Olivier Clement

La preghiera di Gesù nell’oriente cristiano


 


« Anche a voi accade di vegliare - diceva a interlocutori laici uno dei più grandi padri spirituali dell'Athos, p. Paissio - per esempio quando vi alzate per accudire o consolare il vostro bambino. Noi, monaci, vegliamo per consolare gli uomini stretti dall'angoscia nella notte ».



 

Questo testo, quasi completamente rifatto e sviluppato nel 1977, fu inizialmente presentato ai monaci dell'abbazia di Tamié (Savoia) il 29 maggio 1970.

 

Vorrei presentare a chi mi legge alcune forme specifiche di preghiera dell'Oriente cristiano, e in modo particolare degli ambienti monastici - proprio a monaci, anzi, lascerò spesso la parola  - ma che si sono diffuse, in epoche decisive della storia della Chiesa, ad esempio nel ‘300 e nell'800, ma anche in questa nostra epoca, in vasti ambienti laicali.

Intendo parlare di quella che si chiama la « preghiera di Gesù »; sembrerebbe più esatto dire “a Gesù”, ma è pur vero che, attraverso di lui, essa si fonde con la sua stessa preghiera, nella misteriosa intimità con il Padre.

Oggi, in Occidente, si tende spesso a “obiettivare” tale preghiera, assimilandola a metodi desunti da pratiche religiose dell'Oriente non cristiano (come il dhikr musulmano, lo japa-yoga indù, il nembutsu giapponese): con ciò la si isola dal suo contesto ecclesiale e dal suo ambiente ascetico, quelli dell’esicasmo. Questa parola viene dalla nozione di hesychia che, nel linguaggio dei monaci, designa il silenzio, la pace dell'unione con Dio; hesychia è in fondo, sinonimo di quies, la pace del profondo, così importante nella tradizione benedettina.

Vi è in tutto ciò - e la "preghiera di Gesù" ne costituisce solo un aspetto - una "arte delle arti -, una "scienza delle scienze", di cui si possono incontrare le prime testimonianze scritte leggendo i testi tradotti da Jean Gouillard nella Petite Philocalie de la prière du coeur, a loro volta estratti dalla Philocalie des saints neptiques  (da nepsis: sobrietà, veglia, vigilanza), vasta raccolta di scritti ascetici e mistici redatta alla fine del XVIII secolo dall'ex metropolita di Corinto, Macario, e presentata da un ex monaco dell'Athos, S. Nicodemo Agiorita.

Questa grande Phìlokalia greca è stata pubblicata nel 1782 a Venezia, poi tradotta in sloveno, in russo, in rumeno; e si può dire che essa ha strutturato il rinnovamento parziale della Chiesa ortodossa nel secolo scorso, sia nel mondo greco come in quello russo e nei paesi rumeni. Gli estratti tradotti da J. Gouillard hanno l'inconveniente di isolare il metodo psico-somatico della a "preghiera di Gesù", sul quale si concentrano, dal suo contesto ecclesiale, teologico e ascetico, favorendo così il controsenso che ho denunciato all'inizio. Dobbiamo dunque rallegrarci che le Edizioni di Bellefontaine stiano pubblicando, a partire dal 1977 in fascicoli successivi, una traduzione integrale della Philokalia del 1782.

 

Ogni raccolta di testi ascetici e mistici è una Filocalia; vi sono state parecchie Filocalie, conosciute o ignote, nella storia della Chiesa, e molti di noi hanno probabilmente una loro "Filocalia" personale...

Philokalia significa "amore della bellezza», di quella bellezza insieme ontologica e personale che irradia dal volto di Cristo e attrae il nostro amore. « L'anima si impegna al seguito della bellezza di Cristo », scrive Teolepto di Filadelfia. Bellezza della gloria "tri-solare" che fa di ogni volto un'icona, e trasforma il mondo in un "roveto ardente».

La Chiesa Ortodossa è profondamente "philo-kalica" per l'importanza che attribuisce alla liturgia come « cielo sulla terra », per la sua concezione liturgica dell'esistenza. La bellezza è un Nome divino divenuto, o piuttosto ridivenuto in Cristo un Nome divino-umano, divino-cosmico; un Nome, cioè una modalità della presenza divina.

