"HESYCHIA, ESICASMO E
PREGHIERA PURA"
(A cura di B. De Matteis)
INDICE:
1. Hêsychia
ed esicasmo
2. Il termine hêsychia
3. L’esicasmo
4. L’hêsychia
esteriore
5. L’hêsychia
interiore
1. Hêsychia ed esicasmo (1)
Il significato primario del termine esicasmo rimanda ad un
sistema particolare di spiritualità, così antico da coincidere con l’origine
del monachesimo orientale. Già questo dato fa emergere come si tratti di una
realtà complessa, non riducibile alla “preghiera a Gesù” e che richiede un
piccolo approfondimento etimologico,
storico e spirituale.
2. Il termine
hêsychia
Nel greco “profano” la parola hêsychia (hsucia) indica uno stato di calma, , riposo, tranquillità, quiete, segno dell’avvenuta cessazione delle cause esterne che creavano agitazione e disturbo.
Nel greco dei LXX il termine hêsychia conserva gli stessi significati:
- la pace esteriore, l’assenza di guerra che permette al popolo di vivere un periodo di pace e tranquillità (2);
- la calma interiore (3), il cui principio è la fede in Dio, il
timore del Signore e la sottomissione alla sua volontà (4);
- il silenzio (5) e
- l’assenza di inutili movimenti (6).
Nel N.T. lo si trova molto più raramente rispetto all’A.T. e significa tacere (7), osservare il riposo del sabato (8), smettere di importunare (9).
San Paolo
usa il termine hêsychia e i suoi
derivati per esortare a vivere in pace (10), a
trascorrere una vita tranquilla (11), a lavorare in pace (12).
In particolare, tre testi, due paolini e uno petrino, che
contengono il termine hêsychia, sono
indirizzati alle donne (13):
- “La donna impari in
silenzio [...] se ne stia in atteggiamento tranquillo”;
- “Il vostro ornamento non sia quello esteriore [...];
cercate piuttosto di adornare l’interno del vostro cuore con un’anima
incorruttibile piena di mitezza e di
pace”.
3. L’esicasmo
P. Adnès dà dell’esicasmo questa definizione:
“Un sistema spirituale d’orientamento essenzialmente
contemplativo, che pone la perfezione dell’uomo nell’unione con Dio per
mezzo della preghiera continua. Ma ciò che lo caratterizza è l’affermazione
dell’eccellenza, perfino della necessità, dell’hêsychia, o della quiete nel senso più lato, per attendere a
questa unione” (14). |
Non si tratta quindi di quietismo perché l’esicasmo insegna
che non si perviene a questa quiete senza sforzo o rinunce, senza ascesi; e,
d’altra parte, la stessa hêsychia
non è il fine, ma un mezzo, forse anche il migliore, per disporre l’anima
nella sua ricerca di Dio. A questo fine, si rivelano
di fondamentale importanza elementi quali la solitudine e il silenzio, senza i
quali è ben difficile giungere al raccoglimento, alla preghiera contemplativa, all’unione
con Dio.
Possiamo perciò distinguere due forme di hêsychia:
- l’una esteriore, che coincide con l’allontanamento dal mondo e dai suoi affari, dagli uomini;
- la seconda interiore, che risiede nell’anima e nelle sue facoltà, che è evidentemente più importante della prima, ma la suppone.
L’esicasmo richiede, dunque, sia uno stile di vita
esteriore sia un cammino ascetico di vita interiore.
4. L’hêsychia
esteriore
Ciò che contraddistingue il fenomeno storico dell’esicasmo è l’insistere sulla solitudine o anacoresi, al punto che talvolta solitudine ed hêsychia sono quasi sinonimi, ad indicare che solo nella solitudine, nel deserto, si possa trovare la “quiete”.
Solo in tempi successivi si arriverà a distinguere
l’hêsychia interiore dalla hêsychia-anacoresi, anche se in autori
successivi la sinonimia permane.
