Georgios Ioannou Karalis

La natura umana secondo
 San Massimo il Confessore

Il presente articolo sarà pubblicato in: Commissione interregionale per l'Ecumenismo e il dialogo del Piemonte e Valle d'Aosta, Quaderni "ecumenismo e dialogo", a cura di Stefano Rosso ed Emilia Turco, 2002.


LA VITA

San Massimo il Confessore, il più grande teologo del settimo secolo, fu il maggiore avversario del monotelismo. Nacque attorno al 580 a Costantinopoli da una ricca famiglia. Inizialmente fu segretario dell’Imperatore Eraclio ma, dal 613, abbandonò la vita della corte per divenire monaco. Il monastero di Crioupoli, situato di fronte alla capitale imperiale di Costantinopoli, fu per lungo tempo la sua sede. Nel 624 la minaccia persiana rendeva insicuri i territori imperiali e ciò obbligò Massimo a trasferirsi a Kyzico e in seguito in Africa. In quest’ultimo luogo sostò presso il monastero di Eucrata, non lontano da Cartagine. Qui risiedeva anche un altro fuggiasco dalla Palestina: il monaco Sofronio. I due furono informati delle azioni del nuovo patriarca di Alessandria, Ciro, il quale aderì all’accordo unionista con i monofisiti, accettando il monotelismo (1).

Sofronio e Massimo si opposero energicamente a quest’eresia cristologica e partirono alla volta d’Alessandria con l’intento di organizzare una reazione. Dopo la morte dell’Imperatore Eraclio, il patriarca di Costantinopoli Pirro fu allontanato dalla sua sede. Quest’ultimo, attratto dall’ortodossia, giunse in Africa al ricordo d’una discussione pubblica condotta da Massimo nel 645 alla quale era presente.

Gli atti di tale discussione sono giunti fino ai nostri giorni e da ciò si comprende come Massimo sia stato l’anima della lotta contro i monoteliti. In quest’attività il santo monaco indirizzò epistole all’Imperatore, al Papa e al Patriarca di Costantinopoli. Contro tali eretici scrisse numerosi libri e organizzò tre Concili. Dopo la conquista araba dell’Africa, Massimo giunse in Magna Grecia e, nel 645 o nel 646, a Roma. In quest’epoca entrò in polemica con l’imperatore Costanzo il quale, con una legge del 647, proibiva di parlare delle energie e delle volontà di Cristo. Il Concilio tenutosi nel Laterano del quale Massimo fu l’anima, oltre a condannare il monotelismo, usò dure espressioni contro due decreti del suddetto Imperatore.

Questa polemica diretta contro l’Imperatore e la corte costò a Massimo notevoli difficoltà e sofferenze che lo tormentarono fino al termine della sua esistenza terrena. In Italia, il santo fu arrestato dall’Esarca dell’Imperatore Teodosio e deportato a Costantinopoli con due suoi amici, entrambi di nome Anastasio: Anastasio il discepolo e Anastasio il legato papale. A Costantinopoli fu deportato anche papa Martino, in seguito esiliato a Chersona nel 653. Per ben tre volte Massimo si rifiutò di firmare un compromesso proposto dal vescovo Pietro, nel frattempo divenuto patriarca (2) e ciò determinò anche a lui l’esilio. In seguito, per lo stesso motivo, gli fu tagliata la lingua e amputata la mano destra. Morì in esilio nell’agosto del 662. La Chiesa ortodossa lo commemora liturgicamente il 13 agosto e il 21 gennaio.

 

LA NATURA UMANA

Perché in questa conferenza parliamo della natura umana? Perché per i Padri e per tutta la tradizione cristiana, Cristo assume la nostra natura e la divinizza e questo è un elemento d’importanza capitale che orienta la nostra esistenza e attua la nostra salvezza. La natura umana assunta da Cristo compone la Chiesa, alla quale apparteniamo e della quale noi, suo popolo, siamo membra. Per poter entrare nel discorso e comprenderlo correttamente, è necessario approfondire alcuni punti particolarmente importanti.

 

Natura e persona

Cristo assume la natura umana, la nostra stessa natura, non la persona umana. Insistiamo su tale punto, perché con il termine natura umana intendiamo "tutta l’umanità": Cristo assume l’umanità con l’assunzione della sua natura. Così non assume una persona umana, ma tutti noi in quanto uomini, compartecipi alla stessa natura, chiamati ad essere Ecclesia (Chiesa). La Chiesa, nell’unanime comprensione dei primi cristiani, era il piano eterno salvifico di Dio, presente prima d’ogni creazione; era la preordinazione del corso del destino umano e angelico; era uno stato incessantemente realizzato come se non potesse esserci, né in passato né in futuro, qualcosa che ne potesse trattenere e impedire la realizzazione. San Massimo dice a tal proposito:

Questo è il grande e sublime mistero. Questo è il benedetto Fine per il quale tutta la creazione è stata composta; questo è il preannunciato scopo divino per il quale tutti gli esseri hanno inizio e per il quale è preannunciata la loro Fine, per il quale esiste ogni essere. Egli stesso, tuttavia, non esiste a causa di alcuno. Si vede chiaramente che Dio ha causato tutti gli esseri mirando a codesto fine. Ciò causa la pienezza di due realtà: della sua Provvidenza e di coloro per i quali la Provvidenza agisce; attraverso il cui completamento le creature sono ricapitolate e unite a Dio (Ef 1,10). È questo il mistero che comprende in sé ogni epoca, mostrato innanzi al grande e soprainfinito consiglio divino, preesistito molto prima di tutti i secoli. L’Uno e consustanziale a Dio, il Logos stesso, l’ha annunziato dal momento in cui è divenuto uomo, manifestando, così, sia com’era, sia le profondità più intime della bontà di Suo Padre. Egli si è automanifestato come il Fine per il quale indubbiamente le creature hanno ricevuto il loro inizio; perché era per Cristo, o più propriamente per il mistero di Cristo, che tutte le epoche e tutto quanto esse contengono hanno ricevuto l’inizio e la Fine del loro essere. Per l’unione, compresa prima di ogni epoca, tra realtà misurabile e incommensurabile, finita e infinita, tra il regno delle cose limitate e quello delle cose illimitate, tra Creatore e creazione, tra stabilità e moto, unione che è stata compresa alla fine in questi ultimi tempi grazie all’automanifestazione di Cristo che adempie la preveggenza divina (3).

L’aspetto più incantevole di tale Chiesa che in sé raccoglie tutto, è la sua inevitabilità ad essere il risultato divino, qualunque cosa sia successa, succede o succederà, indipendentemente da qualsiasi consenso, contributo o cooperazione e da ogni motivo irreversibile o ineluttabile. L’atto proprio della creazione è, simultaneamente, un atto di salvezza che riguarda da ora, sia angeli, sia esseri umani. L’atto iniziale salvifico di Dio è stato quello di chiamare dal non essere all’essere quelle creature che Egli ha voluto da sempre salvare unendole eternamente a Lui. La Sua chiamata creativa ha dato inizio alla Chiesa come Ecclesia (assemblea) iniziando il processo propriamente creativo con il grandioso fine di unire se stesso alle creature e, così, compiere il motivo per il quale è divenuto Creatore. La Sua iniziativa sta ancora procedendo e non finirà prima che il termine di essa non divenga l’ultima realtà. Massimo esprime in forma molto appropriata la primitiva mentalità dell’ecclesiologia cristiana riconoscendo lo spazio e il tempo quali elementi essenziali al processo salvifico: "Dio ha saggiamente diviso tutte le epoche in due decidendo, nella prima, di divenire uomo e, nella seconda, di rendere l’uomo Dio" (4).

Ora qualcuno si chiederà: "Se l’amore di Dio chiama veramente tutti a unirsi a Lui nella Chiesa quale assemblea nella quale è radunata tutta l’umanità, cosa significano il paradiso e l’inferno?". Secondo san Massimo il Confessore il paradiso e l’inferno non sono due luoghi ma due stati, due modi diversi di vivere l’amore di Dio (5). L’amore divino è donato indistintamente a tutti, ma l’uomo ha due possibilità: viverlo in quanto pienezza di vita, o subirlo come fuoco divorante. Comprenderemo meglio questo concetto se pensiamo all’esempio dell’amore tra genitore e figlio. La carezza del genitore può essere pienezza di vita per il figlio che lo ama, mentre per quello che non lo ama diviene fastidio e tormento, "fuoco" che lo brucia. Nelle antiche icone ortodosse del giudizio universale, notiamo che Dio non è rappresentato come un giudice che divide in luoghi separati i giusti e gl’ingiusti, ma come un Dio che, scendendo dall’alto, irradia la sua luce, la sua energia increata. La prima realtà che la luce incontra sono i santi che da questa vengono illuminati. In un secondo piano discendente, la luce si trasforma in fuoco divorante.

 

Contro natura, secondo natura, oltre i limiti della natura

Per Massimo, Cristo ha assunto la natura umana per vivere secondo natura e oltre i limiti della natura; mai contro natura. Qual’è il significato di questi concetti?

Esistono tre stati nei quali possono ritrovarsi gli esseri umani:

A. Lo stato contro natura. È una condizione peccaminosa nella quale ogni pensiero malvagio attraversa liberamente la mente umana e conduce ad atti e parole altrettanto malvagi. È lo stadio vissuto dalla maggioranza dell’umanità e si definisce contro natura perché non è naturale, nel senso che non ci riporta a quella natura umana iniziale dono di Dio, ma ad una natura distrutta dal nostro peccato, ossia ad un’esistenza condotta autonomamente da Dio. Lo stato contro natura è la natura della quale ci siamo appropriati, individualizzandola e portandola alla disgregazione (6).

