Antonio Rigo, che da tempo si dedica all'Esicasmo in
suoi lavori già editi, minori per mole, e in corso di stampa, come
l'antologia sull'Esicasmo, aveva elaborato nell'anno accademico 1985-1986
una tesi di dottorato di ricerca in storia religiosa che ora vede la luce
come secondo volume di Orientalia Venetiana. Nell'impegno
storico-teologico dello studioso colpisce in primo luogo la nettezza della
tecnica storiografica: la accurata frequentazione delle fonti edite, dai
trattati di polemica teologica ai difficili epistolari bizantini, dai
testi agiografici ai documenti sinodali, non senza attenzione agli archivi
athoniti; la capacità di approccio alle fonti inedite, come la
compilazione eresiologica del Vat. gr. 604 - già studiato da G. Mercati -
interessante la tradizione testuale dell'Hagioritikòn gramma,
prosegue e realizza l'approfondimento originale di una meditazione della
bibliografia, di cui si è voluto dar conto anche in una dettagliata
schedatura, a premessa dell'analisi dottrinale della vicenda del 1344.
Tale vicenda è colta nel quadro di un monachesimo fra l'Athos, Salonicco e
Verria intimamente articolato nelle tensioni teologiche ed etiche
dipanantesi fra eterodossia, esicasmo e palamismo. Una probità filologica
e storiografica che garantisce nel Rigo una sicura promessa nell'ambito
degli studi sulla eresia e sulla cresiologia, sulla scia delle
problematiche del Gouillard fino al XII secolo e del Meyendorff
sull'Esicasmo athonita nell'età dei Paleologi, centrati sul nodo
dottrinario e politico della storicità e funzione del pensiero del
Palamas. Negli anni che culminarono nel sinodo delle Blacherne (27
maggio 1351) nel corso della seconda fase della controversia esicastica,
Gregorio Acindino e poi Niceforo Gregora accusarono gli esponenti più in
vista del palamismo di collusione con gli eretici athoniti del 1344, un
gruppo di monaci qualificati come bogomili, mediante la assunzione della
polemica, già utilizzata da Barlaam, centrata sulla eterodossia monastica
del messalianismo. Polemica di cui il Rigo verifica la infondatezza
dottrinale estendendo la sua analisi al problema dei rapporti
dell'esicasmo con il dualismo bogomilo, secondo un'impostazione delle
fonti anche occidentali di cui va chiarita la valenza storico-politica in
senso ecclesiastico. Il Rigo coglie nella prassi storico-teologica la
costante culturale della tradizione letteraria tardo-antica e bizantina
che potremmo definire dell'arcaismo programmatico. Anche nei testi
eresiologici si applica il principio, positivisticamente fuorviante, di
apporre etichette antiche ad eresie nuove, in omaggio alla rassicurante
permanenza nella storia di un divenire già esplicitato nel passato nel
passato remoto, - noto e quindi trattabile? -: messalianismo e bogomilismo
insomma in chiave di categorizzazione negativa più che di concreta
verifica attualistica. Non interessa al Rigo la ambientazione storica in
senso sociale e politico, il problema della interpretazione del Werner di
Fortschritt und Reaktion circa il ruolo della contesa esicastica,
fra il 1341 e il 1351 almeno, in un momento di crisi ideologica nella
storia della società bizantina rappresentata dallo scontro fra
cantacuzenismo e popolo delle arti, all'atto della espansione turca anche
in Europa; come non interessa il comparativismo etnoantropologico che per
l'esicasmo appunto ha esplicitato il Poli e che sulla scorta del Balivet
si sarebbe forse potuto tentare verso l'individuazione di un tramite
ideologico e di tecnica ascetica fra mondo della spiritualità turca e
mondo della spiritualità bizantina, cioè verso il concreto plesso delle
