Archimandrita Sofronio

Appunti di un padre spirituale athonita

 

Parte II
 

 


Attraverso il pianto del pentimento, che avviene nella preghiera, la nostra essenza si purifica, e allora nasce la speranza. Ed è la speranza, il grado più alto di amore per Dio

 

Bisogna che la conoscenza di Dio dimori sulla terra, perché gli uomini non errino come pecore senza pastore. La perdita della vera conoscenza di Dio, dataci da Cristo e dallo Spirito santo, sarebbe un danno per tutto il mondo, che non può essere compensato con nulla.

 

Avanti, ciò che cerco è avanti, tanto lontano, e io non ho che pochi giorni, che passano in fretta. La mia anima si è inaridita nella routine di questo mondo, e io ho bisogno dell'acqua viva che scaturisce dal mio Creatore e "che zampilla per la vita eterna.

 

Anche tutto il mio corpo pregava contraendosi con grande intensità. La fronte era schiacciata a terra con forza, le lacrime scorrevano calde e copiose, sciogliendo in me le dure pietre delle passioni.

 

Nell'uomo interiore erano l'inizio, la fine e il compimento; di là venivano tutte le cose e là facevano ritorno. Senza un'intensa preghiera del cuore, senza l'ininterrotta accoglienza della Parola e della benedizione di Dio, il compito del padre spirituale sarà vano; e anche la chiesa, senza l'incessante insegnamento che le viene dall'alto, si trasformerà in una delle forze cieche di questo mondo, che in continuo conflitto tra loro portano disordine e distruzione nella vita dell'universo


 

Chi conosce la storia della chiesa di Cristo sa la fatica che è stata necessaria, nel corso dei secoli, per definire la coscienza dogmatica che la chiesa ha di Dio e di se stessa, al fine di prevenire le deviazioni che deformerebbero la vita spirituale dei suoi membri, presi singolarmente, e dello stesso corpo ecclesiale nella sua sostanza.

Noi abbiamo la certezza, che viene da un esperienza secolare, che a ogni membro della chiesa si apra una via verso stadi più perfetti, possibili in terra e in cielo, di conoscenza di Dio, indipendentemente da qualsiasi estrazione sociale o posizione gerarchica. Prendiamo ad esempio san Serafim di Sarov o lo starec Silvano, più vicini a noi nel tempo, o il metropolita Filarete di Mosca o Ioann di Kronstadt. Potremmo risalire fino agli inizi della chiesa, agli apostoli, che erano poveri pescatori. Questi esempi bastano. Se fosse stato diverso, l'ascensione alle sfere divine sarebbe dipesa da una scuola umana. Il Signore ci ha mostrato nella sua vita che Dio Padre è più vicino ai piccoli" e ai diseredati:

I settantadue discepoli tornarono pieni di gioia dicendo: "Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome". Egli disse: "Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare. Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli". In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito santo e disse: "Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Lc 10,17-22).

E ancora:

I giudei ne erano stupiti e dicevano: "Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato?". Gesù rispose: "La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato. Chi vuoi fare la sua volontà, conoscerà se questa dottrina viene da Dio, o se io [come uomo] parlo da me stesso" (Gv 7,15-17).

