Olivier Clement
Il contesto teologico e sacramentale della
Preghiera di Gesù
Anche se rimanesse solo e anonimo fino al termine della sua vita, lo spirituale, con la sua semplice azione di presenza, sarebbe una sorgente di benedizioni per la Chiesa, per l'umanità, per l'universo. Egli avvolge tutto nella sua preghiera; è il sale della terra, la luce del mondo, lui che, come l'apostolo, è convinto di essere solo la "spazzatura" del mondo.
E’di grande importanza per comprendere questa preghiera, ambientarla nel suo contesto teologico ed ecclesiale: l'esicasta non è al di là della Chiesa, si colloca al centro di essa, diventa un uomo tutto ecclesiale, capace di «fare eucaristia di tutte le cose», come chiedeva l'Apostolo (1Ts 5, 18). Che l'esicasmo costituisca come una contropartita cristiana dello yoga, che esso riporti a un atteggiamento propriamente biblico di incontro personale e di grazia una esplorazione dell'interiorità che praticavano anche gli spirituali asiatici, è più che probabile, e dipende dalla struttura stessa dell'uomo creato a immagine di Dio, come chiariremo in seguito. Ma poiché solo Cristo può ricapitolare ogni cosa, mettendo tutto al suo vero posto, l'esicasmo appare fondamentalmente cristico, come un'ascesi il cui scopo è la presa di coscienza operativa della Chiesa, Corpo di Cristo, Tempio dello Spirito Santo, e Casa del Padre...
Dobbiamo in primo luogo ricordare alcuni approcci teologici.
Quando, in Occidente, pensiamo alla nozione di natura, lo facciamo attraverso una sensibilità filosofica modellata dal tomismo tardivo, poi dal dualismo cartesiano, infine dalle scienze contemporanee che riabilitano - contro le scienze umane - questo "paradigma perduto" partendo dai dati della biologia. della ecologia e della etologia. E ogni volta abbiamo la sensazione che la grazia venga a sovrapporsi alla natura, per contrastarla o perfezionarla... Nell'Oriente cristiano, mi pare, la grazia è avvertita come presente in tutto ciò che esiste: la vera natura degli esseri viventi e delle cose è precisamente questa trasparenza alla grazia, questo dinamismo di unione con le energie divine. Poiché la grazia è increata, è Dio stesso che si rende volontariamente partecipabile, sempre restando il « totalmente Altro», l'Inaccessibile.
Seguire la natura, in questa prospettiva, è aprirsi alla grazia e unirsi a Dio; l'uomo è veramente uomo soltanto in Dio; non si può parlare dell'uomo al suo solo livello, usando simboli apocalittici; a lungo andare non resta altra scelta che la "divino-umanità" o la "bestialo-umanità". Il mondo decaduto, pur rimanendo creazione di Dio, conosce una modalità notturna, o, se si vuole, troppo chiara, luciferina, nel senso del « palazzo di cristallo » di Dostojewskij. Certo, egli è conservato nell'essere dalla Sapienza divina, e la riflessione scientifica più recente mostra fino a che punto l'ordine cosmico si conquista incessantemente superando il disordine e il caos. Ma questo mondo di opacità, di crudeltà e di morte è parzialmente contro natura: la vera natura la scopriamo nel corpo «pneumatizzato» del Risorto: e vi partecipiamo nell'eucaristia...
L'uomo è stato creato a immagine di Dio, chiamato a trasformare, nella grazia, l'immagine in somiglianza, nel senso forte di una partecipazione. L'immagine designa dapprima l'uomo in quanto vocazione a una esistenza personale di comunione, alla maniera dell'Unitrinità e per trasparenza alle energie trinitarie; ma designa inoltre quella natura profonda, inseparabile dal cosmo, non effetto, ma motore segreto del divenire cosmico, e questa natura è l'aspirazione all'infinito, la speranza della deificazione, l'immensa celebrazione di cui l'India dice, con profondità, che essa sonnecchia nella pietra, sogna nella pianta, si risveglia nell'animale, diventa, o meglio può diventare cosciente nell'uomo. Tutto il problema dell'uomo è esprimere esattamente questo movimento verso l'infinito, unire il dinamismo interiore del Soffio alla rivelazione del Logos, perché questo anelito non susciti le "passioni" o le idolatrie.