tensioni etiche, spirituali e culturali cui non si saranno sottratte le
vicende della biografia interiore del comune plethos dei monaci
athoniti, che al Rigo stanno a cuore al di là della attenzione per le
personalità di singoli esponenti «di rilievo» coinvolti nella
controversia. Del resto spia di una situazione ricca di connessioni
sociali e politiche di una élite con rapporti anche con la chiesa
occidentale sembra trasparire proprio dall'accusa di bogomilismo
intercorrente fra ambiente curiale latino e dirigenza cantacuzenista, in
uno spessore di finale coinvolgimento dei rapporti fra le due chiese,
tutt'altro che casuale o episodico come attesta la nota vicenda e il
sicuro tramite dell'italo-greco Barlaam, maestro di Leonzio Pilato,
conoscitore dei testi classici dell'esicasmo athonita e di quei monaci
haplousteroi, in realtà esponenti di primo piano dell'esicasmo a
Tessalonica, che per Meyendorff sarebbero gli operatori di un processo
osmotico fra esicasmo e bogomilismo, entro cui si iscriverebbe l'episodio
del 1344, processo tutt'altro che assodato per il Rigo. La
individuazione topografica dei gruppi monastici in una geografia
dell'esicasmo athonita attenta ai modelli di vita monastici è una delle
proposte più feconde nell'analisi che pure delinea una minor compattezza
dottrinaria del fronte antipalamita nel quadro della difformità polemica
dei suoi esponenti. Sgombrato il campo dalle accuse di bogomilismo, legate
a stereotipi eresiologici, per la assenza di una venatura dualistica, la
sensibile influenza dell'antica eterodossia monastica nei confronti del
nuovo movimento spirituale palesa una dipendenza più apparente che reale
dei maestri dell'esicasmo athonita dal messalianismo. Nell'insistenza
esicastica sul ruolo della preghiera per scacciare il peccato dall'uomo,
non appare il problema della unione sostanziale di un demonio con
l'anima umana della concezione degli antichi euchiti; e le accuse alla
antropologia esicastica, pur nella sua vicinanza a quella dello
pseudo-Macario, appaiono esito di un dibattito tra due diverse
antropologie, una di ascendenza stoica l'altra di ambito platonizzante,
mentre la coincidenza tra la preghiera monologistos della
tradizione esicastica e la pratica bogomila del solo «Padre nostro»,
sembra fondata su due diverse esegesi del passo mattaico (6,6). La
evidente diffidenza degli esicasti nei confronti della stessa Scrittura
viene dal Rigo inquadrata in una «concezione carismatico-pneumatica» che
subordina l'intelligenza profonda delle Scritture alla Purificazione dello
spirito indotta da una ascesi rigorosa: chiave di lettura per interpretare
anche singolari concezioni cristologiche attribuite agli eterodossi
athoniti, come l'autoidentificazione con il Cristo. Riflesso distorto
forse dell'identificazione estatica con il Cristo concessa al mistico, in
virtù dell'antica dottrina, familiare ai Padri greci, della theosis
per grazia. Ma il problema della apatheía, ostentata mediante la
nudità e la promiscuità - si riaffaccia alla memoria la comparatistica del
Poli -; il problema dei tratti «monastici» nel bogomilismo classico, come
la consegna dell'abito all'atto della iniziazione e la compresenza,
testimoniataci dal Palamas, di bogomili nella zona monastica del Papikion,
la stessa possibile derivazione dell'epiteto bogomilo di
koudougeros da kalogeros, lasciano forse trapelare allo
storico delle religioni una realtà dalle complesse influenze e dalle
lunghe diacronie, meritevole di un approccio metodologico differenziato
anche sotto il profilo dei compassi spazio-temporali, dopo la perspicua
prima realizzazione del nostro storico della dottrina
esicastica.