Praticare l’hêsychia
è proprio del monaco che si rifugia nel deserto, fra le montagne e le grotte, o
che almeno vive in una cella separata dalle altre: egli si è allontanato dal
mondo per vivere il distacco e la solitudine. È questo amore per la solitudine che fa
denominare questi monaci anche amanti dell’hêsychia o esicasti.
Quali sono le esigenze dell’hêsychia-anacoresi? Oltre la solitudine, favorita dall’isolamento
materiale, il silenzio. Una sintesi di questo modello di vita, la si può
trovare nella vocazione di Arsenio, raccontata negli Apophtegmi. Arsenio si rivolse a Gesù chiedendogli cosa fosse
necessario fare per essere salvato. Gesù gli rispose: “Fuge, tace, quiesce (hsucaze)”, fuggi,
taci, resta tranquillo (15).
Se l’esicasta si isola dal mondo, e difende la propria
solitudine in modo accanito, certo non si disinteressa dei propri fratelli: fra
gli esicasti troviamo molti padri spirituali (famosi soprattutto gli "startsi"), che esercitavano questo ministero
con scritti e lettere. Questa paternità spirituale veniva però esercitata solo dopo la
loro “guarigione spirituale”, il perfezionamento nella solitudine e nella
vita ascetica, e dopo essere stati riempiti delle "energie divine" dello Spirito (16).
Con lo sviluppo del cenobitismo si iniziò a suddividere i monaci in cenobiti ed anacoreti (e/o reclusi) e questi ultimi erano chiamati anche esicasti.
L’esicasta non è un eremita radicale, anche se ci sono dei reclusi: più sovente lo si trova in gruppi semi-anacoretici, che consentono comunque una certa solitudine.
Dal V-VI sec. si trovano monaci che, dopo aver trascorso un
periodo di formazione in un cenobio, chiedono la dispensa dalla vita comunitaria e
vivono in una cella isolata, anche all’interno dello stesso monastero, o nei
pressi di una laura (17).
Altri esicasti vivranno in solitudine la maggior parte del loro tempo, trovandosi con gli altri eremiti nel giorno del Signore per la celebrazione eucaristica.
L’hêsychia, dì'altra parte, è l’aspirazione di molti
cenobiti: fra questi si può ricordare Evagrio Pontico
che ci ha lasciato, tra i tanti scritti e insegnamenti spirituali, il
Sommario di vita monastica che insegna come si debba esercitare
l’ascesi e l’hêsychia
(18): si tratta, come dice lo stesso titolo, di un
insegnamento tradizionale con il quale l’autore ci trasmette quanto ha ricevuto
dai monaci egiziani. (19).
Secondo quest’opera il monaco è
colui che: ha abbandonato ogni realtà materiale di questo mondo ed abbraccia
l’hêsychia; è impassibile; non ha
concupiscenze; si attiene all’uso di cibi leggeri e poveri; è attento ai
poveri; ha un abbigliamento semplice, sobrio; preferisce il riposo spirituale al
riposo fisico; evita la compagnia di uomini legati alla materia o implicati in
affari e abita solo o con uomini distaccati e di un “unico sentire”; ha una
cella povera e semplice; cerca luoghi liberi da traffici e solitari; teme le
cadute ed è stabile nella propria cella; non si incontra frequentemente con i
propri amici; non abita con chi vive nella distrazione; si occupa di una lavoro
manuale per non essere di peso a nessuno; se non gli è possibile vivere l’hêsychía cerca almeno di vivere la xenitía (estraneità, distacco,
sradicamento: alcuni monaci sceglievano un paese straniero, per vivere quello
sradicamento che è ontologicamente di ogni cristiano dal momento in cui il
battesimo ne ha fatto uno straniero al mondo); pensa alla propria morte e al
giudizio finale; sa digiunare secondo le proprie forze; sopporta le veglie e il
dormire per terra; è un uomo di preghiera, una preghiera compiuta nel timore e
nel tremore e nella sobrietà.
