La conoscenza umana di Dio nel pensiero dello Pseudo-Dionigi

di Giacomo Campanile

Premessa

 Lo Pseudo Dionigi, visse verso il VII sec. d.C. e influenzò in maniera decisiva il cammino della teologia e della spiritualità del Medioevo occidentale, dall'epoca carolingia in poi. Dopo le traduzioni in latino del "Corpus Areopagiticum" di Giovanni Scoto Eriugena (IX sec.), questo autore, di origine siriaca, entra nel pensiero di Pietro Lombardo, S. Alberto Magno, S. Tommaso d' Aquino e S. Bonaventura da Bagnoregio, dei mistici renani fino a Nicola Cusano. Questo anonimo teologo greco era da essi ritenuto il discepolo di S. Paolo Dionigi l'Areopagita, convertito dal discorso di S. Paolo ad Atene, nell'Areopago, e quindi la sua teologia era nel Medioevo latino attribuita ad un autore di epoca apostolica. La successiva critica filologica lo pose però in un periodo alquanto posteriore, circa nel VII secolo d.C. Nonostante questo, egli però riveste un'importanza fondamentale anche oggi, di fronte ad una teologia ed una filosofia che tendono ad allontanare la realtà di Dio dalla storia umana. La teologia di Pseudo Dionigi, essenzialmente rivolta verso la contemplazione del mistero di Dio, potrebbe infatti far pensare ad una possibilità di conoscenza di Dio un po' disincarnata. Al di là del suo stile, misterioso e maestoso, pieno di teofanie e di simbolismi, egli ci indica però un Dio che non è solo il "Tutt'Altro" rispetto a noi, ma che è anche Padre. In questo egli è quindi un autore sicuramente cristiano, ed annoverato tra i Padri della Chiesa.

 

LA CONOSCENZA UMANA DI DIO

 

      A.      Il limite e la capacità della conoscenza umana

"Dio è la Causa di tutti gli esseri, senza che egli sia nessuno di questi per il fatto che è separato da tutti in modo soprasostaniziale"(DN I 5,93e). In campo gnoseologico e teologico bisogna sempre salvare la trascendenza di Dio che è a fondamento della sua realtà. Il Mistero come verità di Dio, dà all'uomo  la possibilità di evitare un errore molto frequente nella grecità pagana: il panteismo. Dio, pur essendo dappertutto, non è in nessun luogo egli è al di sopra di tutte le cose, pur essendo il Creatore. Solo così riusciamo rettamente a parlare ai Dio e a salvaguardare la sua peculiarità. Questa è una regola metodologica della teologia dionisiana: è la grandezza e la miseria della conoscenza dell'uomo (DN I 6-7,596 C).Il  limite è categoria fondamentale per una esatta conoscenza di Dio; infatti Dionigi afferma: 'Noi abbiamo coscienza di sapere che non riusciamo a coglierne sufficientemente le cose relative a Dio, né ad esprimere e a dire quello che si può dire della conoscenza divina...."(DN III 3,684 B; DN XIII 3,981 A). La spiegazione dei nomi divini è fatta con un procedimento affermativo e negativo nello stesso tempo. Questa dialettica sarà superata nella teologia mistica, perché Dio è al di sopra di ogni affermazione e negazione (DN lI4,641 A;  V 1048 A-B). Anche a livello di creazione non vi e perfetta somiglianza tra causa suprema e cose create, le cose causate recano in sé le immagini ricevute dalla Causa, rimangono staccate dagli effetti (DN Il 8-9, 64 D). Di Dio tutto si può dire, però egli non si identifica con nessuna di tutte le cose che sono. Infatti: "Ha ogni figura e ogni forma, Egli che è oltre le forme e la bellezza, ha precedentemente in sé i principi, i mezzi, i fini delle cose che sono     " (DN V 8,824 B). Ne c' è alcuna delle cose che si conoscono, che spieghi il mistero che trascende ogni ragionamento ed ogni intelligenza". Dio, dice Dionigi, abita nella divina caligine e in una luce inaccessibile. Questa luce o tanto luminosa che per noi diventa oscurità. In effetti la nostra intelligenza, pur essendo un grande dono di Dio, è limitata rispetto a questa immensità (EP v 1073 A; MT I 1,997 B-3,1000 C-1001 A ). Come quando noi fissiamo il sole, la luce ci abbaglia e non vediamo più niente, così è nei confronti di Dio. Questo e anche il pensiero del profeta Isaia quando dice che il nostro Dio è un  Dio nascosto e che si nasconde (Is 45,l.7; 42,26; anche altri testi scritturatici Es 20,21; Dt 4,11; 5,22; 2 Sam 22,10; Sal 97,2 imp; Gb 22,13; Sir 45,5 ) Dionigi si inserisce perfettamente nel filone biblico . L'unica via adatta per accostarsi al mistero è l'analogia; che salvaguarda nello stesso tempo la presenza creatrice e sostentatrice nel mondo e la trascendenza divina (DN v 10,825 B). Solo mediante questa cognizione analogica è possibile che ci eleviamo verso la causa di tutte le cose (DN V 9,825 A) . 