INDICE
GENERALE DEL LIBRO
Introduzione
Parte Prima LE ORIGINI DELLE ACCUSE DI MESSALIANISMO/BOGOMILISMO
RIVOLTE AI MONACI ESICASTI
1. Le fonti
2. Le fonti di Barlaam
3. «Solo la preghiera può cacciare il demone congiunto sostanzialmente
all'anima»
4. Il cuore e l'antropologia connessa
5, Unione del Nostro Signore con l'anima
6. Atteggiamenti negativi nei confronti della Scrittura
7. La Preghiera di Gesù e il «Padre nostro» dei bogomili
8. La visione sensibile della divinità
Parte Seconda IL BOGOMILISMO ATHONITA E GLI AMBIENTI MONASTICI CONTEMPORANEI
1. Il Bogomilismo bizantino in epoca paleologa (XIII - V secc.)
--- Le fonti
--- Le accuse abusive di Bogomilismo
--- Le dottrine
2. L'affaire del 1344
A - Le fonti
--- Hagioreitikòn gramma
--- Niceforo Gregoras
--- La Vita di Teodosio
--- Doch. 24 e 30
--- Gregorio Acindino
--- Callisto I
--- Alcune menzioni
B - Ricostruzione della vicenda
C - Le dottrine degli eretici athoniti
--- Hagioreitíkòn gramma
--- l . La
cristologia
--- 2. L'esegesi spirituale del Vangelo
--- 3. Il rifiuto dei digiuni
--- 4. Le pratiche sodomitiche
--- 5. L'assunzione dell'urina
--- 6. L'iconoclasmo
--- 7. Il battesimo e la comunione
--- 8. Il rifiuto della resurrezione
--- Vita di Teodosio
--- 1. La nudità
--- 2. Il dono della profezia
--- 3. Le altre dottrine
--- Un bilancio dell'affaire
3. Monaci eretici, monaci palamiti e monaci esicasti Le conseguenze dell'affaire
Le fonti
Le accuse
--- 1. Gregorio Palamas
--- 2. Isidoro Bucheir
Alcuni problemi
--- 1. L'iconoclasmo
--- 2. L'infrangere i digiuni
Monaci esicasti e monaci eretici all'Athos, Verria e Salonicco
--- l. L'Athos
--- 2. Verria
--- 3. Salonicco
Conclusioni
Abbreviazioni
INDICI
Indice dei nomi di persona
Indice dei nomi di luogo
Indice dei manoscritti
Antonio
Carile
I BOGOMILI NEI
PAESI SLAVI
di Ivan Dujchev
Al mondo medioevale
mancava quella unità che costituiva uno dei tratti caratteristici dell'età
romana, ma nonostante ciò e malgrado tutte le difficoltà di comunicazione, gli
scarsi mezzi di trasporto e la poca sicurezza delle vie, i popoli europei
mantenevano dei rapporti reciproci assai stretti e stabili. Questi rapporti però
non si realizzavano unicamente come contatti, pacifici o di guerra, fra i vari
stati, oppure come legami nell'ambito della vita ecclesiastica. Esistevano,
accanto ad essi, varie sfere dell'attività umana, dove - per vie quasi ignote o
almeno a stento identificabili - s'intrecciavano altri contatti vastissimi e
durevoli. I tratti comuni nel folklore oppure nel linguaggio popolare
risultavano da contatti fra i vari popoli che si svolgevano al di fuori dei
"rapporti ufficiali", sotto lo sguardo indifferente del potere temporale e
spirituale. Vi era tuttavia un campo della vita spirituale in cui i popoli
europei s'ingegnavano di stabilire fra di loro molteplici contatti e di creare
una grande unità, contro il volere degli stati e dell'organizzazione
ecclesiastica: tale era esattamente il caso dei movimenti ereticali.
Sotto quest'aspetto la storia di certe eresie - come ad esempio il manicheismo,
il bogomilismo ed il catarismo -acquista un significato del tutto nuovo. Le
eresie ricordate possono essere studiate non solo come un fenomeno importante
dal punto di vista puramente religioso o dottrinale, sociale o politico, ma
anche come una forma di contatti e di influssi reciproci fra i vari popoli e
paesi, ad esempio fra l'Oriente e Bisanzio, fra Bisanzio ed i popoli balcanici
ed in genere i popoli slavi, infine fra questi ultimi e l'Occidente europeo.
