Elia Citterio           

 

 


Nicodemo "Aghiorita e i suoi  rapporti con l'occidente latino

 


"Fra le sue opere, quelle che più hanno segnato lo spirito del popolo e la pratica dell'ortodossia sono testi che si rifanno largamente ad autori italiani quali Paolo Segneri (1624-I 694), Lorenzo Scupoli (1530-1610), Giovanni Pietro Pinamonti (1632-1703)."


"E' chiaro che Nicodemo non si proponeva affatto di compiere un'opera di sintesi tra le due tradizioni. Sentiva connaturale la prima come la seconda, perlomeno nei testi che aveva conosciuto, nel senso che quella latina, non solo non contrastava con la sua formazione teologica e spirituale, ma costituiva anzi un'espressione in termini più moderni della dottrina comune dei padri, almeno nella sua dimensione ascetico-spirituale, precisamente quella in cui si volevano porre i vari Scupoli, Pinamonti e Segneri."


"Sembra, anzi, in questo contesto, che i contrasti dottrinali-teologici, come anche le differenze di sensibilità tra la tradizione latina e quella orientale, non soltanto perdano incidenza e mordente, ma perfino la loro stessa validità, a favore di una profonda unità nella pratica spirituale."


 

Già i contemporanei avevano constatato la provenienza straniera di certe sue opere, e i suoi avversari, di ieri e di oggi, se ne avvalgono come pretesto per attaccarlo.
A scanso di equivoci, va subito detto che Nicodemo non si è mai spacciato per autore di quei testi, come rivelano i titoli originali della prima edizione. Editori posteriori, invece, non si sono fatti scrupolo, forse per l'ignoranza del loro vero autore, di attribuire direttamente a Nicodemo la paternità di qualcuno di quegli scritti, come è stato il caso del
Combattimento invisibile, inducendo critici posteriori a emettere aspri giudizi. Si tratta di testi pubblicati anonimi, adattati, che hanno avuto larghissima circolazione

Sembra che Nicodemo privilegi certe caratteristiche della spiritualità latina moderna in risposta alle esigenze della sua epoca o, per meglio dire, in risposta alla richiesta di modernità emergente dalla rivoluzione sociale in atto ai suoi tempi. In effetti, caratteristiche comuni della pietà cattolica nei tempi moderni si rivelano essere la sua dimensione ascetico-psicologica, il suo timbro marcatamente ascetico-mistico e la sua diffusione popolare oltre i confini degli ordini monastici e religiosi. Di queste caratteristiche Nicodemo intende avvalersi nel suo desiderio di sostenere la fede del suo popolo, spronandolo a una forte vita interiore.

La sua apertura al mondo latino, del resto, era facilitata dal fatto che i testi ascetico-spirituali dei tempi moderni rifuggivano da impostazioni teologiche di scuola, dove si sarebbe trovata soltanto materia per alimentare il contenzioso dogmatico tra le due tradizioni. Nicodemo può quindi con tutta tranquillità diffondere testi spirituali latini, che peraltro apprezza intimamente, mantenendo l'impostazione teologica della tradizione orientale. Sfrutta, cioè, la sensibilità spirituale latina dei tempi moderni nel quadro del pensiero teologico orientale: questa ci pare, in sintesi, la sua opera precipua, per quanto attiene alla sua attività di scrittore su temi di vita spirituale. Nicodemo, in effetti, si è imposto alla coscienza dei fedeli prima di tutto come maestro di vita spirituale. Ed è interessante constatare che, fra le sue opere, quelle che più hanno segnato lo spirito del popolo e la pratica dell'ortodossia sono testi che si rifanno largamente ad autori italiani quali Paolo Segneri (1624-I 694), Lorenzo Scupoli (1530-1610), Giovanni Pietro Pinamonti (1632-1703).

E ancora, come spiegare che queste "traduzioni-adattamenti" di Nicodemo abbiano riscosso tanto favore presso i greci, e che soprattutto non abbiano sollevato problemi di sorta intorno alla loro provenienza nella coscienza dei fedeli?
L'analisi del Combattimento invisibile, certamente il libro più letto e universalmente diffuso nonché il più amato tra quelli di Nicodemo, celebrato perfino come "un vero inno dello spirito mistico dei padri ortodossi e il più puro specchio del cuore e dell'anima dell'ortodossissimo san Nicodemo", può fornire la risposta ai nostri interrogativi.