B. Lo stato secondo natura consiste propriamente nel vivere ad immagine e somiglianza di Dio; vivendo nella maniera in cui siamo stati originariamente creati, in una maniera frutto della santificazione, non dell’unico sforzo morale compiuto osservando determinati principi o particolari leggi umane. La tensione verso la moralità è, dunque, relativa. Tale affermazione non significa squalificare la moralità come se l’immoralità fosse gradita a Dio; significa solo che la moralità, per se stessa, non è assolutamente in grado di condurre alla santità l’uomo. Se vivere secondo natura è la sola condizione per condurre le persone all’impeccabilità, tuttavia è per la sola grazia di Dio che gli esseri umani ritornano a vivere a immagine e somiglianza divina, cioè nel modo con il quale furono inizialmente creati.

C. Lo stato oltre i limiti della natura nasce sempre dall’iniziativa divina con la quale Dio si unisce alle Sue creature e si manifesta immediatamente a loro. È proprio questo ad essere avvenuto nei santi i quali, ancora in vita, hanno avuto la visione di Cristo risorto (7).

Non esiste alcun modo per gli esseri umani di evitare uno di questi tre stadi.

Il primo Adamo ha avuto da Dio una natura buona e perfetta che avrebbe dovuto condurlo naturalmente, cioè secondo natura, verso il Creatore. Massimo afferma che il peccato non appartiene alla natura perché, se così fosse, Dio sarebbe autore del peccato. Tutto ciò significa che il peccato non è naturale, ma è una scelta umana, una scelta personale operata dall’uomo attraverso quella che san Massimo definisce la "volontà gnostica". Cos’è la "volontà gnostica"? Il Confessore sottolinea che ogni natura logica possiede una volontà naturale, ossia una "forza in potenza", ma ogni persona possiede una propria volontà gnostica. Così l’uomo, ad esempio, ha il parlare insito nella volontà naturale. Nonostante ciò non parla sempre. Il parlare o meno, è deciso dalla sua volontà gnostica, proprietà distintiva della sua persona, non della sua natura (8). "La volontà gnostica", afferma Massimo, "contraddistingue la persona" (9). Adamo, usando la sua volontà gnostica, ha peccato e questo significa che l’uomo si è appropriato della volontà naturale, della natura stessa, e ne ha invertito il movimento: la forza inizialmente destinata a portarlo verso Dio, l’ha portato lontano da Lui. La volontà gnostica ha sostituito la volontà naturale e le distinzioni sono prevalse sull’unità: l’uomo s’è separato in tanti individui, ciascuno con proprie volontà, proprie energie, propri amori che rivendicano una reciprocità.

È così prevalsa la diversità della persona sull’unità della natura. Non abbiamo più un uomo, ma milioni di uomini che si combattono a vicenda, con energie separate, amori e differenti volontà. In ciò consiste il passaggio da una vita secondo natura a una contro natura. L’uomo non segue la sua volontà naturale che lo conduce a Dio, ma la volontà gnostica che lo allontana da Lui. Così non s’indirizza verso l’unità del suo essere in Dio ma verso la dispersione e quindi verso la morte (10).

Cristo assume la natura umana ma, rimanendo Dio, conserva pure la natura divina. Egli, avendo due nature perfette, possiede due volontà naturali: quella divina e quella umana. Cristo "vuole" come Dio e come uomo. Come Dio, possiede la stessa volontà del Padre e dello Spirito, perché ogni persona della Santa Connaturale e Consustanziale Trinità "vuole" come Dio, non come Padre, Figlio e Spirito: non "vogliono" in quanto persone, ma in quanto Dio. Se "volessero" in quanto persone, avrebbero tre volontà distinte e sarebbero tre Dei (11). Le tre Persone "vogliono" in quanto Dio e Dio è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Ecco perché la volontà è della natura, non della persona. Tuttavia Cristo "vuole" anche come uomo e, in quanto tale, ha la stessa volontà della nostra natura perché sicuramente non appartiene alla divinità la volontà di mangiare, bere, ecc.

Cristo ha una sola persona che è increata: il Logos, la seconda persona della Trinità. Così, per essere precisi, affinché Cristo non possa essere considerato mutabile o autore di scelte erronee occorre aggiungere che la dimensione umana e divina di Cristo non si esprime con la scelta che segue la conoscenza, come facciamo noi quando cerchiamo con lo studio e la critica di distinguere tra cose contrarie, "ma siccome ha ricevuto il suo essere dall’unione ipostatica con il Logos, si muove verso un’unica direzione" (12). E siccome il Logos ipostatizza (personalizza) la natura umana e divina di Cristo ed è Dio, non può scegliere fra bene e male, perché Dio è il solo bene. Dunque, il Logos non ha una gnome, una volontà gnostica, non opera scelte personali perché la volontà gnostica è caratteristica dell’ignoranza, non della conoscenza. Infatti l’uomo non sa che cosa siano il bene e il male: cerca di conoscere e poi sceglie personalmente, con la sua volontà gnostica. Dio, invece, non sceglie fra bene e male: è sommo bene, per cui Cristo non ha una volontà gnostica, e non compie scelte personali: "Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato!" (13) Per il Logos "la scelta personale significa la volontà naturale" (14) dal momento che il Padre e il Figlio operano la stessa scelta e hanno la stessa opinione. Così il Logos non può peccare, non può scegliere fra bene e male. Il Logos segue la sua natura umana che conduce verso Dio "perché la scelta e la gnome appartengono a coloro che possono muoversi verso il bene o il male. Ma Cristo è la sorgente del bene e non può scegliere fra bene e male. Se qualcuno pensa così è empio" (15). Massimo afferma che le due nature di Cristo, l’umana e la divina, non hanno volontà contrarie, ma la natura umana segue e si forma da quella divina. "Come uomo il Salvatore aveva una volontà naturale che non si opponeva alla sua volontà Divina, ma si formava da essa" (16). Ecco perché Cristo è il nuovo Adamo, l’uomo che vive naturalmente che non può appropriarsi della sua natura umana, non può vivere contro natura, ma secondo natura e oltre i limiti della natura.