La frase seguente ci illuminerà sul problema: "Tutte le cose tendono a Lui" (DN IV 4,657 I)). Dio come fonte di Bontà (agathos) e bellezza (kallos) cercato da tutte le creature. Egli e causa esemplare, efficiente e finale di tutte le cose belle e tutte le cose tendono a Lui, ciascuna secondo il modo che le è proprio. Dio è il Bene sostanziale; da esso deriva tutto cio' che esiste e tutto tende verso questa Bontà; solo così le cose raggiungeranno lo stato di perfezione "(DN IV l,694A-2,696 D). Tutti tendono a Lui gli angeli, con la loro conoscenza intuitiva rappresentata dal moto circolare, gli uomini con i sensi e la ragione attraverso un processo di unificazione e anche gli esseri infraumani nel loro modo (DN IV 2,696 D). Anche ciò che è privo di essere tende verso la Bontà (DN IV 3,697 A). Alla base della conoscenza di Dio c'è questa tensione o desiderio naturale mai appagato di possederlo. L'uomo, come natura razionale, ha questa predisposizione gratuita creaturale che Dio ha messo in lui; qui si delinea una scienza naturale di Dio che sarà poi appagata dalla totale novità della rivelazione soprannaturale (DN IV 4,700 B imp. ). Questa è la capacità, la grandezza della nostra conoscenza.

 

B. Contesto liturgico 

L'autore concepisce la sua opera come una celebrazione liturgica e non esclusivamente come un ragionamento; questo aspetto è molto affascinante, è qualcosa che i teologi occidentali devono urgentemente recuperare. Il senso sacro e liturgico della teologia (perciò della conoscenza di Dio) è importantissimo. Questa concezione si riallaccia in particolare al contesto dei padri cappadoci; in Dionigi si sviluppa in un modo meraviglioso e diventa un primato. (DN Il 2,636 C) Se si legge attentamente il suo discorso sui nomi divini, ci si accorge che esso e una celebrazione. L'autore non solo si preoccupa di far capire, ma egli ci immette alla presenza sacra di questo Dio trascendente e misterioso. (DN V 2) . E' tutta la vita del teologo che deve essere trasformata da Dio, non solo la mente, tutta l'esistenza va vissuta alla presenza di questo mistero insondabile d'Amore. Lo studio intellettuale non sarà altro che un approfondire qualcosa che si ama, qualcosa a cui si è già uniti: il Dio Vivente. La preghiera è un mezzo efficacissimo per una maggior conoscenza di Dio, essa ci eleva avvicinandoci sempre più alla Trinità. "Invocando la Trinità fonte di ogni bene e al di sopra dello stesso Bene... occorre che con la preghiera ci eleviamo a Lei, siamo istruiti proprio in questo atto...quando noi la invochiamo con santissime preghiere, con intelligenza limpida e con attitudine all'unione divina, allora anche noi siamo presenti a Lei." (DN III 1,680 B) Solo con la preghiera e con l'invocazione l'intelligenza viene innalzata e istruita sempre più dal Bene a cui si è profondamente uniti. "prima di tutto, ed in particolare prima di parlare di Dio è necessario cominciare con la preghiera... affinché con il ricordo e le invocazioni possiamo metterci nelle sue mani e unirci a Lui.11 (DN III 1,680 D) . Quando preghiamo siamo nelle mani di Dio, qui sta il fondamento di ogni vera gnosi; in effetti l'unione con Dio vale molto di più del freddo raziocinio. Una cosa è parlare del sole e altra cosa è stare al sole e sentire i raggi che ci accarezzano e il calore che ci avvolge.

