Michail V. Skarovskij

GLI ULTIMI GRANDI "STARCY" DI OPTINA:

ANATOLIJ POTAPOV E NEKTARIJ TICHONOV
 

 

 

La rivoluzione d'ottobre' e l'inizio della politica antireligiosa del potere sovietico segnarono un confine tragico nella storia di Optina Pustyn'. Anche qui ebbe inizio un periodo di dure per­secuzioni nei confronti dei monaci, di graduale chiusura delle chiese del monastero, fino alla sua completa soppressione. Negli ultimi anni di esistenza di Optina ebbero la ventura di vivere due grandi starcy: gli ieroschimonaci Anatolij e Nektarij. Furono proprio loro a guidare il gregge durante le persecuzioni e a la­sciare parole profetiche sul destino della Russia e la futura rina­scita di Optina stessa.

Lo starec Anatolij il Giovane (Aleksandr Alekseevic Potapov) nacque il 15 febbraio 1855 a Mosca, in una famiglia di mercan­ti; dopo aver ricevuto l'istruzione scolastica fece il commercian­te e lavorò come commesso a Kaluga. Sua madre non voleva che il figlio entrasse in monastero e soltanto dopo la sua morte Alek­sandr poté entrare a Optina, il 15 febbraio 1885. Egli fu de­stinato allo skit di San Giovanni il Precursore come discepolo e assistente di cella dello starec Amvrosij. Il 23 aprile 1888 Pota­pov ricevette la prima tonsura e vestì l'abito, mentre il 3 giugno 1895, dopo dieci anni di obbedienza, il futuro starec ricevette la tonsura e il mantello monastico con il nome di Anatolij, in onore di sant'Anatolio, patriarca di Costantinopoli. Il 5 luglio 1899 il vescovo di Kaluga Makarij Troickij lo ordinò ierodiacono, il 26 marzo 1906 padre Anatolij fu ordinato ieromonaco e con dispo­sizione del concistoro di Kaluga del 6 marzo 1906 fu nominato confessore del monastero femminile di Samordino dell'Icona della Madre di Dio di Kazan'.

Nel 1908, dopo la morte del confessore di Optina, lo iero­schimonaco Savva, padre Anatolij fu trasferito dallo skit di San Giovanni Precursore nel monastero e si installò in una cella presso la chiesa dell'Icona della Madre di Dio di Vladimir. Da allora egli iniziò a ricevere nel monastero innumerevoli pellegri­ni, tutti bisognosi di una parola di conforto. Ben presto lo starec Anatolij divenne noto in tutta la Russia, in particolare tra i sem­plici fedeli di estrazione popolare. Benché il Signore gli avesse concesso straordinari doni spirituali, egli non solo non faceva nulla per esser considerato uno starec, una guida spirituale, ma faceva il possibile per evitarlo. Tuttavia per obbedienza egli do­vette assumersi il compito di starec, in quanto scelto dalla comu­nità. Ricevendo soprattutto i laici, padre Anatolij trattava la gente con grande amore: era sempre gentile, benevolo, cordiale. Egli aveva acquisito i doni spirituali della chiaroveggenza, dell’amore, della consolazione e della capacità di guarire le perso­ne; lo starec soccorreva i sofferenti, dissimulando il proprio in­tervento inviandoli alla sorgente di san Pafnutij Borovskij o sulla tomba dello starec Amvrosij.

A poco a poco, attraverso i pellegrini, la notorietà di padre Anatolij raggiunse la capitale. Dal 1910 in poi lo starec andò più volte a San Pietroburgo ed ebbe là molti figli spirituali, apparte­nenti a vari strati sociali. Di uno dei suoi primi viaggi nella capi­tale negli anni 1911-12 scrisse più tardi nel suo libro di ricordi la monaca Veronika (V. S. Vraskaja-Kotljarevskaja), che in quel pe­riodo era attrice del teatro Aleksandrinskij con lo pseudonimo di Stachova:

 

In quel tempo arrivò a Pietroburgo padre Anatolij, forse l'u­nico starec "di una volta" ancora esistente. Lo avevano chia­mato a Pietroburgo alcune persone vicine al sovrano. Esse ve­devano l'influsso distruttivo di Rasputin sulla famiglia impe­riale e fecero il tentativo di sostituirlo con un "vero starec". Ma padre Anatolij era in età già molto avanzata, la vita di cor­te non era fatta per lui, evidentemente la volontà di Dio non era questa. Egli ben presto se ne tornò a Optina.

