Vasilije Grolimund
Origine e diffusione della preghiera mentale


 


Dai padri del deserto a Bisanzio


Le origini della preghiera mentale - più conosciuta con il nome di "preghiera del cuore" o "preghiera di Gesù", o, più esattamente, "preghiera a Gesù" -  risalgono agli inizi del monachesimo cristiano, ai padri del deserto egiziano.
Essa nasce dal modo di pregare dei primi monaci,che erano soprattutto eremiti e non avevano quindi uffici comuni. Ciascuno era libero di scegliere il suo modo di lodare Dio. Poiché i libri erano molto cari, gli eremiti possedevano nel migliore dei casi un salterio e recitavano solamente i salmi, ma spesso non facevano che ripetere qualche salmo o qualche versetto scelto e preghiere imparate a memoria. Questo modo di pregare corrispondeva perfettamente alle esigenze di monaci analfabeti. Ma ciò che all'inizio era nato da una necessità legata alla povertà divenne ben presto una via di ascesi deliberatamente scelta per la contemplazione continua di Dio, secondo il comando dell'apostolo Paolo: "Pregate incessantemente" (1Ts 5,17).
E' però necessario che questa preghiera sia purificata da ogni passione e anche da ogni distrazione. Il monaco deve svuotare la sua mente da ogni pensiero - anche dai pensieri buoni - e concentrarsi solamente su Dio, dunque vivere continuamente in presenza di Dio. In questa lotta contro i pensieri che gli fanno guerra di continuo, c'è un mezzo che favorisce l'adesione della mente alla preghiera: invece di recitare preghiere lunghe e prolisse che possono dare occasione ai pensieri di vagabondare, si sceglie una preghiera breve e la si ripete continuamente. E questa "monologia" che aiuta a far aderire la mente al cuore, e in ultima analisi l'uomo a Dio.

Negli scritti attribuiti a Macario il Grande leggiamo:

 

In primo luogo il monaco deve il suo nome al fatto che è solo, dato che si astiene dai rapporti con donne e ha rinunciato al mondo dentro di sé e fuori di sé: fuori di sé rinunciando ai beni materiali e alle cose del mondo; dentro di sé rinunciando persino alle loro rappresentazioni e non facendo entrare i pensieri delle preoccupazioni mondane.

In secondo luogo è chiamato monaco perché prega Dio con una preghiera ininterrotta, per purificare il suo spirito dai molti e dannosi pensieri e perché il suo spirito divenga monaco in se stesso e solo davanti al vero Dio, non lasciando entrare i pensieri del male, e rimanendo puro in ogni tempo e integro davanti a Dio.

 

Quanto alla formula specifica di questa preghiera, un apoftegma di Macario l'Egiziano la descrive nel modo seguente:

 

Alcuni chiesero ad abba Macario: "Come dobbiamo pregare?". L'anziano rispose loro: "Non c'è bisogno di dire vane parole, ma di tendere le mani e dire: 'Signore, come vuoi e come sai, abbi pietà di me!'. Quando sopraggiunge una tentazione, basta dire: 'Signore, aiutami!'. Poiché egli sa che cosa è bene per noi e ci fa misericordia".

 

All'inizio non si era fissata concretamente una formula di questa preghiera breve. I monaci potevano sceglierla a seconda delle loro necessità spirituali. Spesso preferivano versetti di salmi, come ad esempio: "O Dio vieni in mio aiuto, affrettati a soccorrermi Signore" (Sal 70,2), raccomandato dall'eremita Isacco al suo interlocutore Germano. L'anziano dice:

 

Per voi dunque sarà proposta come formula di questa disciplina e di questa preghiera, da voi richiesta, quella che ogni monaco, allo scopo di tendere al continuo ricordo di Dio, deve abituarsi a coltivare con una continua ripresa da parte del cuore e dopo avere espulsa la varietà di tutti gli altri pensieri ... Pertanto sarà da noi suggerita a voi questa formula di vera pietà, allo scopo di raggiungere un continuo ricordo di Dio:

"O Dio, vieni in mio aiuto, affrettati a soccorrermi Signore"

La meditazione di questo versetto si svolga senza tregua nella tua anima. Non desistere mai dal richiamarla in qualunque momento della tua attività, nell'operare come nel camminare ... quando dormi, quando riposi, e perfino quando attendi alle più importanti necessità della vita.

 

 Questo colloquio, caratterizzato dal fatto che propone un metodo o una tecnica della vera preghiera, fu inserito da Giovanni Cassiano nelle sue Conferenze ai monaci, che ebbero una grande influenza sul monachesimo occidentale e contribuirono alla diffusione della preghiera monologica nella chiesa latina, per l'appunto in questa forma.