5. L’hêsychia
interiore
Nell’esicasmo si possono individuare alcuni tratti che
permettono di indicare la sua particolare fisionomia; sono essenzialmente quattro: amerimnia, népsis, ricordo di Dio, preghiera
continua (20).
A. L’amerimnia:
assenza di pensieri e di preoccupazioni
L’esicasta sa bene che se la fuga dal mondo gli permette di allontanarsi dalla società e dalla sua dissipazione, molto più grave è la dissipazione del cuore, che, malgrado la solitudine, resta inquieto, immerso nei suoi pensieri e preoccupazioni che lo hanno seguito anche nel deserto.
L’esicasta è chiamato a
vivere perciò l’apatheia, l’impassibilità
che governa tutte le passioni inferiori (21). Questa impassibilità, è bene sottolinearlo, non è mai negligenza o
acedia, ma una virtù che ha il suo fondamento nella Scrittura:
La scuola sinaitica, ed in particolare
Giovanni Climaco, ha
posto una particolare attenzione alla vigilanza sui pensieri ("logismoi")
e alla necessità dell'hesychia (26).
Riportiamo il suo insegnamento
tratto dalla Scala del Paradiso:
"Chi è ancora immerso tra le passioni non
può lanciarsi nel dialogo con Dio, ché correrebbe il rischio di chi si
lanciasse a nuoto avvolto nelle sue vesti. La cella dell'esicasta
circoscrive il suo corpo, e lì dentro egli dà spazio alla conoscenza.
Chi, ancora psichicamente ammalato e avvolto tra le passioni, volesse
cominciare a fare l'esicasta assomiglierebbe al navigante che si lanciasse
dalla nave credendo di poter raggiungere la terraferma aggrappato ad un
asse senza correre alcun pericolo. Chi combatte col fango a suo tempo
potrà vivere in esichia, se e quando abbia avuto una guida. Poiché
il solitario - parlo del solitario in senso stretto - cioè nel corpo e
nello spirito da vero e proprio esicasta deve avere una forza angelica.
Rinnegherebbe l'esichia e mentirebbe un
tiepido che accondiscendesse agli umani cavilli che lo spingessero a
prendersi una vacanza dal suo stato di esicasta. Lasciando la cella darà
la colpa ai demoni, dimenticando che è lui il demonio tentatore di se
stesso. Ho visto io cosa vuol dire essere esicasti: non facevano che
rinfocolare le fiamme del desiderio di Dio, riempiendosi e mai sentendosi
abbastanza pieni; aggiungere sempre fuoco a fuoco, amore ad amore,
desiderio a desiderio. L'esicasta è un angelo in terra; egli, liberatosi
dall'accidia e dalla pusillanimità, nella sua orazione scrive sulla carta
del desiderio lettere perfette che espri
Chiudi fisicamente la porta della
cella per il tuo corpo, ferma la porta alla lingua perché non parli,
sbarra la porta dal di dentro contro gli spiriti. La mancanza di
tante cose allora rivelerà provandola la fortezza dell'esicasta, nel
mezzogiorno quando la bonaccia mette alla prova la resistenza del
marinaio. Questi per impazienza si getterà nell'acqua a nuoto; quello
preso dal tedio bramerà tornare tra la folla. Tu non temere gli scherzi di
quelli che ti frastornano, poiché la compunzione non conosce viltà né
costernazione. Quanti hanno veramente appreso a pregare mentalmente
sapranno instaurare il colloquio quasi parlando all'orecchio del Re;
quanti sanno fare preghiera vocale si prostreranno a Lui nella
grande adunanza; quanti vivono nel mondo pregheranno il Re tra il tumulto
del suo popolo.