 

COME VIVERE SECONDO NATURA

L’uomo può arrivare a vivere secondo natura? E se sì, come?

Su questo punto Massimo è particolarmente illuminante. Come per tutti i Padri della Chiesa, anche per Massimo l’uomo, attraverso l’ascesi, la lotta contro le passioni, può arrivare ad eliminare l’appropriazione della natura a cui tende con la volontà gnostica, per possedere gli stessi pensieri, lo stesso amore, la stessa volontà di Cristo.

Massimo afferma che ci sono passioni innaturali e passioni naturali. Le passioni innaturali dipendono dalla volontà personale e sono, ad esempio, il mangiare per ingordigia, la paura provocata dalla mancanza di fede e di fiducia in Dio. Le passioni naturali non dipendono dalla volontà personale, ma sono entrate nella natura umana come conseguenza del peccato originale. Queste sono comuni a tutti gli uomini che vivono nella caduta e sono, ad esempio, la fame, la sete, il dolore, la paura davanti alla morte (17).

La lotta per superare le passioni è quella che i Padri della Chiesa chiamano ascesi e passa attraverso tre stadi successivi:

Il primo stadio è la purificazione, quando l’uomo, con l’aiuto dello Spirito, comincia a lottare contro i suoi egoismi; il secondo stadio è l’illuminazione, in cui l’uomo trasforma tutte le passioni innaturali in passioni naturali; infine il terzo stadio è quello della divinizzazione (o glorificazione), in cui l’uomo s’immedesima completamente con Cristo risorto: in lui non vi sono più le passioni involontarie (18). In quest’ultima situazione si possono compiere, per volere di Cristo, anche "fatti inspiegabili", rinvenibili nella vita di molti santi. Gli stiliti, ad esempio, vivevano su una colonna e si sa che alcuni di loro riuscivano a sopportare il freddo dell’inverno senza cambiare gli abiti portati in estate. Nello stadio della divinizzazione vengono vinti i limiti della natura; allora "i ciechi vedono, i sordi odono, gli zoppi camminano…" (19). Questo è l’ultimo stadio dell’ascesi, della partecipazione all’amore di Dio, in cui l’uomo "diventa Dio" per grazia.

La vita cristiana è una continua ascesi; per questo nel mondo ortodosso si dice che il cristiano non è tanto colui che va in chiesa per la preghiera domenicale, quanto colui che lotta con sé stesso e con le sue passioni. La figura del vero cristiano è l’athletes, il lottatore, l’atleta che lotta per conquistare il premio. Tale premio è la divinizzazione che avviene nel contatto con l’increato vedendo Cristo risorto. Si tratta di un concetto caratteristico al mondo ortodosso, non pienamente accolto nel mondo cattolico. La visione di Cristo risorto non è riservata all’"al di là", ma comincia già in questa vita, e di questo abbiamo numerose testimonianze. Del Cristo risorto, san Paolo dice: "Apparve a Cefa e quindi ai dodici; in seguito apparve a più di cinquecento nostri fratelli in una volta, la maggior parte dei quali sono ancora vivi, mentre alcuni sono morti. Inoltre, apparve a Giacomo e quindi a tutti gli Apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto" (20). Coloro che avevano eliminato le passioni tramite la purificazione, l’illuminazione e la divinizzazione avvenuta con la visione di Cristo risorto, nell’antica Chiesa divenivano preti o vescovi; tali persone erano scelte prevalentemente tra i carismatici. È quant’è sotteso da san Paolo quando dice: "Non sono libero io? Non sono forse un apostolo? Non ho visto Gesù nostro Signore?" (21). L’Apostolo delle genti collega la missione apostolica con la visione di Cristo risorto e afferma di aver il diritto di tutti gli apostoli, perché anche lui ha visto il Cristo risorto.

A questo punto ci rendiamo conto che la Chiesa non è l’istituzione che noi tutti siamo soliti considerare: infatti essa, come appartenenza, come assemblea, comprende tutta l’umanità, ma come Ecclesia Dei, comprende solo le persone divinizzate, quelle che hanno la possibilità, tuttora esistente, di vedere il Cristo risorto (22). Ecco perché i santi, le persone divinizzate, diventano la tradizione e l’infallibilità della Chiesa.

