A. Ary Roest Crollins
IL CUORE NELLA MISTICA MUSULMANA
LA «SCIENZA DEL CUORE» DELL'IMAM GA' FAR SADIQ
La mistica musulmana è un vastissimo campo di esperienze e di studi. Nelle descrizioni dell'esperienza mistica e delle relative riflessioni dottrinali, il cuore occupa un posto importante. Sarebbe impossibile, in alcune pagine, di trattare questo tema in maniera adeguata. Invece di presentare un elenco di testi disparati dal punto di vista storico e teologico, questo studio si propone di considerare il «linguaggio del cuore» secondo un testimone importante della esegesi mistica del Corano: l'Imam Ga' far Sadiq.
L'Imam Ga' far ha composto il suo commentario del Corano verso la fine del primo secolo, dopo la morte del Profeta dell'Islam. I frammenti che ne sono pervenuti fino ai nostri giorni hanno un interesse singolare per il linguaggio tecnico del sufismo: essi formano la prima raccolta di testi che interpretano i dati coranici in funzione dell'esperienza religiosa. In questa interpretazione, l'esegesi letterale dà il posto alla esegesi allegorica. Con una arditezza, talvolta sorprendente, Ga' far legge un significato mistico nelle descrizioni di realtà terrestri e di eventi storici.
Nel suo uso della parola qalb, "cuore", Ga' far Sadiq segue le linee già tracciate nel Corano. Perciò sarà utile cominciare questo studio, indicando brevemente alcune particolarità dell'uso coranico della parola.
Il Corano insegna che il cuore è stato creato da Dio (cf. 33,4). La sua presenza nell'interno del corpo umano (2, 93; 22.46) si manifesta nel suo battito, specialmente in situazioni di estrema paura (79, 8; cf. 23, 60; 40,18; 33, 10). Quasi sempre, però, qalb viene usato, nel Corano, in senso metaforico. Nel pensiero semitico il cuore è la sede delle emozioni e delle facoltà interiori dell'uomo. Ciò che è specialmente messo in rilievo nel Corano è la funzione del cuore come luogo di incontro fra il Dio Rivelatore e l'uomo. Così si dice dell'esperienza di Muhammad:
«Questa è la rivelazione del Signore dei Mondi; la portò lo Spirito Fedele, sul tuo cuore, perché tu fossi uno che avverte» (26, 192-194).
Il Messaggio predicato si dirige anch'esso al cuore di colui che ascolta: «Certo, in questo vi è un ricordo per chi ha un cuore, chi presta ascolto e vede» (50, 37). La strada della parola verso il cuore corrisponde a una concezione precisa della psicologia religiosa. La parola della predicazione interpreta un fatto storico o una realtà fenomenale che in primo luogo si presenta all'uomo come qualcosa che egli può osservare. Il significato religioso di questa realtà è comunicato all'uomo in una parola che egli può sentire. Per questa interpretazione autoritativa, la realtà storica e fenomenale diventa «segno» della realtà di Dio rivelatore: la verità del segno, il suo "significato", viene accettato dal cuore nell'atto della fede.
Questa triade di ascolto-vista-cuore diventerà un stereotipo nelle descrizioni coraniche dell'atteggiamento umano rispetto alla rivelazione, e si incontra anche quando questo atteggiamento rappresenta il rifiuto della non-fede: «Non lo vedi? Colui che ha preso la propria passione come suo dio, Dio l'ha traviato nella scienza: Egli ha posto un sigillo sul suo ascoltare e sul suo cuore, e ha steso un velo sul suo viso».
Il «sigillare» le orecchie ed il cuore significa evidentemente un atto che ha come effetto che queste facoltà ricettive dell'uomo diventino impermeabili alla rivelazione. Spesso si trova nel Corano un riferimento al cuore «sigillato» per spiegare l'incredulità degli ascoltatori alla predicazione. In altre metafore, il Corano parla di «stendere un velo sul cuore» (18, 57; 41, 5; 17, 46; 6, 25), o della «durezza del cuore» (39, 22; 6, 43; 2,74 ecc). Nello stesso senso viene anche usata nel Corano l'espressione biblica del «cuore incirconciso» (2,88; 4,155)11.
Il risultato della «impermeabilità» del cuore dinanzi alla rivelazione è che l'uomo non percepisce la verità del segno. Questa cecità del cuore (22,46) persiste perfino quando Dio «fa entrare [la rivelazione] nel cuore degli empi» (26,200; 15,12). Si tratta qui di uno stato misterioso del cuore umano, che fa si che «i cuori di coloro che non credono si contraggono quando Dio è menzionato» (39,45). Nelle Sure della Mecca, questo stato verrà chiamato «una malattia nel cuore».