 

La Vraskaja-Kotljarevskaja fece visita allo starec, mentre era ospite di un suo figlio spirituale, il noto mercante Savva Ma­montov, e da qual momento l'attrice, che non era credente, ini­ziò un graduale avvicinamento alla fede.

Molti esponenti del clero, noti nella storia della Chiesa or­todossa russa del XX secolo, furono figli spirituali di padre Ana­tolij, tra i quali ricordiamo l'arcivescovo Serafim Sobolev, il ve­scovo Trifon Turkestanov, lo scrittore spirituale e presbitero Va­lentin Svencickij, l'arciprete Nikolaj Zagorovskij (che ricevette prima di morire la tonsura monastica con il nome di Serafim), canonizzato nel 2000. Pavel Florenskij si rivolse a lui per avere consigli. Nel 1914 la granduchessa Elizaveta Fedorovna si con­fessò dallo starec ed ebbe con lui una lunga conversazione.

Nell'autunno del 1916 padre Anatolij giunse a Pietrogrado per la benedizione del luogo e la posa della prima pietra del podvor'e del monastero di Samordino nella capitale. Egli si fermò nella casa di un figlio spirituale, il noto mercante e benefattore Usov (morto negli anni venti nel lager delle Solovki). Subito eb­be inizio un vero e proprio pellegrinaggio per vedere lo starec; durante il suo soggiorno a Pietrogrado alla porta della casa c'era una fila di persone che desideravano parlare con padre Anatolij. Lo starec presentiva l'avvicinarsi degli sconvolgimenti della rivo­luzione. Al tempo del suo ultimo viaggio nella capitale appartie­ne la sua terribile profezia sulle imminenti vicende della Russia, nel caso di un rovesciamento dell'imperatore Nicola II, di cui padre Anatolij era un grande estimatore:

 

"Non c'è peccato più grande dell'opposizione alla volontà dell'unto da Dio... La sor­te dello zar è la sorte della Russia. Se lo zar gioisce, anche la Russia gioisce. Se lo zar piange, anche la Russia piange ... Come un uomo con la testa tagliata non è più un uomo, ma un cadave­re maleodorante, così la Russia senza zar sarà un cadavere ma­leodorante".

 

Pochi mesi dopo, la rivoluzione di febbraio portò alla fine della monarchia. Nel febbraio 1917 lo starec si stava dirigendo di nuovo a Pietrogrado, ma a Mosca fu sorpreso dagli eventi. In quei giorni tempestosi padre Anatolij pronunciò la sua più famo­sa profezia sul futuro della Russia: la distruzione dello stato, del paese e la successiva rinascita:

 

Ci sarà una tempesta e la nave russa sarà distrutta. Ma la gen­te si salva anche sulle schegge e sui rottami. E non tutti soc­comberanno. Che cosa avviene dopo la tempesta? Dopo la tempesta viene la calma. Ma la nave non esiste più, è distrut­ta, perita, tutto è andato perduto... Non così si manifesterà il grande prodigio di Dio, ma... tutte le schegge e i rottami per volere di Dio si raccoglieranno e si riuniranno e rinascerà la nave nella sua bellezza e si avvierà per la sua strada, prescritta da Dio. Questo sarà il prodigio manifesto a tutti.

 

Poco dopo lo ieromonaco Anatolij tornò nell'eremo. La sua autorevolezza e la sua fama, come quelle dell'altro starec di Opti­na, padre Nektarij, erano tanto grandi che alla fine del 1917-ini­zio del 1918, già dopo la rivoluzione d'ottobre, molti pietrogra­desi chiedevano alle autorità ecclesiastiche di invitare gli starcy di Optina nella capitale, perché insegnassero come vivere e che cosa fare nei tempi torbidi che erano sopravvenuti. Mai in pre­cedenza il fenomeno dello starcestvo ortodosso in Russia aveva avuto una simile portata sociale.

