Vita di San Silvano del Monte Athos
Lo Spirito santo, che
santifica e vivifica la chiesa in ogni tempo, suscita in ogni epoca dei santi
che saranno, qualche generazione
più tardi, i modelli e gli intercessori proposti ai fedeli per aiutarli a
seguire Cristo sulla via dei comandamenti. Avviene così che coloro che si
lasciano modellare dallo Spirito sono sempre in anticipo rispetto alla loro
epoca e questo spiega, molto spesso, il fatto che la loro santità non sia
conosciuta dalla maggior parte dei contemporanei.
Tutta la vita dello starec Silvano si è svolta nel segno dell'attenzione al
soffio dello Spirito santo e del compimento dei comandamenti di Dio. Ecco perché
questo semplice contadino russo, divenuto monaco sulla Santa Montagna
dell'Athos, ci è consegnato oggi dalla chiesa quale "apostolico e profetico
maestro". Se la sua testimonianza ha già salvato migliaia di persone dalla
disperazione, nessun dubbio che la sua intercessione ne condurrà altre migliaia
a fare l'esperienza della misericordia. E la benevolenza divina, infatti, a
volere che sia onorato questo suo servo, la cui vita e i cui scritti rendono
gloria a Dio e sono un esempio per gli uomini di oggi.
Un semplice contadino russo
Simeone, figlio di Ivan Antonov, contadino della provincia di
Tambov, nasce nel 1866 nel villaggio di Chovsk. La famiglia è numerosa: oltre al
padre e alla madre essa comprende cinque figli e due figlie. È una famiglia
semplice e profondamente religiosa. Il padre è analfabeta, ma una fede profonda
ne rischiara l'intera vita. Così dirà di lui Silvano:
Da mio padre ho imparato a non affliggermi per la perdita dei beni materiali e a
confidare sempre nel Signore. Quando in casa sopraggiungeva una contrarietà, il
suo cuore non si turbava. Dopo un incendio che gli aveva distrutto ogni cosa,
non si disperò, ma ripeteva con fiducia:
"II Signore farà in modo che tutto si rimetta a posto". Una volta passavamo
vicino al nostro campo e io gli dissi: "Guarda, ci rubano il raccolto!". Ma egli
mi rispose: "Figlio mio, il Signore non ci ha mai fatto mancare il pane. Se
quell'uomo ruba è perché ne ha bisogno". Un'altra volta gli dissi: "Tu fai
sempre elemosine, ma altri, più ricchi di noi, danno molto meno". Ma egli
rispose: "Figlio mio, il Signore ci da il necessario" .
Come molti contadini del suo paese ama offrire ospitalità ai mercanti, ai
viandanti, e soprattutto ai pellegrini che percorrono l'immenso territorio
russo. Così, un giorno di festa, invita a casa sua un venditore ambulante di
libri nella speranza di imparare qualcosa di nuovo. Il piccolo Simeone non ha
ancora quattro anni, però segue la conversazione con attenzione. L'ospite, a cui
è stato offerto del tè e qualcosa da mangiare, cerca di provare che Cristo non è
Dio, e addirittura che Dio non esiste. Il bambino resta colpito, in particolare,
da queste parole: "Dov'è dunque questo Dio?", e pensa: "Quando sarò grande andrò
a cercare Dio per tutta la terra". Poi, una volta che l'ospite è partito, dice a
suo padre: "Tu mi insegni a pregare, ma quell'uomo dice che Dio non esiste!". Il
padre tenta di replicare: "Pensavo che fosse un uomo intelligente, ma vedo ora
che è uno sciocco. Non badare a ciò che ha detto"; ma ormai le parole del
mercante hanno insinuato il dubbio nel cuore del bambino.
Passano gli anni e Simeone diventa un giovanotto alto e vigoroso. Ha diciannove
anni quando, in una maniera semplicissima, trova la risposta al dubbio che gli è
rimasto così a lungo annidato nel profondo del cuore. Sta lavorando insieme con
un fratello come carpentiere ad alcune costruzioni nella proprietà del principe
Trubetzkoj, non lontano dal paese. La cuoca del cantiere ritorna da un
pellegrinaggio fatto alla tomba di un celebre asceta e racconta la vita santa di
quel recluso e i miracoli che hanno avuto luogo sulla sua tomba. Le sue parole
vengono confermate da alcuni anziani lì presenti e tutti sono d'accordo nel dire
che Giovanni era un santo. Allora Simeone pensa: "Se è santo, significa che Dio
è con noi, e allora io non ho bisogno di percorrere tutta la terra per
trovarlo".
Ed ecco che a questo pensiero il suo giovane cuore si infiamma di amore per Dio.
Simeone ha trovato la fede. Pensa incessantemente a Dio e prega molto versando
lacrime. Avverte in sé un cambiamento interiore e si sente attratto dalla vita
monastica. Ma suo padre gli nega il permesso di recarsi al monastero delle
Grotte a Kiev: "Fai prima il servizio militare, poi sarai libero di andarci".
Quello straordinario stato spirituale dura tré mesi, dopodiché Simeone si
rimette a vivere come tutti gli altri giovani del paese: esce con le ragazze,
suona la fisarmonica, beve vodka... Anche se tutto il villaggio ammira questo
bei giovane dal carattere amabile che semina la gioia attorno a sé, egli è
ancora ben lontano dall'essere un santo!