Molto differente è la situazione di coloro che hanno, come Abramo, «un cuore sano». Un tale cuore «è tranquillo nella fede» (16, 106), «nel ricordo di Dio» (13, 28), nell'annunzio della «buona novella» (8, 10; 3, 126) e nei vari interventi di Dio (2,260; 48,4; 5, 113). I loro cuori sono formati e preparati da Dio (67,23; 32,9; 23,78; 16,78; 46,26). È lui che conforta i cuori (18, 14; 28, 10; 8, 11), come Egli ha dato la Sua rivelazione a Muhammad «per confermare con essa il suo cuore» (25,32; 11,120). Di coloro che credono dice il Corano che «Dio ha iscritto nei loro cuori la fede» (58, 22; cf. 49, 7) e Dio continua a guidare i loro cuori (64, 11). Perciò essi pregano: «O Signore nostro, non far deviare i nostri cuori dopo che li hai guidati» (3,8).
Queste indicazioni possono essere sufficienti per dimostrare come, per il Corano, la relazione fra Dio e l'uomo si concentri nei cuore, il quale è sempre aperto a Dio, lì dove egli opera la fede e l'incredulità, e dove il credente rimane presente a Dio nel “ricordo” di Lui. Il cuore, dove si nasconde la verità dell'uomo, è anche il luogo dove si rivela all'uomo la verità di Dio. Così il cuore è, nella rappresentazione del Corano, l'organo della fede e della conoscenza di Dio.
«Il CUORE» NEL COMMENTARIO MISTICO DI GA 'FAR SADIQ
Quando la coscienza della fede si riferisce alla rivelazione attraverso non soltanto la predicazione, ma anche la propria esperienza religiosa, allora questi elementi del linguaggio sperimentale che si trovano nella scrittura della rivelazione, serviranno come base al vocabolario della esegesi mistica. La ricchezza straordinaria del linguaggio del cuore presso Ga'far manifesta una profonda esperienza personale, e anche una vasta conoscenza della scienza religiosa e psicologica del suo tempo.
L'Imam Ga' far distingue varie facoltà interiori, o meglio, sfere della interiorità umana:
«il petto (sadr) è il luogo della sottomissione; il cuore (qalb) è il luogo della certezza; il pericardio (fu' ad) è il luogo della visione, la coscienza (damir) è il luogo del segreto; l'anima (nafs) è il rifugio per tutto il bene e il male».
In questa enumerazione si può notare una progressiva interiorizzazione: dall'atteggiamento della sottomissione, comune a tutti i credenti, la coscienza religiosa passa attraverso la certezza e la visione, per attingere al segreto. La menzione dell' anima sembra essere "extra seriem" non per indicare uno stadio sulla via dell'esperienza religiosa. Nel linguaggio Ga' far, la nafs, l'anima, non è tenuta in grande stima.
Come nel Corano, la nafs è il principio vitale nell'uomo, ambivalente dal punto di vista morale e religioso, e piuttosto pericolosa, perché essa è la sede delle passioni. Perciò Ga' far rappresenta l'anima nel lato sinistro dell'uomo e il cuore, invece, nel lato destro (in 18,17). Egli dipinge il progresso spirituale come un passare «dalle tenebre delle anime ai lumi dei cuori» (in 14, 1). La separazione delle acque cosmiche nella creazione del mondo è per lui immagine della separazione delle sfere interiori del cuore e dell'anima: «Egli ha posto una barriera fra i due mari: cioè fra il cuore e l'anima, perché l'anima non prevalga, con le sue tenebre, sopra il cuore. Egli ha posto come barriera fra i due la [Sua] assistenza e la ragione» (in 27,61). L'anima e il cuore hanno ciascuno il loro proprio "mondo" e la qualità morale e religiosa dell'uomo consiste nel seguire l'intenzionalità di queste facoltà interiori: «Chi guarda con la sua anima il mondo di quaggiù è iniquo, e chi guarda col suo cuore l'aldilà - nella buona direzione, e chi guarda col suo spirito la Verità sopravanza» (in 35,32).
LA CONTEMPLAZIONE
Quest'ultimo testo introduce
un primo tema del "linguaggio del cuore" di Ga' far Sadiq: la contemplazione.
