VITA E CONDOTTA DEL SANTO E TEOFORO NOSTRO PADRE
PIETRO L'ATHONITA

 


PARTE II

Passò un anno e il grande nostro Padre praticava l'ascesi nella hesychia e con tutte le sue forze purificava le esaltazioni e gli artifizi del Malvagio. Allora il maledetto rese spaventosa e insopportabile la vita nella solitudine del padre. E guarda che cosa è capace di escogitare! Il demonio infatti, assunte le sembianze di uno dei suoi domestici, arrivò di corsa alla grotta e con spudoratezza lo abbracciò, fingendo di amarlo (benché sia pieno di odio), si sedette e iniziò a piangere e a parlare: "Padrone nostro, abbiamo saputo che in guerra sei stato fatto prigioniero, condotto a Samarra e rinchiuso in quel terribile e oscuro carcere, e che Dio grazie alle preghiere del nostro molto beato Nicola ti ha liberato da quella prigione e ti ha riportato nel territorio dei romei. Così l'intera tua casa, e io soprattutto che ti amo con tutto il cuore, ci siamo afflitti in modo inconsolabile per la mancanza della tua vista e della tua conversazione. Abbiamo percorso molte città e innumerevoli paesi, ma non siamo riusciti a raggiungere chi bramavano, né a vedere il tuo viso desiderato. Allora, oppressi dall' angustia, abbiamo invocato nelle lacrime e nelle suppliche il grande Nicola, lo abbiamo scongiurato, o dolcissimo, di rivelarci dove tu, il tesoro nascosto, ti trovavi. E il santo, ardente in tutto, non ha ignorato la nostra umile supplica, ma ci ha ben presto rivelato e manifestato la tua sorte. Ora dunque, o mio padrone, ascoltami, andiamo a casa (anche tu sai quanto è bella e splendida). Tutti vedranno il desiderato viso e Dio sarà glorificato in entrambi i modi, lui che è sempre glorificato. E per quanto riguarda la hesychia non ti devi preoccupare: là infatti ci sono moltissimi monasteri ed eremitaggi nei quali potrai passare tutta la tua vita. Ma dimmi la verità: con quale di queste due condotte Dio è più onorato? Con l'abbandono del mondo, la solitudine e la hesychia, con una vita tra queste rocce scoscese e i burroni, in mezzo ai quali soltanto a te (meglio, nemmeno a te) procuri l'utilità spirituale, o con l'insegnamento agli uomini, guidandoli e riconducendoli a Dio dall'errore? Io so che procurare la salvezza a una sola anima dalla strada dell'errore è superiore alle fatiche ascetiche di molti eremiti. Mi è testimone il versetto: 'Colui che trae ciò che è prezioso da ciò che è vile, sarà come la mia bocca (Ger 15,19). Nel nostro paese molto numerosi sono quelli che sempre sono tratti in inganno da mille passioni e hanno quindi bisogno di qualcuno che con l'aiuto di Dio li soccorra. Una grande ricompensa sarà quindi messa da parte per te se, facendo ritorno, ricondurrai questi ingannati a Dio. Allora, cosa aspetti? Perché rifiuti di metterti in cammino con il tuo servitore che ti ama con tutto il cuore?".

Il demonio disse queste e altre cose simili tra le lacrime e il santo cominciò a essere turbato. Con le lacrime che gli rigavano il viso rispose:

"In questo luogo non mi ha condotto né un uomo né un angelo, ma Dio stesso e la sua Madre immacolata. Solo con il loro assenso e incitamento me ne andrò da qui, in caso con­trario non mi muovo".

Come il demonio udì il nome della Madre di Dio, all'istante svanì e il santo si stupì della malvagità del demonio. Poi, dopo essersi fatto il segno della croce, si diede di nuovo alla hesychia.

