperienza. Qui, infatti, agli uomini forti è consentito raccogliersi quanto desiderano e restare con se stessi, coltivare assiduamente i germogli delle virtù e nutrirsi, felicemente, dei frutti del paradiso. Qui si conquista quell'occhio il cui sereno sguardo ferisce d'amore lo Sposo, e per mezzo della cui trasparenza e purezza si vede Dio. Qui si pratica un ozio laborioso e si riposa in un'azione quieta. Qui, per la fatica del combattimento, Dio dona ai suoi atleti la ricompensa desiderata, cioè la pace che il mondo ignora, e la gioia nello Spirito Santo.

Che cosa è tanto giusto e tanto utile, e che cosa così insito e conveniente alla natura umana quanto l'amare il bene? E che cosa altro è tanto bene quanto Dio? Anzi, che cosa altro è bene se non solo Dio? Perciò l'anima santa, che, di questo bene, in parte percepisce l'incomparabile dignità, splendore e bellezza, accesa dalla fiamma d'amore dice: L'anima mia ha sete del Dio forte e vivo; quando verrò e mi presenterò davanti al volto di Dio?».

Così si esprimeva Bruno, il primo certosino. Parole folgoranti che, per tutti coloro di cui è il padre, tratteggiano e illuminano il cammino della contemplazione; ma anche parole disincantate, visto che non fanno che aprire l'orizzonte su un mistero insondabile e ineffabile. Ciò che è chiesto è di procedere sempre più lontano, sempre più in alto, sempre più in profondità.

 

Trasformazione dell'uomo

Impiantato nel terreno della certosa, l'uomo, umile seme, pesantezza più che grazia, ombra più che luce, quando non sia dura pietra, ossa inaridite, sepolcro imbiancato, si trova a poco a poco ricreato, restaurato ad immagine e somiglianza del suo Creatore e Salvatore. Non solo guarito interiormente e purificato, per giungere nella verità allo stato di uomo perfetto, nella pienezza della statura di Cristo; non solo radicato in un'esperienza di morte e resurrezione, di offerta nella preghiera, di esistenza eucaristica, perché il mondo abbia la vita; ma ancor più spiritualizzato e divinizzato nell'intimo dell'anima e del corpo, per essere pura offerta totalmente gratuita all'immensità dell'amore.

Di fronte ad una tale misura, come non riascoltare le parole di colei che per prima, per la sua umiltà, ha ricevuto l'annunzio?

«Com'è possibile?»

Umiltà nel constatare che niente di umano è proporzionato a questo dono, non certamente per conquistarlo, ma neanche solo per accoglierlo.

«Tesoro in vasi di creta». Il segreto della contemplazione non sta forse nel riconoscere dapprima la nostra povertà, e poi di abbandonarci nelle mani del nostro Padre? Poiché tutto viene da Lui e per mezzo di Lui, la nostra sola opera sarà di credere, di avere fiducia nella sua smisurata tenerezza, di renderci disponibili perché realizzi nel più intimo del nostro essere il suo disegno d'amore. Egli attende soltanto che liberiamo il cuore da tutto ciò che non è Lui, per versarvi i torrenti della sua vita divina.

 

Il Cristo

Gesù Cristo è «la via, la verità e la vita».Nessuno va al Padre senza passare attraverso di Lui, poiché «non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati». Di fatto la Parola che ha spiegato i cieli si è come nascosta nella carne di un popolo, fino a farsi essa stessa carne, per abitare in mezzo a noi. «Ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, questo vi annunziamo!». Il Figlio nella sua carne ci rivela il Padre e fa di noi dei figli.

«Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te».

Più noi siamo uniti a Cristo per mezzo della forza dei sacramenti e della fedeltà nella preghiera, e più, per Lui, con Lui ed in Lui, penetriamo nell'intimità del Padre.

 

Ascolto nel silenzio

Per disporsi ad un tale incontro niente è più importante di rimanere nell'ascolto. Divenire silenzio nell'ascolto del silenzio, al fine di percepire nel cuore di esso la voce dell'amato.