Commentando il testo del Corano sopra citato, (50,37) l'Autore traspone i sensi
dell'udito e della vista all'interiorità dell'uomo concependoli come i sensi
del cuore: «Per chi possiede un cuore: cioè, un cuore che ascolta e comprende e
vede. Ogni volta che ascolta il discorso di Dio, senza intermediario
fra sé e Dio, esso comprende ciò che gli è stato dato nella fede e nell'Islam,
senza domanda, senza intercessore e senza nessun altro mezzo che esisterebbe per
esso presso Dio nell'eternità, ed egli contempla il potere del Potente, il
Creatore, in se stesso, e il Suo regno e la sua terra e il Suo cielo, e così è
condotto verso la Sua unicità ed il Suo potere e la sua volontà».
La possibilità della visione
diventerà un problema difficile per la teologia musulmana. L'Imam Ga' far non
precisa il senso di ciò che è chiamato "contemplazione" o visione, ma egli si limita a
sottolineare l'immediatezza e la gratuità dell'esperienza contemplativa. Perciò
egli afferma, citando 1 Cor 2, 9, che è impossibile per l'uomo, lasciato
alle sue proprie forze, di vedere Dio (in 7, 143).
Così il cuore è il più
grande dono di Dio all'uomo, «perché esso è il luogo della contemplazione di Dio
della fiducia in Lui e della conoscenza dei Suoi segreti» (in 14,32). Lontano,
dunque, da essere in contraddizione con l'affermazione della trascendenza
divina, il discorso sulla "visione del cuore" è un'occasione per mettere in
rilievo l'assoluta iniziativa della libertà di Dio, il quale, pur inattingibile
per l'uomo nell'eccelso segreto della Sua Maestà, può liberamente toccare il
cuore dell'uomo con "le visioni della fede", producendo così
"i movimenti dei
cuori" (cf. in 46,13).
LA CONOSCENZA
Contemplazione e conoscenza si incontrano nel cuore. La conoscenza del cuore, di cui parla Ga' far, è un dono gratuito di Dio, frutto dell'esperienza contemplativa. Come questa stessa esperienza, la conoscenza del cuore è impossibile all'uomo (in 7, 143). Essa proviene, invece, dall'azione divina sul cuore umano (in 16,12) e accompagna il dono della fede (in 12,94; 25,61; 53,8).
Il Ga' far non si stanca di descrivere il cuore «dove è entrata la conoscenza» (in 27,34) con espressioni simboliche che egli trova nel Corano. Così il testo «Egli fece la terra un luogo fermo» (27,61) è interpretato nel modo seguente: «Colui che fece il cuore dei suoi amici un luogo fermo per la sua conoscenza». Nel commentario del testo «Benedetto Colui che fece nel cielo le costellazioni» (25,61), il cuore diventa cielo: «Il cielo è chiamato sama' a causa della sua altezza. Il cuore anche è un cielo (sama') perché si innalza per la fede e la conoscenza, senza limite né fine». Le prime due costellazioni nel “cielo del cuore” sono la fede e la conoscenza. In queste descrizioni il cuore viene rappresentato come un universo interiore dell'uomo. La facilità con la quale Ga' far traspone il discorso coranico dal piano dell'universo fenomenale a quello dell'esperienza interiore, non desta meraviglia quando si ricordi che tale maniera di descrivere il cuore era frequente negli scritti degli autori spirituali orientali cristiani. La corrispondenza fra macrocosmo e microcosmo è un fatto linguistico profondamente radicate nelle culture religiose dell'Asia antica. In questo stesso contesto si incontra anche spesso l'immagine dell'albero che lega cielo e terra, e che avrà negli scritti dei Sufi posteriori una grande importanza.
Anche nel commentario attribuito a Ga' far Sadiq si trova una prima allusione a questa rappresentazione. Egli spiega il testo coranico «[la terra] piena di frutti e di palme cariche di involucri di fiori» (55, 11), dicendo: «Dio ha fatto i cuori dei suoi amici giardini della Sua intimità. Vi ha piantato gli alberi della conoscenza, i cui tronchi hanno radicato saldamente nel segreto delle loro coscienze, e i cui rami si innalzano alla presenza della visione celeste».
Questo spazio a dimensioni infinite che è il cuore dell'uomo, è nello stesso tempo la sua intimità più segreta, aperta soltanto a Dio. Questo risulta, ad esempio, dal commentario sull'esperienza della rivelazione di Muhammad come viene descritto nell'inizio della Sura 53. Ga' far spiega così il versetto che dice «Egli rivelò al Suo servo quello che rivelò» (v. 10): «senza mediazione fra Sé e lui, [Egli rivelò] un segreto al suo cuore, di cui nessuno ha conoscenza tranne egli stesso».