La scienza umana dà gli strumenti per esprimere l'esperienza, ma non può comunicare la conoscenza che veramente salva senza la cooperazione della grazia. La conoscenza di Dio è quotidiana, non di tipo astratto e intellettuale. Migliaia e migliaia di teologi professionisti ricevono diplomi di studi superiori, ma rimangono in effetti dei completi ignoranti per quanto riguarda lo Spirito. E ciò perché non vivono secondo i comandamenti di Cristo e si privano della luce della conoscenza di Dio. Dio è amore. E questo amore si ottiene per mezzo del pentimento che spezza le ossa e del timore di Dio: "Non abbiate paura di coloro che uccidono il corpo e poi non possono fare niente di più... abbiate paura di chi, oltre a uccidere il corpo, ha il potere di buttarvi nella Geenna: oh, vi dico, di questo abbiate paura" (Mt 12,4-5). Secondo quanto affermano i padri della nostra chiesa, se non si passa per la fornace di fuoco del timore di Dio, l'amore divino non si insedia nell'anima. Questo amore comprende tutto l'essere, unisce con il Signore onnipotente, il Dio dell'amore, è la luce, gioiello a nulla paragonabile. Perdere questa perla è una cosa terribile.
    La natura del timore di Dio è indescrivibile. Si può in qualche modo parlare del "nodo" costituito dalla condizione spirituale dell'uomo: la fede in Cristo è il principio dell'amore, ma anche la luce prima dell'alba.
    Questa fede suscita in noi un profondo pentimento e il timore di perdere il tesoro conquistato, di perdere l'amicizia con Dio. Attraverso il pianto del pentimento, che avviene nella preghiera, la nostra essenza si purifica, e allora nasce la speranza. Ed è la speranza, il grado più alto di amore per Dio, ad accrescere il timore di non meritarsi di essere con lui per sempre. Ogni volta che il nostro spirito ascende a un amore più grande, passiamo immancabilmente attraverso una paura sempre maggiore. Quando il grande amore di Cristo ci toccherà il cuore e la mente, nella fiamma di questo sacro amore il nostro spirito abbraccerà tutto l'essere con la grande compassione data dall'amore, e il senso del passaggio all'eternità divina acquisterà una forza insuperabile. Allora l'amore perfetto scaccia il timore. Questo evento è il più grande di tutti gli eventi della storia del mondo, poiché Dio si unisce con l'uomo.
    Perdonatemi: non ho la forza di rendere a parole 1' "abbondanza di vita" che ci è stata donata in Cristo. Non vedo come sia possibile raffigurare in qualche modo, in tutto il suo carattere paradossale, questo meraviglioso sviluppo della vita che ricolma il cuore. Ecco, mi odio per come sono e, a causa di ciò, la preghiera si fa quasi insensata, sembra inghiottire ogni cosa, strapparmi da tutto il creato e trasportare il mio spirito nell'infinità portatrice di luce, in un abisso indescrivibile. Qui dimentico l'amarezza provocata da quest'odio greve verso di me: tutto infatti diventa amore di Dio, in un totale estraniamento a se stessi. L'odio verso la propria persona e l'amore per Dio s'intrecciano in modo così singolare. Lo stesso è con la paura, la quale mi divora fino a farmi provare un gran dolore, che l'amore però cura, e così non la ricordo. Ma quando il nostro spirito ritorna dal banchetto dell'amore divino in Cristo, allora si riaffaccia nuovamente il timore che l'allontanamento da quella luce e da quella vita possa durare in eterno.
    L'uomo che ha conosciuto Dio nella preghiera non vuole tornare a questo mondo, ma l'amore per Cristo è inscindibile da quello per il prossimo, per l'altro. Vivere e agire nella quotidianità della terra è possibile solo se la grazia diminuisce. In una situazione in cui la preghiera è particolarmente tesa e ininterrotta, come e di che cosa si potrà parlare con gli uomini sofferenti, che lottano per il pane e la casa, per la famiglia, contro le disgrazie nel lavoro o le malattie, preoccupati per le proprie vite o per quelle dei loro cari? Non si può aiutare l'uomo se se ne disprezzano i bisogni basilari. Nel servizio cristiano è fondamentale la compassione dell'amore. E' necessario che accogliamo nel nostro cuore le difficoltà e la pena di coloro che si rivolgono a noi, oppure si dev'essere capaci di trovare un varco per entrare nel loro cuore, nelle loro pene, e condividerle. Bisognerà anche correre il rischio di essere presi nel fuoco dei loro conflitti, contagiati dalla loro litigiosità e infastiditi dalle loro contraddizioni, dalla disubbidienza, talvolta anche dall'ostilità manifesta nei nostri confronti. Li si serve, si dà loro la sacra dignità, acquisita in molti anni di pianto, e loro sono scontenti! Dovremo abbandonarli? Oppure deporre la nostra vita per loro come il Pastore buono, come hanno fatto anche tutti gli apostoli e i pastori loro eredi?

"Fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità ... il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le chiese. Chi è debole, che anch'io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?" (2Cor 11,27-29). E ancora: "Come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia. Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere. Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne. Per conto mio, sono convinto che resterò e continuerò a essere d'aiuto a voi tutti, per il progresso e la gioia della vostra fede" (Fil 1,20-25).
 

In uno stato di lacerazione analogo vivono coloro che sono gravati dall'impegno pastorale. Da un lato, c'è la chiara consapevolezza che non vi è alcuna utilità per l'uomo se guadagna tutto il mondo, ma perde la sua anima (cf. Mc 8,36), ma, dall'altro, c'è l'ordine del Signore: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo" (Mt 28,19). "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (Mt 10,8). Di pari passo a tutto ciò si oppone la riflessione che la necessità più impellente del mondo umano è conoscere il vero Dio (cf. Gv 17,3). Ma come trovarlo? E così, bisogna che la conoscenza di Dio dimori sulla terra, perché gli uomini non errino come pecore senza pastore. Questa conoscenza è così importante, che sant'Isacco il Siro afferma una cosa tremenda, che comprendiamo a fatica e non riusciamo ad accettare senza dolore:

"Non paragonare chi compie segni, miracoli e prodigi nel mondo con la conoscenza di chi rimane nel silenzio. Preferisci l'inoperosità del silenzio all'impresa di nutrire gli affamati nel mondo e di convertire molti popoli ad adorare Dio".