«Dio conduce il suo servo nella solitudine per parlargli al cuore, ma solamente colui che ascolta nel silenzio percepisce il mormorio del vento leggero che manifesta il Signore. Abbia dunque familiare quel tranquillo ascolto del cuore che lascia entrare Dio da tutte le porte e da tutte le vie. Così, purificato dalla pazienza, consolato e nutrito dall'assidua meditazione delle Scritture, e introdotto dalla grazia dello Spirito nelle profondità del suo cuore, il monaco diverrà capace non solo di servire Dio, ma di aderire a lui».

Mistero di ascolto, mistero di fede, mistero dello Spirito. Lui che condusse Gesù nel deserto e lo fece esultare di gioia, Lui per il quale l'amore di Dio è stato versato nei nostri cuori, e viene in soccorso della nostra debolezza perché non sappiamo come pregare, e ci insegna a dire: «Abbà! Padre!».

Purificato, vivificato, fortificato per mezzo dell'amore di Cristo, rianimato, sospinto dal soffio dello Spirito, abbracciato nel desiderio dal Padre.... il monaco solitario entra in comunione con il Dio tre volte santo, partecipa allo scambio ineffabile di conoscenza e di amore che è la vita delle persone divine nella Trinità. Tutta la sua esistenza non diventa altro che stupore davanti alla bellezza infinita, immutabile e trascendente di Dio nell'immensità del suo amore.

 

Semplicità

Desiderare, contemplare, accostare il Dio tre volte santo, eterno ed insondabile, richiede una perseveranza a tutta prova, che non dispensa assolutamente dall'invocare il Signore della tenerezza e della misericordia. Di fatto per vivere negli anni un'esistenza fondata sulla sola contemplazione è necessario che questa vita sia improntata ad una grande semplicità.

Lontano da ogni genere di complessità, di molteplicità e di dispersione, il solitario si attiene con forza all' «unico necessario». Egli ordina con equilibrio ed armonia tutte le cose all'unione con Dio, applicandosi serenamente al compito di ogni momento. L'alternanza di vita solitaria in cella e di vita comunitaria, di preghiera personale e liturgica, di studio e di lavoro manuale, come anche la differenza tra la sobrietà quotidiana e la letizia dei giorni di festa, lungi dall'essere fonte di dispersione, fanno della vita certosina un insieme sapientemente costruito, dove ogni elemento riceve piena forza e valore solo se visto nella totalità.

Con un cuore semplice e uno spirito purificato, il monaco si sforza di fissare in Dio i suoi pensieri e le sue emozioni, al fine di divenire una dimora tranquilla dello Spirito, un tempio abitato dalla Maestà divina, alla quale tutto si consacra con amore.

La stessa esortazione si traduce concretamente in qualche consiglio pratico; come quelli dati dal certosino Lanspergio: «Dimora assiduamente nel tuo santuario interiore. Non ti dare a nessuna cosa con eccesso, contentati del semplice uso delle cose presenti, di cui devi occuparti quando questo è necessario, senza attaccarvi il tuo cuore. Rimetti poi a Dio ogni evento, triste o gioioso, stai senza molteplicità, affinché anche Dio stia a te presente. Non vagabondare di qua e di là. Ritorna senza sosta alla solitudine, alla conversazione interiore. Colui che tu cerchi sia il tuo pensiero continuo, e se ti capita di patire, continua il tuo cammino. Ritorna così sempre nell'interiorità dove la Verità stessa è presente. Farai in modo di non arrivare mai al ribollire inconsistente delle parole. Custodisci dunque il silenzio, dimora nella pace, sopporta tutto, abbi fiducia in Dio, fa ciò che è nelle tue possibilità, e presto riceverai una luce meravigliosa per conoscere le strade così perfette della vita interiore».

«In cella - dicono gli Statuti - la nostra attività scaturisca sempre come da una sorgente interiore, sull'esempio di Cristo, che opera sempre con il Padre, di modo che il Padre, dimorando in lui, compia egli stesso le opere. Così seguiremo Gesù nella sua umile e nascosta vita di Nazaret, sia pregando il Padre nel segreto, sia lavorando al suo cospetto in spirito di obbedienza».