Se si intuisce la portata di questa nozione di “natura”, si comprende come l'essere umano nella sua totalità e fin nella sua struttura e nei ritmi corporei è costituito per diventare il Tempio dello Spirito (l'espressione è paolina, come si sa). Noi abbiamo fatto del cristianesimo troppo un affare dell'anima, un affare psicologico (o alla fine, una ideologia..,); ma nella tradizione della Chiesa indivisa si trova l'idea assai forte che l'uomo è creato per unirsi a Dio in tutto il suo essere, spirito, anima e corpo, intendendo per spirito non una facoltà particolare, ma quel centro in cui tutte le facoltà si uniscono, in cui l'uomo intero insieme si raccoglie e si supera, insomma la iscrizione in tutta la natura dell'uomo della sua vocazione personale. Un occidentale, vincolato a una specie di platonismo inconscio, tende ad avvicinare lo Spirito allo spirito, e a disprezzare il corpo. In realtà, il Dio vivente trascende altrettanto radicalmente l'intelligibile e il sensibile, e trasfigura l'uno quanto l'altro.
L'antropologia dell'esicasmo è dunque assai biblica, cioè assai unitaria; essa mette tutto l'accento sui due ritmi fondamentali della nostra esistenza psicosomatica, quello della respirazione e quello del cuore. Il ritmo respiratorio è il solo che noi possiamo controllare volontariamente, non per dominarlo, ma per offrirlo: esso determina la nostra temporalità vissuta, l'accelera o la pacifica, la racchiude su se stessa o l'apre sulla Presenza. Il ritmo del cuore ordina lo spazio-tempo attorno a un centro, di cui tutte le tradizioni sanno che è abissale, che può aprirsi verso la trascendenza: è la «caverna del cuore» delle tradizioni arcaiche dell'India... Questi due ritmi sono stati dati dal Creatore per permettere alla sua vita divina di impadronirsi dell'intimo del nostro essere, di conoscere e penetrare di luce tutta la nostra esistenza. Si potrebbe quasi dire, non solo la nostra esistenza corporea, ma, partendo da questa, perché il battesimo ci innesta nel Corpo di Cristo, e attraverso il corpo (con-corporei) e il sangue (consanguinei) siamo uniti a Cristo; certo, il Corpo di Cristo designa la sua umanità intera, ma il linguaggio non inganna: il corpo costituisce la radice e l'espressione ultima dell'Incarnazione. Dobbiamo prendere sul serio l'ingiunzione: « Dovete sapere che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi... Glorificate dunque Dio nel vostro corpo! » (1 Cor 6, 19-20)
Una certa poesia ci guida qui non verso l'immaginario, ma verso la profondità, verso un simbolismo vero che si iscrive nella natura delle cose, che il Logos ordina e che il Pneuma vivifica.
« Il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita, e l'uomo divenne un essere vivente » (Gn 2, 7). Si precisa così una corrispondenza, una analogia-partecipazione, tra lo Spirito in quanto Soffio vivificante di Dio e la respirazione come soffio vitale dell'uomo. L'uomo è chiamato a fondere il suo alito con il Soffio divino, a « respirare lo Spirito Santo » come scrive Gregorio Sinaita. Ciò egli attua quando fa coincidere con la sua respirazione il Nome di Gesù, poiché lo Spirito, in Dio come nell'uomo, è l' "enunciatore del Verbo".
Una simile analogia esiste anche tra il cuore come centro di integrazione dell'uomo, « sole del corpo», e Cristo « sole di giustizia , cuore della Chiesa e, attraverso essa, dell'universo: perché la Chiesa non è altro che l'universo in via di trasfigurazione, reso attento al suo cuore. Questo tema di Cristo-cuore, cuore della Chiesa e di ciascuno dei suoi membri, è fondamentale per uno spirituale e liturgista laico della fine del medioevo, Nicola Cabasilas, che scriveva per i laici e dava alla tradizione esicastica una tonalità direttamente sacramentale.
Il tema del cuore, infatti è legato a quello del sangue. Quando l'uomo primitivo e, in parte, l'uomo biblico, medita sul sangue, lo vede liquido come l'acqua, ma rosso e caldo come il fuoco. Il sangue è in qualche modo un'acqua pneumatizzata, portatrice del mistero della vita e che appartiene solo a Dio, come mette in luce la legge noachita.
Le acque simboleggiano la vibrazione originaria del creato sotto il soffio che suscita la vita. All'origine, lo Spirito aleggia sulle acque, le «cova», le rende docili alle ingiunzioni del Verbo. E certo in noi, attorno a noi, il peccato indurisce l'essere creato, lo rende insensibile allo Spirito. Solo il sangue che sgorga dal costato, come dal cuore, del Crocifisso, può consacrare di nuovo la terra: solo il sangue eucaristico può accendere di nuovo il fuoco dello Spirito nel sangue, nel nostro cuore A condizione che l'esistenza in noi perda la sua durezza, che il cuore di pietra si dissolva nella matrice delle acque nuovamente originali, del battesimo e delle lacrime, attualizzazione del battesimo dello Spirito.