Con il digiuno e l'estrema continenza, dedicandosi alle preghiere continue, pervenne al vertice dell'umiltà, alla misura dell'amore sincero e alla purezza della mente. Per questa ragione il Malvagio si inquietava assai e cercava di rilassare il suo vigore e di frenare la sua inclinazione al meglio. Passati sette anni assunse le sembianze di un angelo di luce e, con in mano una spada sguainata, venne all'entrata della grotta, lo chiamò per nome e gli disse: "Pietro, servo di Cristo, vieni fuori e ti annunzierò buone notizie". Il santo rispose: "E tu che mi prometti parole utili, chi sei?". Il Malvagio replicò: "Sono il comandante delle milizie celesti del Signore e sono stato mandato da te. Perciò sii forte, comportati da uomo, sta di buon animo e rallegrati perché ti è stato preparato un trono divino e corone che non appassiscono. Ora devi perciò abbandonare questo luogo e andare nel mondo per sostenere ed essere di giovamento ai molti. Il Signore Dio ha infatti seccato la sorgente vicina a causa delle incursioni che le fiere e i serpenti facevano contro di te: così, non avendo acqua da bere, moriranno". Il sommo esperto in malizia aveva infatti già inviato un demonio a fermare e bloccare il flusso dell'acqua.

Quando udì queste parole il santo disse, pieno d'umiltà: "E chi sono io, il cane, ché un angelo del Signore viene da me?". Il demonio allora disse: "Non meravigliarti. In questi tempi hai vinto Mosè, Elia e Daniele e grande è il tuo nome nei cieli per la tua sopportazione perfetta. Infatti hai oltrepassato Elia nella privazione di cibo, Daniele per i serpenti e le fiere, Giobbe per la sopportazione. Ora perciò levati, va' a vedere che l'acqua manca e vattene in fretta da qui. Recati nei monasteri del mondo e là io sarò con te e sarò di giovamento a molti tramite te, dice il Signore onnipotente".

Il santo disse: "Devi sapere che, se non viene la Madre di Dio che in ogni cosa mi aiuta e l'ardente soccorritore nelle necessità Nicola, io da qui non me ne vado". Come il demonio udì il nome della Madre di Dio subito sparì dalla vista del santo. Il santo, riconoscendo l'artifizio del diavolo e la sua debolezza in ogni cosa, pregò il Signore con queste parole: "Il Malvagio, Signore Gesù Cristo mio Dio, ruggendo si aggira e cerca di divorarmi (1Pt 5,8), ma tu con la tua mano potente custodisci il tuo servo. Ti rendo grazie perché non mi abbandoni". E dopo aver detto ciò si diede alla hesychia.

La stessa notte, durante il breve sonno che, come al solito, si concedeva, gli apparve colei che si affretta in soccorso dei cristiani, la Madre di Dio che ama gli uomini, assieme al grande Nicola. Gli dissero: "D'ora in poi non devi temere, Dio è infatti con te e senza dubbio domani ti sarà inviato un angelo che ti porterà il cibo celeste. E' stato deciso che da questo momento verrà ogni quaranta giorni e ti porterà la manna come cibo". Dopo aver detto questo e avergli dato la pace se ne andarono. Egli cadde a terra e si prosternò sul terreno toccato dai loro piedi.

Il giorno seguente venne l'angelo dall’alto con il cibo celeste, gli offrì la manna come la Madre di Dio aveva detto e poi se ne partì da lui. Dopo aver reso grazie a Dio e alla Vergine si diede alla hesychia, alla pratica dell'ascesi nella solitudine, elevando preghiere a Dio per cinquantatré anni.

Con l'aiuto e l'ausilio divino cessarono anche le numerose fantasie del diavolo e dei suoi angeli. In tanti anni non vide figura umana, non ebbe altro cibo se non la manna, non veste, non riparo, non le cose di cui ha bisogno il genere umano, ma ebbe soltanto il cielo come tetto e amò la terra quale giaciglio, bruciato dal calore, raggelato dal vento e dalla neve e sopportò tutto in maniera sovrumana per la ricompensa futura.