Generalmente si fa valere l'opinione che, essendo il Combattimento spirituale di Scupoli un'opera ascetico-mistica, non contiene nulla di contrario alla fede ortodossa e che comunque le aggiunte, i ritocchi e gli ampliamenti apportati da Nicodemo sarebbero bastati a riportare nell'alveo della tradizione ortodossa quanto poteva essere sospetto. Il testo di Nicodemo viene così qualificato come nuovo rispetto all'originale.
   Per rendersi conto dell'inconsistenza di una tale spiegazione basterebbe leggere la traduzione russa di Teofane il Recluso, basata appunto sulla versione greca di Nicodemo. C'è molta più diversità tra il testo di Teofane e quello di Nicodemo che non tra quest'ultimo e quello dello Scupoli.  Teofane, ad esempio, elimina tutte le espressioni che rimandano a una formulazione teologica di tradizione latina come "per i meriti di Cristo, della beata Vergine, dei santi", "corpo, anima e divinità nell'eucaristia", "soddisfare la giustizia di Dio", e via dicendo. Non parla mai della meditazione come di una forma specifica di preghiera mentale, riscrive completamente diversi capitoli, altri li risistema secondo una sua logica e impostazione. Queste aggiunte non sono semplici aggiustamenti del testo di Nicodemo. La preghiera incessante, il senso costante della presenza di Dio in noi, il calore del cuore, sono temi ricorrenti nella versione di Teofane. Averli introdotti conferisce una prospettiva e un equilibrio diversi a tutto il libro.                   Nicodemo, invece, mantiene e integra la terminologia di Scupoli, seguendo fedelmente il suo originale. Le aggiunte delle numerose note patristiche risultano per lo più marginali nella sostanza rispetto al contenuto proprio dell'originale. L'unico vero "aggiustamento" è quello relativo alla preghiera del cuore e all'attività connessa con il ritorno dell'intelletto nel cuore, temi tipici della tradizione esicasta. Ma Nicodemo li inserisce tranquillamente nel quadro stesso presentato da Scupoli, semplicemente a titolo di complemento, di completamento.

Senza dire che le preghiere in relazione alla comunione eucaristica, che autorevoli studiosi di Nicodemo riportano a dimostrazione della profondità teologica e spirituale della sua dottrina, non sono altro che vere e proprie traduzioni letterali dello Scupoli.

Per di più, va ravvisata una singolare affinità tra i due autori, e di impostazione e di sensibilità. Ambedue, mossi da uno scopo eminentemente pratico, senza preoccupazioni dottrinali e teologiche, accentuano tratti che potremmo dire quasi personali, legati alla loro esperienza vissuta.

Rispetto al volume dello Scupoli, però, Nicodemo ha il merito precipuo di introdurre nella trattazione, con note e inserzioni dirette nel testo, una certa prospettiva teologica che dà all'ascesi il suo vero contesto. In questo senso Nicodemo opera una certa trasformazione del Combattimento spirituale, allargandone la prospettiva, pur senza mutarne in nulla gli elementi.
   La trama del suo pensiero si fonda essenzialmente sulla visione teologico-ascetica dei padri neptici, i padri della Filocalia, che cita spesso insieme a Massimo il Confessore, Isacco il Siro e Gregorio Palamas, certamente tra gli autori preferiti di Nicodemo. Il significato, tuttavia, di queste aggiunte ascetico-teologiche non sembra per nulla doversi ricondurre a un principio di contrapposizione o di correzione. Ci pare si tratti in gran parte di trasposizione da una tradizione all'altra.

C'è un passo che reputiamo altamente significativo di questo intendimento e che potrebbe illuminare tutta la questione. Si tratta del capitolo 33 (32 nel testo dello Scupoli) sull'ultimo assalto o inganno che usa il demonio perché le virtù acquistate ci siano occasione di rovina. Dice lo Scupoli:

 

"Per guardarti dunque tu da questo pericolo, combatti sempre sedendo nel campo sano e sicuro d'un vero e profondo conoscimento che niente sei, niente sai, niente puoi e niente altro hai che miserie e difetti, né altro meriti che l'eterna dannazione. E fermata e stabilita dentro i termini di questa verità, non ti lasciare mai trar pure fuori un puntino da qualsivoglia pensiero o cosa che ti avvenga."