Attraverso questi simboli che si corrispondono, si vede precisarsi il legame del respiro umano, del Soffio divino, della grazia battesimale, del sangue e del cuore.
Tutto questo converge nell'idea di una intelligenza che non è solo cerebrale, intelligenza della testa e della razionalità decaduta, che oppone e confonde; come pure nell'idea di un "sentire", di una "sensazione" che non è solo del cuore organico e delle viscere, nell'idea dunque di una intelligenza del cuore spirituale (che non coincide affatto con il cuore fisico, ma si trova un po' più in alto) e di una sensazione del cuore spirituale. Come se il cuore unisse, trasformasse, nel crogiolo della grazia, la testa e le viscere, per una conoscenza di fede e di amore, per una "sensazione di Dio" in cui l'uomo intero supera se stesso, si equilibra e si infiamma. La Bibbia parla continuamente di "cuore-spirito", ossia di cuore che intende. Il Vangelo dice: « Amerai Dio con tutto il tuo cuore »; in una redazione più tardiva, adattata a una mentalità ellenistica, si è voluto precisare: « con tutto il tuo cuore e con tutta la tua mente »; ma, biblicamente parlando, « con tutto il tuo cuore » basta, poiché significa « con tutta la tua intelligenza ».
Il fondamento di queste analogie è la creazione dell'uomo a immagine di Dio; e ciò spiega la loro presenza, almeno parziale, nella maggior parte delle tradizioni dell'umanità. Ma la creazione, compromessa, è restaurata, o meglio "instaurata" soltanto in Cristo, nel quale, perciò, queste analogie trovano la loro origine e il loro compimento. Cristo, infatti, ha fatto dell'umanità il tempio dello Spirito; il suo soffio è il "principio di vita",la sua carne e il suo sangue - che attraverso il pane e il vino assumono tutto il cosmo e tutta la storia degli uomini - sono il solo nutrimento di eternità.
La "preghiera di Gesù" è, d'altra parte, legata al mistero del Nome.
Il tema del nome si ritrova ovunque nella storia delle religioni, come nella celebrazione poetica, o rituale, delle amicizie e degli amori umani. Il nome è sempre stato sentito come espressione della presenza Nelle religioni arcaiche, la magia è spesso conoscere da vicino il nome di dio, dominare la sua potenza (ma il dio in questo caso è solo la maschera di un divino impersonale). Nella Bibbia, si ha un sorprendente capovolgimento: non si pretende più di dominare la potenza di Dio; il Dio vivente prende una distanza folgorante, diventa inaccessibile; l'invocazione del Nome diventa eccezionale, terrificante. Il Tetragramma era pronunciato una sola volta all'anno, il giorno dello Yom Kippur, quando il sommo sacerdote entrava nel "santo dei santi". E anche questa denominazione si è perduta, è stata (volontariamente?) dimenticata: si è chiamato il Signore col nome di Adonai, o Elohim, un plurale che designa il balzo « fuori di sé » dell'Inaccessibile. Nelle religioni della trascendenza pura, Ebraismo e Islam, non si pretende più di conoscere il Nome; si sa soltanto che Dio stabilisce sovranamente con l'uomo certi tipi di relazioni, e che ciascuna di esse può essere evocata da un nome per definizione relativo (non, dunque, il Nome, ma i nomi: l'Islam ne enumera novantanove...).
Gesù si rivela il Nome proprio di Dio, ed è un nome «es-propriato ». Dio esce dalla sua trascendenza inaccessibile e si rivela a noi sulla croce: in questa kenosi inimmaginabile, in questa espropriazione totale, egli ci rivela il suo vero nome. Gesù, nome abbastanza comune nell'antico Israele, significa « Dio salva », « Dio libera », « Dio ci porta al largo ». Ma solo dopo il Getsemani e il Golgota, dopo la discesa di Gesù nella morte e negli inferi, noi sappiamo da che cosa siamo salvati, da che cosa siamo liberati, in quale "largo" siamo portati, che non è altro che il largo dello Spirito.