Quando il Signore volle manifestarlo agli uomini dispose che ciò si verificasse in questo modo. Un cacciatore, presi arco e frecce, uscì a cacciare sul monte. Superò molte gole, attraversate da profondi burroni, e le creste boscose del monte e giunse nella zona nella quale il santo aveva abbracciato la vita angelica e aveva conseguito la ricchezza celeste. Ed ecco un enorme cervo uscì dal bosco vicino alla grotta e a balzi passò dinanzi al cacciatore. Costui, vedendo che l'animale era gigantesco e di straordinaria bellezza, abbandonò tutto il resto e si mise a inseguirlo per l'intera giornata. Il cervo, come guidato dalla provvidenza, arrivò sopra la grotta e il cacciatore era sempre sulle sue tracce. Egli si guardò attorno per vedere in che modo poteva precedere l'animale e, mentre volgeva lo sguardo sulla destra, gli apparve un uomo con una barba folta, con i capelli che scendevano sino alle pudende, con il resto del corpo completamente nudo e privo di qualsiasi indumento. A questa vista egli fu sconvolto dall'incredibile spettacolo, ne fu terrorizzato e, abbandonato l'inseguimento della preda, incominciò a scappare a rotta di collo.

Il beato, che lo aveva visto darsi alla fuga, gridò a squarciagola: "Perché hai paura? Perché ti agiti? Perché mi fuggi, fratello? Anch'io sono un uomo come te e non, come tu credi, un'apparizione diabolica. Vieni qui, avvicinati e ti racconterò tutto. È questo il motivo per cui il Signore ti ha mandato". Il cacciatore, benché spaventato e sbigottito, ritornò sui suoi passi. Il padre lo abbracciò, gli ordinò di non aver paura e si mise a raccontare quanto gli era accaduto secondo l'ordine e la successione: la sua prigionia a Samarra, la liberazione operata dal grande padre Nicola, in che modo era venuto a vivere sul monte, le diverse forme della guerra scatenatagli contro dai demoni, di come era stato nutrito dall'angelo, di come il Signore gli avesse procurato la manna e che di questo unico cibo aveva vissuto per cinquantatré anni. In poche parole egli svelò al cacciatore tutta la sua vita. Quello rimase stupefatto dal racconto e, attonito, disse al santo: "Ora capisco che il Signore mi ha visitato e, o padre, mi ha mostrato il suo servitore nascosto. Perciò anch'io d'ora in poi resterò con te, o servo di Dio, e combatterò assieme a te l'agone della salvezza". Il santo gli rispose: "Non sarà così, figlio mio. Prima devi ritornare a casa, dare ai bisognosi la tua parte dell'eredità paterna, astenerti dal vino, dalla carne, dal formaggio e dall'olio, e innanzitutto da tua moglie; devi dedicarti alle preghiere, all'attenzione e alla contrizione dell'anima per un anno. Alla fine di questo periodo vieni da me e se il Signore Dio mi avrà rivelato qualcosa, ciò si verificherà". Dopo aver detto questo e aver dato al cacciatore quale caparra la sua preghiera lo rimandò a casa con queste parole: "Va' in pace, figlio mio, e mantieni il segreto: un tesoro svelato e a portata di mano sarà infatti facile preda dei ladri".

Il cacciatore, dopo la sua partenza, seguì per un anno le indicazioni del santo. Alla scadenza del comandamento, prese con sé due monaci e il fratello e, trovata una nave, in breve tempo approdarono sulla punta della penisola. Con grande ardore affrontarono il cammino e arrivarono alla grotta. E guarda, o amante, i misteri dei disegni divini! Infatti il cacciatore, animato da uno zelo più ardente, precedette gli altri e trovò il santo morto con le braccia disposte a croce, gli occhi nobilmente chiusi e con il corpo che giaceva a terra con dignità composto. Come il cacciatore vide il santo disteso a terra, fuori di sé dal dolore, si mise a percuotersi il volto con le mani e cadde a terra, squassato dai gemiti, dai lamenti e dai pianti. Poco dopo arrivarono anche i monaci che lo accompagnavano ed egli svelò loro piangendo gli insegnamenti, i consigli, il comandamento e la vita del santo. Allora anche quelli piansero lacrime amare perché erano stati privati della conversazione e della preghiera del santo.