Infatti la Rivelazione indica che Dio stesso è il messaggio e, sotto questo aspetto, ciò che interessa veramente è il contatto intimo dell’uomo con la realtà increata di Dio. Le conseguenze di tale contatto potrebbero essere sintetizzate in determinati messaggi o potrebbero comporre più tardi un ampio discorso, ma il semplice fatto che normalmente non si possa pervenire all’esperienza "rivelatoria", non significa che la Rivelazione si possa ridurre ad un messaggio, visto che essa esprime sempre la presenza divina, il contatto reale tra la realtà increata di Dio e quella creata dell’uomo. Tutti coloro che ricevono la divina Rivelazione divengono increati per grazia, onnipotenti, onniscienti, senza inizio e senza fine, come san Massimo li descrive nella sua Contemplazione in Melchisedek. È quest’identità con Dio che caratterizza la vera Rivelazione – iniziativa divina, non semplice trasmissione d’informazioni – riservata ai suoi destinatari. Unicamente attraverso quest’assunzione della grazia divina i santi possono vedere la "luce divina" della Rivelazione; ovviamente non con i loro occhi fisici, ma attraverso il potere dello Spirito Santo. Così per san Massimo come per tutti i Padri orientali, la Rivelazione non può essere intesa come un libro o un discorso. La Bibbia non è un’"autorità" nella Chiesa; la vera "autorità", la vera "infallibilità" sono le persone divinizzate, divenute increate per grazia: i santi. Ancora una volta Massimo il Confessore ci sorprende quando spiega come i santi avessero sempre avuto accesso immediato alla divina Rivelazione:

Per acquisire la beatifica conoscenza di Dio, i santi non hanno mai sviluppato la nostra stessa percezione materialistica e vile della creazione o delle Sacre Scritture; la loro visione non potrebbe essere per nulla ristretta da semplici dati sensibili, né da un’osservazione superficiale di forme e moduli. Perciò essi non usano mai parole e concetti con i quali si cade in inganno ed errore, particolarmente nel giudicare la verità. Essi hanno solo purificato completamente la loro mente, liberandola da ogni tenebra materialistica. (23)

È questo modo sorprendente e ultramondano d’intendere la natura umana e il rapporto dell’uomo con Dio ad aver caratterizzato san Massimo il Confessore il quale, anche oggi, rimane profeticamente attuale e scandalosamente nuovo quando indica al nostro mondo secolarizzato il destino al quale è chiamato l’uomo: divenire Dio per grazia trasfigurando la sua natura umana.

 


DIBATTITO


Domanda: Quanto abbiamo ascoltato su san Massimo il Confessore è molto suggestivo, ma ci sono due punti basilari che sinceramente non condivido. Nelle Sacre Scritture Gesù si presenta come via, verità e vita, come la porta attraverso la quale si può raggiungere il Padre. Egli è, quindi, un modello conformandoci al quale raggiungiamo la salvezza. San Massimo il Confessore dice che Gesù, in quanto Dio, non può fare il male, perché usa la vera natura umana senza disgregarla. Siamo noi che possiamo scegliere tra il bene e il male e questo fa sembrare che Gesù non potesse farlo. Allora, come posso prendere per modello un essere perfetto, uno che per natura non può sbagliare?

Quanto alle passioni definite da san Massimo volontarie, sono in fondo da noi desiderate o subite?

Risposta: Penso che se vogliamo seguire la teologia della Chiesa dobbiamo accettare che il Logos increato, la seconda persona della Trinità, assume la natura umana, non una persona umana. Lo stesso Logos ha anche la natura divina. Non assumere la persona umana significa per il Logos assumere tutta la nostra natura eccetto il peccato che abbiamo detto essere proprio alla persona. Per questo il Logos ha potuto salvarci e farci divenire Dio per Grazia. Se anche Lui avesse potuto peccare come poteva salvarci? Se lui è Dio come può peccare? Un Dio che sbaglia, un Dio che pecca, non è Dio e risulta stupido, risulta idolatria credere ad un Dio che sbaglia o che cambia opinione. Riguardo al secondo punto della domanda, come posso prendere a modello uno che non sbaglia, mi sembra una questione posta piuttosto semplicisticamente. Faccio un esempio per capire il tipo di domande che a volte facciamo senza rendercene conto. Mettiamo che uno mi regala un computer e io lo distruggo perché uso la tastiera come se fosse una chitarra. Davanti a ciò è sciocco affermare che se il donatore viene e mi fa vedere come funziona il dono usando la tastiera nel modo in cui deve essere usata, tale persona non può essere un modello perché usa il computer conformemente ai fini con i quali la macchina è stata costruita.