 

Anteporre l'inoperosità esteriore del silenzio, dell'esychia, alla soddisfazione di chi ha fame? Vi sono due tipi di persone che hanno fame: chi con il corpo e chi con la mente. "Verranno giorni - dice il Signore Dio - in cui manderò la fame in terra, non fame di pane, né sete di acqua, ma la brama d'ascoltare le parole del Signore. E andranno errando da un mare all'altro e vagheranno da settentrione a oriente, per cercare le parole del Signore, ma non le troveranno. In quel giorno appassiranno le belle fanciulle e i giovani per la sete, che giurano per il peccato di Samaria e dicono: “Viva il tuo dio, Dan! E viva il tuo dio, Bersabea!'. Essi cadranno senza più rialzarsi”.

Ovunque un indefinito turbamento spirituale non cessa di alimentare la disperazione. Libri se ne pubblicano come non mai, ma purtroppo la maggior parte di essi ha carattere sincretistico e tenta di incollare in un tutt'uno elementi diversi, spesso opposti nella sostanza e praticamente incompatibili, e quindi la perplessità aumenta. Sant'Isacco il Siro considerava il pentimento e la quiete della mente la strada più sicura per arrivare a conoscere profondamente Dio e la vita in lui, realtà così rare sulla terra, che egli riteneva le più importanti. La perdita della vera conoscenza di Dio, dataci da Cristo e dallo Spirito santo, sarebbe un danno per tutto il mondo, che non può essere compensato con nulla.

Nella mia vita ho incontrato molte persone che hanno attraversato una seria crisi spirituale. A contatto con loro ricordavo la mia, durata anni e accompagnata da una tensione per me estrema. Quando in me ebbe vinto la preghiera, lasciai la professione di pittore ed entrai all'Istituto teologico "San Sergio" di Parigi. Qui erano riuniti dei bravi giovani e il corpo dei professori era a un buon livello. Tuttavia la preghiera mi "soffocava" giorno e notte, e così abbandonai l'istituto per andare sull'Athos, dove tutta la vita è concentrata sulla liturgia e la preghiera. Seguire corsi di discipline teologiche era per me impossibile allora, dato che, sforzandomi di assimilare le materie insegnate, non trovavo poi in me quell'integrità necessaria per tendere a Dio, cui mi ero già abituato nell'epoca precedente. Mi era chiaro che, se desideravo conoscere Dio, dovevo concedermi a lui in misura maggiore di quanto non avessi fatto con l'arte. L'eternità di Dio mi aveva sedotto.

Tuttavia, lasciando la Francia, cercavo ogni modo di bruciare i ponti dietro di me perché, in caso di tentennamenti, non potessi tornare al passato. Vissi un momento di tentazione quando, salendo dal mare al monastero, fui assalito da questo pensiero: "Ecco, ti stai dirigendo volontariamente in una prigione a vita!". E questo è stato l'unico caso in tutta la mia esistenza in cui il mio cuore per un istante ha dubitato. L'ho ricordato ora, ma per decenni non mi sono mai volto al passato: avanti, ciò che cerco è avanti, tanto lontano, e io non ho che pochi giorni, che passano in fretta. La mia anima si è inaridita nella routine di questo mondo, e io ho bisogno dell'acqua viva che scaturisce dal mio Creatore e "che zampilla per la vita eterna.