 

I tre stadi della conoscenza di Dio 

"Ora dunque per quanto a noi è possibile, usiamo simboli appropriati alle cose divine e da questi tendiamo, secondo le nostre capacità, verso la semplice ed unitaria verità della contemplazione intelligibile, e dopo, facendo cessare le attività intellettuali ci slanciamo, per quanto è possibile, verso il soprasostanziale nel quale tutti i limiti di tutte le cognizioni preesistono in modo più che ineffabile."(DN I 4,592 C). In Dionigi le diverse forme di conoscenza di Dio hanno l'intento di far giungere l'uomo alla perfetta comunione con Dio, L'oggetto di questa conoscenza è Dio. Questi diversi gradi di gnosi hanno la loro origine nella condizione storica dell'uomo, sottoposto in ogni situazione a categorie spazio temporali. La realtà mondana a cui l'uomo e soggetto lo costringe a salire piano piano questi stadi per arrivare alla piena conoscenza divina. Nel Corpus dionisiano si possono ritrovare tre stadi di conoscenza di Dio per l'Homo viator:

      I - Conoscenza simbolica, attraverso le realtà sensi

      Il  - Conoscenza intellettuale, astraendo dalle cose sensibili.

      III - Conoscenza mistica dell'attività intellettiva, unione con Dio. 

Cercheremo di approfondire queste diverse conoscenze. Prima di considerare quali sono le peculiarità di ogni stadio, affermeremo con Dionigi che ogni conoscenza è possibile grazie al concetto di partecipazione "Tutte le cose divine e quante si sono rese manifeste si conoscono solo per partecipazione, ma quali siano nel proprio principio e nella propria sede è cosa che per la nostra intelligenza e ogni sostanza e scienza." (DN Il 7,645 A) Dio si comunica e si fa conoscere nelle sue manifestazioni ad extra, ma resta inconoscibile nella sua natura. egli si fa conoscere mediante la partecipazione alle sue energie. Le dynamis sono Dio ma fuori dalla sua essenza. E' la distinzione fondamentale di S. Basilio tra ousia radicalmente trascendente e le energie manifestatrici immanenti. (DN Il 11,65) Dionigi tale distinzione costituisce il perno di tutto il suo pensiero teologico.

 

   I Stadio: La conoscenza simbolica

La teologia simbolica è un'opera di Dionigi che a noi non è pervenuta. Il trattato spiega quei simboli attribuiti a Dio dalla S. Scrittura che creano più difficoltà a chi li ascolta senza fede. (Ep.IX 1,1104 B) .Infatti queste anime imperfette, come le chiama Dionigi, considerano un'assurdità che Dio manifesti i suoi misteri divini anche attraverso segni sensibili. Con questo discorso stiamo entrando nella problematica della conoscenza simbolica di Dio. Negli scritti areopagitici vi sono sufficienti riferimenti espliciti o impliciti a questo tema. renderemo in considerazione in articolare la lettera IX, poiché essa contiene in sintesi tutte le idee del trattato sulla teologia simbolica. Questa lettera vuole spiegare alcune figure con cui S. Scrittura rappresenta Dio simbolicamente e come la conoscenza di Dio si serve dei simboli per arrivare a cogliere qualcosa di Lui. (Ep.IX 1,1104 C). Dionigi vuole chiarire perché la scrittura attribuisce a Dio figure di uomini (Dn 7,10), di bestie selvagge (Nm 24,9), di pietre (Ez 10,1); a volte lo chiama vasaio (Ger 18,1-6) o fonditore (Sal 66,10), o gli attribuisce delle passioni umane come nel Cantico dei Cantici. L'autore spiega che questi simboli sono delle coperture che salvaguardano una scienza segreta e inaccessibile ai più, affinché le cose santissime non siano profanate dai non iniziati. Queste figure rappresentative rivelano la Verità solo ai sinceri amatori della santità. Solo questi ultimi sanno che bisogna spogliarsi di ogni immaginazione puerile, per penetrare con semplicità di mente in questi simboli e arrivare alla vera conoscenza della Verità che è al di sopra di questi. (Ep. IX 1,1105C ) Tale conoscenza simbolica è possibile perché corrisponde ad una delle due tradizioni che i sacri autori ci hanno trasmesso. Vediamo cosa ci dice Dionigi sulle due tradizioni:

"Una è segreta e occulta, l'altra è chiara e più conoscibile; l'una si serve di simboli e riguarda i misteri, l'altra è filosofica e dimostrativa. Ciò che non si può dire si incrocia con ciò che si può dire; l'una persuade e conferma la Verità mediante insegnamenti misteriosi e che non si possono insegnare." (Ep.IX 1,1105 D)

 E' molto importante questo brano; esso ci fa percepire che anche il primo stadio della conoscenza umana deve essere inserito nella realtà della rivelazione. Infatti alla fonte dei sacri autori c'è l'intenzione di Dio; perciò il simbolo come manifestazione del mistero diventa un dono della Bontà divina per gli uomini. (DN I 4,592) La conoscenza simbolica si inserisce in quel meraviglioso piano salvifico di Dio; essa esprime la sua volontà. Dionigi dice per fondare la sua  tesi che Gesù parlava di Dio in parabole e ci dona i misteri divini sotto figura di cena. (Ep.IX 1,1106) Il motivo profondo per cui Dio ha voluto usare questa via. per farsi conoscere all'uomo, è la povertà della vita umana che è immersa nel mondo. L'uomo, per intuire qualcosa delle realtà spirituali, deve usare la sensibilità. Una rivelazione che riguardi l'uomo lo deve cogliere nei suoi due piani esistenziali, quello corporale e quello spirituale uno divisibile e l'altro indivisibile. Dice l'Areopagita;

"Così la parte impassibile dell'anima pare destinata agli spettacoli divini semplici e interiori delle immagini che rappresentano Dio, mentre la parte passibile di questa stessa anima, in modo conforme  alla  sua natura, viene educata. e tende verso le cose più divine attraverso le finzioni, ben combinate in precedenza, dei simboli figurativi; difatti questi veli le convengono propriamente." (Ep.IX!;1;1108 B)

Anche nei riti dei santi misteri i sacri autori han­no usato del simboli che convengono a Dio. (Ep.IX 1,1105 A) . Tutto quello che abbiamo detto fino ad ora deve essere completato da una idea di origine biblica che è il con­cetto di Creazione. Dionigi si serve di questo concetto per dare il vero fondamento a tutto il discorso sul simbolo.Il mondo, proprio perché creatura. di Dio, esprime in un certo modo il suo artefice."E  la stessa macchina del mondo sensibile è come un velo gettato sulle proprietà invisibili di Dio, come diceva  S.Paolo è la Parola vera." (Ep.IX 2,ll08B). Qui l'Areopagita riprende un tema Paolino che è la  rivelazione naturale di Dio nel cosmo. (Rom 1,20) Proprio l'origine divina della creazione fa si che, per mezzo dei simboli naturali, l'uomo colga dietro queste figure le qualità divine. I simboli sono come dei germi, delle immagini sensibili di visioni soprannaturali.(Ep. IX 2,1108 C) Ora bisogna fare un'altra chiarificazione: può succedere, dice Dionigi, che la stessa immagine figurativa venga applicata a diverse realtà spirituali: agli angeli, alle intelligenze e a Dio. Un esempio: la rappresentazione di Dio come fuoco ha un senso quando viene attribuita Dio ed un altro quando si applica agli angeli. Perciò, nella conoscenza simbolica, non bisogna confondere i sacri simboli, ma spiegarli in modo conveniente. Per questa operazione è richiesta una acutezza, una profondità di spirito e un discernimento non comuni. C'è un immagine molto bella alla fine della lettera IX ; è come il sigillo di chiusura, la perla più preziosa, l'interpretazione più genuinamente cristiana che sta alla base del pensiero teologico dell'Areopagita; essa cerca da far capire la condizione escatologica dell'uomo redento. Dice così:

 "E noi crediamo che la tavola è la fine di molte fatiche e una vita priva di dolori e un' esistenza divina nella luce e nella regione dei viventi, un'esistenza riempita di santa gioia, e che essi ricevono una donazione abbondante di beni di ogni sorta e beati, trovandovi ogni tipo di piacere; e essa che fa la loro gioia, li fa sedere e li serve, da eterno riposo e distribuisce e vera la pienezza di beni" (Ep. IX 5,1113 A).

L'interpretazione simbolica  che Dionigi dà del regno di Dio prende spunto dalla metafora scritturistica della tavola imbandita dalla sapienza. Il banchetto è figura del paradiso. Leggendo questo brano ci si accorge che l'influsso filosofico neoplatonico sulla sua escatologia è nullo. Così si coglie il carattere cristiano del pensiero dell'Areopagita. In effetti la vita eterna e considerata come beatitudine, come comunione con ''Gesù Cristo, che da gioia eterna ai salvati". Tale simbolismo e preso propriamente da una matrice cristiana, e non dai vari culti misterici pieni di miti per quanto riguardano la salvezza dell'uomo. L'eternità sarà un rapporto di amore con il figlio di Dio incarnato, che ci farà partecipi sempre più della sua divinità. Con questo, l'intento di Dionigi si è realizzato: il  simbolo ci fa capire il mistero.  

 

  II STADIO: La conoscenza intellettuale.

Il simbolo in certe situazioni è inadeguato; esso espresso nel Corpus dialetticamente come una "dissimile somiglianza" (CH Il 5,1446). In effetti la conoscenza simbolica di Dio ha dei limiti; non possiamo attaccarci alle rappresentazioni sensibili; si può correre il rischio del materialismo e dell'idolatria. Uno dei compiti essenziali della conoscenza  di risalire dalle raffigurazioni materiali alle realtà intelligibili e sante che queste rappresentano. La conoscenza intellettuale si pone in questa dimensione. Il trattato sui Nomi Divini è l'opera che è considerata la più importante tra quelle dionisiane dal punto di vista speculativo: si interessa di spiegare i nomi intelligibili di Dio. Questo tipo di conoscenza parte sempre dal sensibile e dalla realtà rivelata, ma passa attraverso la mediazione del concetto. Invece la conoscenza simbolica è immaginata da Dionigi come un movimento rettilineo dell'anima, che va direttamente dalle realtà create ai misteri nascosti (DN I 8,597 A-B).La conoscenza intellettuale è concepita come un movimento elicoidale dell'anima; essa parte sempre dalle cose create ma, contrariamente al simbolismo che ci fa percepire un'immagine dell'intelligibile, essa si sforza grazie ad un processo logico, di comprendere dapprima la realtà attraverso un movimento ascensionale ed arrivare ai nomi intelligibili di Dio. La conoscenza intellettuale passa dalla sensazione al concetto poi, attraverso il suo superamento, arriva alla sua sorgente. Questa conoscenza si acquisisce attraverso atti complessi e progressivi, cioè con un metodo speculativo, discorsivo e dialettico. Si nota che nel pensiero dell'Areopagita non vi e' diretta opposizione tra le prime due conoscenze, ma un perfetto completamento. Una non può fare a meno dell'altra, esse non si escludono a vicenda. La conoscenza intellettuale comprende, implica ed esplica la conoscenza simbolica: sono diversi gradi della stessa conoscenza umana. Dice Dionigi nel prologo dei Nomi Divini:

"Veniamo alla spiegazione dei nomi divini intelligibili, e come la legge gerarchica prescrive a noi per ogni disputa, guardiamo con intelligenza spirituale, contemplativa del Divino, per usare un linguaggio preciso, le visioni quali Dio si manifesta e prestiamo orecchie sante alle spiegazioni dei sacri nomi divini, per trasmettere le cose sante ai santi secondo la divina tradizione". (DN. I 8,597 B). Qui viene spiegato cosa l'autore intende per conoscenza intellettuale di Dio, essa si stacca dalla realtà materiale, per fissarsi nella realtà spirituale propria di Dio; così arriva alla vera contemplazione della Divinità. Il fine del secondo stadio della gnosi è la contemplazione. In questo brano ritorna come un leitmotiv l'idea che sia i nomi divini che la loro spiegazione sono stati trasmessi dalla divina tradizione, cioè dalla S. Scrittura e dalla Tradizione apostolica. Nel trattato dei Nomi Divini, Dionigi vuol fare una sintesi fra l'intelligenza che la S. Scrittura ha degli attributi di Dio e un razionalismo che viene dall'ambiente neoplatonico. Questo intellettualismo era espresso in particolare dal commento che questi facevano al "Parmenide" di Platone, che a quel tempo era considerato il libro di "Teologia" per eccellenza. In questo scritto si cerca la soluzione dei problemi tra l'Uno e il molteplice, basandosi su speculazioni filosofiche e L'Areopagita vuole fondere la verità che c'è in quella filosofia con le concezioni che la Chiesa ha di Dio. Ad esempio l'idea che Dio è Trinità, la realtà dell'incarnazione del Figlio, la dialettica tra l'immanenza e trascendenza di Dio. In effetti il cristianesimo introduce, rispetto alla filosofia greca una nuova visione di Dio e una nuova visione dei rapporti tra Dio e il mondo. Nella conoscenza intellettuale di Dio, l'Areopagita vuole usufruire della tecnica speculativa neoplatonica, per riempirla di contenuti che vengono dalla Rivelazione.

Il trattato dei Nomi Divini parla della causalità divina, e come essa può essere considerata nelle sue forme più generali. Gli altri nomi sono ricavati dalle realtà particolari, e sono trattati nella Teologia simbolica. I nomi intellegibili ricavati dalla S. Scrittura debbono essere rettamente intesi. Anche per la conoscenza intellettuale  vero il principio che, nella spiegazione del nome intelligibile, non si deve pretendere ai arrivare all'essenza divina, che è per natura inaccessibile ad ogni intelligenza creata. Nella conoscenza intellettuale, il nome perfettamente conoscibile che si trova al primo posto è il Bene (ed altri nomi ad esso collegati: Luce, Bellezza, Amore), in quanto la bontà è la ragione ultima dell'opera creatrice di Dio (DN IV). Poi vengono subito dopo quei nomi che indicano le manifestazioni più generali del Bene: l'Essere, la Vita, la Sapienza o Ragione (DN V - VII). Poi si esaminano i nomi ai Dio che esprimono l'unificazione dell'universo in Lui: la Pace e l'Uno unificano e riconducono l'universo all'unità (DN XI - XIII). Accanto ai nomi che indicano l'opera creatrice di Dio, ci sono nomi che indicano la vita intima (Padre, Figlio,Spirito), e che non hanno nulla a che fare con la creazione; non bisogna fare confusioni tra questi due gruppi. I nomi intelligibili che spiegano i rapporti tra Dio e il mondo sono anche delle categorie universali; però con i nomi divini non si conosce Dio, che rimane nascosto nel suo mistero. I nomi riguardano la sfera dell'essere e dell'intelligenza, mentre Dio è al di là dell'essere e dell'intelligenza, per cui alla fine nessun nome lo può esprimere in se stesso. Data l'incapacità della conoscenza intellettuale, bisogna ora passare al terzo stadio della gnosi dionisiana, che forse ci permetterà di cogliere Dio nel suo profondo mistero.

 

   III STADIO: La Conoscenza mistica.