 

Pace e gioia

Consacrare tutta la propria vita a Dio nella contemplazione è sorgente di pace e di gioia sempre nuove. Tale è stata l'esperienza di San Bruno, che, secondo la testimonianza dei suoi figli, aveva sempre il viso in festa. Nella sua lettera alla comunità della Certosa egli apre la sua anima traboccante di gioia e invita i suoi fratelli ad unirsi al suo canto di esultanza:

«Veramente esulto e mi sento portato a lodare il Signore..... Gioite dunque, fratelli miei carissimi, per la felicità che avete avuto in sorte e per l'abbondanza della grazia di Dio verso di voi. Gioite, poiché siete sfuggiti ai molteplici pericoli e naufragi di questo mondo sballottato dalle onde. Gioite, poiché avete guadagnato il tranquillo e sicuro rifugio di un porto ben riparato».

Guigo, da parte sua, scrive ad un amico:

«è veramente beato colui che sceglie di vivere umile e povero nel deserto, che ama meditare con applicazione nel riposo, e desidera dimorare così solitario nel silenzio..... La vita povera e solitaria, dura nel suo principio, facile nel suo corso, diviene celeste nel suo termine».

Coloro a cui capita di incontrare dei certosini restano generalmente impressionati da questa nota caratteristica della vita certosina. Un pellegrino giunto alla Gran Certosa nel 1785 annota: «tutto mi ha dato un piacere profondo e calmo. Le agitazioni umane non salgono affatto lassù. Ciò che non dimenticherò mai è la contentezza celeste visibilmente dipinta sui volti di quei religiosi. Il mondo non ha idea di questa pace.... La si avverte, ma non si può definirla questa pace che voi guadagnate».

Dieci secoli più tardi gli fanno eco le parole del papa Giovanni Paolo II durante la visita qui a Serra: «dai vostri volti si vede come Dio doni la pace e la gioia dello Spirito Santo, come mercede a chi ha abbandonato ogni cosa per vivere solo di Lui e cantare in eterno il suo amore... Nella pace e nel silenzio del monastero si trova la gioia di lodare Dio, di vivere di Lui, in Lui e per Lui».

 

Il riposo contemplativo

Il riposo, tanto bramato da Bruno e Guigo, è ben distinto dal sonno e dal rilassamento come la vita contemplativa lo è dall'inerzia e dalla comodità. Esychia per i greci, quies per i latini, il riposo contemplativo è come la parola d'ordine di tutti i cercatori di Dio, dai Padri del deserto via via fino ad attraversare tutto il monachesimo.

Questa quiete è ogni volta condizione e risultato dell'unione con Dio nella contemplazione: rifiuto di idee vaganti e di fantasie, assenza di pensieri e preoccupazioni.... serenità, tranquillità interiore, pace del cuore.... quella pace di cui il Cristo risuscitato era pervaso e che lasciò ai suoi amici.

Un maestro spirituale del sec. XI ha lasciato questa testimonianza: «ci sono molti modi di contemplazione in cui l'anima pia si diletta in te, o Cristo. Ma in nessuno di essi l'anima mia si diletta più di quello in cui, abbandonate tutte le cose, essa porta verso di Te, Dio solo, lo sguardo semplice di un cuore puro. Quale pace, quale riposo, quale gioia gusta allora l'anima applicata a Te!.... Quando essa medita e ripete la tua gloria, il tumulto dei pensieri cessa, tutto tace, tutto è tranquillo: il cuore è ardente, lo spirito nella gioia, la memoria vigilante, l'intelligenza luminosa, e tutto lo spirito infiammato dal desiderio della visione della tua bellezza si vede trasportato nell'amore delle realtà invisibili».

La quies è il coronamento del cammino del monaco che si sforza di vivere nella fedeltà la sua ricerca di Dio. Allora «L'anima del monaco sarà come un lago tranquillo le cui acque, scaturendo dalla purissima fonte dello spirito e non essendo agitate dall’ascolto di nessun rumore venuto dall’esterno, riflettono, quale nitido specchio, la sola immagine di Cristo».