All'inizio del 1918 il nuovo potere sovietico dichiarò il mona­stero ufficialmente chiuso, ma nelle mura del convento fu crea­ta la cooperativa agricola "Optina", composta sostanzialmente dai monaci del monastero. Ed effettivamente la vita dell'eremo continuò ancora per circa cinque anni: come prima si svolgeva­no le funzioni nelle chiese, come prima molte persone andavano dagli starcy. Ma gradualmente le persecuzioni si intensificavano. All'autunno del 1919 risalgono i primi arresti di monaci. Padre Anatolij, anche nei duri anni della guerra civile, continuò a gui­dare spiritualmente il suo numeroso gregge, nonostante il grave peggioramento delle sue condizioni di salute.

Le persecuzioni si intensificarono particolarmente prima e durante la campagna di confisca dei beni della chiesa, nel 1921-1922. Agenti degli organi di sicurezza perquisirono persi­no la cella di padre Anatolij, confiscarono quel poco che lo ieromonaco non era riuscito a distribuire ai suoi figli spirituali e lo arrestarono. Lo starec, malato, fu portato in prigione a Kaluga, ma durante il viaggio le sue condizioni peggiorarono ed egli fu ricoverato all'ospedale. Là, preso erroneamente per un ammala­to di tifo, gli furono rasati i capelli e la barba. Dimesso final­mente dal medico, lo ieromonaco allo stremo delle forze ritornò al convento e poco dopo, nell'estate del 1921, ricevette il grande abito monastico (lo schema).

Nonostante la grave malattia e le sofferenze, lo starec, appena gliene era concessa la possibilità, continuava il suo ministero di guida spirituale. L'11 agosto 1922, nel monastero fece di nuovo irruzione la commissione della GPU (Direzione politica statale) e cominciarono gli arresti e gli interrogatori dei monaci. Dovevano arrestare anche padre Anatolij. Quando entrarono da lui, lo starec li pregò di aspettare fino al mattino, perché voleva prepararsi al "viaggio". Tutta la notte pregò e al mattino, in ginocchio e in preghiera, fece ritor­no al Signore (30 luglio/12 agosto 1922). Gli agenti della GPU al loro arrivo trovarono lo starec già nella bara. I funerali si svolse­ro nella chiesa dell'Icona della Madre di Dio di Kazan'. Padre Anatolij fu sepolto dietro la chiesa principale, della Presentazio­ne della Madre di Dio, accanto allo starec Amvrosij.
 

 
 

Padre Nektarij, forse il più noto degli starcy di Optina del XX secolo, sopravvisse sei anni allo starec Anatolij. A lui sono legati molti racconti della tradizione orale, riguardanti la sua assisten­za spirituale per tutta una serie di importanti personalità, conti­nuata dopo la chiusura di Optina, e le sue profezie e i miracoli compiuti dopo la morte.

Nikolaj (nome di battesimo di Nektarij) Vasil'evic Tichonov nacque nel 1853 nella città di Elec, nel governatorato di Voronez. Da giovane lavorò nella bottega di un mercante. All'età di venti anni, nel 1873, entrò a Optina Pustyn' e dal 1876, per quarantasette anni, visse allo skit. Nel 1885, dopo aver ri­cevuto l'abito, il monaco Nikolaj fu destinato come inserviente nella cella di Amvrosij insieme con il futuro ieroschimonaco Anatolij.

Nikolaj fu l'ultimo amato discepolo del santo starec Amvrosij. Il 14 marzo 1887 ricevette la tonsura monastica con il nome di Nektarij. Dopo la morte di Amvrosij (10 ottobre 1891) la sua "capanna" nello skit fu occupata da padre Nektarij, che nel 1912 fu eletto starec dai confratelli. Ora tutti coloro che atten­devano una parola di conforto venivano ricevuti nel monastero da padre Anatolij, e nello skit dallo ieromonaco Nektarij. Quest’ultimo per venticinque anni aveva praticato l'ascesi del silen­zio quasi assoluto, e ora per obbedienza gli era chiesto di intra­prendere il ministero dello starcestvo".