In oriente le invocazioni rivolte in modo generale a Dio furono ben presto sostituite da invocazioni personali a Gesù Cristo, Figlio di Dio. Questa confessione di fede in Cristo, in un tempo di lotta all'eresia dell'arianesimo, era un modo per ribadire la fede ortodossa della chiesa nel Verbo di Dio incarnato e nel Dio trinitario. Per di più è una formula che risale agli evangeli (cf. Lc 18,38; Mc 10,47 e Mt 20,31).

 

Indagando sulla prima comparsa della formula "classica" della preghiera di Gesù, come la conosciamo dalla Filocalia e dai Racconti di un pellegrino russo, "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me" , lo ieromonaco e più tardi arcivescovo Vasilij Krivosein arrivò alla conclusione "che il testo tradizionale della preghiera era già in uso verso la metà del V secolo".

Questa in fondo è solo una supposizione perché Diadoco di Fotica (V secolo) non la menziona per intero. Ma dal V secolo fino all'VIII  la sua esistenza sembra attestata al di là di ogni contestazione".

Padre Irénée Hausherr, approfondendo le ricerche, trovò la prima citazione della preghi era nella Vita di abba Dositeo (+ 540), al quale Doroteo di Gaza (VI secolo) "aveva insegnato a ripetere sempre, secondo la tradizione: 'Signore Gesù Cristo, nostro Dio, abbi pietà di me', e di tanto in tanto: 'Figlio di Dio, vieni in mio aiuto'.

 Sempre Hausherr ritenne di individuare nel Discorso utilissimo dell'abate Filemone una testimonianza della preghiera dell'inizio del VI secolo:

 

Sia che mangi sia che beva sia che ti trovi in compagnia di qualcuno, sia fuori di cella sia per strada, non ti scordare di fare questa preghiera con mente sobria e intelletto stabile.

 

Filemone praticava la preghiera di Gesù insieme alla salmodia:

 

Il servizio divino del santo anziano era questo: nella notte cantava tutto il Salterio e i cantici tranquillamente, e diceva una pericope dell'evangelo. Poi si sedeva da solo e diceva: "Signore, pietà" così intensamente e a lungo da non poter più emettere la voce. Dopo, prendeva sonno e poi, di nuovo, intorno all'alba cantava l'ora di prima, e sedeva al suo posto, rivolto verso oriente ... Così ogni giorno perseverava incessantemente nella salmodia e nella preghiera.

 

A metà del VII secolo Giovanni Climaco ricapitola l'esperienza dei grandi esicasti del deserto d'Egitto e di Palestina nella sua Scala del paradiso. Citando il venerabile anziano Giorgio Arsilaita, scrive:

 

Chi ha abbracciato la vita esicasta lucidamente e non ne computa quotidianamente i frutti, o non la pratica con cognizione di causa, oppure si lascia depredare dall'orgoglio. L'esichia è un culto e una presenza a Dio continui. Il ricordo di Gesù sia una sola cosa con il tuo respiro, e allora conoscerai l'utilità dell'esichia. Le cadute del cenobita vengono dalla volontà propria; quelle dell'esicasta da un'interruzione della preghiera... Modello della tua preghiera sia la vedova che aveva subito ingiustizia da parte del suo nemico (cf. Lc 18, 1-8).

 

È chiaro che l'unificazione della preghiera di Gesù al respiro qui non significa una tecnica di preghiera particolare, ma semplicemente il fatto che deve essere continua, per tutta la vita, fino all'ultimo respiro. Secondo le analisi di padre Irénée Hausherr per Giovanni Climaco la preghiera mentale (ho proseuchè monològhistos), "è ogni breve preghiera ripetuta spesso; è la kryptè ergasìa degli antichi, adattata alle varie circostanze. Sua costante è la nota di compunzione, la richiesta di perdono, il miserere, l'eleèson me, come nella preghiera di Gesù. Non si tratta in alcun modo della semplice ripetizione del nome di Gesù".

Il discepolo di Giovanni Climaco, Esichio, segna una tappa importante nel processo di identificazione della preghiera di Gesù alla preghiera mentale. Questo processo "ha ristretto a poco a poco la libertà di scelta dell'oggetto da meditare nell'attività segreta in vista della preghiera continua":

 

Ancora in Giovanni Climaco abbiamo visto diverse orazioni brevi adattate alle persone e alle circostanze. Il suo discepolo non le menziona più... Il posto della pràxis è stato preso dalla népsis, tanto che la definizione dell'una data da Evagrio come "metodo spirituale che purifica la parte passionale dell'anima,  passa ormai all'altra (cioè quella di Esichio del Roveto, Prima centuria)

La stessa forma di ricapitolazione o lo stesso bisogno di semplificazione comune alle anime profonde ha operato nella dottrina della meditazione nascosta: gli anziani ne affermavano la necessità in linea di principio lasciando nel contempo a ciascuno la libera scelta della propria politeìa personale. Esichio opera la sua scelta a favore dell'invocazione del nome di Gesù, come Cassiano aveva fatto molto tempo prima a favore del Deus in adiutorium meum intende.