 

 Dionigi spiega che cos'è la conoscenza mistica in un piccolo trattato: De Mystica Theologia. Il trattatello, che è stato oggetto di tanti commenti nella storia della teologia occidentale, descrive l'itinerario verso l'unione con Dio. Proprio per questo scritto S. Bonaventura definì l'Areopagita il maestro della mistica .  Nel primo capitolo si parla del significato di questa conoscenza. Dopo una preghiera alla Santissima Trinità si afferma:

"Conduci noi direttamente verso il vertice superinconoscibile e splendidissimo delle Scritture occulte, là dove i misteri semplici e assoluti e immutabili della teologia sono svelati nella caligine luminosissima del silenzio che insegna arcanamente (MT I 1,997 A).

Alla luce di questo brano, parleremo inizialmente della conoscenza mistica in generale, per poi specificare qual'è la sua vera natura, considerando l'idea di estasi, di Ignoranza assoluta, di Tenebra divina, per arrivare alla conoscenza mistica di Dio bisogna staccarsi da ogni rappresentazione sensibile o intelligibile di Dio (MT I 997B). Partendo dalla rivelazione che Dio dà nella S. Scrittura, unirsi a Dio significa entrare nel segreto delle Scritture occulte. Per arrivare a questo, ci vuole l'aiuto della Trinità, perciò la si invoca nella preghiera. La conoscenza mistica perciò è sempre un dono che viene dall'alto, e che passa per la scrittura. Dionigi chiede di riconoscere l'inadeguatezza di tutti i nomi divini contenuti nella Scrittura, per slanciarsi nell'unione (MT III  1032 D - 1033 B-C).  Questa unione viene descritta sulla linea della salita di Mosè al Sinai e del suo incontro con Dio nella caligine (MT 3,1001 A). Tale conoscenza mistica non coglie Dio, non è Dio che Mosè contempla nella sua unione, perché‚ egli sfugge ad ogni contemplazione intelligibile. Mosè vede il luogo in cui risiede Dio (MT 1000 D). Dio sfugge sia all'oggetto della visione mistica, sia al Veggente stesso (MT I 1001 A), (cfr La mistica di S. Gregorio di Nissa). La conoscenza mistica si situa al di là della teologia affermativa e negativa di cui sarà la giustificazione il compimento. L'insegnamento più alto sarà questa conoscenza sperimentale, vissuta, trascendente da ogni simbolo e da ogni discorso, che e' posta nel silenzio, e secondo la quale "Dio e' essenzialmente inconoscibile". La differenza tra la teologia negativa e la conoscenza mistica è questa: mentre la prima resta un procedimento discorsivo dell'intelligenza, la seconda si pone al dl là del discorso ed  situata nell'amore:

"Così ora, penetrando nella caligine che sta sopra l'intelligenza, troveremo non la brevità delle parole, bensì la mancanza assoluta di parole e pensieri" (MT III 1033B).

Le negazioni nella conoscenza mistica hanno lo scopo di esprimere il contatto, l'incontro, l'unione con Dio. Nei vari stadi di conoscenza c'è sempre la presenza dell'amore con intensità diversa (DN IV 14-15, 713 A - D). Questa conoscenza mistica e' situata nell'amore di Dio; quest'amore, per sua natura, è estatico, perché conduce all'unione dell'uomo con Dio (DN IV 13,712 A). La conoscenza mistica sradica l'intelligenza dalla condizione umana per divinizzarla.

 

Concludo l'intervento del prof. Campanile con un brano tratto dalla Pseudo Dionigi, una preghiera per conoscere Dio ed essere illuminati da Lui, tratta dal primo capitolo del "De Mystica theologia":

"Trinità sovraessenziale oltremodo divina ed oltremodo buona, custode della sapienza dei Cristiani relativo a Dio, guidaci verso la cima oltremodo sconosciuta, oltremodo risplendente ed altissima dei mistici oracoli, dove i misteri semplici, assoluti ed immutabili della teologia vengono svelati nella tenebra luminosissima del silenzio che inizia all'arcano: là dove c'è più buio, essa fa brillare ciò che è oltremodo risplendente, e nella sede del tutto intoccabile ed invisibile, ricolma le intelligenze prive di vista di stupendi splendori. Questa sia la mia preghiera".

 

Torna al Sommario