È certo che se anch’io voglio possedere un computer che funziona lo devo usare così altrimenti lo rovino. Lo stesso riguarda pure la natura umana donatami da Dio. Se io l’ho disgregata portandola allo stato "contro natura", allo stato di distruzione, Cristo che mi vuole mostrare lo stato "secondo natura", lo stato naturale, non può pure Lui rovinarla. Che senso avrebbe tutto ciò? Avrebbe anche Lui fallito e l’incarnazione non sarebbe servita a nulla!

Domanda: Secondo me, noi dobbiamo arrivare a Dio attraverso la ragione. La fede, è una provocazione. Quando la possediamo, non possiamo neanche indagare se sia vera fede e ci rimettiamo al giudizio di Dio. A suo parere, l’uomo è per sua natura un ente perfetto o imperfetto? E ancora: per quale motivo il Dio unico, al contempo visibile e invisibile, ci ha creati dal momento che l’uomo, filosoficamente parlando, è l’ente più insignificante in natura, l’ente che più di tutti ha bisogno di tutto, mentre gli altri non hanno affatto bisogno dell’uomo?

Risposta: Nella mentalità patristica e in quella ortodossa ci si accosta alla realtà distinguendo gli aspetti creati da quelli increati, una distinzione che è stata costantemente affermata in tutti i Sinodi e i Concili ecumenici susseguitisi nel tempo. Lo stesso Simbolo della Fede recita: "generato, non creato…", a significare che tale distinzione esiste. Perché? Perché l’uomo ragiona, e lo fa con dei concetti. Secondo l’antica filosofia aristotelica, tutto il creato cade sotto la nostra conoscenza attraverso concetti umani, grazie a una serie di analogie. Queste analogie tra il mondo creato e quello increato, sia per la filosofia sia per la religione, non si possono porre. Se infatti, conosco la vita del mondo creato come vita biologica e la medicina mi dice che al di fuori della vita biologica c’è la morte, non posso concepire la vita in modo differente e la stessa vita in Dio, non essendo vita biologica, diviene morte. Secondo i Padri e particolarmente per san Massimo, quando si passa dalla fisica alla metafisica non esiste analogia entis, e analogia fideis, non esiste più il concetto analogico e non sono più in grado di ragionare usando il mio cervello. A questo punto non ci rimane che rimettere le realtà increate nelle mani di Dio e sostituire il ragionamento umano con la visione di Dio, la visione delle cose che non si capiscono, la visione di "verbi indicibili": la ragione serve per quanto riguarda il mondo creato, non per quello increato. Già l’antica filosofia greca asseriva che alcune verità non possono essere dimostrate, ma solo "mostrate".

Io non presumo di conoscere il motivo per cui Dio ci ha creati; sono solo certo che lo ha fatto per amore, perché Lui è amore. È inutile cercare di far rientrare i sentimenti in una prospettiva logica. Pensiamo all’amore in particolare: non so perché amo una persona; so che la amo e basta! Accetto il sentimento per quello che è, e vivo ciò che sono.

Domanda: In che epoca è vissuto san Massimo il Confessore?

Risposta: è nato probabilmente nel 580 ed è morto verso il 662; non ha nulla in comune con san Massimo, primo vescovo di Torino, vissuto nel IV secolo (380 - 465 circa).

Domanda: Mi ha colpito la frase: "Dio non ha bisogno di noi per salvarci". Io sapevo che senza di noi, senza la nostra volontà, la nostra collaborazione, Dio non ci può salvare.

Risposta: A volte uso qualche parola errata perché, purtroppo, il mio vocabolario italiano non è ancora molto esteso. Il termine esatto da me inteso non è "salvare", ma "unirsi". Dio, si unisce certamente a tutti ma quest’unione non significa di per sé la salvezza per tutti. Per alcuni sarà pienezza di gioia, per altri sarà fuoco che brucia. Tu vivi in questo mondo perché Dio te lo permette: ti procura cibo, ti dona il calore del sole, ecc. Dal momento che Dio opera così in questa vita, si presume che lo farà ancora nell’altra, e lo farà unendosi a te. Questo però potrebbe anche non significare "salvezza" perché tale unione potrebbe attuarsi attraverso un fuoco che divora il tuo intimo. Lui ci farà vivere in eterno perché lo vuole indipendentemente dalla nostra volontà. Siamo nati e siamo chiamati a vivere in eterno; se vivremo in una realtà di pienezza o di fuoco dipende da ciascuno di noi. San Massimo dice in proposito: "Pasi ex isou tin anastasin exarisato..."; che significa: "Cristo ha donato la resurrezione ugualmente a tutti..."; e continua: "...ei kai ekastos eauton eite doxis eite kolaseos kathistisin axios"; che significa: "...però ognuno di noi si rende degno o della Gloria di Dio (paradiso) o dell’inferno".

Domanda: Lei ha detto che nella prospettiva dell’eternità non esiste natura disgregata, ma la natura umana ritornerà ad essere integra. Nella prospettiva dell’inferno, come si può pensare che permanga una così vistosa opposizione rispetto a quella che lei chiamava con bella espressione "la carezza paterna", se la natura ritorna nella sua integrità?