Qualche studioso moderno ebbe l'idea di dichiarare il bogomilismo come "the
first European link" di una catena millenaria, che incomincia con la predica di
Mani in Mesopotamia nel III secolo e giunge sino alla Crociata degli Albigesi in
Francia meridionale nel secolo XIII. Nonostante la sua troppa semplicità,
quest'affermazione appare assai seducente. Prima di considerarla al di sopra di
ogni dubbio, sarebbe necessario un esauriente e vasto studio comparativo delle
grandi correnti ereticali del Medio Evo, verificando i singoli nessi di questa
presupposta ' catena ' sia nella loro sostanza che nel modo di concatenarsi,
attraverso i secoli e gli ampi territori del mondo medioevale. Durante tutto il
periodo medioevale gli Slavi della Penisola Balcanica erano prevalentemente, se
non anche esclusivamente, nell'ambito dell'Impero bizantino, e per mezzo di esso
venivano in contatto con l'Oriente, con il suo germogliare continuo di eresie.
Non è difficile perciò rintracciare i legami che univano tali correnti ereticali
dell'Oriente, come il manicheismo e il paulicianismo, con il bogomilismo. Per
vari secoli però i popoli balcanici vivevano privi di contatti con l'Occidente.
Accettando la ipotesi di una certa unità e continuità delle correnti ereticali
del Medio Evo, e parlando di un vasto movimento "neomanicheistico" realizzato
attraverso la mediazione dei bogomili balcanici, sembra più che necessario
badare non soltanto ai tratti di unità dottrinale, ma comprovare anche
l'esistenza dei rapporti storici fra questi popoli.
Come per tanti altri movimenti ereticali, uno sguardo sulla storia e
particolarmente sull'essenza dottrinale del bogomilismo viene ostacolato da una
difficoltà primordiale: la mancanza totale di fonti dirette e genuine di
provenienza bogomila. Non è inutile avvertire che tutto ciò che conosciamo di
più importante della dottrina dei bogomili viene dagli scritti dei loro nemici.
Ben poco si può ricavare da certi apocrifi di origine presupposta bogomila,
dalla cosidetta "Interrogatio Iohannis>, conservataci unicamente in veste latina
di epoca relativamente tarda, finalmente dalla tradizione orale in fiabe
popolari, diffuse fra i Bulgari e fra altri popoli balcanici quasi sino ai
giorni nostri. Essendo il bogomilismo spuntato inizialmente fra i Bulgari e
rimasto, per quanto si può sapere, limitato per vari decenni fra di essi, la
prima menzione delle fonti storiche sull'eresia spetta agli scritti di origine
bulgara, supponendo in detti scritti un'informazione diretta e copiosa. La
speranza dello studioso di scoprire, fra le opere assai numerose della
letteratura bulgara del Medio Evo, fonti abbondanti sulla storia e la dottrina
degli eretici, rimarrà delusa. In ordine cronologico come fonti della storia dei
bogomili bulgari si possono menzionare soltanto alcuni scritti di valore
disuguale: alcuni passi nell'Esamerone composto dallo scrittore Giovanni Esarca
verso la fine del secolo IX o all'inizio stesso del secolo decimo, il <Discorso
contro la recente eresia di Bogomil> del Vescovo Cosma I, composto nel periodo
969-972, poi il Sinodico redatto per ordine del re Boril (1207-1218) in
occasione del sinodo antibogomilistico convocato nella capitale bulgara di
allora, Turnovo, all'inizio del 1211, finalmente la vita del vescovo della
regione di Muglen (in Macedonia) Ilarione, dei tempi dell'imperatore bizantino
Manuele I Comneno (1143-1180), scritta dall'ultimo patriarca della Bulgaria
medioevale Eutimio di Turnovo (13751393). Fra tutti questi scritti quello di
maggior valore è senza dubbio l'opera di Cosma, resa pienamente accessibile agli