Simeone si innamora di una ragazza e, prima ancora che si arrivi a parlare di
matrimonio, una sera succede tra loro ciò che spesso succede. L'indomani, sul
lavoro, il padre gli dice con dolcezza: "Dov'eri, piccolo mio, ieri sera? Il mio
cuore era addolorato". Quelle parole dolci penetrano nell'anima di Simeone.
Un'altra volta, mentre il padre lavora nei campi insieme con i figli più grandi,
tocca a Simeone preparare da mangiare;
ma, dimenticando che è un venerdì, questi prepara un piatto di carne di maiale.
Tutti mangiano senza dir niente. Sei mesi dopo — si è già in inverno — un giorno
di festa il padre, sorridendo con dolcezza, gli dice: "Piccolo mio, ti ricordi
come ci hai dato da mangiare carne di maiale un giorno che eravamo nei campi?
Eppure era un venerdì. Sai, l'ho mangiata come se fosse una carogna". "Perché
non mi hai detto niente, allora?". "Non volevo ferirti, piccolo mio".
Più tardi, divenuto monaco, egli riconoscerà: "Non sono arrivato alla statura di
mio padre. Era un uomo completamente analfabeta. Anche quando recitava il Padre
Nostro — l'aveva imparato a forza di sentirlo in chiesa — ne pronunciava certe
parole in modo maldestro. Ma era un uomo pieno di dolcezza e di sapienza". E
ancora: "Ecco uno starec come vorrei averlo io. Non andava mai in collera, non
aveva mai alti e bassi, era sempre dolce. Pensate: pazientò sei mesi, attendendo
il momento adatto per correggermi senza ferirmi".
Già a quest'epoca egli è dotato di quella robustezza e di quella straordinaria
forza fisica chegli permetteranno di compiere certe ascesi fuori del comune sia
per qualità che per quantità.
Questa forza fisica, tuttavia, sarà la causa del suo più grave peccato, per il
quale farà una grande penitenza. È il pomeriggio della festa parrocchiale del
paese. Tutti i paesani sono usciti dalle loro case, in un'atmosfera gioiosa.
Simeone passeggia per la strada con un compagno e suona la fisarmonica. Vengono
loro incontro due fratelli, i calzolai del paese, di cui il maggiore, un tipo
grande, forte e attaccabrighe, è un po' sbronzo. Giunto alla loro altezza,
costui tenta di impadronirsi della fisarmonica, ma Simeone riesce a passarla
all'amico e invita il calzolaio a "continuare per la sua strada". Ma questi,
volendo indubbiamente far la figura del più forte dinanzi a tutto il paese
(infatti le ragazze già cominciano a ridere), avanza verso Simeone con tono
minaccioso. Simeone è propenso a cedere, poi d'un tratto è preso dalla vergogna
al pensiero che le ragazze lo prenderanno in giro e colpisce con violenza il suo
antagonista al petto. Il calzolaio viene scagliato lontano e cade pesantemente
sulla schiena in mezzo alla strada. Sangue e bava gli colano dalla bocca. Tutti
sono presi dallo spavento, soprattutto Simeone che pensa: "L'ho ucciso!". E
resta là, immobile. Il fratello del ferito raccoglie una grossa pietra e la
lancia con forza, ma Simeone si gira con prontezza e la pietra lo colpisce alla
schiena. Allora si volta e dice: "Che cerchi? Vuoi anche tu la tua parte?". E si
dirige verso di lui, ma l'altro fugge via. La gente accorre e si prende cura del
ferito che resta riverso sulla strada. Dopo mezz'ora riesce a rialzarsi e, a
fatica, è riportato a casa: ne avrà per due mesi, ma fortunatamente rimarrà in
vita. Quanto a Simeone, dovrà stare a lungo in guardia: i fratelli e gli amici
del calzolaio lo aspettano al varco, la sera, nelle viuzze, armati di randelli e
pugnali. Ma, dirà, "Dio mi ha custodito".
Come
spesso avviene, la prima chiamata di Dio alla vita monastica si sta affievolendo
nell'anima di Simeone. Il Signore allora lo chiama di nuovo mediante una
visione. Dopo un certo periodo trascorso nell'impurità, mentre se ne sta
assopito in un sonno leggero vede un serpente insinuarglisi in bocca e
penetrargli nel corpo. Si risveglia in preda a un violento disgusto e subito ode
una voce di straordinaria bellezza e dolcezza: "Hai ingoiato un serpente in
sogno, e questo ti ripugna. Allo stesso modo, neppure a me piace vedere quello
che tu fai". Fortemente scosso, Simeone ha subito la profonda convinzione che
quella sia la voce della santa Vergine. Fino alla fine dei suoi giorni egli
renderà grazie alla Madre di Dio per essersi degnata di visitarlo e di rialzarlo
dalla caduta. "Ora ho visto quanto il Signore e la Madre di Dio hanno pietà
degli uomini".
Questa seconda chiamata, che è intervenuta poco prima dell'inizio del servizio
militare, ha un'importanza decisiva nella scelta della via che ormai sta per
intraprendere. La sua vita, che aveva preso una brutta piega, conosce a questo
punto un mutamento radicale. Simeone prova una profonda vergogna per il proprio
passato e inizia un cammino di pentimento pieno di ardore. Un senso acuto del
peccato si risveglia in lui. Cambiano anche i suoi rapporti e le sue
conversazioni con gli altri. Un giorno di festa chiede a un uomo che sta
danzando e suonando la fisarmonica: "Ma come puoi, Stefano, suonare e danzare,
quando hai ucciso un uomo?" (Era successo durante una rissa tra ubriachi).