Se hai imparato l'arte, intenderai quel che
dico. Dall'alto della torre sorveglia come ti ho spiegato; e allora potrai
discernere come, quando e donde, quanti e quali ladri entrino nella vigna
a rubare i grappoli. Chi non si stanca di fare la guardia, si alza e
prega, ritornerà a star tranquillo, attendendo con coraggio al suo lavoro.
Così un tale ricco di questa esperienza, che avrebbe voluto parlarne
sottilmente e con esattezza, temendo di rendere trasandati nel servizio di
Dio i fervorosi ovvero di scoraggiare quanti avevano scelto l'esichia al
suono delle sue parole, se ne astenne. Chi ne parla con sottigliezza e
sapienza eccita contro di sé i demoni, perché nessun altro potrebbe
trionfare della loro malefica attività con sì felice risultato.
[L'esicasta vive nel
silenzio per ascoltare Dio, spiritualizzandosi: PG 11OOC-11O1B]
180. Chi si impegna nell'esichia
infatti riesce a penetrare le profondità dei misteri. Ma non vi si
cimenta senza aver prima af
Esicasta è chi fugge il mondo senza
odiarlo; lo fugge come altri corre dietro alle sue mollezze, cioè
perché non vuole gli siano tagliate le dolcezze di Dio. Perciò lascialo
immediatamente, distribuisci il tuo tempo per potere pregando raggiungere
l'esichia, applicando a te le parole: «Vendi quello che hai e dallo
ai poveri» e le altre: «Prendi la tua croce e seguimi»
. Portando il peso dell'ubbidienza e sopportando l'amaro taglio della tua
volontà con tutta la tua forza, poi lo seguirai aderendo alla beatissima
esichia dove imparerai a vedere quanto operano e come vivono beate le
potenze spirituali che mai cessano di lodare il Creatore per i secoli dei
secoli; né tu sarai privo dei loro inni al Creatore, una volta entrato nel
cielo dell'esichia.
Come gli esseri immateriali non si curano
della materia, gli spirituali uniti alla materia non si preoccupano di ciò
che l'alimenta; i primi non sentono il gusto del cibo e i secondi non
hanno bisogno di procurarselo, in quanto quelli non hanno beni di uso o di
possesso cui badare e questi non hanno mali spirituali da cui guardarsi da
parte degli spiriti malvagi: gli esseri celesti non hanno interesse a
volgere lo sguardo alle creature materiali e gli spirituali non hanno
interesse per le forme sensibili una volta che hanno diretto i loro
desideri lassù. Come gli esseri celesti progrediscono nell'amore senza mai
cessar di migliorare, così gli spirituali non fanno che emulare ogni
giorno i celesti; gli uni sanno bene che tesoro sia quel progredire,
gli altri non ignorano il valore di amore che li fa salire continuamente
fino alla mèta dei Sera |
La vittoria sui logismoi non è fine a se
stessa, ma è in vista di disporsi alla contemplazione: Evagrio parla di
una
stretta connessione tra la preghiera pura, liberata da tutto ciò che “non è
Dio”, e l’hêsychia; preghiera
contemplativa ed hêsychia sono
praticamente sinonimi.
Sempre questo autore ci ha lasciato un’opera
estremamente importante:
Sul
discernimento delle passioni e dei pensieri (28), un trattato di terapeutica del IV sec.
che si prefigge di far conoscere all’uomo la sua vera natura fatta “ad
immagine e somiglianza di Dio”, e di insegnare a liberarla da tutto ciò che la nasconde o la
deforma. In questo senso, per Evagrio, il termine apatheia si può intendere anche come “stato non patologico” e
la conversione, per usare parole di san Giovanni Damasceno
Il cammino spirituale nel pensiero di Evagrio è contrassegnato da tre tappe (l'ascesi pratica - osservanza dei comandamenti ed esercizio delle virtù) e conduce al perfetto dominio degli istinti passionali. Questo dischiude la prima forma della conoscenza: la contemplazione, non colorata da passionalità, delle creature corporee ed incorporee, e la comprensione della parola divina che è la ragione di essere di ciascuna creatura. Superata questa forma di conoscenza, si raggiunge la contemplazione di Dio al di là di tutte le forme e di tutti i concetti distinti e separati.