Scrivo e continuo a trattenermi dal parlare con quella lingua che, in effetti, sarebbe l'unica atta a esprimere il dolore tormentoso di tutto il mio essere nella ricerca del mio Dio e salvatore. Anche tutto il mio corpo pregava contraendosi con grande intensità. La fronte era schiacciata a terra con forza, le lacrime scorrevano calde e copiose, sciogliendo in me le dure pietre delle passioni. La tristezza del mio cuore era più forte e più profonda di quanto potesse essere per una qualsiasi perdita terrena. Io cercavo di aprirmi tutto a Dio, fino in fondo, lo pregavo di non respingermi dal suo cospetto, di farmi conoscere la vera strada che porta a lui, di allontanare da me ogni errore che potesse farmi deviare. Conoscevo la mia bassezza, la mia sporcizia, la mia ignoranza, la bruttura e la corruzione ed ero stanco di vedermi così come sono. Il mio bisogno di salvarmi con la forza dello Spirito santo era simile a quello del giovane, attratto avidamente dalla vita, ma ucciso senza pietà da una malattia.
     Dio mi si è rivelato ancor prima che entrassi alla scuola di teologia. Sull'Athos sono giunto libero da dubbi sull'autenticità del Figlio di Dio, l'unico a potermi rivelare suo Padre. Ma ero all'inferno: il Santo tra i santi, pensavo, non può accettare una tale turpitudine. E il mio grido perché mi rinnovassi in tutto l'essere era un grido nel deserto... non saprei come dire - era un deserto cosmico e non terreno -. E il dolore era fuori del tempo.

Quanto ho vissuto mi ha aiutato, da un lato, nella mia opera di padre spirituale, dapprima sulla Santa Montagna, con i monaci, e poi in Europa, con uomini di età, condizioni psichiche e livello intellettuale diversi; eppure, dall'altro, mi ha indotto in errore. Pensavo che tutti gli uomini anelassero a Dio con uguale forza, e qui stava il mio sbaglio. Giudicare tenendo me stesso come termine di paragone non sempre si è rivelato corretto.

Profonda era la consapevolezza della mia miseria, ma, malgrado ciò, non potei rifiutare il compito di padre spirituale che mi era stato assegnato e che non avevo assolutamente cercato. In generale all'epoca non cercavo niente in questo mondo, perché tutto il mio essere era attratto da Dio, davanti a cui avevo peccato così gravemente. Giudicando me stesso, con la mente vivevo nell'inferno. Solo in alcuni momenti ero afflitto dall'ostilità dimostratami da alcuni padri e fratelli del monastero, ma in complesso mi era del tutto indifferente la posizione che io occupavo a questo mondo  in che rapporto ero con persone più vecchie e più giovani di me. Non conoscevo l'invidia. Non esisteva per me rango sociale, o anche gerarchico, che potesse alleviare il fuoco che mi divorava l'anima. La presenza di questo fuoco dentro di me probabilmente irritava alcuni e forse, proprio a causa sua, il mio comportamento non appariva del tutto consueto agli uomini. Chissà. Io avevo solo bisogno del perdono di Dio e non prestavo attenzione a nient'altro.

Una volta, non molto prima della sua morte, lo starec Silvano, in modo per me inaspettato, disse: "Quando sarete padre spirituale, non rifiutatevi di accogliere chi viene da voi". In quel momento mi sentivo al limite delle mie forze fisiche, dato che ero spossato da una leggera forma di malaria, che in quegli anni mi tormentava.  Non sapevo quanto tempo mi rimanesse da vivere, e perciò non prestai attenzione alle parole dello starec. Pensavo non si fosse accorto di quanto ero malato. In effetti il suo comandamento sparì subito dalla mia coscienza.

Me ne sono ricordato quattro o cinque anni dopo quando, in modo ugualmente inaspettato, fui invitato dall'archimandrita Serafim a diventare padre spirituale e confessore nel loro monastero di San Paolo. Naturalmente, per obbedienza allo starec Silvano, non avanzai obiezioni e risposi che mi sarei presentato da loro nel giorno stabilito. Il compito toccatomi in sorte, quello d'essere padre spirituale, cambiò radicalmente il corso della mia vita, anche se non nel senso di un approfondimento della grazia, ma di una sua perdita. L'integrità della mia precedente ricerca era stata violata. La condizione di permanenza ininterrotta nell'”uomo interiore" era indebolita dalla necessità di concentrare l'attenzione su ciò che mi dicevano coloro che venivano da me a confessarsi. Sapevo che là, nell'uomo interiore erano l'inizio, la fine e il compimento; di là venivano tutte le cose e là facevano ritorno. Senza un'intensa preghiera del cuore, senza l'ininterrotta accoglienza della Parola e della benedizione di Dio, il compito del padre spirituale sarà vano; e anche la chiesa, senza l'incessante insegnamento che le viene dall'alto, si trasformerà in una delle forze cieche di questo mondo, che in continuo conflitto tra loro portano disordine e distruzione nella vita dell'universo.

 

Vedi anche: Archimandrita Sofronio: Appunti di un padre spirituale athonita: parte I

 

Tratto da: Archimandrita Sofronio, La preghiera: un'opera infinita, ed. Qiqajon a cui si rimanda per l'approfondimento