 

La spiritualità sinaitica influenzò in modo rilevante il monachesimo bizantino: la Scala divenne uno dei libri ascetici più popolari, addirittura letto in chiesa durante gli uffici della grande quaresima.

Tra il X e l'XI secolo si colloca l'opera di Simeone il Nuovo Teologo, che, secondo il suo biografo, si dedicava nella quiete all'attività propria degli esicasti, e si innalzava mediante la grazia dello Spirito fino a uguagliare con la sua vita, la sua parola e la sua conoscenza i padri e i teologi di un tempo". 

San Simeone non nomina mai la preghiera monologica di Gesù, ma è probabile che la conoscesse e la praticasse, tanto più che il suo biografo e discepolo fedele Niceta Stethatos cita Esichio e la preghiera di Gesù. Si può dunque affermare che nell'XI secolo lo spirito dell'esicasmo raggiunse la capitale dell'impero d'oriente, Bisanzio, e ne influenzò il più celebre centro monastico, il monastero cenobitico di Studios.

L'XI secolo è caratterizzato anche dall'inizio "ufficiale" del monachesimo russo. Certo, si può supporre che già prima del battesimo della Rus' di Kiev con san Vladimir (988) fossero presenti monaci bizantini in Crimea o sulla costa settentrionale del mar Nero. Ma i primi monasteri russi in senso proprio furono fondati a Kiev dai gran principi e dai metropoliti. Erano fondazioni ufficiali secondo dei modelli bizantini, abitate all'inizio da monaci greci.

Molto più importante per la storia del monachesimo russo è invece il monastero delle Grotte di Kiev, nato attorno a un eremita che abitava in una grotta, Antonio, il "padre dei monaci russi". Il primo igumeno e organizzatore della piccola comunità di Antonio, fu Teodosio, che dopo la costruzione del monastero delle Grotte (1062) mandò padre Efrem l'Eunuco a Costantinopoli, al monastero di Studios. Sicuramente anche il contatto diretto con questo centro monastico bizantino contribuì alla diffusione della preghiera mentale in Russia.

La spiritualità di Teodosio resta impregnata dello spirito dei padri del deserto, specie Antonio il Grande e Teodosio il Cenobiarca. Per questa ragione non stupisce trovare tra i monaci della seconda generazione testimonianze che essi praticavano la preghiera di Gesù. Il principe di Cernigov Nicola Svjatosa, entrato al monastero delle Grotte nel 1106, si distingueva per la sua vita umile e ritirata e nel contempo per il suo zelo nel lavoro a favore della comunità. Il Paterikòn del monastero delle Grotte dice di lui: "Aveva incessantemente sulle labbra la preghiera di Gesù: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me!".  Il recluso Ioann combatteva una lotta molto dura contro le tentazioni carnali. Viveva come esicasta in una grotta e praticava la preghiera continua. Verso la fine della vita aveva visioni di luce divina simili a quelle degli esicasti del XIV secolo.

Questi esempi dell'inizio del XII secolo dimostrano l'esistenza nel monastero delle Grotte di una certa tradizione orale della preghiera mentale molto anteriore alle testimonianze scritte. Un documento importante sulla pratica della preghiera di Gesù a Kiev, che risale alla fine dell'XI o all'inizio del XII secolo, non proviene tuttavia dall'ambiente monastico, ma dalla penna del gran principe Vladimir II Monomach (1053-1125). Nella sua Istruzione ai figli leggiamo:

 

Se Dio vi tocca il cuore, fate scorrere lacrime sui vostri peccati dicendo: "Come hai avuto pietà della peccatrice, del ladrone e del pubblicano, abbi pietà di noi peccatori!". E fatelo in chiesa e al momento di coricarvi ... Quando andate a cavallo e non avete a che fare con nessuno, se non sapete recitare altre preghiere dite sottovoce continuamente: "Signore, abbi pietà!"; è la migliore delle preghiere ed è meglio far ciò che pensare a sciocchezze mentre si cavalca.