B. La népsis: vigilanza e attenzione
È l’attitudine di un’anima pronta, presente a se
stessa e a Dio, vigilante e attenta a non lasciarsi
sorprendere dall’Avversario e dai logismoi.
Evagrio distingue otto logismoi,
pensieri, che sono otto sintomi di una malattia dello spirito o
dell’essere:
1. gastrimargía
(Cassiano tradurrà: de spiritu
gastrimarigiae): non è solo golosità, ma ogni patologia orale;
2. philargyría (de spiritu philaguriae): non solo
l’avarizia, ma tutte le forme di stitichezza dell’essere e di patologia
anale;
3. porneia (de spiritu fornicationis): non solo
fornicazione, masturbazione, ma ogni forma di ossessione sessuale, di deviazione
e di compensazione della pulsione genitale;
4. ofré (de spiritu
irae): la collera, patologia dell’irascibile;
5. lypé (de spiritu tristitiae): depressione,
tristezza, malinconia;
6. akédia (de
spiritu acediae): acedia, depressione con tendenza suicida, disperazione,
pulsione di morte;
7. kenodoxia (de
spiritu cenodoxiae): vanagloria, inflazione dell’ego;
8. hyperéphanía
(de spiritu superbiae): orgoglio, paranoia, delirio schizofrenico.
Il demone della sensualità stimola le bramosie carnali, e con astute insidie muove all'assalto degli astinenti, cercando di dissuaderli dalla loro austerità, presentandola come sterile per loro stessi. Con queste suggestioni inquina la loro anima, per spingerli a compiere azioni sensuali, e li mette nell'occasione di dire ed ascoltare quelle parole solite a chi commette atti di lussuria. Il demone dell'avidità di denaro suggerisce pensieri di prudenza per l'età avanzata, per quando le forze verranno meno ed il solitario non potrà più lavorare con le sue mani, gli rappresenta la fame, la malattia, l'asprezza del bisogno, il peso di dover accettare dagli altri il necessario per il sostentamento fisico.
La mancata soddisfazione di un desiderio o, alle
volte, l'irascibilità stimolano le suggestioni del risentimento. Quando
c'è la mancata soddisfazione di desideri, tutto il lavorio dei pensieri
del risentimento si svolge così: tornano prima i ricordi dei conforti che
il solitario aveva avanti di abbracciare la vita dell'ascesi. L'iracondia è il più vivace di tutti gli istinti passionali. Sorge e s'infiamma contro chi ci ha fatto, o sembra averci fatto una qualche offesa. Rende l'anima sempre più inflessibile; il suo tempo preferito è quello della preghiera; in quel momento presenta vividamente la figura di chi ha recato l'offesa. Alle volte si radica nell'anima e diventa inimicizia, produce notturni incubi ed immagini di torture, di morte orrenda, di assalti eseguiti da velenosi serpenti e mostri bestiali. Questi quattro fenomeni sono il segno che nell'anima nasce l'inimicizia, che è attorniata da numerosi pensieri tormentosi; chi osserva se stesso può capire che dico il vero.