Si nota qui che il cuore è anche il recipiente della rivelazione. Le parole del primo versetto della stessa Sura, «Per la stella quando declina», indicano per Ga' far "il cuore di Muhammad", e egli ne dice: «questo è il luogo della rivelazione e del velo riguardo ai cuori di coloro che hanno conoscenza».
Fra i simboli di natura cosmica se ne trova uno che è particolarmente adatto a descrivere l'effetto della rivelazione e del dono della conoscenza sul cuore: la luce. Questo simbolo ricorre spesso nel linguaggio di Ga' far Sadiq. Egli parla dei lumi (anwar) «che provengono tutti dai lumi di Dio di cui è detto "Dio è la luce del cielo e della terra"» (24,35). Nella spiegazione di questo testo sono enumerati ben quaranta lumi differenti, fra i quali vi è anche “il lume del cuore”. L'illuminazione del cuore è specialmente l'effetto della rivelazione. Quando il Corano parla di «Un Libro che abbiamo fatto discendere su di te, perché tu tragga gli uomini dalle tenebre alla luce», Ga' far spiega: «perché tu li tragga dalle tenebre della non-fede alla luce della fede, e dalle tenebre della eresia ai lumi della legge, e dalle tenebre delle anime ai lumi dei cuori» (in 14,1).
L 'Esperienza di essere sulla strada della vita
La luce del cuore rimane sempre un dono di Dio, dato all'uomo per guidarlo sulla strada della vita: «una luce nel tuo cuore che ti guida verso di Me» (in 108, 1). Ma per le sue trasgressioni, l'uomo può perdere questa luce. Di coloro che hanno lasciato il servizio di Dio è detto che «Dio tolse dai loro cuori la luce della fede» (in 61,5). La luce del cuore, dunque, è frutto anche dell'ubbidienza (cf. in 53,44). Così si vede che la conoscenza del cuore è intrinsecamente legata con l'esperienza globale della vita che trova il suo centro nel cuore. Per la sua azione e grazia, Dio trasforma il cuore dell'uomo. Per i suoi atti, l'uomo può sottomettersi a questo influsso divino o sottrarsi ad esso. Sulla strada della vita, «strada che conduce dal cuore a Dio» (in 6,153), molti pericoli circondano l'uomo. Ci sono le oscurità delle passioni, di cui si dice che siano «come una nuvola che oscura il cuore» (in 12,30) e che ha la sua sede nell'anima (nafs), regione di oscurità e di morte (cf. in 14,1; 53,44). Invece, nei cuori di coloro che si sottomettono a Dio, la luce è principio di vita: Dio dà la sua luce "perché i cuori vivano" (in 8,24). Poi c'é anche il pericolo della cattiva compagnia: «quando i cuori si abituano alla convivenza con i trasgressori, essi si travolgono e ricadono» (in 14,52). In questa situazione, uno dei principali doni di Dio è «la luce della custodia del cuore».
CONOSCENZA E AMORE
L'interpretazione del linguaggio del cuore come linguaggio d'amore è la caratteristica principale del commentario attribbuito a Ga' far Sadiq. In questo consiste anche la sua importanza per la storia del sufismo. Nel cuore, «giardino dell'intimità divina», si incontrano conoscenza e amore (cf. in 52, 1). E precisamente per amarLo e conoscerLo che Dio "ha soggettato i cuori" (in 14,32; in 16,12). Ga' far vede il cuore al centro della persona umana come il recipiente dell'amore divino: «[Dio) ha comprato i loro cuori» (in 9, 111). Benché il commentario non ometta di menzionare che questo amore, come un dono di Dio, esiste anche fra i credenti nelle loro relazioni reciproche, la qualità principale di questo amore è la sua forza invadente che vince ogni altro amore e non lascia posto nel cuore tranne per Dio solo. Il monoteismo coranico, monoteismo della fede, diventa nell'esperienza del mistico un monoteismo dell'amore. Nel "linguaggio del cuore", l'esclusivismo della confessione dell'unicità divina (al- tawhid) diventa esclusivismo dell'amore.
Quando il Corano parla, in un contesto escatologico, del “fuoco di Dio, acceso, che s'erge sui cuori” (104,6, 7), Ga' far lo spiega come «il fuoco dell'amore e della conoscenza che fiammeggia nei cuori dei credenti», e aggiunge: "il fuoco dell'amore, quando è acceso nel cuore del credente, brucia ogni attenzione che non sia per Dio e ogni ricordo, tranne il suo". Vari termini del Corano ricevono, sotto la penna di Ga' far Sadiq, un simile senso del "monoteismo del cuore".