Quell'uomo trascina Simeone in disparte e gli dice: "Vedi, quand'ero in
prigione, ho molto pregato Dio perché mi perdonasse. Ed ecco, un giorno il letto
su cui mi trovavo in ginocchio, con la testa sprofondata nel cuscino, si mise a
tremare, e il mio cuore provò una grande gioia. Capii allora che Dio mi aveva
perdonato. Ecco perché ora suono, con l'anima in pace". E Simeone, che non molto
tempo prima è stato sul punto di uccidere un uomo, capisce che si può chiedere a
Dio il perdono dei peccati. E capisce anche la pace dell'anima di colui cui è
stato perdonato.
Un'altra volta, a forza di far opera di persuasione, riesce a convincere un
giovane, che non ci pensava minimamente, a sposare la ragazza che ha reso
incinta. Ma perché, allora, a sua volta non sposa la ragazza che ha amato (ma
che non è rimasta incinta)? Il fatto è che egli prega intensamente Dio di
permettergli di realizzare con l'anima in pace il suo desiderio di vita
monastica. Ed ecco che, mentre Simeone sta facendo il servizio militare, un
commerciante di granaglie si innamora della bella giovane e la sposa. Simeone
ringrazia Dio con fervore per aver dato ascolto alle sue preghiere, ma non
dimenticherà mai più il proprio sbaglio.
Simeone viene assegnato al battaglione del genio della guardia imperiale. E un
soldato coscienzioso, dal carattere dolce, irreprensibile nella condotta, molto
stimato da tutti. In questo tempo la sua fede si accresce: egli coltiva il
pentimento e custodisce incessantemente il ricordo di Dio in ogni circostanza.
Un giorno — la vigilia di una festa — egli si trova in città insieme con tré
compagni, in un grande ristorante popolare allietato da luci e musiche. Gli
altri mangiano, bevono, conversano allegramente; ma Simeone è silenzioso. Uno di
loro gli chiede: "Ma a cosa pensi?". "Penso che in questo momento noi siamo
comodamente seduti qui, in questo ristorante, e mangiamo, beviamo vodka,
ascoltiamo musica e ci divertiamo, mentre a quest'ora al Monte Athos si
celebrano le vigilie e i monaci pregheranno tutta la notte. Ebbene, chi di noi,
al giudizio finale, darà una risposta migliore, loro o noi?". Allora un altro
dice: "Che tipo, questo Simeone! Siamo qua che ascoltiamo musica e ci
divertiamo, e lui è con la mente al Monte Athos e al giudizio finale...". Le
parole di quel soldato possono dare un'idea di quello che è stato il periodo del
servizio militare di Simeone. Davvero egli pensa molto alla Santa Montagna.
A quest'epoca mostra già una grande saggezza e gli capita di dare consigli pieni
di sapienza ai propri compagni; ha compreso, in effetti, che la condizione
indispensabile per la pace fra gli uomini è il riconoscimento, da parte di
ciascuno, dei propri errori.
Quando sta per giungere alla fine del servizio militare, si reca insieme con il
segretario della sua compagnia dal padre Ivan di Cronstadt per chiedere le sue
preghiere e la sua benedizione. Già ha avuto modo di vedere quel santo arciprete
durante la divina liturgia: è fortemente colpito dalla potenza della sua
preghiera e dal suo modo di celebrare. Scriverà di lui: "II suo aspetto era
quello d'un uomo ordinario, ma la grazia divina conferiva al suo volto uno
splendore simile a quello di un angelo, e si era presi dal desiderio di
guardarlo". Quando il padre Ivan esce dalla chiesa, la folla gli si stringe
attorno e ciascuno vuole ricevere la sua benedizione. "Anche in una tale ressa
la sua anima dimorava incessantemente in Dio: pur in mezzo a una folla simile,
la sua attenzione non conosceva la dispersione ... perché egli amava gli uomini
e non cessava di pregare per loro".
Ma quel giorno essi non trovano il padre Ivan. E mentre il segretario gli scrive
una lunga lettera in uno stile ricercato, Simeone gli lascia solamente queste
poche parole: "Padre, voglio diventare monaco. Pregate perché il mondo non mi
trattenga".
A partire dal giorno in cui il padre Ivan ha pregato per lui, "le fiamme
dell'inferno non cessano di crepitare" attorno a Simeone, ovunque egli sia, ma
in modo particolare in chiesa.
Terminato il servizio militare, egli realizza il suo desiderio e nell'autunno
del 1892 giunge al Monte Athos.
Al Monte Athos alla sequela di Cristo
La
Santa Montagna (Aghion Oros) è la più orientale delle tre propaggini che formano
la penisola calcidica, a nord della Grecia. Lunga 45 km per una larghezza
compresa fra gli 8 e i 12 km, la penisola culmina con il monte Athos a 2033 m.
Da più di mille anni essa è il "giardino della Madre di Dio", il santuario del
monachesimo, la roccaforte dell'ortodossia.
E stata devastata, saccheggiata, conquistata a più riprese; la vita monastica vi
ha conosciuto alti e bassi, ma, sempre, la tradizione vi si è mantenuta. Simeone
vi arriva in un momento di grande splendore. I monaci provengono da tutte le
nazioni ortodosse e sono parecchie migliaia, ripartiti nei venti grandi
monasteri e nelle centinaia di loro dipendenze, skiti, kalive, celle, grotte...
C'è un fiorire di tutte le forme della vita monastica. San Panteleimon, il
monastero dei russi (o Russikon) che accoglie Simeone, è una comunità cenobitica
che conta in quel momento duemila monaci su una popolazione di circa novemila
persone: molti operai e innumerevoli pellegrini che affluiscono incessantemente
dalla Russia dopo essersi imbarcati a Odessa.