L'anno 1917, contrassegnato da due rivoluzioni e da un radi­cale mutamento di tutto il sistema di vita del paese, non giunse inaspettato per lo starec. Ancora alla fine del 1916, come invasa­to, padre Nektarij prese ad andare in giro con un nastro rosso sul petto, predicendo in tal modo i futuri eventi della rivoluzione. Dopo la rivoluzione di febbraio, lo starec disse:
 

Ora comincia un periodo difficile. Nel mondo è passato il nu­mero sei e comincia il numero sette. Comincia l'era del silen­zio... Il 1918 sarà ancora più difficile... L'imperatore e la sua famiglia saranno uccisi, torturati ... Negli ultimi tempi il mondo sarà circondato di ferro e di carta. I giorni di Noè so­no una prefigurazione dei nostri giorni. L'arca è la chiesa, so­lo quelli che saranno in essa si salveranno. Bisogna pregare.  Con la preghiera, con la parola di Dio, tutto ciò che è immon­do si purifica.

 

Dopo la fucilazione della famiglia imperiale nel luglio 1918, i monaci di Optina non fecero più menzione di queste parole dello starec. Nel 1917 padre Nektarij predisse anche la futura rinascita del paese e del monastero, dopo durissime prove: "La Russia esulterà e sarà non ricca materialmente, ma sarà ricca nello spirito e a Optina ci saranno ancora sette luci, sette co­lonne".

Il 9/22 marzo 1920 morì il superiore dell'eremo, lo schiigu­meno Feodosij Pomorcev, che aveva subito dolorosamente gli anni crudeli della rivoluzione. Comunicando il 31 marzo questo avvenimento al vescovo di Kaluga Feofan, il superiore di Optina, l'archimandrita Isaakij Bobrikov, chiese a sua eccellenza la be­nedizione per nominare come superiore temporaneo dello skit lo ieromonaco Nektarij "poiché - scriveva - mi sembra inopportu­no fare l'elezione del superiore, date le condizioni in cui si trova il monastero". Nel secondo rapporto della stessa serie l'archi­mandrita Isaakij comunicava: "Lo starec ieromonaco Nektarij, sull'esempio dei suoi predecessori, desidera ricevere la tonsu­ra e l'abito del monachesimo più severo ... Ho l'onore di pre­gare la vostra santità affinché benedica il desiderio dello iero­monaco Nektarij". La risposta di sua eccellenza fu lapidaria: "Sia fatto". Nell'aprile 1920 padre Nektarij fu tonsurato nello schema.

Negli anni del sommovimento rivoluzionario e nell'infuriare della guerra civile, accorrevano allo starec, con le loro sventure e le loro ansie, molti laici e tutti, in un modo o nell'altro, riceve­vano risposte alle domande che li tormentavano. A volte avveni­vano, grazie a padre Nektarij, sorprendenti conversioni di per­sone inviate a Optina dagli organi sovietici in qualità di persecu­tori. Si può citare ad esempio il destino della poetessa Nadezda Aleksandrovna Pavlovic, che aveva lavorato dal 1919 come se­gretaria della sezione extrascolastica del Commissariato del po­polo per l'istruzione. Essa era anche membro del Presidium dell’Unione panrussa dei poeti ed era molto amica del poeta pietro­burghese Aleksandr Blok (morto nell'agosto 1921).

Alla fine del 1921 il Commissariato del popolo per l'istruzio­ne incaricò la Pavlovic di ricevere i dossier relativi alla soppres­sione e altri documenti di Optina Pustyn', che si stava chiuden­do. Essa arrivò a Kozel'sk e cominciò a esaminare i manoscritti dello skit e del monastero e l'inventano delle proprietà. Nel giu­gno 1922 la conoscenza delle usanze e della vita spirituale del monastero provocò in lei un capovolgimento morale. Malgrado tutto, la Pavlovic rimase qui per un lungo periodo, quasi un anno. Dei famosi starcy di Optina essa trovò in vita soltanto padre Nektarij e ben presto divenne una sua devota figlia spirituale. Più tardi nei suoi versi, la Pavlovic ricordò molte volte con calo­re lo ieroschimonaco:

 

Sulla canizie l'alto copricapo,

Rosario di granati nelle mani

E la tua stola alquanto consumata...

