LA MISTICA ESICASTA
Considerazioni di un monaco esicasta sullo «yoga» orientale e sulla preghiera intellettuale e concettualistica
A proposito della théosis («deificazione») esicasta o preghiera del cuore, vero capolavoro della spiritualità della Chiesa d'Oriente, ci limiteremo a commentare un aspetto insufficientemente messo in rilievo finora del Metodo della santa orazione e attenzione, o Méthodos, piccolo «compendio» dell'invocazione del nome di Gesù attribuito, come abbiamo detto, a san Simeone il Nuovo Teologo (949-1022).
Questo testo mette energicamente in guardia contro i primi due dei tre «metodi» d'invocazione che descrive, ossia contro la preghiera immaginativa e l'orazione intellettuale.
Il primo consiste, «innalzando verso il cielo le mani, gli sguardi e l'intelligenza, nel riempire l'intelletto di pensieri divini, nell'immaginare benedizioni celesti..., nell'incitare la propria anima alla nostalgia e all’amore di Dio fino a versare talvolta delle lacrime»; esso rischia di «rendere inclini alla prelest'», vale a dire a prendere per Dio certi «miraggi» deiformi, e può portare al suicidio per effetto di un'ipertensione effettiva.
Severità eccessiva, dirà qualcuno, verso una devozione sentimentale e tutto sommato inoffensiva; il pericolo di suicidio, senza dubbio, presuppone un'intensità contemplativa poco comune ai giorni nostri. Nella sua forma «inoffensiva», così corrente in Occidente, la preghiera immaginativa rischia tuttavia di fiaccare, anzi di atrofizzare, la sensibilità spirituale.
Il secondo «metodo» consiste nel «distogliere la mente da ogni oggetto sensibile e nel ritirarla in se stessi mediante ritrazione dei sensi e raccolta dei pensieri». Si crederebbe di leggere un'allusione esplicita allo yoga classico. Le ragioni per le quali l'autore esicasta del Metodo mette in guardia contro questa preghiera «intellettuale» sono ancor più interessanti dal punto di vista dell'assunzione cristiana: «Combattendo il pensiero con il pensiero..., attaccando la notte…, rimanendo esso stesso nella testa mentre i cattivi pensieri sono generati nel cuore», l’intelletto «così assorbito non scorge gli assalti demoniaci che minacciano l'anima dall'interno» e rischia, precisa il testo, di «cadere nell’orgoglio e nel disprezzo degli altri».
Soltanto un'esperienza autenticamente cristiana può dare una coscienza così lucida della «tentazione della gnosi». Il rimedio - il terzo metodo di orazione - è altrettanto profondamente cristiano, anche se inaspettato per un lettore la cui spiritualità è strettamente «latina»: quel che importa, insiste l'esicasmo, è «cercare, con tutti i mezzi, il luogo del cuore» e «introdurvi» o «farvi scendere» «con il fiato inspirato», il nome di Gesù e l'intelligenza. Inoltre, precisa il Metodo, una volta discesa all'interno di queste ultime trincee del cuore-spirito, bisogna «che l'intelligenza rimanga nel cuore», che vi «monti la guardia del cuore mentre esso prega, vi circoli senza uscirne mai, poi, dall'intimo del cuore, offra l'orazione a Dio». Quest'orazione non è altro che l'invocazione incessante - «fin nel sonno profondo» della misericordia, della «pietà» del «Figlio di Dio».
È il passaggio da quel che noi chiamiamo la prima fase - «orientale» - 'alla seconda fase - «assuntiva» - della deificazione esicasta. Esso consiste in un capovolgimento interiore (metànoia) che riorienta ed estasia la coscienza verso l’Invocato, facendole fare «dietro front» in direzione di un polo divino inaccessibile e incarnato ad un tempo, nel momento – e nel «punto» del «cuore-spirito» (Vladimir Lossky) - in cui la concentrazione orientale sfocia nell'enstasi appagata del samadhi.