Subito dopo il suo arrivo, il giovane postulante fa alcuni giorni di ritiro, al
fine di riportare alla memoria tutti i peccati commessi, annotarli e poi
confessarli. Gli arde nell'anima un bruciante pentimento: fa una confessione
sincera, senza nessun tentativo di autogiustificazione. Il padre confessore gli
dice: "Hai confessato i tuoi peccati dinanzi a Dio: sappi che ti sono perdonati
tutti... Inizia, da questo momento, una vita nuova... Va' in pace e sii nella
gioia, perché il Signore ti ha condotto in questo porto di salvezza".
La sua anima semplice e fiduciosa si abbandona alla gioia, ma la tensione
inferiore finisce per allentarsi. Lo assalgono allora le tentazioni della carne
e con esse i pensieri che gli suggeriscono di ritornare nel mondo e di sposarsi.
Avendo perduto così presto lo slancio iniziale, prova un grande timore:
sperimenta in sé tutta la potenza del peccato che lo allontana da Dio, anche in
quel luogo santificato dove pensava di essere approdato come in un porto di
salvezza. Anche là ci si può perdere! Egli manifesta allora un grande pentimento
e, pur del tutto inesperto com'è ancora, intraprende una dura lotta ascetica.
Viene assegnato al mulino. Tutto il giorno lavora con energia a trasportare
sacchi di farina, e la notte resta in preghiera, sforzandosi di dormire il meno
possibile.
La vita sulla Santa Montagna è del tutto diversa da quella del mondo. Ben poco è
cambiato in mille anni di storia, e Simeone si immerge a poco a poco in quella
tradizione plurisecolare. È il ritmo stesso della vita che forma i postulanti:
preghiera solitària in cella, lunghi uffici in chiesa; digiuni e veglie;
confessione frequente e comunione; letture, lavoro, obbedienza. Le istruzioni
dell'igumeno e dei padri si limitano a brevi consigli su ciò che conviene fare
in una data situazione.
Simeone scopre con stupore la preghiera di Gesù. L'invocazione ripetuta, con
l'ausilio di un rosario, del Nome santo: "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio,
abbi pietà di me peccatore" non solo costituisce l'essenziale della preghiera in
cella, ma può essere recitata sempre e ovunque, e persino sostituire gli uffici.
Se, a motivo del lavoro, non è possibile andare in chiesa, soprattutto all'ora
dei vespri, allora, per tutta la durata del servizio, un fratello la dice a voce
alta per quanti lavorano in un medesimo luogo, ed essa prende il posto
dell'ufficio divino.
Dal fondo della sua anima immersa nella tristezza, nel fuoco incrociato delle
tentazioni e delle illusioni, Simeone fa salire questa preghiera con ardore,
slanciandosi con forza verso Colui che può salvarlo. Sono trascorse appena tré
settimane quando, una sera, mentre è in preghiera dinanzi all'icona della Madre
di Dio, la preghiera irrompe improvvisamente nel suo cuore e si fa sorgente
zampillante, giorno e notte. Certo, nella sua inesperienza non comprende allora
la rarità del dono ricevuto dalla Madre di Dio, dono che tanti asceti ottengono
solamente dopo anni e anni di lotta. E questo dono della preghiera del cuore che
permette di giungere alla preghiera pura, alla preghiera spirituale.
Ben presto Simeone è preso da pensieri di vanità, da dubbi sulla propria
salvezza, e l'angoscia si insinua nel suo cuore. Allora cominciano ad apparirgli
i demoni, che ora lo esaltano, ora lo precipitano nell'abisso. Ed egli parla
loro con ingenuità, come si parla agli uomini; e da uno di loro si sente
rispondere: "Noi non diciamo mai la verità".
Passano i mesi. Egli continua a lottare, ma le forze psichiche vengono a
mancargli e il coraggio l'abbandona. Sempre più spesso la sua anima è invasa
dall'orrore e dalla disperazione. Come resistere a tutti quegli assalti con le
semplici forze umane? E fratello Simeone crolla.
Apparizione del Cristo vivente
Simeone è nella sua cella, nel tardo pomeriggio, prima dei
vespri. Pensa: "Dio è inesorabile, e non lo si può impietosire". E prova un
senso di assoluto abbandono: la sua anima sprofonda nelle tenebre di un'angoscia
infernale. Passa circa un'ora in quello stato. Ed ecco, in risposta alla
disperazione del giovane novizio, il Signore gli appare.
Quello stesso giorno, durante i vespri nella cappella del santo profeta Elia, a
destra delle porte regali, là dove si trova l'icona del Salvatore, Simeone vede
il Cristo vivente, e tutto il suo essere, compreso il corpo, si ritrova riempito
del fuoco della grazia dello Spirito santo. Una grande luce allora lo illumina:
egli è come strappato a questo mondo e il suo spirito è rapito in cielo, dove
ode parole ineffabili. In quel momento avviene in lui come una nuova nascita
dall'alto (cf. Gv 1,13; 3,3). Lo sguardo dolce del Cristo avvolto di gioia
radiosa, del Cristo che è bontà infinita e tutto perdona, attira a sé l'essere
intero di Simeone. Questi si sente estenuato: non potrebbe sostenere
ulteriormente quello sguardo senza morirne. E il Signore scompare. La visione
cessa, ma il suo spirito è trasportato dalla dolcezza dell'amore divino a una
contemplazione della divinità che trascende ogni immaginazione di questo mondo.
