ILARION ALFEEV
 Vescovo ausiliare del metropolita Anthony Bloom

LA CONTEMPLAZIONE DELLA LUCE DIVINA
NELLA PRATICA ESICASTA DELLO SCHIMONACO ILARION EREMITA

 


“LA LUCE DI DIO, CHE ZAMPILLA SOVRABBONDANTE DAL SIGNORE GESÙ”


 

Tra i temi ascetici e mistici presenti nel libro Sulle montagne del Caucaso, non ci si può non soffermare su quello della luce divina, contemplata dall'asceta nella preghiera. E' un tema che ha una ricca storia nella tradizione cristiana orientale e che ha trovato la sua più compiuta espressione in san Simeone il Nuovo Teologo.
   Nel suo libro Ilarion si limita ad accennarvi qui e là, e tuttavia queste poche menzioni sono sufficienti a persuaderci che la contemplazione della luce divina fu un'esperienza dello stesso Ilarion e degli asceti del suo circolo. E questa è ancora un'altra conferma della sua viva esperienza della tradizione patristica. Vediamo da vicino alcuni dei passi più caratteristici.

Parlando del "senso divino", che accompagna la preghiera di Gesù e che è identificato con la "conoscenza spirituale" e la "contemplazione", lo schimonaco Ilarion menziona la luce di Dio, che illumina la mente dell'asceta e ravviva tutto il suo essere, compresi la volontà e i "sensi del cuore":

 

Questo senso divino .. raccoglie in unità nel cuore tutte le nostre forze interiori e penetra di sé tutta la nostra natura spirituale .. La nostra anima, illuminata dalla luce di Dio, che zampilla sovrabbondante dal Signore Gesù, sussistente nel suo Nome divino, è come se ormai senza fatica raggiungesse la più alta perfezione spirituale.  L'uomo diventa in tutto spirituale, reso luminoso e unito a Dio. Questa altissima visione spirituale o senso divino o contemplazione spirituale è accessibile al cuore dell'uomo interamente pervaso dalla fede e dall'amore per Cristo ... Questo mistero divino, che può essere visto nello spirito e accolto nel cuore, rende luminoso tutto il nostro essere interiore, illumina la mente con lo splendore della luce senza tramonto che promana dall'eterna luce di Cristo Figlio di Dio, sussistente nel suo santissimo Nome divino.

 

L'esperienza dell'unione con Dio, nota agli asceti che hanno raggiunto uno stadio avanzato nella preghiera di Gesù, è anch'essa accompagnata dalla visione della luce divina:

 

Quando entriamo con la nostra coscienza, col pensiero e l'attenzione in questo santuario del nostro spirito, dove abita Dio, allora necessariamente siamo abbagliati dalla luce del suo volto, siamo penetrati dalla sua energia divina, entriamo in una strettissima unione con lui e, divenuti un solo spirito, gustiamo le primizie della vita eterna, perché in Dio rimaniamo e Dio rimane in noi.

 

Ilarion fa distinzione tra la luce di Dio che illumina l'uomo, da un lato, e dall'altro la luce naturale della mente umana, che alcuni asceti contemplano durante la preghiera.
   Nello splendore della luce divina, scrive:


tutto diviene luminoso per l'incessante preghiera e per il Signore contemplato, che è luce.
 

Parlando del monaco che sperimenta l'abbandono di Dio, Ilarion scrive:

 

Passerà, Dio lo voglia, il momento dell'afflizione e tu vedrai il gioioso mattino della resurrezione di Cristo. Verrà il tempo che la luce di Dio brillerà anche nel tuo cuore e illuminerà tutte le tue viscere con i raggi senza tramonto dell'esultanza celeste, e vedrai senza dubbio levarsi l'aurora della vita eterna nei sensi del tuo cuore.

 

Nelle parole di padre Ilarion, all'asceta reso degno della contemplazione della luce divina è rivelato ciò che rimane nascosto agli altri uomini; egli acquisisce una nuova vista, stando davanti al volto del Signore Gesù:

 

Uniti nel cuore al Signore Gesù, noi veniamo permeati dalla luce divina e nella luce del volto di Dio vediamo ciò che è nascosto agli uomini comuni; entriamo in diretto contatto con il mondo spirituale, viviamo e operiamo in esso, come dice san Macario il Grande, e ne diventiamo cittadini, benché per aspetto esteriore e posizione sociale noi siamo piccoli e insignificanti.