Io ti rivedo dopo tanti anni,

Come di gioventù la luce intatta:

Non fosti tu - ma noi a dimenticarti.

 

Lo starec Nektarij più di una volta diede insegnamenti alla giovane poetessa: "Prima di cominciare a scrivere, intingete set­te volte la penna nel calamaio". L'ammonì anche che "tutti i versi non valgono una sola riga della sacra Scrittura". Lo starec considerava la cosa più importante mantenere intatto dentro di sé il mondo dell'anima. Nadezda Pavlovic ricordò per tutta la vita le parole del padre Nektarij su Aleksandr Puskin: "Puskin era la persona più intelligente della Russia, ma visse nell'inquie­tudine e nell'ansietà. Capiva tutto, ma si rovinò la vita, c'erano sempre dei gatti che gli laceravano il cuore". Allo starec piaceva la poesia di Blok e in risposta a una domanda della Pavlovic dis­se alla fine del 1922: "Scrivi alla madre di Aleksandr che sia fi­duciosa: Aleksandr è in paradiso".

Un comportamento simile lo sperimentò anche Michail Mi­chajlovic Taube. Benché egli provenisse da una famiglia di baro­ni, era al servizio dei sovietici e nel 1922 cominciò a lavorare nella biblioteca di Optina, che era stata inglobata nel museo "Optina Pustyn"', appena costituito. Dopo le conversazioni con padre Nektarij, Taube passò dal luteranesimo all'ortodossia e ricevette segretamente la tonsura monastica con il nome di Agapit. In seguito lo starec lo affidò alle cure del suo confessore, lo ieromonaco di Optina Dosifej Cucurjukin. Nel 1927 il mona­co Agapit fu arrestato, e, condannato, scontò la pena nei lager della regione di Archangel'sk; morì nel 1935.

Nel marzo 1923, la Domenica delle Palme, il monastero fu chiuso un'altra volta, definitivamente. Poco prima le autorità avevano arrestato un gran numero di monaci, tra cui Nektarij. Lo starec fu accusato di attività controrivoluzionaria. Al primo interrogatorio padre Nektarij tacque e all'osservazione degli in­quisitori: "Con il vostro silenzio voi ci irritate", rispose: "Anche il Signore Gesù Cristo tacque, quando lo interrogarono". In conseguenza della detenzione, la salute dello starec subì un netto peggioramento ed egli fu trasferito all'infermeria del carcere di Kozel'sk. Qui egli ordinò allo ieromonaco Nikon Beljaev, che era venuto a visitarlo, di sostituirlo come confessore dei fratelli di Optina e affidò una parte dei suoi figli spirituali a lui e allo ieromonaco Dosifej. Padre Nektarij voleva rinunciare a ricevere i visitatori, ma la notte di Pasqua gli apparvero tutti gli starcy di Optina defunti e gli dissero: "Se non li riceverai, non sarai con noi".

Dopo una breve indagine lo ieroschimonaco fu condannato alla fucilazione. Lo salvò la figlia spirituale Nadezda Pavlovic. Si rivolse a Mosca alla moglie di Lenin, Nadezda K. Krupskaja, che era a capo del Commissariato del popolo per l'istruzione in cui aveva lavorato prima, e la pregò di salvare il suo "nonnino", un vecchio monaco che doveva essere fucilato. La Krupskaja in­dirizzò Nadezda Aleksandrovna a Beloborodov, il vice di Dzer­zinskij, capo della GPU, che mandò un telegramma a Kozel'sk con l'ordine di liberare lo starec. Padre Nektarij fu liberato dalla prigione, ma dovette lasciare il governatorato di Kaluga. Dap­prima lo starec si stabili nella fattoria del figlio spirituale Va­silij Osokin presso il villaggio di Plochino, vicino a Kozel'sk, ma poi, alla fine del 1923, fu costretto ad allontanarsi di sessanta verste e ad andare nel villaggio di Cholinisci (oggi nella regione di Brjansk), dove visse fino alla morte.