Ma dopo aver conosciuto la gioia della resurrezione e una beatitudine tutta
pasquale, Simeone sente svanire l'azione percettibile della grazia. La pace e la
gioia cedono il passo alla perplessità e al timore di perdere il dono ricevuto.
Egli ignora ancora che talvolta la grazia si ritira perché l'anima languisca di
desiderio per il suo Signore. Assalito da un'incertezza angosciante, va a
chiedere consiglio a uno starec, il padre Anatolio. E l'anziano asceta, che è
arrivato a conoscere la misericordia di Dio solamente dopo quarantacinque anni
di vita monastica, non riesce a nascondere il proprio stupore: "Se sei già ora
così, che sarai mai nella vecchiaia?". Mai un asceta dovrebbe rivolgere delle
lodi a un fratello! Eccolo, il nostro fratello Simeone, costretto a lottare
contro la vanità. Ed è una lotta faticosa, complessa, sottile.
Quando sopraggiunge la vanità, la grazia si ritira, il
cuore si raffredda, la preghiera viene meno, lo spirito si disperde e l'anima
subisce l'assalto dei pensieri passionali. L'anima di Simeone è nell'angoscia e
lotta per afferrare l'Inafferrabile. Quando la luce ricompare, è per poco tempo.
Hanno così inizio quindici anni di alternanza di grazia e di abbandono. Nel
frattempo egli fa la professione e riceve l'abito monastico e il nome di
Silvano. Ogni parola è inadeguata a descrivere le lotte che il nuovo monaco deve
sostenere per intere notti durante tutti questi anni. Scriverà: "Se il Signore
non mi avesse fatto conoscere fin dall'inizio di quale amore egli ama gli
uomini, non avrei sopportato neppure una sola di quelle notti. E ne ho avuto una
moltitudine!".
"Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!"
Verso il 1906, nel corso di una di quelle notti terribili, non è
in grado, nonostante i suoi sforzi, di pervenire alla preghiera pura. Si alza
per fare alcune prostrazioni: l'immenso profilo di un demonio si frappone
davanti alle icone e attende che egli si inchini dinanzi a lui. Silvano si siede
di nuovo, china la testa, con il cuore addolorato, e fa questa preghiera:
"Signore, vedi che i demoni mi impediscono di pregare con uno spirito puro.
Ispirami ciò che devo fare perché i demoni mi lascino in pace". E nell'anima il
Signore gli risponde: "Le anime orgogliose soffrono sempre a causa dei demoni".
"Signore, insegnami che cosa devo fare perché la mia anima diventi umile". E di
nuovo, nel suo cuore, riceve questa risposta: "Tieni il tuo spirito agli inferi,
e non disperare!". E subito comincia a mettere in pratica quella parola. Trova
la pace, e lo Spirito gli testimonia la sua salvezza.
Siamo qui condotti al cuore dell'insegnamento che Dio, attraverso san Silvano,
comunica agli uomini della nostra epoca caratterizzata da un diffuso sentimento
di disperazione e da un'angoscia opprimente. Questa parola di Cristo ricevuta da
un monaco dell'Athos all'inizio di questo secolo ha già salvato migliala di
persone dalla disperazione, e non v'è dubbio che ne salverà altre migliaia
ancora. Ecco, da quel momento è un messaggio di amore che viene consegnato a noi
tutti.
L'amore di Dio, l'amore per gli uomini, l'amore per tutta la creazione spinge
Silvano ad annotare un po' alla volta ciò che vive e sperimenta, testimoniando
così l'azione dello Spirito dentro di sé. Questo monaco quasi analfabeta, che è
andato a scuola solamente per due inverni, scrive con parole semplicissime dei
brevi testi di una bellezza sconvolgente. I temi da lui toccati non sono molto
vari; sono però essenziali: Dio e tutte le realtà celesti non possono essere
conosciuti se non attraverso lo Spirito santo; il Signore ha un immenso amore
per l'uomo, e ci è dato di conoscerlo nello Spirito santo; lo Spirito santo è lo
spirito di umiltà, di pace e di unificazione interiore; lo Spirito santo è lo
spirito di compassione e di amore per i nemici. I lunghi anni di lotta
spirituale confortata dalle ripetute effusioni dello Spirito santo lo conducono
a diventare un autentico "teologo": il suo essere uomo di preghiera che dialoga
con Dio lo rende capace di parlare di Dio, così quel poco che dice e scrive
penetra i cuori e rigenera le anime.
D'ora in poi Silvano concentra tutte le forze dell'anima ad acquisire l'umiltà
di Cristo e si effonde in incessanti preghiere per la salvezza degli uomini.
Dice: "La mia anima conosce la misericordia del Signore per l'uomo peccatore...
Tutti noi, peccatori, saremo salvati e neppure una sola anima andrà perduta, se
si converte".
Ma come può un monaco, isolato dal mondo su quella Santa Montagna, avere nella
propria preghiera la sollecitudine per la salvezza di tutti gli uomini? Certi
monaci del suo monastero sostenevano allora — come tanti religiosi al giorno
d'oggi — che è necessaria la lettura dei giornali, che essa alimenta la loro
preghiera per gli uomini. Silvano risponde loro che egli non legge mai i
giornali, "che essi offuscano lo spirito e fanno ostacolo alla preghiera pura".