Il fratello del cacciatore invece, che era posseduto da uno spirito impuro, si avvicinò e toccò il corpo di Pietro. Si assistette allora a uno spettacolo terrificante: frequenti convulsioni scossero il suo corpo, i suoi occhi diventarono iniettati di sangue e strabuzzarono, la bocca si riempì di bava e i denti stridevano. Egli gridò: "O Pietro, non ti è bastata la persecuzione che hai scatenato contro di me per cinquantatré anni e l'avermi cacciato dalla grotta, ma ora vuoi espellermi anche da questa dimora? Non ti presterò ascolto e non uscirò!". Sotto gli occhi dei presenti il viso del santo iniziò a risplendere e divenne di una straordinaria bellezza e il demone malvagio, dopo aver causato numerose convulsioni e sconvolgimenti a quell'uomo, uscì come fumo dalla sua bocca. Quello cadde a terra, incapace di proferir verbo e non si distingueva da un morto. I presenti allora invocarono le preghiere del santo anziano e grazie a loro l'aiuto di Dio. Così egli, risvegliatosi in buona salute e ritornato in sé, disse al fratello: “Ti ringrazio mio signore e fratello, perché grazie a te ora sto bene e sono guarito". Essi quindi presero nella gioia e nelle lacrime l'amata reliquia del santo e la caricarono sulla nave.

Dopo essere saliti a bordo fecero rotta lungo la costa settentrionale del monte. Per volontà di Dio la nave si arrestò nel mare di fronte al monastero di Clemente. Non meravigliatevi sentendo parlare di un monastero: la profezia della Madre di Dio aveva già iniziato a realizzarsi e la provvidenza che favorisce il bene aveva disposto, come è detto, che la goccia d'acqua dello scarso e minimo numero di abitanti crescesse nel mare infinito, nell'ampiezza e nella quantità che sono ora visibili. Per questa ragione è opportuno che anche noi ripetiamo quanto è detto: "Quanto sono belle le tue dimore, Giacobbe, le tue tende Israele: le ha piantate il Signore non l'uomo" (Nm. 24,5.6).

Dall'ora terza all'ora nona, benché si adoperassero con i remi, tendessero le vele e nonostante il vento favorevole, non riuscirono a muoversi dallo stesso punto. I monaci del summenzionato convento, quando videro che la nave non si muoveva e che il suo equipaggio faceva ogni sforzo per procedere oltre, ma senza alcun risultato, ne furono meravigliati. Presero allora una barca, raggiunsero la nave e chiesero cosa stava succedendo. Essi, che non volevano rivelare il segreto e che cercavano di distrarre la loro attenzione, inventarono false giustificazioni. I monaci, che avevano capito come quelli non dicessero il vero ma il falso, si limitarono soltanto a voltare la nave verso il monastero e subito questa, da sola, si mosse verso terra! I

l superiore rimproverò l'equipaggio della nave, fece balenare tremende minacce e in un minuto seppe ogni cosa dal cacciatore. Subito con candele e torce si affrettarono dalla reliquia, la presero e la deposero nella chiesa. La reliquia guarì tutte le malattie dei monaci del convento e gli ammalati furono all'istante sanati. La fama del santo si propagò come per mezzo di un araldo e radunò non solo i monaci dell'Athos, ma anche folle innumerevoli delle zone vicine e tutti furono guariti e mondati da ogni sorta di malattia. Ci fu allora una grande gioia ed esultanza in coloro che si erano radunati sul monte e in tutti quelli che erano venuti dal di fuori. In seguito i monaci di quel tempo presero la santa reliquia e la portarono nel nartece del tempio molto santo della Madre di Dio degna di ogni lode, dove si era soliti tenere le assemblee annuali, e la deposero nella parte destra della chiesa della nostra signora la Madre di Dio con aloe, mirra e molti profumi, avvolgendola in un lenzuolo di lino immacolato. Ed era oggetto di grande venerazione perché guariva ogni malattia e infermità.