Se si nota che metànoia significa «cambiamento intellettuale» e insieme «pentimento», si vede che si tratta di un'assunzione, di una presa a carico, di una conversione (epistrophè) dell'interiorità solitaria dell’Oriente da parte dell'interiorità aperta e reciproca del cristianesimo, o meglio da parte dello Spirito di Cristo «più intimo all'anima di essa stessa» (secondo la formula così paolina trasmessa all'esicasmo dai padri greci).
Ma si vede nello stesso tempo l'intellettualismo - sia di tipo orientale (mistico, monistico), sia di tipo occidentale (razionale, analitico) - sollevare immediatamente la sua obiezione: confinare così l'intelligenza (nous) all'interno del cuore fino ad impedirle di «uscirne mai», rinchiudervela e incorporarvela, non significa bloccare, anchilosare la facoltà stessa che assicura l'intuizione della vera trascendenza, divina e increata, ossia l'intelletto - quest'organo del senso dell'al di là incorporeo - o per lo meno ridurre il suo orizzonte alla coscienza di una «trascendenza» tutta relativa, intracosmica, fisica? Dimenticate ambedue, risponde l'esicasmo, che l'intelletto deve essere «nel cuore fisico, ma non fisicamente» (Filoteo Sinaita). Quel che il confinamento dell'intelligenza nel «luogo del cuore» ostacola e blocca, non è che un illusorio e chimerico tentativo, una vera prelest' ora monistica e gnostica, ora razionalistica e concettualistica: il tentativo di «realizzare» la trascendenza divina, o per lo meno di prenderne pienamente coscienza, in modo unicamente ed esclusivamente intellettuale, vale a dire per mezzo dell'intelligenza disgiunta e «tratta fuori» dall'«io» incarnato e dal suo corpo, isolata dalla coscienza di sé totale e indissociata, che non è altro che il «cuorespirito».
Di una trascendenza assoluta e, quel che più conta, personale, la creatura deiforme può e deve prendere coscienza, non però per via puramente intellettiva, ma spiritualmente vale a dire con tutto il suo essere raccolto davanti a Dio a partire dal suo centro ultimo, centro che è ad un tempo il punto d'incidenza della grazia (o della luce) increate, e la giuntura dello Spirito e del corpo.
Quello che voi chiamate la «mistica» dell'Oriente cristiano, proseguirà l'esicasta, è, sì, un'esperienza sentita, un «calore, una dolcezza, una luce e una pace» soprannaturali provate «nel cuore», ma è l'esperienza di una presenza di Qualcuno, ossia dell'Inaccessibile presente sotto l’aspetto delle sue «energie increate», e non una comprensione della sua essenza inconoscibile. Questa presenza rispetta, i nostri limiti. Notate che fra noi non si parla di «sospensione» delle potenze dette «inferiori.
La grazia si riversa in certo qual modo, attraverso il suddetto centro indiviso dell'anima e del corpo, sino ai confini della coscienza e raggiunge, al di là di questa, il cuore del prossimo e «tutte le creature» amate «di un amore ardente». Voi preferite, concluderà il monaco del Monte Athos, aprire prima il vostro cuore, attraverso i sensi, all'altro e al mondo e poi la vostra intelligenza a Dio; noi preferiamo aprire il nostro cuore che è insieme intelletto (noùs) e spirito (pneuma, «soffio») - prima esclusivamente a Dio; noi preferiamo, è vero, che anzitutto «il cuore assorba il Signore e il Signore assorba il cuore» (San Simeone) al punto di sperimentare la «visione di Dio attraverso la visione di sé» (Evagrio Pontico) - ma per meglio aprirlo poi, in quanto cuore-spirito, al prossimo e all'universo; noi non vogliamo «afferrare» i nostri simili e il mondo direttamente, ma attraverso la sola mediazione di Dio onnipresente, e sollevarli verso Dio - trasfigurarli se possibile - mediante la presenza del Cristo in noi vissuta, provata, sentita con tutte le fibre della nostra persona incarnata fatta a sua immagine affinché essa gli «somigli» sempre più.
JACQUES-ALBERT CUTTAT