A coloro che vi cercano delle "intenzioni di preghiera" egli ribatte che i
giornali non informano sugli uomini, bensì sui fatti, e che una sola cosa è
necessaria a tutti gli uomini. E prega ardentemente e lungamente, ogni giorno,
con le lacrime: "Ti prego, Signore misericordioso, fa' che tutti i popoli della
terra ti conoscano attraverso il tuo santo Spirito".
Pregare per gli uomini significa versare il proprio sangue
Eppure
la vita di Silvano è una vita di monaco all'apparenza assolutamente ordinaria.
Una vita nascosta.
Facciamo un passo indietro per vedere come essa appaia agli occhi di quanti gli
vivono accanto. Dopo l'incarico assegnategli al mulino viene mandato a
Kalamareia, una dipendenza del monastero, fuori dell'Athos. Si tratta di una
tenuta agricola. Il lavoro all'aria aperta gli mette fame, e il nostro padre
Silvano comincia a mangiare a sazietà; ma due ore dopo è in grado di mangiare di
nuovo la stessa quantità. Il fatto lo preoccupa: capisce che è una tentazione.
"Noi monaci — dice — dobbiamo prosciugare il nostro corpo... Un corpo sazio è un
ostacolo alla preghiera pura, e lo Spirito divino non viene quando il ventre è
pieno. Bisogna, però, anche saper digiunare con misura, per non indebolirsi
prima del tempo ed essere in grado di eseguire l'incarico ricevuto".
Fortunatamente viene presto richiamato in monastero, dove l'igumeno gli affida
l'incarico di economo preposto alle costruzioni. Se si eccettua l'intermezzo di
un anno e mezzo passato nel deserto, di cui parleremo poco più avanti, svolgerà
questo incarico fino alla morte. Si ritira nella sua cella e comincia a pregare:
"Signorè, tu mi affidi la cura del nostro grande monastero: aiutami ad assolvere
bene questo incarico". E nell'anima riceve questa risposta: "Ricordati della
grazia dello Spirito santo e sforzati di acquisirla". A partire da quel momento
vigila a custodire la grazia e fa attenzione che la preghiera non subisca alcuna
interruzione. Ha sotto la sua sorveglianza fino a duecento operai; ogni mattina
fa il giro dei cantieri e da a grandi linee le istruzioni ai capomastri. Poi si
ritira nella sua cella e piange sul "popolo di Dio". Gli duole il cuore per
tutti quegli operai costretti dalla miseria a lasciare genitori, famiglia,
paese, per guadagnare un po' di soldi. Perciò non è mai assillante con loro, non
li sorveglia come fanno gli altri economi che "fanno gli interessi del
monastero" . Per lui il vero interesse del monastero sta nell'osservanza dei
comandamenti di Cristo. E con il suo atteggiamento e la sua preghiera finisce
per conquistare l'amore di quella povera gente, a cui lascia libertà e
responsabilità.
Ripete: "II Signore ama tutti gli uomini e ha pietà di loro". Ripieno dello
Spirito di Cristo, ha per tutti un amore compassionevole. Egli vive la
sofferenza degli uomini, del mondo intero, e la sua preghiera non ha fine. E
pronto a versare il proprio sangue per la pace e la salvezza degli uomini. E
realmente lo versa nella preghiera. La sua vita è un vero martirio. Testimone
dell'amore di Dio per l'umanità, ne ha il cuore ferito ed è con tutta verità che
può scrivere: "Pregare per gli uomini significa versare il proprio sangue".
Gli viene allora la tentazione di vivere nel deserto. Lo chiede con insistenza
all'igumeno e questi gli permette di ritirarsi nel Vecchio Russikon, fra gli
eminenti asceti che vivono là nella più grande austerità, per dedicarsi
interamente all'orazione. Ma dopo un anno e mezzo deve riprendere il suo
incarico di economo. Riconosce che in quell'andare nel deserto ha agito secondo
la volontà propria. E Dio, egli dice, l'ha punito:
vivendo in una capanna isolata, nella più grande privazione, ha patito il freddo
e sino alla fine soffrirà di continue emicranie.
I perfetti dicono unicamente ciò che lo Spirito detta loro
E durante quel soggiorno che incontra un celebre asceta del
Caucaso, il padre Stratonico. Da uomo spirituale sperimentato e pieno di
discernimento qual è, costui è stato di grandissimo aiuto ai monaci del suo
paese. E tutti gli asceti della Santa Montagna lo accolgono con calore. La sua
parola ispirata lascia un'impressione profonda. E così il suo discernimento, la
sua enorme esperienza, il dono della vera preghiera. Ma dopo due mesi comincia a
rammaricarsi di aver intrapreso invano un pellegrinaggio così lungo e faticoso,
dato che i suoi incontri con i monaci dell'Athos non gli hanno insegnato nulla
di nuovo. Un giorno di festa il padre Dositeo lo invita, insieme con altri
monaci, nella propria cella, presso il Vecchio Russikon. Anche Silvano si trova
lì. È il più giovane di tutti e se ne sta silenzioso in un angolo della cella,
attento alle parole dell'asceta del Caucaso. Ed ecco che il padre Stratonico
esprime il desiderio di venire a fargli visita nella sua cella, l'indomani.
Tutta la notte il padre Silvano prega intensamente perché il Signore benedica il
loro incontro e la loro conversazione. Silvano ha notato che il giorno prima il
padre Stratonico ha parlato secondo "la propria intelligenza" e che il suo
discorso sull'incontro fra la volontà umana e la volontà divina mancava di
chiarezza. Pone, allora, al padre Stratonico tre domande: "Come parlano i
perfetti? Che significa abbandonarsi alla volontà di Dio? In che consiste
l'obbedienza?". Stratonico coglie immediatamente l'importanza e la profondità di
quelle domande. Dopo un attimo di riflessione e di silenzio dice: "Non lo so...