Si noti che Nadezda Pavlovic rimase presso il monastero di Optina anche dopo la sua chiusura, stabilendosi in campagna nelle vicinanze. Grazie soprattutto ai suoi sforzi il museo conti­nuò ad esistere fino al 1928, e dopo la sua chiusura Nadezda Aleksandrovna salvò la biblioteca e l'archivio del monastero. Con la sua collaborazione essi furono inventariati e trasferiti a Mosca nella biblioteca nazionale, dove si conservarono quasi intatti. Grazie ai buoni uffici della Pavlovic il 4 dicembre 1974 gli edifici di Optina Pustyn', già semidistrutti, furono final­mente trasferiti sotto la tutela dello stato e iniziò il loro restau­ro. Nadezda Aleksandrovna morì il 3 marzo 1980; fino all'ulti­mo scrisse articoli e versi sul monastero e sul suo padre spiritua­le, lo starec Nektarij, sulla cui tomba a Cholmisci essa andava sempre:

 

Là la tomba di mio padre,

Alta, larga e luminosa

È lontana, distaccata,

Fuori dal grande villaggio.

Per strada, improvvisa, la pioggia

Abbatte la polvere estiva,

Io bacio il declivio del colle,

Vi appoggio l'ardente mio viso.

 

Gli ultimi anni di vita nel villaggio (1923-1928) furono dif­ficili per padre Nektarij. Nonostante la sua grave malattia, egli doveva svolgere un pesante lavoro fisico; le autorità perseguitavano apertamente lo starec, pretendevano il pagamento di gros­se somme di denaro. E’ noto, ad esempio, che nell'autunno del 1927 gli ortodossi di Kiev raccolsero denaro per il pagamento di una tassa del padrone della casa dove viveva padre Nektarij. Ma nello stesso tempo lo starec continuava a ricevere le persone che venivano da lui, teneva un'ampia corrispondenza e aveva un no­tevole influsso sulla vita spirituale del paese. Secondo numerose testimonianze, il patriarca Tichon, tramite persone di sua fidu­cia, si consigliava sovente con lo ieroschimonaco. Lo starec era in corrispondenza anche con personaggi della chiesa nell'emigra­zione. Così nel 1926 ebbe uno scambio di lettere con l'ispettore dell'istituto di teologia di Parigi, il vescovo Veniamin Fedcen­kov, sostenendone l'atteggiamento critico verso alcune posizio­ni di Berdjaev. Lo starec continuò anche le sue profezie. Nel 1923, in particolare, disse che le chiese sarebbero state aperte per un certo tempo, ma dopo cinque anni sarebbero state chiuse tutte quante (e in effetti, dopo un periodo relativamente libe­rale, dal 1928-1929, ebbe inizio una campagna mai vista prima di chiusura in massa delle chiese parrocchiali). Allo ieromona­co Nikon, padre Nektarij predisse che sarebbe stato confinato al nord e là sarebbe morto.

Nel villaggio dello starec vennero fino alla fine della sua vita molti personaggi importanti della cultura e della scienza. Così il famoso attore Michail Cechov (negli anni 1924-1927 direttore artistico del Secondo teatro dell'arte di Mosca) prima di emigra­re nel 1928, si recò alcune volte a Cholmisci, dove ebbe lunghe conversazioni con padre Nektarij. Il noto storico della chiesa ortodossa russa I. M. Andreev-Andrievskij nel 1927 ebbe uno scambio di lettere con lo starec, il quale gli predisse che avrebbe avuto prove difficili e sarebbe stato arrestato, ma che tutto sa­rebbe finito bene: egli sarebbe stato liberato e avrebbe avuto la possibilità di agire a vantaggio della chiesa. Così avvenne in se­guito. Nell'estate del 1927, su richiesta di Andreev-Andrievskij e per loro iniziativa, andarono da padre Nektarij i due professo­ri di Leningrado, Anickov e Komarovic, allo scopo di chiarire i rapporti dello starec con l'attività del sostituto del locum tenens del patriarca, il metropolita Sergij Stragorodskij. Lo ieroschi­monaco in una conversazione aveva definito il metropolita "rin­novatore". All'obiezione del professore, che nel 1923 sua eccel­lenza Sergii si era pentito davanti al patriarca per la sua inclina­zione allo scisma del "Rinnovamento", lo starec rispose: "Sì, si è pentito, ma il veleno è dentro di lui". Nello stesso periodo, do­po l'uscita della "Dichiarazione del 1927" del metropolita Sergij sulla lealtà della chiesa verso il potere sovietico, tutti i fratelli di Optina con il dolore nel cuore si sottomisero al sostituto del locum tenens per santa obbedienza e non si separarono, come invece fecero molti altri monaci. Padre Nektarij commentò:

 

"Quando gli ebrei erano prigionieri a Babilonia e non pregavano per il re di Babilonia, perché egli era pagano, stavano molto ma­le. Ma quando iniziarono a pregare la loro posizione migliorò notevolmente".

 

Sono numerose le pubblicazioni dedicate in anni recenti a va­rie personalità di spicco della società sovietica, che negli anni '20 avrebbero incontrato il nostro starec, ricevendone la pre­dizione del futuro della loro vita. Molto probabilmente queste storie sono leggende e testimoniano semplicemente il ruolo im­portante che gli starcy di Optina stanno nuovamente assumendo nella coscienza sociale. A questo riguardo si possono menziona­re le visite che avrebbero effettuato presso padre Nektarij il fu­turo capo dello stato sovietico (a metà degli anni cinquanta) G. Malenkov, e il maresciallo Georgij Zukov, l'eroe della seconda guerra mondiale. Quest'ultimo, quando nel 1925 era in servizio come comandante di battaglione dell'armata sovietica, secondo la testimonianza della figlia del padrone della casa dove viveva lo starec avrebbe visitato più volte padre Nektarij e avrebbe per­sino pernottato da lui. Secondo questa testimonianza, lo starec avrebbe rivelato a  Zukov il suo destino, che era di servire Dio, la patria e gli uomini; poi lo benedisse, dicendogli che la vittoria lo avrebbe accompagnato: "Tu sarai un forte condottiero. Studia, il tuo studio non sarà inutile".

Lo starec Nektarij di Optina, infaticabile intercessore per la Russia e per lo sventurato popolo russo, si spense il 29 aprile/12 maggio 1928. Egli morì sotto la stola del suo figlio spirituale Adrian Rymanenko, il futuro arcivescovo Andrej di Rockland, allora arciprete a Kiev, che gli lesse la preghiera dei morenti. Il noto prete moscovita Sergij Mecev, chiamato dalla capitale su ri­chiesta di padre Nektarij, confessò e comunicò lo starec. Lo iero­schimonaco fu sepolto a Cholmisci, nel cimitero del villaggio. Con la morte di padre Nektarij, benché rimanessero in vita altri membri della comunità, Optina venne meno come faro della grazia dello starcestvo. Tuttavia i figli spirituali degli starcy, chie­rici e laici, seppero mantenere in vita lo spirito di Optina.

Il 26 luglio '996 Nektarij e Anatolij entrarono a far parte del­la schiera dei santi locali nella sinassi degli starcy di Optina, e nell'agosto 2000 furono canonizzati per la venerazione univer­sale dal concilio della Chiesa ortodossa russa. Il 16 luglio 1989 furono recuperate le reliquie di padre Nektarij, e collocate nel­la chiesa della Presentazione del rinato monastero. Il 10 luglio 1998 ebbe luogo il ritrovamento delle reliquie di padre Anatolij con quelle di altri santi starcy di Optina. Ora esse riposano nel­la chiesa dell'icona della Madre di Dio di Vladimir a Optina Pustyn'.

 

Tratto da: A.A.V.V., Optina Pustyn' e la paternità spirituale, ed. Qiqajon - Comunità di Bose a cui rimandiamo per l'approfondimento dei temi relativi allo Starcestvo russo. In questo volume sono pubblicati gli atti del X Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa - sezione russa - svoltosi a Bose il 19-21 settembre 2002.