 

Nicodemo traduce con precisione il passo, introducendo un breve inciso immediatamente prima dell'espressione "combatti sempre sedendo": "Raccogli tutta la tua mente nel tuo cuore". In termini di esperienza spirituale, il contenuto delle espressioni "disprezzo di se stessi", "annichilamento", "reputarsi nulla", "coscienza di meritare l'eterna dannazione", è omologabile a quello dell'espressione raccogli la mente nel cuore", dando a tale espressione non il significato generico di "stare raccolti", bensì il significato tecnico di un preciso stato dello spirito nella sua battaglia interiore.
  Quando la mente può restare perfettamente raccolta nel cuore? Solamente quando si trova stabilmente fissa nel profondo riconoscimento della propria miseria. E' il mistero dell'umiltà che purifica l'intelletto dai vari pensieri passionali e da ogni genere di immagini e attira la misericordia di Dio. Dal punto di vista dell'uomo, questa è la via e questa è la disposizione in cui permanentemente risiedere. Lo spirito latino, più pratico in genere, insiste così sulla via, sugli esercizi per arrivarci; lo spirito greco, invece, più teorico, preferisce sottolineare il contesto e i risultati, parlando di mente nel cuore, di calore e di luce. Ma qui, Nicodemo segue più l'aspetto ascetico-pratico e si limita soltanto a suggerire l'altra prospettiva senza minimamente svilupparla. Il fatto perciò che Nicodemo faccia precedere alle parole dello Scupoli quella sua espressione "raccogli tutta la tua mente nel tuo cuore vuoi dire che ne accoglie il significato e le rende pienamente assimilabili e intelligibili alla propria tradizione. D'altra parte, anche in altre opere, Nicodemo mette in risalto il contenuto di quel raccogliere la mente nel cuore in termini di coscienza del proprio peccato, coscienza della propria nullità, che costituisce l'humus naturale di quel pentimento continuo, profondo, bruciante, che solo ci può ottenere la compassione di Dio, la purificazione dell'intelligenza e del cuore per "vedere" Dio. Tutti gli sforzi ascetici, preghiera di Gesù compresa, hanno lo scopo di portarci a questa disposizione interiore.

Non è un caso che Nicodemo accentui, nel suo Combattimento invisibile, due tratti dello Scupoli, che potremmo definire chiaramente francescani: l'umiltà, ricercata con il reputarsi inferiore non solo agli uomini, ma a tutte le creature, da cui poi scaturisce l'accentuazione della mitezza, della mansuetudine, della dolcezza; l'amorosa meditazione del Crocifisso, che modella l'esperienza spirituale. Si veda, ad esempio, l'aggiunta al capitolo 53, dove Nicodemo si sofferma sulla virtù dell'obbedienza e dell'umiltà nella meditazione del Crocifisso:

 

"Considera quanto sia stato umiliato, fino a essere condannato alla morte di croce ... alla morte più umiliante, più disprezzata, più ingiuriosa e maledetta.  Guarda gli oltraggi che ha subito, in modo circostanziato. E' tradito ... rinnegato ... abbandonato dai discepoli... Ognuno vede da sé quanto grandi siano questi oltraggi ... Caricato della croce ... denudato, crocifisso come un brigante tra due briganti e non senza chiodi, ma ben con chiodi perché quanti lo vedevano pensassero quanto dovesse essere cattivo quell'uomo, un rinnegato e un ribelle ... Vergognati quindi, vergognati ... considerando la così grande umiliazione del tuo Dio."

 

Dove Scupoli tratta questi temi, Nicodemo vi aggiunge sempre qualcosa di suo, sia come ampliamenti che come intensità di tono. Siamo convinti che qui si celi uno dei segreti della spiritualità di Nicodemo, così intransigente nella difesa della sua tradizione e così ricettivo della sensibilità latina.

E' chiaro che Nicodemo non si proponeva affatto di compiere un'opera di sintesi tra le due tradizioni. Sentiva connaturale la prima come la seconda, perlomeno nei testi che aveva conosciuto, nel senso che quella latina, non solo non contrastava con la sua formazione teologica e spirituale, ma costituiva anzi un'espressione in termini più moderni della dottrina comune dei padri, almeno nella sua dimensione ascetico-spirituale, precisamente quella in cui si volevano porre i vari Scupoli, Pinomonti e Segneri.