Dimmelo tu". E Silvano replica: "Non dicono nulla da se stessi... Dicono
unicamente ciò che lo Spirito detta loto" . E in quel medesimo istante, grazie
alla preghiera di Silvano, il padre Stratonico sperimenta lo stato di cui gli
parla Silvano. Prende coscienza delle proprie lacune nel passato e si rende
conto di essere ancora così lontano dalla perfezione. Quindi coglie facilmente
il senso delle altre due domande. Parlano anche della preghiera e le parole di
Silvano gli rivelano uno stato che egli ancora non ha conosciuto. Più tardi,
dopo averne fatto per grazia l'esperienza, lo confermerà. Da quel momento,
quando lo interrogano, il padre Stratonico si astiene talora dal rispondere alle
domande degli altri padri e dice:
"Avete il padre Silvano: è lui che dovete interrogare". E il loro stupore è
grande. Essi amano molto Silvano, ma non si sono mai fatti di lui un'opinione
tanto elevata da pensare di chiedergli un consiglio. Immaginarsi! È un
contadino, un ignorante...
Un'umiltà rara
In realtà Silvano coltiva in modo particolare l'umiltà e ricerca
al di sopra di ogni altra cosa l'umiltà di Cristo. In risposta alla parola del
Signore — che non cessa di mettere in pratica —: "Tieni il tuo spirito agli
inferi, e non disperare!", egli può dire: "E dal Signore che la mia anima ha
imparato l'umiltà... Nessuna parola sarebbe in grado di descrivere quanto è
buono il Signore".
Non contraddice mai nessuno. Mai giudica. Se gli si fa opposizione, se vede che
non viene capito ciò che vuoi dire, subito fa silenzio. Viene criticato un padre
davanti a lui? Egli ne prende le difese e riporta la pace. Possiede la vera
libertà di chi dimora costantemente in Dio. Certo, alcuni padri si inquietano
per la libertà con cui parla di Dio come del Padre suo misericordioso; succede
anche che altri mitrano nel loro cuore sentimenti di invidia nei confronti della
santità di Silvano. La rettitudine dei perfetti da fastidio ai negligenti e in
effetti la sua sobrietà in ogni cosa può ingenerare una cattiva coscienza in
coloro che non praticano la sua astinenza.
Il criterio che Silvano usa per discernere la bontà di un'azione è di una
semplicità disarmante: "Ogni azione che non può essere preceduta da una
preghiera, è meglio non farla!".
Per la verità, Silvano non dice nulla che non abbia prima sperimentato egli
stesso. Ha letto le opere dei padri, certo; ma, più ancora, le vive: ricerca
dell'umiltà, prontezza nell'obbedienza, rinuncia alla volontà propria per
compiere quella di Dio; immersione nella bellezza e nella solidità degli uffici
divini; custodia del cuore e dei pensieri; pratica incessante della preghiera di
Gesù; docilità all'azione dello Spirito santo. Sono numerosi, del resto — al
tempo di Silvano come ai nostri giorni — i monaci che rinnovano gli esempi dei
padri. Un giorno un teologo cattolico rimane stupito dal fatto che i monaci di
San Panteleimon leggano Giovanni Climaco, abba Doroteo, Teodoro Studita, Efrem
il Siro, Simeone il Nuovo Teologo, Gregorio Sinaita, Massimo il Confessore e
tutti gli altri padri della Filocalia, perché, dice, "da noi sono solo i
professori che li leggono!"; e il padre Silvano osserva: "Non solo i nostri
monaci leggono quei libri, ma potrebbero essi stessi scriverne di simili... Se
per un motivo o per l'altro quei libri dovessero andare perduti, allora i monaci
ne scriverebbero di nuovi". Tale è la profondità della loro esperienza nello
Spirito santo che li illumina.
Un uomo dall'amore grande
Verso il 1905 egli viene richiamato in Russia come soldato della
guardia imperiale. E il momento della guerra russo-giapponese. Ma, in quanto
monaco, non viene mandato al fronte. Per un certo tempo vive nel suo villaggio,
in una capanna che la famiglia gli ha permesso di costruire nei campi. Fa anche
dei viaggi per visitare alcuni monasteri. Vive questo periodo di forzato
"esilio" come preziosa occasione di manifestare la sua solidarietà con tutti gli
uomini e per alimentare la sua intercessione per tutte le creature.
L'amore per il prossimo in Silvano si dilata all'umanità intera. Egli adempie in
questo il precetto evangelico: "Ma io vi dico: amate i vostri nemici" (Mt 5,44).
Secondo lui, chi non ha l'amore per i nemici non ha ancora conosciuto Dio nello
Spirito santo. In ogni circostanza, perciò, egli manifesta la propria
compassione per gli uomini: prega per i vivi, per i defunti e anche per quelli
che non sono ancora nati. E di una carità piena di delicatezza. Intercede, e Dio
ascolta la sua preghiera. Talora avvengono anche miracoli. E la propria
esperienza che egli racconta; ma lo fa con umiltà, come se si trattasse del
racconto riguardante un altro asceta.