 

Non vi sono sostanzialmente altre testimonianze sulla pratica della preghiera mentale nella Rus' premongolica (XI-XIII secolo). L'esiguità dei documenti si spiega da un lato con le devastazioni dell'invasione tartara, e dall'altro perché la letteratura russa antica era ancora a uno stadio nascente.

Fu la traduzione degli scritti ascetici dei padri greci in slavo ecclesiastico a svolgere un ruolo importantissimo per la diffusione della preghiera mentale e dell'esicasmo in generale nella Rus'. La più antica copia manoscritta pervenutaci della Scala di Giovanni Climaco in slavo ecclesiastico risale alla metà del XII secolo. A Costantinopoli, al Monte Athos e nel famoso centro di traduzione del patriarca bulgaro Eutimio a Tàrnovo, un gran numero di opere di spiritualità esicasta bizantina furono tradotte in slavo ecclesiastico. Questa letteratura tradotta arrivò in Russia, tanto che si parla per il XIV-XV secolo della "seconda influenza slava meridionale" nella letteratura russa antica, che contribuì a un vero rinnovamento monastico e culturale, in particolare attorno a Sergio di Radonez (+ 1392) e ai suoi discepoli.

A Bisanzio a partire dal XII-XIII secolo la lettura degli scritti di Simeone il Nuovo Teologo, di Giovanni Climaco e degli altri esicasti sinaiti diede il suo frutto, e si intensificò l'interesse per la preghiera mentale, specie nella forma della "preghiera a Gesù". Lo attesta un documento del patriarca Luca Crisoberge (1157-1170) che, sotto forma di lettera, compilò per i monaci un typikòn di preghiere da fare in chiesa al di fuori degli uffici: ogni giorno il monaco doveva fare trecento prostrazioni e ripetere duemila volte la formula della preghiera a Gesù.  Inoltre doveva leggere ogni settimana un intero evangelo e ordinariamente il Paterikòn e le Vite dei santi.

La lettura degli apoftegmi dei padri accrebbe ulteriormente l'interesse che il monachesimo bizantino aveva sempre nutrito per la vita contemplativa degli antichi padri del deserto. Alla fine del XIV secolo l'archimandrita Dosifej del monastero dell'Ascensione delle Grotte di Niznij Novgorod ritornò da un pellegrinaggio al Monte Athos con una regola di preghiere di cella simile a quella del patriarca Luca, che fu tradotta in slavo ecclesiastico.

Questa regola della Santa Montagna richiedeva la lettura della metà del Salterio, seicento preghiere a Gesù, e tre o cinquecento prostrazioni al giorno, oltre a quelle degli uffici obbligatori in chiesa. Durante il lavoro manuale i monaci dovevano recitare continuamente la preghiera a Gesù. I monaci analfabeti erano tenuti a sostituire la lettura del Salterio con settemila preghiere a Gesù al giorno.

 

Stando a queste testimonianze possiamo concludere che verso la metà del XIV secolo la preghiera mentale e la preghiera a Gesù erano divenute praticamente sinonime, dal momento che quest'ultima in gran parte dei casi aveva preso il posto delle altre preghiere giaculatorie. In questo periodo la preghiera a Gesù fu per così dire "regolamentata", nel senso che ricevette un carattere quasi liturgico perché poteva in certi casi sostituire gli uffici monastici comuni, oppure era la continuazione in cella della preghiera in chiesa.

Inoltre in questo periodo troviamo le prime testimonianze sicure di una nuova pratica della preghiera a Gesù, quella della congiunzione della preghiera al respiro. Si può ipotizzare che questa pratica risalga a tempi molto più antichi, specie quando si leggono i testi di Giovanni Climaco che chiede al monaco di unire il nome di Gesù alla respirazione o al fiato, o del suo discepolo Esichio che ne parla ancora più spesso, ma fino al XIII-XIV secolo non abbiamo prove sicure che confermino questa ipotesi. Caratteristico di questo interesse crescente nei confronti della preghiera a Gesù è il fatto che nel Méterikon del monaco Isaia (XII-XIII secolo) questa occupa un posto così importante che Jean Gouillard ha potuto scrivere: "Per il primato dell'esichia e della preghiera del cuore Isaia fa pensare all'esicasmo del secolo successivo".

 

Dopo un periodo di declino, nel XIV secolo alla Santa Montagna si osserva un rinnovamento spirituale, soprattutto della vita eremitica. L'elemento nuovo nella pratica della preghiera a Gesù di questi esicasti athoniti è la comparsa di una vera e propria tecnica psicosomatica che accompagna l'invocazione. Si tratta di una sorta di respirazione che si può chiamare "metodo esicasta di orazione".  Anche ammettendo precedenti tentativi di accordare la preghiera di Gesù al ritmo della respirazione, si deve riconoscere una notevole differenza tra una semplice regolazione ritmica e il controllo del respiro insegnato dagli esicasti, che segna un'indubbia evoluzione.