Il paradosso dell'Inaccessibile e del Crocifisso, questa grande antinomia apofatica, ci permette di balbettare al di là di ogni sentimentalismo l'equazione giovannea: « Dio è amore ». Noi non invochiamo il Nome come i popoli primitivi che vogliono dominare una potenza, ma ci offriamo a una presenza infinitamente partecipabile e insieme inaccessibile. Non invochiamo neppure il nome soprattutto con timore e tremore, come fanno l'Ebraismo e l'Islam, per i quali esso è piuttosto uno dei nomi che costituiscono come il risvolto misterioso del Trascendente. Dio, per noi, è rientrato nel centro della sua creazione, attraverso il "sì" di una donna; e lui, il fuoco divorante, viene a noi « dolce e umile di cuore », nella presenza di Gesù, nel soffio leggero dello Spirito, nel balbettamento infantile, così familiare, così fiducioso: Abba, Padre, nel pane e nel vino condivisi dell'eucaristia.
Perciò, all'opposto di quel che spesso si pensa, il Nome proprio di Dio, il nome espropriato dell’Amore, non mi pare limitarsi alla sola invocazione del Nome di Gesù: esso si dispiega nell'intera formula: « Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio », che è una formula trinitaria.
La « preghiera di Gesù", quale si è tipizzata nei sec. XIII e XIV: « Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore », amalgama l'invocazione del pubblicano e il grido del cieco del Vangelo: ma è una invocazione trinitaria. Noi invochiamo Gesù, lo chiamiamo Cristo e Signore, perciò confessiamo la sua divinità. Ora, « nessuno può dire che Gesù è il Signore, se non nello Spirito Santo »(1 Cor 12, 3). Dire che egli è il Cristo, è ricordare che lo Spirito riposa su di lui, in lui, poiché lo Spirito, da tutta l'eternità, è « l'unzione del Figlio », come notava S. Gregorio di Nissa: "Dunque noi invochiamo nello Spirito, e designiamo lo Spirito stesso designando l'Unzione che egli opera di Gesù il Cristo. Infine, noi diciamo di Gesù che è « Figlio di Dio » e Dio, in questa formula, come in tutto il cristianesimo antico, è il Padre, "sorgente" della divinità e "principio" del Figlio e dello Spirito. Dire « Gesù Cristo Figlio di Dio » è entrare nel mistero della patri-filiazione, è nominare il Padre.
La « preghiera di Gesù" - ed è l'ultimo elemento del suo contesto di cui mi sembra essenziale parlare - si pone in una prospettiva sacramentate: essa infatti ha come scopo una presa di coscienza della grazia battesimale, un incontro personale con Cristo che sia anche vita-in-Cristo, un "respirare lo Spirito" (poiché il corpo sacramentale di Cristo è un corpo “pneumatico”, un luogo pentecostale), un'attualizzazione dell'energia trinitaria che, per un cristiano, non è mai impersonale, ma si attua nello Spirito, attraverso Cristo, verso il Padre.
Il battesimo, di cui la crismazione, da esso inseparabile nell'Oriente cristiano, accentua l'aspetto carismatico, è la grande iniziazione cristiana: discendere nelle acque della morte, discendere negli inferi con Cristo e risalire con lui, in lui, risorgere in Cristo; ossia possibilità di trasformare ormai l'angoscia della morte in giubilo nello Spirito. Il battezzato porta ormai nel suo inconscio non solo le tracce del suo destino individuale e collettivo, ma Dio stesso (come hanno scoperto a modo loro gli "psicanalisti dell’esistenza"). Come qualsiasi uomo creato, direbbe qualcuno...: di più, vogliamo precisare, poiché una certa esteriorità e impersonalità di Dio è superata; esteriorità delle religioni della trascendenza chiusa, dove la fede rimane di ordine etico, impersonalità del lontano Oriente, dove l'immersione nel divino dissolve l'uomo. Con il battesimo, il Dio vivente, l'inaccessibile, si rende pienamente partecipabile nell' "abisso" del cuore.
S. Giovanni Crisostomo afferma che un adulto, nel ricevere il battesimo, percepisce fuggevolmente una reale illuminazione, la quale però si rifugia immediatamente nell'inconscio. Occorre perciò lavorare - ed è questo il vero significato dell'ascesi - per riprendere coscienza di questa presenza che occupa la profondità del nostro essere. C'è una santità, ormai, nella nostra stessa esistenza corporale innestata, mediante il battesimo, nel corpo del « solo Santo »; c'è una santità nel nostro corpo concorporeo al suo, penetrato dall'incandescenza eucaristica. Quella che può adulterarsi e prostituirsi è la nostra anima, o meglio la nostra coscienza; ed è questa che occorre rendere attenta al mistero presente nel cuore
La "preghiera di Gesù" ha lo scopo di « circoscrivere l'incorporeo nel corporale », di ricostruire l'unità estatica del "cuore cosciente". Prendere coscienza della grazia battesimale non è dunque altro che prendere coscienza della pienezza eucaristica. Vivere in Cristo è diventare un uomo eucaristico, entrare nella grande gioia dell'eucaristia, che è anche una grande gioia pentecostale, poiché ogni volta che celebriamo l'eucaristia entriamo nello spazio di una pentecoste che non avrà mai fine, che anticipa la Parusia, nella quale esploderà in tutta la sua forza: « Possediamo la vera luce, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste », cantano quelli che si sono comunicati: lo scopo della « preghiera di Gesù" è aiutarci a rendere durevole, limpida, interiore, questa visione della vera luce, questo accoglimento dello Spirito. L'invocazione del Nome di Gesù deve diventare una "epiclesi" sempre più permanente.