In una notte di tenebra fitta, una tempesta squassa le barche da pesca nel
porto. Gli uomini sono presi dal panico e non sanno più che cosa fare. Silvano
prova una tale pena per loro che prega: "Signore, placa la tempesta, calma le
onde. Abbi pietà del tuo popolo che soffre e salvalo". La tempesta cessa, il
mare si calma e gli uomini rendono grazie a Dio. E Silvano testimonia: "Un tempo
pensavo che il Signore compisse miracoli solamente in risposta alle preghiere
dei santi, ma ora ho capito che il Signore opera miracoli anche per il
peccatore, non appena la sua anima si umilia. Molti, per inesperienza, dicono
che il tal santo ha fatto un miracolo, ma io ho compreso che è lo Spirito santo
che dimora nell'uomo a operare i miracoli".
Passano gli anni. Dopo la prima guerra mondiale le autorità greche chiudono
l'accesso al Monte Athos ai russi dell'Unione Sovietica e allora il monastero di
San Panteleimon vede esaurirsi il flusso di vocazioni monastiche. Si portano
alla sepoltura dai trenta ai quaranta monaci ogni anno, cosicché agli inizi
degli anni trenta non sono più di seicento. Ma la vita comune continua, e con
essa gli uffici, la preghiera. In quel periodo si sviluppano ancora di più,
nella discrezione, i numerosi carismi dello schimamonaco (Monaco che indossa lo
schima, il "grande abito") Silvano a favore di quanti si rivolgono a lui, anche
per lettera: profezia, discernimento, chiaroveggenza, guarigione. Ma è
soprattutto la sua immensa carità ad avvolgere tutti coloro che vengono da lui.
Certo, persino tra i suoi fratelli monaci ci sono alcuni che continuano a
ignorarlo; ma fra i suoi visitatori e fra quanti sono in corrispondenza con lui
si contano teologi, archimandriti, monaci di altri monasteri (soprattutto serbi
di Chilandari e della skit di San Saba), e anche vescovi. Molti gli renderanno
testimonianza, dopo la morte serena avvenuta nell'in-fermeria del monastero,
durante il mattutino, il 24 settembre 1938.
Qualche giorno prima, quando è evidente che sta soffrendo ma si rifiuta ancora
di andare in infermeria, un suo discepolo gli chiede se sia vicino alla morte ed
egli risponde: "Non ho ancora raggiunto l'umiltà". Viene poi portato in una
stanza dell'infermeria, da solo; ogni giorno riceve la comunione, poiché tale è
l'usanza del monastero per i malati gravi. In tutto questo tempo egli custodisce
il silenzio. La sera del 23 settembre il suo confessore, padre Sergio, viene a
leggere il "Canone della Madre di Dio", preghiera di intercessione per la
dipartita dell'anima, detta anche "preghiera degli agonizzanti"; alla fine,
Silvano ringrazia a bassa voce. Verso la mezzanotte chiede al padre infermiere:
"Si sta celebrando il mattutino?". "Sì. Avete bisogno di qualcosa?". "No,
grazie; non ho bisogno di nulla". Questo semplice dialogo e il fatto che egli
oda il mattutino — appena percettibile dal luogo in cui si trova — mostrano la
sua serenità e il pieno possesso delle facoltà. L'infermiere ritorna verso la
fine del mattutino ed è estremamente stupito di trovarlo già morto. Sono
all'in-circa le due del mattino. Silvano verrà sepolto il giorno stesso, alle
quattro del pomeriggio.
Il vescovo Nicola Velimirovic — che ha dato inizio al grande movimento di
rinnovamento spirituale all'interno della chiesa ortodossa serba in questo
nostro secolo — nella sua rivista missionaria scrisse un necrologio dal titolo:
"Un uomo dall'amore grande". Così annotava: "Di questo monaco meraviglioso si
può dire una sola cosa: era un'anima piena di dolcezza. E non sono il solo ad
aver sperimentato quella dolcezza: ogni pellegrino del Monte Athos che l'aveva
incontrato provava la medesima sensazione. Silvano era un uomo forte, alto di
statura; aveva una grande barba nera e, a prima vista, il suo aspetto esteriore
non lo rendeva particolarmente attraente a chi non lo conosceva. Ma bastava una
sola conversazione per amare quell'uomo ... Parlava dell'immenso amore di Dio
per gli uomini e portava i peccatori a giudicare se stessi con severità ...
Quell'asceta mirabile era un semplice monaco, ma pieno di amore per Dio e per il
prossimo. Da ogni parte della Santa Montagna accorrevano a lui monaci in gran
numero per ricevere i suoi consigli ... Tutti sono stati dolorosamente colpiti
da questa sua dipartita. A lungo, molto a lungo si ricorderanno dell'amore del
padre Silvano e dei suoi saggi consigli. Anche a me il padre Silvano è stato di
grandissimo aiuto spirituale. Sentivo chiaramente quanto la sua preghiera mi
fortificasse. Ogni volta che mi recavo alla Santa Montagna, mi affrettavo a
fargli visita ... Il libro della sua vita è tutto adorno delle perle della
sapienza e dell'oro dell'amore. E un libro immenso e incorruttibile".
Silvano era totalmente preso dalla visione della divinità di Cristo e dalla
"dolcezza" dello Spirito santo, e faceva passare questa visione nella propria
vita. Lo Spirito santo lo rese davvero somigliante al Cristo che gli era stato
concesso di vedere. Di questa somiglianza egli parlava molto spesso, citando il
grande apostolo dell'amore: "Saremo simili a lui, perché lo vedremo così come
egli è" (1Gv 3,2).
Vedi anche:
Tratto da http://www.orthodoxworld.ru/italiano/index.htm a cui rimandiamo vivamente per l'approfondimento di altre tematiche relative al monachesimo e alla spiritualità ortodossa.
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