Nella stessa direzione andrebbero anche interpretati i numerosissimi rimandi patristici, i quali offrono una cornice più familiare al lettore greco e rivelano il fondamento sicuro di una dottrina, sì mediata dai latini - direbbe Nicodemo - ma in sintonia con i padri. In effetti, i rimandi patristici contribuiscono a dare il contesto specificamente dottrinale a una trattazione che si mantiene volutamente in un ambito strettamente ascetico. In tal senso quei rimandi e quei piccoli riaggiustamenti da parte di Nicodemo servono a rendere assimilabile e familiare a una tradizione più amante della "contemplazione" (theorìa) una trattazione così spiccatamente "pratica".
   Ma l'interesse di Nicodemo per la spiritualità occidentale risiede proprio in questi elementi "pratici" così efficaci per spronare e condurre i cristiani alla piena maturità spirituale. Nicodemo ha fatto suo quello che Pinamonti dice nell'introduzione agli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, quando descrive il frutto delle meditazioni che si appresta a presentare: "Rimovere dall'anima l'affezioni disordinate, e di condurla fino ad un'intima unione con Dio, con eseguire in tutto la sua Divina Volontà".

Tanto Nicodemo quanto Scupoli o Pinamonti o Segneri erano mossi dalla stessa sollecitudine e dallo stesso intendimento: offrire un'istruzione solida e chiara per la realizzazione pratica dell'ideale cristiano. Sembra, anzi, in questo contesto, che i contrasti dottrinali-teologici, come anche le differenze di sensibilità tra la tradizione latina e quella orientale, non soltanto perdano incidenza e mordente, ma perfino la loro stessa validità, a favore di una profonda unità nella pratica spirituale. Certe spiegazioni di supposte differenze di fondo tra le due tradizioni andrebbero probabilmente riviste, perché le singolarità e le caratteristiche specifiche di ogni tradizione, nella realtà, sono molto meno ben definite di quanto una certa astratta formulazione teologica potrebbe far pensare .

 

Un'ulteriore elemento comprovante la fondatezza delle valutazioni formulate è fornito dallo studio dei cataloghi e dei manoscritti custoditi nella biblioteca del monastero di San Giovanni il Teologo a Patmos, sui quali vale la pena di soffermarsi per la nuova ottica che hanno prodotto riguardo alla figura di Nicodemo.
La ricerca è partita dalla constatazione secondo la quale i titoli  registrati nei vecchi cataloghi (XVIII e inizio XIX secolo) di manoscritti e stampati della biblioteca del monastero di San Giovanni il Teologo a Patmos, si riferivano a testi manoscritti e non a opere pubblicate, inducendo a interrogarsi sull'eventuale rapporto con le corrispondenti opere di Nicodemo l'Aghiorita. Già nel catalogo del 1769, che costituisce l'inventano dei libri della Scuola di Patmos prima della loro incorporazione nella biblioteca del monastero di San Giovanni, e in quello del 1793, il cui estensore risulta essere Macario di Corinto, viene segnalata la presenza di un testo dal titolo Gumnàsmata Pneumatikà.
Nei due cataloghi compilati all'inizio del XIX secolo, uno pubblicato nel 1814 e composto negli anni 1810-1811 per conto di un viaggiatore irlandese, il marchese di Sligo, e l'altro, più completo, del 1829, dovuto a Desiderio Nikolaidis di Patmos, è annotato il titolo Pòlemos Pneumatikòs. Ora, nei cataloghi successivi, quelli di Ioannis Sakkelion (1890) e il supplemento di Dimitrios Kallimakos (1912-1918), non si trova più menzione dei due titoli. Ma se per Gumnàsmata Pneumatikà che non sono stati ritrovati si deve concludere che siano andati persi, non è così per il Pòlemos Pneumatikòs che è stato rinvenuto nel ms. Patm. 561 e che risulta essere una fedele versione neogreca del Combattimento spirituale di Lorenzo Scupoli. L'autore della versione neogreca è Emmanuele Romanites, cretese di origine, segretario del monastero di Patmos dal 1717 al 1758, già noto per la traduzione delle due operette del Segneri, edite anonime a Venezia nel 1742 e riprese da Nicodemo nel suo Manuale per la confessione.