E ancora: nell’ottica dell’interpretazione di san Massimo il Confessore, l’esperienza delle tentazioni di Cristo può essere vista come l’esperienza di passioni naturali da cui Cristo si stacca?

Risposta: Cristo ha regalato a tutti la risurrezione. Anastasi in greco significa stare in alto, alzarsi, non cadere. A tutti ha dato la possibilità di alzarsi, ma ognuno rende degno se stesso del paradiso o dell’inferno. Già nella vita terrena, inferno è la situazione di chi non ama, la possibilità di partecipare alla festa senza poter amare, senza poter festeggiare poiché si festeggia solo con l’amore. Una natura non disgregata è di per sé cosa buona, per questo non ti è permesso di disgregarla. La situazione nuova che verrà a crearsi all’inferno è che tu vorresti fare una certa cosa e ciò non ti sarà più permesso. Sulla terra l’uomo si autoidentifica nella possibilità di gestire come vuole la sua vita, di plasmare la propria natura a suo piacimento. Se nella vita futura ciò non gli sarà più permesso, egli è destinato a penare in eterno e questo sarebbe l’inferno.

Quanto alle tentazioni, quelle di Cristo erano tentazioni normali; tentazioni che volevano fargli commettere dei peccati volontari che il Salvatore non poteva commettere perché era Dio. L’importante è stabilire chi è che, nel linguaggio evangelico, viene definito "grande tentatore", chi è il diavolo che tenta. Soprattutto nella nostra cultura odierna, si favorisce una grande vittoria al diavolo quando non si crede alla sua esistenza. Noi cristiani lottiamo personalmente contro qualcuno, anche se in molti casi lo definiamo in modo impersonale: il male. Il "Padre Nostro" recita nella sua forma originale: "...liberaci dal maligno…"; non da un male impersonale ma dal maligno, da colui che tenta l’uomo cioè da una persona che diviene Satan cioè impedimento all’uomo per raggiungere Dio. Noi combattiamo personalmente contro quest’ impedimento. Il nostro amore verso Dio, il Suo sostegno, ci aiuta a superare tale ostacolo. Quest’esperienza di lotta dell’uomo contro il maligno l’ha vissuta anche Cristo. Solo che Lui non poteva avere alcun impedimento ad unirsi a Dio perché era ed è Dio. Così la natura umana di Cristo era unita alla divinità senz’alcun impedimento, a causa dell’unione ipostatica. In quel caso, però, il maligno non sapeva esattamente di trovarsi di fronte a Dio, altrimenti non lo avrebbe neppure provato, ben sapendo che non sarebbe caduto nella tentazione.

 


NOTE

1 In quest’accordo alcuni monofisiti riconoscevano le due nature di Cristo, ma, per loro, siccome queste nature avevano una sola persona, quella del Logos, non poteva che esserci una sola energia e una sola volontà.

2 Secondo tale compromesso teologico, Cristo possedeva due volontà contemporaneamente ad una sola. Le due volontà rispecchiavano la distinzione delle due nature, l’unica volontà l’unione delle nature in una persona.

3 PG 90, 621B.

4 PG 90 317C.

5 "La natura umana non contiene i principi intimi di ciò che la oltrepassa quanto non contiene le leggi contrarie alla natura stessa. Per ciò che è oltre natura intendo il divino e inconcepibile piacere che Dio genera spontaneamente in coloro che sono ritenuti degni d’essere uniti a Lui per grazia; per ciò che è contrario alla natura intendo l’indescrivibile pena causata dalla privazione di tale piacere. Questa pena è generata spontaneamente da Dio negli indegni quando è unito a loro in una maniera contraria alla grazia. Dio è unito ad ogni uomo secondo la fondamentale qualità del suo intimo stato. Provvede per ciascuno la capacità di riceverLo e percepirLo, Egli che sarà inevitabilmente unito a tutti alla fine dei tempi". Cfr. Massimo il Confessore, Quarta centuria di vari testi, 20.

6 Ogni uomo con il peccato si appropria della natura e la trasforma. Questa trasformazione operata dall’uomo su se stesso, è definita da Massimo "contro natura", "para fysin". Tale stato dura fino alla morte, quando l’uomo non avrà più la possibilità di personalizzare la natura donatagli da Dio per rovinarla. Perciò san Paolo afferma che: "Chi è morto è ormai libero dal peccato" Rom 6, 7.

7 Un esempio tra diversi: la visione di Cristo risorto avuta da san Serafim di Sarov (1759-1833) durante la celebrazione del Giovedì santo.

8 PG 91,1161. Gnome – opinione – dell’uomo è la ricerca di qualcosa che l’uomo ignora, ricerca che segue ad una domanda. Succede, ad esempio, quando si cerca di conoscere il bene e il male col fine di attuare una scelta personale. L’uomo sceglie personalmente una o un’altra cosa e tale fatto appartiene alla persona, non alla natura. Personalmente l’uomo fa la scelta di dove, cosa e con chi mangiare; l’azione del mangiare, però, appartiene alla natura. Infatti se l’uomo non mangia muore.