Il demone dello scoramento detto
il demone meridiano, è il più opprimente
di tutti. Assale ordinariamente il monaco verso le dieci del mattino, lo
assedia fino alle quattordici. Comincia col far notare, in modo
deprimente, il lento girare del sole, tanto lento da sembrare immoto, il
giorno appare di cinquanta ore. Dopo spinge il monaco a occhieggiare
spesso dalla finestra, o ad uscire dalla cella ed osservare il sole per
fare il computo del tempo che manca ad arrivare alle quindici;
contemporaneamente lo fa guardare a destra e a sinistra per vedere se
qualche frate venga a trovarlo. Quindi lo assale con il disgusto del
posto, del genere di vita e di impegno scelti, suggerendogli
considerazioni come queste: tra i frati non c'è amore, nessuno è pronto a
darti un conforto. Se nei giorni di prova, qualche frate gli ha recato
offesa, il demone glielo ricorda e lo vessa con tale pensiero. Da queste
suggestioni, lo spirito del male, provoca nel solitario il desiderio di
vivere in altro luogo, dove più agevole sia trovare il necessario, e dove
l'impegno ascetico sia più lieve e proficuo. I pensieri malvagi sussurrano
che il piacere a Dio non dipende dal posto ove uno è, perchè Dio può esser
venerato ovunque. Insieme a questi pensieri, unisce il ricordo del
benessere goduto prima della solitudine; e prospetta il lungo tempo che
ancora dovrà vivere nell'asprezza dell'ascesi; si serve, in una parola, di
tutte le sue astuzie per spingere il monaco ad abbandonare la sua cella, e
interrompere il suo impegno. Il demone che segue lo scoramento, è il più sottilmente malizioso di tutti, è quello della vanagloria. Svolge la sua opera nel cuore di chi ha raggiunto il giusto dominio delle forze vitali. L'assalto comincia con il compiacimento dello sforzo ascetico compiuto e con gli elogi mossi dagli altri uomini. Il solitario vede sorgere, per l'incantesimo della fantasia, le urla dei demoni fugati dalla sua presenza, la guarigione delle donne ammalate, la turba degli infermi che l'attornia per esser guarita dal solo contatto delle sue vesti. Sente profetizzarsi la dignità sacerdotale, vede schiere di uomini alla sua porta per ricercarlo e consacrarlo prete, immagina di rifiutare e si scorge legato e costretto ad accettare il sacerdozio contro la sua volontà. Una volta accese queste speranze, lo spirito del male se ne va lasciando il campo ad altre tentazioni, quelle del demone della superbia o del risentimento che suggerisce pensieri opposti alle speranze nutrite. Può anche succedere che a questo punto il demone impuro vinca il solitario che poco prima immaginava di essere un santo e venerato sacerdote.
Lo spirito malvagio della superbia causa le più gravi
rovine nell'anima. Suggerisce all'anima di non riconoscere Dio come
l'unico soccorritore, attribuendo solo al proprio sforzo ogni progresso
nella bontà; di collocarsi al di sopra degli altri frati, reputandoli
ignoranti non avendo essi pensieri sublimi come lui. La superbia ha sempre
l'irrequietezza e il malcontento, al suo seguito. L'ultimo stadio del
superbo è la frenesia mentale e la visione degli spiriti del male." (30) |
Questo atteggiamento di difesa prende anche il nome di
attenzione, difesa dello spirito, del cuore. Secondo Esichio il Sinaita, per
fare un esempio, tutta l’ascesi sembra ricondursi alla népsis che è un “metodo spirituale che libera interamente la persona,
con il soccorso di Dio e per mezzo di una pratica costante e decisa, dei
pensieri e delle parole animati, come delle azioni cattive” (31),
C. Il ricordo di
Dio
Anche questo è un tema tradizionale della spiritualità orientale, già presente fin negli Apophtegmi e nelle Vite dei Padri del deserto.
I Padri orientali suggeriscono vari modi per mantenere
costante questo ricordo, anche per mezzo di una breve formula verbale di
preghiera, tratta preferibilmente dalla Sacra Scrittura. Così il ricordo di Dio,
che lentamente si precisa come ricordo di Gesù, può divenire incancellabile.
E' sempre Giovanni Climaco che
stabilisce una connessione del ricordo di Gesù con l’hêsychia:
D. La preghiera
La preghiera e l’hêsychia
sono strettamente connesse: se l’hêsychia
è il clima favorevole per la preghiera, la preghiera è ciò che rende
possibile l’hêsychia.