L'edizione del Combattimento invisibile di Nicodemo l'Aghiorita è suddivisa in due parti: la prima con 53 capitoli e la seconda con 27. Riprende il testo scupoliano secondo l'edizione in 66 capitoli più il Sentiero del paradiso. Invece il Patm. 561 segue fedelmente il testo scupoliano con la prima parte in 66 capitoli e la seconda in 15, ossia i capitoli di cui si compone il Sentiero del paradiso.
Si presenta così suddiviso:

          ff. 15-115          Il combattimento spirituale, cc. 66

          ff. 116v-135v    Sentiero del paradiso, cc. 15

ff. 135v-141v    Tre degli otto Dolori mentali di Cristo.

 

Il manoscritto non ha altri fogli, ma evidentemente non è completo. Al f. I116v, dopo la citazione pugnabis contra eos usque ad internecionen (iRe 15)13, il traduttore : [...] continua con la traduzione del Sentiero del paradiso [...]  Ora, il confronto diretto tra il testo di Nicodemo intitolato Combattimento invisibile  (Aòratos Pòlemos) pubblicato a Venezia nel 1796, con la versione di Romanites riportata dal Patm. 561, mostra in tutta evidenza la dipendenza di Nicodemo da Romanites.

Ho potuto controllare anche il Patm. 296, manoscritto che contiene la traduzione in neogreco de La filosofia morale, corrispondente opera anonima di un autore italiano, opera e autore che ho poi identificato. Si tratta della più volte riedita La filosofia morale derivata dall'alto fonte del grande Aristotele Stagirita di Emanuele Tesauro, edita a Torino nel 1670 presso Bartolomeo Zapata. L'importanza della scoperta è data dal fatto che Nicodemo deve aver avuto fra le mani il Patm. 296 o una sua copia per approntare la stesura definitiva del suo Manuale di consigli (Vienna 1801), finora ritenuta opera di fatto originale dell'Aghiorita. Nicodemo vi attinge numerosi esempi, pensieri e massime filosofiche che inserisce nel suo testo o nelle sue note per avvalorare l'argomentazione svolta o la riflessione condotta. Fin dal 1782 Nicodemo aveva preparato il suo testo, e prima di darlo alle stampe nel 1801 poté rielaborarlo e sistemarlo servendosi appunto della versione neogreca dell'opera italiana.

Al di là di tutti i ritocchi di Nicodemo nella forma e nel contenuto, i suoi testi tradiscono sempre l'originale di Romanites, il quale segue fedelmente il suo modello italiano.
 

Le conclusioni si impongono da sole.
Il rapporto tra Nicodemo e i suoi modelli italiani non è dunque diretto, bensì indiretto.  La sua fedeltà agli originali sarebbe in sostanza dovuta alla versione intermediaria che aveva tra le mani. La scoperta di questi manoscritti induce alla cautela sui supposti contatti giovanili dell'Aghiorita con ambienti cattolici, specie gesuiti, e sulla sua conoscenza delle lingue, di cui non abbiamo prove dirette.  Essa ridà verità storica all'onestà e al metodo di lavoro di Nicodemo che, a differenza dei suoi editori posteriori, non si è mai presentato come l'autore o il traduttore di molti testi, bensì semplicemente come il curatore che si è dato la pena di 'abbellire" e "adattare".
   La ricerca storica si appunterà ora sulle vie per le quali sono arrivate tra le mani di Nicodemo queste traduzioni e sul confronto, linguistico e dottrinale, dei testi in questione. Dal momento che le fonti biografiche non accennano ad alcun viaggio di Nicodemo a Patmos, l'ipotesi più probabile sembra quella di individuare in Macario di Corinto, che aveva soggiornato a lungo a Patmos, l'intermediario che fece giungere a Nicodemo i manoscritti o copie di manoscritti di Romanites.
   Da sottolineare, nelle prime decadi del XVIII secolo, i cordiali contatti tra il monastero di Patmos e la chiesa di Roma, a differenza del diffuso risorgente spirito antilatino emerso proprio nella prima metà del Settecento per l'attività missionaria della chiesa latina in Medio Oriente e per l'annosa questione del controllo sui santuari dei Luoghi santi. E' del 1756, con la dichiarazione sinodale di condanna del battesimo dei latini sotto il patriarcato di Cirillo V, sottoscritta anche dai patriarchi di Alessandria e Gerusalemme allora presenti a Istanbul, la posizione ufficiale della chiesa ortodossa che esige il ribattesimo dei cristiani che passano all'ortodossia, contrariamente a quanto avveniva in precedenza e contrariamente all'uso slavo.