9 PG 91,192.

10 Massimo afferma che la volontà gnostica contraddistingue la persona della caduta, non la persona che vive secondo natura. Quest’ultima segue la sua natura e non si appropria di essa. Facciamo un esempio per mostrare meglio il concetto. Un uomo su un aereo può rimanere seduto ed essere portato verso una certa direzione. Se paragoniamo l’aereo alla natura umana, possiamo dire che tale uomo vive secondo natura. In tal senso non ha volontà gnostica; essa viene eliminata e il passeggero segue il movimento dell’aereo che lo porta a destinazione, cioè a Dio. Se tutti i passeggeri seguono lo stesso movimento, non si creano problemi. Tuttavia un passeggero potrebbe appropriarsi del movimento dell’aereo e compiere un atto di pirateria: "Non sono d’accordo sulla destinazione e decido di andare dove voglio io!". A questo punto costui si appropria del movimento dell’aereo e crea un contrasto. Cerchiamo d’immaginare cosa succederebbe se tutti i passeggeri lo imitassero: porterebbero l’aereo alla distruzione con un’azione "contro natura".

11 In Dio non prevale la distinzione come nell’uomo. Le persone della Trinità non hanno "volontà gnostica". Nella Trinità l’opinione (gnome, se è lecito usare questa parola, dato che Dio non ha bisogno di conoscere perché è onnisciente), come la volontà e l’amore appartengono alla natura divina. In tal modo il nostro Dio è trinitario ma è uno, dato che ha una opinione, un amore, una volontà, una energia. Non ha tre persone con volontà, amori, opinioni ed energie diverse.

12 Massimo il Confessore, Capitoli Teologici e Polemici, Non è possibile parlare di una volontà in Cristo, in Filocalia, volume 15a, Edizioni San Gregorio Palamas, Salonicco 1995, p. 39.

13 Gv 4, 34.

14 Massimo il Confessore, Capitoli Teologici e Polemici, Commento: n. 5, in Filocalia volume 15a, Ed. San Gregorio Palamas, Salonicco 1995, p. 49.

15 Massimo il Confessore, Capitoli Teologici e Polemici, Non è possibile parlare di una volontà in Cristo, in Filocalia volume 15a, Ed. San Gregorio Palamas, Salonicco 1995, p. 43.

16 Massimo il Confessore, Capitoli teologici e polemici, I Padri parlando di due volontà in Cristo intendono le leggi della natura, non le gnosi personali (opinioni), in Filocalia volume 15a, Ed. San Gregorio Palamas, Salonicco 1995, p. 61.

17 La paura di fronte alla morte è una passione e i Padri della Chiesa la distinguono in due tipi: una prima paura nasce dalla natura umana, una seconda dall’ateismo. La paura di ogni natura umana dinanzi alla morte è una passione naturale, mentre la paura originata dall’ateismo è una passione innaturale. Lo stesso si può dire dell’amore passionale e sessuale. Un uomo può innamorarsi di tutte le donne, come può invece sceglierne una e sposarla, indirizzando il suo istinto, il suo amore, verso quella determinata persona: l’una è una passione innaturale, l’altra naturale. Cristo non ha mai avuto passioni innaturali, perché non è caduto nel peccato in quanto non è mai stato "persona umana". Tuttavia ha avuto passioni naturali: fame, sete, paura di fronte alla morte ecc. Per santificare l’uomo ha assunto ogni realtà della natura umana. Per dare a noi la possibilità di vincerle, è stato anche provato dalle tentazioni e le ha vinte. "Sicuramente in Cristo le passioni naturali erano secondo natura e sopra natura. Secondo natura perché si muovevano in Lui, quando Egli permetteva alla carne di subire quanto la caratterizza. Sopra natura perché in tal stato Egli permaneva, dal momento che, al Signore, le passioni non precedevano la Sua volontà. Niente di necessario Gli era imposto ma tutto è stato da Lui voluto: ha voluto e ha avuto fame, ha voluto e ha avuto sete, ha voluto e ha avuto paura, ha voluto ed è morto". Giovanni Damasceno, Esatta esposizione della fede ortodossa III, 20.

18 Cristo aveva le passioni naturali, ma non si è mai unito ipostaticamente con esse e, dopo la risurrezione, le ha eliminate completamente dalla nostra natura. "Dopo la resurrezione dai morti, ha eliminato tutte le passioni naturali, intendo dire la corruzione, la fame, la sete, il sonno, la fatica e cose simili. Ha mangiato non secondo la legge della natura (perché non ha avuto fame), ma secondo l’economia, per certificare la verità della resurrezione: la stessa carne che ha patito, quella stessa carne è risuscitata". Giovanni Damasceno, Esatta esposizione della fede ortodossa IV,1.

19 Cfr. Lc 7, 22.

20 1 Cor 15, 3-8.

21 1 Cor 9, 1.

22 PG 91,1137-1141.

23 PG 91,1160.