Così l'espressione al-sirat al-mustaqim, ''la via diritta'', che è usata per indicare la religione dell'[Islam], viene spiegata come «la via [che conduce] dal cuore a Dio, allontanandosi da ciò che è al di fuori di Lui» (in 6,53). La pietà (taqwa) consiste in questo, "che non vedi nel tuo cuore niente tranne Lui" (in 3, 102). La stessa affermazione della trascendenza divina, lungi dall'esser messa in pericolo dall'esperienza mistica del cuore, ne riceve una conferma. "Il Grande, l'Eccelso" (13,9) viene così a significare: «Il Suo rango è grande nei cuori di coloro che possiedono la conoscenza, e si è diminuito per loro ciò che è al di fuori di Lui, tranne unicamente per la Sua bontà».
Lo stesso concetto di "Islam", visto nel grande modello della fede monoteista che è Abramo, viene spiegato nel senso dell'esclusivismo dell'amore: amore unico per il Dio unico, che può chiamare l'uomo a sacrificare tutto al di fuori di Sè. Il testo coranico «quando [Abramo e Ismaele) si furono arresi (aslama) (37, 103), ricevettero il seguente commentario: «Bandì Abramo dal suo cuore l'amore per il suo Ismaele dal suo cuore l'amore per la vita». La sottomissione totale di Maria, la Madre di Gesù, viene spiegata nella stessa maniera. Quando, nel testo del Corano, ella esclama al momento del parto: «O fossi morta prima!» (19,23), Ga' far aggiunge: «[prima] di vedere nel mio cuore qualcosa che 1'allega al di fuori di Dio». E anche del Profeta dell'Islam si dice nel ricevere la rivelazione, «il suo cuore si era distaccato da tutto ciò che esiste al di fuori di Dio» (in 53,1). Ciascun credente, poi, che ha parte nella conoscenza che è frutto dell'esperienza del cuore, vede il suo cuore trasformato come lo era quello di questi grandi esempi: «Quando la conoscenza entra nei cuori, ne spariscono tutti i desideri e voleri, sicché non c’è nel cuore posto per altro che per Dio» (in 27,34). Questo amore unicamente per Dio caccia via il timore: «Non c'è timore per colui che Mi ama e che ha estirpato dal suo cuore l'amore delle cose transitorie» (in 43,68). La totalità e la esclusività dell'amore per Dio è la trasposizione, nel "linguaggio del cuore", del [ihlas] coranico, termine che significa la sincerità della fede. La sincerità della dedizione totale nell'amore, contribuisce così al cuore sicurezza e certezza. E tutto ciò rimane il dono di Dio, che «ha ornato i cuori dei suoi amici con i lumi della sincerità, della certezza e dell'amore»
Questi sono i frammenti che si possono raccogliere di ciò che è rimasto del commentario attribuito all'Imam Ga' far Sadiq e che danno un'idea della «scienza dei cuori e dei movimenti dell'anima» del sufismo nascente. L'interesse speciale di questa prima formulazione alquanto estesa della scienza dei cuori, consiste nel fatto che le espressioni si sono formate a stretto contatto col testo del Corano - commentando, infatti, il testo stesso del Libro, in una maniera spesso allegorica, che si presta al linguaggio dell'esperienza. E ciò ha avuto luogo prima del sufismo, nell'epoca degli Abbasidi, si è aperto agli influssi delle dottrine spirituali dell'Oriente persiano e indiano. Ga' far ha così aperto la strada a generazioni di mistici nell'Islam, mostrando come per l'illuminazione della fede e della conoscenza esperienziale, e per la purificazione di movimenti dell'anima, il credente perviene «all'Islam del cuore»: la dedizione dell'uomo con la totalità del suo essere più intimo, «sicché non c'è nel cuore posto per altro che Dio». La sua «scienza del cuore» è un commentario a quel testo, caro a tanti mistici dell'Islam:
«Coloro che credono, i loro cuori si tranquillizzino nel ricordo di Dio: nel ricordo di Dio si tranquillizzano i cuori di coloro che credono e che operano il bene. Beati loro: ad essi un felice luogo di ritorno» (13,28, 29)
Applicando l'esperienza come criterio per l'intelligenza del Corano, l'Iman Ga' far ha messo in evidenza che questa felicità e questa pace nel dikr-Allah si trovano soltanto nel cuore trasformato dal «fuoco dell'amore [il quale], quando è acceso nel cuore del credente, brucia ogni attenzione per chiunque altri non sia Dio e ogni ricordo tranne che il Suo». Il cuore, luogo di questa esperienza, è «il favore di Dio ai suoi amici».