Così, mentre il nome del santo era sulla bocca di tutti poiché era diventato famoso per i suoi miracoli, il cacciatore con il fratello, dopo aver chiesto le preghiere degli anziani quale viatico, ripresero il loro cammino, pieni di letizia. I monaci che avevano accompagnato il cacciatore nella grotta, intendendo trafugare il corpo del grande Pietro, ricorsero invece a un sotterfugio e a un inganno nascosto e dissero ai padri: "Sappiate, padri teofori, che non intendiamo separarci dal tesoro che Dio ci ha rivelato, ma assieme a lui e a voi trascorreremo il resto dei nostri giorni". Con grande gioia i padri accolsero queste loro parole (erano dotati infatti, oltre che delle altre virtù, dell'assenza di inganno). Quelli, dopo una permanenza di pochi giorni, sapendo dove era sepolto il padre, di notte si appostarono come i ladri di tombe. Poi andarono di corsa al sepolcro, lo aprirono pieni di timore e di premura, presero la reliquia degna di onore, di corsa andarono alla spiaggia, salirono su un battello che avevano già preparato e fuggirono dal monte.

 

Di tutte queste cose sono stato testimone auricolare e oculare io, il meschino Nicola. Ho cercato di raccontare e di inserire nel presente scritto se non tutto almeno una parte, in modo che quelli che in seguito hanno abbandonato il mondo e si sono stabiliti su questo monte sappiano come debbono comportarsi e vivere, con quali agoni, fatiche e sforzi il regno dei cieli sarà loro dato in eredità. Quelli che si perdono d'animo, come me, e ritengono una gran cosa il solo separarsi dal mondo e dalle cose del mondo, e pensano invece di poter fare il resto impunemente, cioè possedere oggetti molteplici e preziosi, campi, beni e altro, cosa molto ricercata da chi ama il mondo e le preoccupazioni, non procurano alcuna utilità a loro stessi e arrecano altresì un danno enorme a chi li ascolta e li vede e fanno sì che tramite loro il Nome di Dio sia bestemmiato: sono detti molto ricchi invece che poveri, padroni della ricchezza terrena ed estranei alla ricchezza celeste. Ma che non capiti a un monaco privo di falsità di intraprendere la via contraria ai comandamenti! Costui preferisce infatti la via stretta a quella larga, la povertà alla ricchezza, il disprezzo alla gloria, la penosa perseveranza degna di lode alla gioia presente per far risplendere in questa vita la luce della vita stessa e per conseguire in quella futura l'eredità che non può essere tolta. Per chi è provvisto di senno e preferisce la verità alla menzogna nessuna delle cose presenti è più desiderabile o più preziosa di tale eredità.

Ma dobbiamo riprendere il discorso e parlare dei miracoli che si verificarono dopo il furto della reliquia del padre teoforo. Allora i monaci che avevano sottratto il corpo del santo nel modo che abbiamo esposto, lo trasportarono nel villaggio di Phokomis che si trova nel tema della Tracia. Nei pressi del villaggio c'era una sorgente, vicino alla quale essi si prepararono il pranzo dopo aver appeso il sacco, nel quale era nascosto il tesoro, ai rami di un ulivo. Approntarono una mensa semplice e improvvisata, resero grazie e si misero a mangiare. Non erano ancora arrivati a metà del pasto quando tutti gli abitanti del paese con donne e bambini, arrivarono, strappandosi le vesti, gridando e invocando il grande Pietro che veniva dall'Athos.

Non trascurerò di raccontare i motivi di questo loro stato di alienazione. Vicino alla sorgente c'era un antico portico, sotto il quale i monaci prendevano il fresco. Questa costruzione era molto alta, molto larga e molto lunga e con il tempo era stata ricoperta dalla boscaglia, diventando la dimora di un demonio chiliarco (termine che sta a indicare il comandante di mille uomini), che assieme ai suoi sottoposti compiva azioni terribili. Non solo rovinava gli uomini e li sottometteva ai demoni, ma anche annegava gli asini, i cani, i buoi e gli altri animali. E a causa sua nel paese c'era molta afflizione e angoscia. Allora i demoni, come si trovarono vicini alla reliquia del santo, scapparono dal portico, si introdussero nel villaggio e fecero perdere la ragione e sconvolsero tutti i suoi abitanti.