Quando si sfogliano testi di questa tradizione, si rimane colpiti dall'apparente stranezza di alcuni:

« La preghiera di Gesù deve fondersi con la respirazione, così tu conoscerai il frutto del silenzio ».

O ancora:

« Beato colui il cui pensiero si è confuso con l'invocazione del Nome di Gesù e che la dice continuamente nel suo cuore, come l'aria è legata al corpo, o la fiamma alla lampada ».

Fin da principio appaiono legati, in questa forma di preghiera, il tema della respirazione e quello del cuore:

« Persevera nel Nome del Signore Gesù, perché il tuo cuore beva il Signore, e il Signore beva il tuo cuore, e così i due diventino una cosa sola »: tema di una interiorizzazione dell'eucaristia.

Ora, tutto questo non è esoterismo, nè curiosità esotica: è l'asse discreto, ma non segreto, di tutta la vita ecclesiale dell'Oriente cristiano. E questa preghiera può essere praticata in tutti i gradi di coscienza e di intensità.

In alcuni monaci, spesso portati a un semi-eremitismo o a una reclusione totale, interviene una grazia speciale di preghiera per « dedicarsi all'opera del silenzio ». La « preghiera di Gesù » si pone, per essi, entro una ascesi metodica e rigorosa (« farsi violenza in ogni cosa », diventare uno di quei violenti che si impadroniscono del Regno di Dio!). Questi uomini si trasformano così, a poco a poco, in colonne di intercessione, in padri spirituali che la loro stessa reclusione, mentre li immerge come anonimi nell'oceano della vita trinitaria, rende capaci di una prodigiosa "chiaroveggenza». Isolati da tutti, essi sono veramente uniti a tutti, come diceva Evagrio. Nascosti in uno spazio ristretto e chiuso, essi trascendono lo spazio.

Vorrei ricordare qui l'esempio di uno dei Padri del deserto di Gaza, del secolo VI, Barsanufio. Era un recluso, e la minima distrazione gli riusciva insopportabile, tanto egli viveva intensamente il "solo a solo" con Dio. Ma i suoi figli spirituali gli scrivevano, ed egli dettava le sue risposte, frutto di un meraviglioso discernimento, al superiore del monastero. Si era sparsa la voce che Barsanufio non esisteva, e che era un'astuzia escogitata per umiltà dal superiore; allora il « vegliardo » uscì per un istante dalla sua reclusione, lavò in silenzio i piedi di tutti i monaci, poi tornò al suo ritiro.

Tuttavia la "preghiera di Gesù" può anche essere praticata in una maniera assai umile, non sistematica, e a questo scopo è stata ripetutamente riadattata. I grandi monaci l'hanno diffusa a più riprese nel popolo cristiano, e S. Gregorio Palamas ha esplicitamente messo in rilievo la legittimità di tale diffusione. Si pensi, anche oggi, per l'Europa occidentale, all'irradiazione discreta e profonda del monastero di Maldou, dove si prolunga l'eredità spirituale dello starec Silvano, morto nel 1938 all'Athos. Si potrebbe anche dire che la preghiera di Gesù, umilmente utilizzata, conviene particolarmente all'uomo d'oggi, che crede di "non aver tempo di pregare".

Se si pratica almeno un poco questa preghiera, si scopre che si ha per pregare molto più tempo di quanto si supponeva: quando si sale una scala, o si esegue un lavoro ripetitivo, o si fa uno stacco nel corso di una conversazione, o ci si raccoglie un istante durante un lavoro intellettuale, e la notte, quando si è venuti a consolare un bambino che piange... « Anche a voi accade di vegliare - diceva a interlocutori laici uno dei più grandi padri spirituali dell'Athos, p. Paissio - per esempio quando vi alzate per accudire o consolare il vostro bambino. Noi, monaci, vegliamo per consolare gli uomini stretti dall'angoscia nella notte ».

Un « monaco della Chiesa d'Oriente" (p. Lev Gillet) ha scritto: « L'invocazione del Nome di Gesù è alla portata degli adoratori più umili, e nondimeno introduce nei misteri più profondi. Essa si adatta a tutte le circostanze di tempo e di luogo: i lavori dei campi, dell'officina, d'ufficio, di casa, sono compatibili con essa »

 

Tratto da O. Clement, J. Serr, LA PREGHIERA DEL CUORE, ed. Ancora - a cui si rimanda per l'approfondimento