Il "cuore cosciente" è così un cuore ecclesiale: è insieme unificazione dell'uomo e presa di coscienza della consostanzialità in Cristo di tutti gli uomini. Per questo motivo i carismi concessi talvolta agli spirituali guarigione, profezia, chiaroveggenza, "simpatia", discernimento degli spiriti, paternità spirituale - sono ordinati all'edificazione della Chiesa. Anche se rimanesse solo e anonimo fino al termine della sua vita, lo spirituale, con la sua semplice azione di presenza, sarebbe una sorgente di benedizioni per la Chiesa, per l'umanità, per l'universo. Egli avvolge tutto nella sua preghiera; è il sale della terra, la luce del mondo, lui che, come l'apostolo, è convinto di essere solo la "spazzatura" del mondo.
A questa presa di coscienza della grazia sacramentale è legata, inseparabilmente, una lettura adorante, e quasi sacramentale, anch'essa, della parola di Dio. E' ciò che il monachesimo occidentale chiama lectio divina questa manducazione quasi-eucaristica del senso spirituale. Una lettura simile permette poi di portare in sé una parola, una frase, un germe di vita, come un balsamo che nobilita l'anima per parecchie ore. Si lasciano scorrere in sé i Salmi, ma d'improvviso una frase, un'espressione tocca il cuore: bisogna conservare in sé questa ferita di trascendenza: « Il tuo amore mi ha ferito; cammino in te cantando », diceva S. Giovanni Climaco.
Tra le storie del Deserto, si trova quella di un uomo che si recò a trovare un abba e gli chiese come doveva pregare. «Bisogna recitare i Salmi », rispose il monaco; e poiché l'altro non ne sapeva nulla, gli insegna il primo versetto del Salmo 1: « Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi... »; e aggiunge: « Va', medita questa parola, poi torna, e ti insegnerò il seguito ». L'uomo partì, e il monaco non lo rivide più, almeno per molti anni: la sua meditazione si era nutrita di quelle poche parole, ed egli era divenuto santo...
La Bibbia e la Philokalia sono inseparabili. L'autore dei Racconti di un pellegrino russo narra che egli portava nella sua bisaccia solo questi due libri: « Il Vangelo è come la preghiera di Gesù – scrive - perché il Nome divino racchiude in sé tutte le verità evangeliche ». « Quando ho cominciato a capire meglio la Bibbia grazie alla Filocalia, vi ho trovato sempre meno passi oscuri. I Padri dicono con ragione che la Filocalia è la chiave che svela i misteri nascosti nella Scrittura ». Oggi abbiamo soprattutto bisogno di una ermeneutica della preghiera. « Cominciavo a comprendere il senso nascosto della Parola di Dio - aggiunge il Pellegrino - e scoprivo ciò che significa "l'uomo interiore del cuore", "la preghiera vera", « l'adorazione nello spirito", “il Regno all'interno di noi”, "l'intercessione dello Spirito". Comprendevo il senso di quelle parole: "Voi siete in me", « essere rivestiti di Cristo», e molte altre ».
Ecco perché l'Oriente cristiano ha chiamato graphai, scritture, indistintamente la Bibbia, i suoi libri liturgici e i suoi commenti mistici; e si comprende anche come alcuni spirituali di questa tradizione abbiano potuto affermare che la distruzione materiale della Bibbia non avrebbe avuto per loro alcuna importanza, non solo perché la conoscevano a memoria, ma perché ne avevano penetrato il cuore. Al limite, il cuore "illetterato" (agrammatos) diventa la pagina bianca sulla quale Dio scrive direttamente, a caratteri di fuoco, il suo Verbo.
Tratto da O. Clement, J. Serr, LA PREGHIERA DEL CUORE, ed. Ancora - a cui si rimanda per l'approfondimento