 

Per quanto riguarda la luce che è presente alla mente e che questa contempla negli stadi più elevati dell'ascesi della preghiera, va detto che essa è per natura distinta dalla luce divina:

 

La mente, unendosi nella preghiera ovvero nel Nome di Dio con il Signore, perde la propria naturale rozzezza, è fatta tutta pura, come luce celeste; da lungi essa vede venire il pensiero e, forte nel Signore, non rivolge ad esso neppure l'attenzione, in quanto intenta in più grave negozio: la conversazione con il Re e Signore

 

La dottrina dei due generi di luce fu per la prima volta formulata da Evagrio, e dopo di lui ripresa da altri autori ascetici, tra cui Gregorio Palamas. La sostanza di questo insegnamento sta nel riconoscere, accanto alla luce divina increata, che è un'energia (operazione) della Divinità, anche l'esistenza di una certa luce creata, originariamente presente nella mente umana, ma perduta a seguito del peccato originale (1).

Secondo Evagrio, c'è "la beata luce della santa Trinità", ma c'è anche la luce della mente umana, il suo proprio splendore, "congenere" alla luce divina. Nella preghiera la mente può contemplare sia la sua propria luce, sia la luce divina increata: solo l'esperienza può stabilire la differenza tra i due generi di luce e non è possibile esporla a parole.

Talvolta si potrebbe pensare che lo schimonaco Ilarion utilizzi il termine "luce" in senso figurato, quando per esempio definisce "luce" la preghiera. Tuttavia anche in questo caso non si tratta di una semplice metafora, quanto piuttosto del tentativo di descrivere la visione di Dio con l'ausilio della terminologia della luce, proprio perché questa stessa esperienza è indissolubilmente legata alla visione della luce: la preghiera è infatti "una luce spirituale, che si offusca alla più piccola concessione a ciò che non è secondo Dio", ma ''brilla chiara dello splendore della gioia inestinguibile, quando stai rettamente innanzi a Dio; custodisci puri i pensieri ... e vedrai Dio tuo creatore nel santuario della tua anima.

Il rifulgere della luce divina nell'anima umana, secondo l'autore di Sulle montagne del Caucaso, è l'intersezione con la realtà di un altro mondo, che splende di una bellezza incomparabilmente superiore a tutto ciò che è accessibile alla sensibilità umana:

 

Quando questa santissima preghiera nel Nome del Signore Gesù Cristo risplende di luce divina nelle inestricabili tenebre della nostra anima - o  che è lo stesso - quando [splende] egli stesso, il Signore nostro, Luce eterna senza tramonto, radiosa luce della santa gloria dell'immortale Padre celeste, santo e beato Gesù Cristo, allora, presi da timore, noi restiamo dal corso abituale della nostra vita, come folgorati dall'apparizione della luce del mondo spirituale, di cui scorgiamo l'essenza nascosta: un'unica sua scintilla apparsa al nostro sguardo testimonia della luce senza fine e dei beni incorruttibili.

 


(1) Anche nelle tradizioni spirituali dell' estremo oriente, in particolare nelle varie scuole del buddhismo tibetano (Nyingma-pa, Kagyu-pa, Gelug-pa e Sakya-pa)  e del 'Chan (Zen) si parla della "luminosità della mente", della sua "base primordiale", della "natura chiara della mente" paragonabile a un cristallo puro e splendente, allo "spazio infinito senza forma", del Grande Sigillo  (Mahamudra) e della sua Grande Perfezione, (Dzogchen), escludendo da ciò ogni riferimento a un Dio-Persona.

L'esicasmo e tutta la tradizione mistica cristiana, grazie anche alla Rivelazione biblica,  ha invece operato da sempre una chiara distinzione tra le prerogative naturali della mente umana e la Luce divina trascendente e allo stesso tempo partecipabile.

(nota del curatore del sito: R. Benvenuto De Matteis)