Quando questi vennero all'albero e al sacco, strappandosi le vesti e gridando, fu possibile assistere a un miracolo più straordinario dei miracoli antichi. All'istante infatti i demoni si separarono dagli uomini e con ululati e lamenti fuggirono dalla regione. Cosa potrò dire in poche parole e cosa questo scritto potrà raccontare dei miracoli più numerosi della sabbia del mare che allora si verificarono? In quel momento cominciò infatti a effondersi dalla reliquia un olio profumatissimo e si poteva vedere che con l'applicazione di questo olio gli indemoniati ritornavano in sé, i ciechi vedevano, i lebbrosi erano sanati, gli storpi raddrizzati, gli zoppi camminavano diritti, e in genere tutti erano liberati da ogni sorta di malattia. Tra loro ci fu anche un uomo che da otto anni era costretto a letto. Egli con forti grida supplicava quelli che percorrevano la strada per recarsi a quel sacco taumaturgico, cantato da tutti, perché lo portassero là. Ma essi erano più intenti alla loro corsa che ad ascoltarlo. E più veniva ignorato più si addolorava e si indignava. Quando già aveva rinunciato a indurre qualcuno in compassione, ecco gli abitanti sani della casa ritornare indietro liberati dalla possessione diabolica che li aveva colpiti assieme agli altri. Di corsa, trasportandolo sul letto, si diressero verso la fonte della salute. Come giunsero nei pressi, egli subito si alzò dal letto e si unì alla schiera in marcia, li precedette e cadde a terra dinanzi alla reliquia del santo con lacrime di gioia. Sotto gli sguardi di tutti, diritto si levò da terra e risanato: mentre si alzava le sue articolazioni risuonarono e scricchiolarono in una maniera terribile. Allora tutti glorificarono Dio per questo tremendo spettacolo.

La fama del santo percorse tutta la regione ed era possibile vedere il fiume di folla che veniva dalle aree vicine: gli uni portavano i loro malati sui letti e li riportavano a casa guariti e in buona salute tanto da camminare con le proprie gambe. Il vescovo della città, quando ne venne a conoscenza, prese con sé tutti i suoi chierici e, con aromi e incensi, con le croci nelle mani e portando il santo Vangelo, venne nel villaggio dove c'era la reliquia apportatrice di guarigione. Come giunsero a una pietra miliare dal villaggio, per la venerazione che si addice, avanzarono di nascosto sino a quando si trovarono dinanzi alla reliquia. Dopo aver levato una fervente preghiera, abbracciarono la reliquia, prima il vescovo e poi il suo seguito. Trattenendosi là per non poche ore assistettero a una tale infinità di miracoli da rimanere sbalorditi e con le lacrime che rigavano le loro guance recitarono il "Kyrie eleison" e "Gloria a te, Dio che operi miracoli straordinari per mezzo di coloro nei quali ti compiaci". Il vescovo poi convocò i monaci e con tono esortatorio disse loro: "Vi supplico, fratelli, fateci dono di questo tesoro divino più prezioso di tutto l'oro del mondo. Costruirò un oratorio e là lo deporrò a vostra memoria e quale espiazione delle mie colpe nella vita presente. Per questo vostro dono accettate da me cento nomismata: non permetterò infatti che questa perla molto preziosa se ne vada da qui, che la lampada sia coperta dal moggio (cf. Mt 5,15) e che siano coperti i raggi della grazia". Ma i monaci facevano orecchio da mercante a queste parole e si opponevano e aggiunsero infine che non avrebbero lasciato la reliquia nemmeno per mille talenti. Allora il vescovo li rimproverò con durezza e, facendo valere la sua autorità, assieme al suo clero disse: "Se non volete prendere questa somma ve ne andrete di qui a mani vuote". Al che essi diventarono ubbidienti e docili e, dopo aver preso i cento nomismata e un altro po' di denaro, partirono per le regioni orientali, lamentandosi perché si erano privati del santo, mentre la somma di denaro era una misera consolazione.