La ricerca della quiete interiore in vista della
contemplazione è un tema classico della spiritualità orientale, anche per
autori che non si possono classificare tra gli esicasti.
Per esempio, Basilio scriveva:
Ma negli autori esicasti si scorge qualcosa in più. L’hêsychia non è soltanto un mezzo, ma il
centro stesso della vita contemplativa e in un certo senso la vita contemplativa
stessa, e l’esicasta è la preghiera fatta uomo.
Giovanni Climaco ha scritto molto a questo proposito:
Sant’Efrem, in un testo di dubbia attribuzione (lo
“condivide” con Giovanni Crisostomo), De
patientia et consummatione, fa un elogio dell’hêsychia partendo da una figura del vangelo: Maria di Betania.
Maria, che si era messa ai piedi di Gesù e non aveva attenzione che per lui, è
l’immagine dell’hêsychia.
D’altra parte non è Gesù stesso che ha garantito il riposo per chi fosse
andato a lui? (37).
Simeone il Nuovo Teologo
ci ha lasciato una descrizione
delle grazie della contemplazione promesse all’hêsychia, ma non dimentica di sottolineare come non si possa
chiamare riposo il non compiere opere o hêsychia
l’oziosità e mettere questi atteggiamenti al di sopra della legge del Cristo:
umiltà, carità, servizio agli altri.
NOTE
1 P. Adnès, Hésychasme, in Dictionnaire de Spiritualité, ascétique et mystique, doctrine et
histoire, Paris 1969, t. 7, coll. 381-399;
E. BEHR-SIGEL, Il luogo del cuore.
Iniziazione alla spiritualità ortodossa, Cinisello Balsamo 1993; J.-Y.
Leloup, L’Esicasmo. Che cos’è, come
lo si vive, Milano 1992; NICODIMO AGHIORITA e MACARIO DI CORINTO, op. cit.; K. Ware, Philocalia, in Dictionnaire de
Spiritualité, ascétique et mystique, doctrine et histoire, Paris 1984, t.
12, coll. 1336-1352.
2 Cf. Gdc 3,11 (“Il paese rimase in pace...”; 3,30; 5,31; 8,28; ...).
9 At 21,14 (“... smettemmo di
insistere...”).
10 1Tess 4,11 (“... attendere alle cose
vostre...).
11 1Tm
2,2 (“perché possiamo
trascorrere una vita calma e tranquilla...”).
12 2Tess 3,12 (“... mangiare il proprio
pane lavorando in pace”).
14
P. Adnès, Hésychasme, col. 384.20
Cf. in part.: P. Adnès, Hésychasme, coll. 388-397.21 Il termine apatheia, accettato da Evagrio e dalla sua scuola, manca negli
esicasti più antichi e non ha mai prevalso sul termine amerimnia: i due termini si richiamano a vicenda e spesso sono
associati. Cf. G. BARDY, Apatheia,
in Dictionnaire de Spiritualité, ascétique
et mystique, doctrine et histoire, Paris 1936, t. 1, coll. 727-746.
22 Mc 4,18-19.
29
Cit. in: J.-Y. Leloup, op. cit., p. 48.30 Ibid., pp. 47-48. Per un
approfondimento: EVAGRIO MONACO, op. cit.,;
CASSIANO (IL) ROMANO, Al Vescovo Castore.
Gli otto pensieri viziosi, in Filocalia, vol. I, pp. 129-153; J.-Y. Leloup, op. cit., pp. 47-67.
31 ESICHIO (IL) SINAITA, Centurie, I, 1, PG 93, 1480d, cit. in: P.
Adnès, Hésychasme, col. 392. J.
Gouillard attribuisce quest’opera non al santo, ma a un monaco, di nome
Esichio, del monastero sinaitico di Batos.
32 GIOVANNI CLIMACO, La scala del Paradiso, Roma 1995, p. 318.
37
Cf. Mt 11,28.(A cura di B. De Matteis)