Questo metodo compare all'incirca contemporaneamente in tre fonti diverse: il Discorso sulla sobrietà e la custodia del cuore di Niceforo Monaco (seconda metà del XIII secolo), menzionato negli scritti di Gregorio Palamas; il Metodo della santa orazione e attenzione, dello Pseudo-Simeone il Nuovo Teologo; infine in Gregorio il Sinaita (1255-1346), uno dei principali padri spirituali del movimento esicasta.

Secondo Gregorio l'energia dello Spirito santo - cioè il dono latente e potenziale della grazia, ricevuto sacramentalmente al battesimo - deve divenire oggetto di scoperta esperienziale. La via più breve per arrivare a questo è l'invocazione metodica del Signore Gesù, come spiega nel suo trattato Rigorosa notizia sull'esichia e sulla preghiera. I dettagli concreti del metodo li fornisce in altri due trattati: Sull'esichia e i due modi della preghiera in quindici capitoli , e  Come l'esicasta deve starsene seduto in preghiera e non alzarsene presto.

Secondo questi scritti, la preghiera esicasta presuppone tre condizioni: una preparazione psicologica e morale - cioè l'assenza di preoccupazioni e la libertà da tutte le passioni -  'una cella tranquilla e chiusa e un certo atteggiamento del corpo (in posizione seduta, su uno sgabello di circa venticinque centimetri).

Secondo lo Pseudo-Simeone bisogna appoggiare il mento (la barba) sul petto, "volgendo l'occhio corporale con tutta la mente su un punto del ventre, altrimenti detto ombelico". Gregorio invece si limita a dire che bisogna restare piegati, curvati in due, malgrado il dolore del petto, delle spalle e della nuca che questa posizione scomoda inevitabilmente provoca.

L'esercizio comprende tre tappe:

1) Grazie a questa regolazione del respiro, si ritiene che il soggetto possa portare al raccoglimento la propria mente e introdurla nel cuore. "Spingila e costringila a scendere insieme con l'aria che viene inspirata nel cuore", dice Niceforo. La mente si unisce allora all'anima nel cuore, e da quest'ultimo la si abituerà a non affrettarsi a uscire. Gregorio parla semplicemente di riportare lo spirito dall'intelletto (cioè dalle molteplici operazioni a causa delle quali, quando è dissipato, vagabonda all'esterno) nel cuore (la sua sede appropriata), dove bisogna trattenerlo e rinchiuderlo.

2) Un'esplorazione mentale dell'io viscerale alla ricerca del "luogo del cuore" che accompagna il controllo della respirazione. "Esplora mentalmente l'interno delle viscere per trovarvi il luogo del cuore, quello che le potenze dell'anima amano frequentare", secondo lo Pseudo-Simeone. Gregorio dice: "Raccogli l'intelletto nel cuore, se solo esso si è aperto"

3L'invocazione ripetuta e perseverante di Gesù con la formula: "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me.", secondo Niceforo e Gregorio. Quest'ultimo per evitare la monotonia consiglia di alternare le formule "Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me , e Figlio di Dio, abbi pietà di me".

"Alcuni insegnano a dire la preghiera oralmente, altri mentalmente: io propongo entrambi i modi, perché a volte è l'intelletto che è incapace di dirla a causa dell'accidia, a volte è la bocca" . Quando la mente sarà sufficientemente esercitata, non avrà più bisogno della parola articolata, anzi ne sarà incapace.

 

Faticosa e piena di ombre all'inizio, l'unificazione della mente insieme alla preghiera produce ben presto gioia, delizie ineffabili, felicità senza limiti, resistenza vittoriosa agli attacchi del nemico, amore crescente verso Dio e altri effetti particolari che solo lo Pseudo-Simeone segnala:

 

Infatti non appena la mente trova il luogo del cuore, improvvisamente scorge ciò che non aveva mai saputo, perché scopre l'aria presente al centro del cuore e vede se stessa interamente luminosa e piena di discernimento, e da quel momento ogni volta che spunta un pensiero, ancor prima che giunga a delinearsi completamente e a prender forma, tramite l'invocazione di Gesù Cristo essa lo insegue e lo annienta. È lo stato perfetto della népsis.

 


Dagli Atti del IX Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa - sezione russa - Bose, 20-22 settembre 2001

ed. QIQAJON Comunità di Bose  a cui si rimanda vivamente per gli approfondimenti sul monachesimo russo e sull'esicasmo.