    Dopo la loro partenza, arrivò di corsa un indemoniato che gridava in modo sconnesso e chiamava Pietro il soldato: "Non ti è sembrato sufficiente cacciarmi dalla mia dimora e dal monte, dove cercavo di trarre in inganno i monaci e farli ritornare nel mondo, ma sei venuto anche qui con l'intenzione di bandirmi da questa piccola dimora e luogo di riposo! Ora brucerò il tuo corpo dinanzi agli occhi di tutti se tu non riuscirai a cacciarmi!" L'uomo teneva due torce accese in entrambe le mani e come tentò solo di porle sulla reliquia si udirono un frastuono e un fracasso terribili e all'istante il demonio volò via dall'uomo sotto la forma di una saetta infuocata che traversava l'aria lamentandosi. Anche per questo miracolo tutti glorificarono il Signore amante dell'uomo. Il vescovo con il suo seguito prese la reliquia e la portò nell'episcopio, e qui molti di coloro che accorrevano furono sanati da numerose malattie. Collocarono poi la reliquia con profumi in un'urna molto preziosa e la portarono in chiesa. Per tre giorni e per tre notti celebrarono la funzione e alla fine tutti, con un sentimento di timore misto a gioia, fecero ritorno a casa. In quel luogo fino a oggi si sono verificate molte guarigioni a gloria della santissima Trinità consustanziale e a onore del nostro santo padre.

 

Dopo aver ascoltato tutto ciò, fratelli e padri, inscriviamolo e custodiamolo nelle tavole del cuore, imprimiamo nelle nostre anime la vita senza macchia e quasi immateriale e incorporea dei padri che ci hanno preceduto, piangiamo e lamentiamoci alla vista della nostra frivolezza, debolezza e riluttanza verso ogni bene. Quelli infatti, dopo essersi separati una volta per tutte dal mondo e dalle cose del mondo, non si dedicarono più alle vane fatiche mondane, ma ogni giorno aggiunsero fuoco a fuoco e nella loro ascesa, come divinizzati dalla bellezza di quanto vedevano, oltrepassarono la prosperità della vita come fosse un'ombra, le preoccupazioni, gli affanni e le altre cose, delle quali gli amanti del possesso e dei beni materiali si compiacciono, le fuggirono come ostacolo alla virtù, ebbero una condotta di vita con un pensiero unificato e solitario: cosa difficile da trovare, che oggi è conosciuta da pochi e men che meno messa in pratica! Infatti quei padri non si preoccuparono del lusso, non si dilettarono delle morbide vesti, non cercarono il riposo corporeo, non desiderarono proprietà, acquisti, ostentazioni, come facciamo noi, ma si affrettarono verso la fragranza profumata dell'intelligibile, Cristo che è la vita e la luce, dal quale ricevettero il cibo celeste e il conforto dei quali non c'è sazietà per chi li gusta. In questo modo ricevettero grazie straordinarie e conseguirono la vittoria contro le passioni e i demoni.

Tutti gli ascoltatori di questa vita cara a Dio hanno potuto vedere che questo nostro divino monte ha rivelato un astro splendente e universale: il santo si diede per cinquantatré anni interi alla veglia, allo sforzo, alla nudità, alla privazione di cibo, all'afflizione incessante, al cuore spezzato diventando superiore ai pensieri, alle passioni e ai demoni e pervenendo al vertice di quanto si desidera, intendo dire il sommo amore per Dio e la prima e unica beatitudine. Che possiamo anche noi esserne resi degni con l'imitazione della sua condotta di vita nelle opere e con l'ornamento delle qualità conformi a Dio in modo da ottenere una ricompensa simile alla sua dall'eterna sorgente del nostro Salvatore! A lui spetta ogni gloria, onore e adorazione, assieme al Padre senza principio e allo Spirito vivificante e sommo bene, ora e sempre e nei secoli dei secoli.

Amen.

 

 

Tratto da ALLE ORIGINI DELL'ATHOS, Vita di Pietro l'Athonita - ed- Qiqajon, Comunità di Bose a cui si rimanda per l'approfondimento