studiosi occidentali in una versione francese ed in un'altra non meno utile in
lingua latina, assai recenti ambedue. Contemporaneo agli stessi inizi
dell'eresia, connazionale del primo grande promotore ed eresiarca e dei suoi
immediati seguaci, il vescovo Cosma era naturalmente informato in modo ampio e
diretto per il periodo forse più importante della formazione del bogomilismo. Le
sue testimonianze sono non solo le più dettagliate e originali, ma hanno anche
il singolare pregio di essere date in modo concreto e abbastanza oggettivo. Una
trentina di anatematismi, formulati in forma più che schematica nel testo del
Sinodico bulgaro, confermano le testimonianze di Cosma e rilevano certi
particolari di carattere storico o dottrinale nuovi. Giovanni Esarca ben cinque
volte fa cenno ai manichei e agli "Slavi pagani": due delle sue testimonianze
riproducono, in versione paleo-bulgara, passi di autori patristici greci, le
altre tre fanno menzione del culto solare presso i manichei e, salvo una lectio
erronea del testo, presso gli "Slavi pagani", come anche della conczione
negativa del mondo visibile dei manichei. In nove capitoli della Vita di S.
Ilarione il vescovo Eutimio ha voluto dare piuttosto prova della sua cultura
letteraria, invece di offrire qualche notizia diretta e autentica. Parlando dei
manichei, degli armeni (= pauliciani) e dei bogomili in Macedonia Centrale egli
nelle dispute reali o fittizie con loro non ha fatto altro che ripetere gli
argomenti dell'apologeta bizantino Eutimio Zigabeno.
Per indagare la storia del bogomilismo siamo costretti, come per tanti altri
momenti nella storia degli Slavi meridionali, a ricorrere alle fonti di origine
bizantina. Relativamente più copiose, queste fonti nella loro maggioranza si
riferiscono al periodo posteriore della storia del bogomilismo, quando il
movimento ereticale varcò i confini della Bulgaria, per diffondersi nell'Impero
bizantino. Considerati gli stretti legami storici e dottrinali che riallacciano
il bogomilismo alle dottrine dei manichei, dei pauliciani, dei massaliani e di
alcune eresie in Bisanzio e nell'Oriente, le fonti storiche di detti movimenti
ereticali diventano più che indispensabili anche per lo studio del bogomilismo.
Per una curiosa coincidenza due delle fonti bizantine più antiche sono legate,
in certo modo, con l'Italia. Così, la "Historia Manichaeorum" di Pietro Siculo,
composta verso l'872, testimonia della penetrazione di missionari pauliciani fra
i Bulgari o almeno di legami esistenti fra i pauliciani dell'Asia Minore e la
Bulgaria in quel periodo. Scritta sulla base di una esperienza personale,
quest'opera offre, d'altronde, preziose corrispondenze dottrinali fra le due
eresie. In un codice della Ambrosiana (cod. 270, E. 9 sup., olim T 89), del sec.
XIV, ci è pervenuto il testo unico della fonte bizantina più antica, dove si
danno notizie, benché senza nominare esplicitamente il bogomilismo, dell'eresia
bulgara. Si tratta di una lettera del patriarca costantinopolitano Teofilatto
(2.II.933-27.II.956), diretta al re bulgaro Pietro (927-969). Conosciuta, come
pare, dagli eruditi europei già all'inizio del '700 e rimasta inedita, a causa
di una falsa attribuzione, sino al secondo decennio del nostro secolo, tale
epistola fu inviata in risposta ad una domanda del sovrano bulgaro, turbato dal
propagarsi dell'eresia nel suo regno. Il patriarca, o meglio quell'ignoto
Giovanni, "chaytophytax" della Chiesa di Costantinopoli, che scrisse in vece sua
la lettera, si basava sulle informazioni fornitegli dal re bulgaro. Le autorità
ecclesiastiche e civili in Bulgaria però non riuscivano ancora ad afferrare le
particolarità della "nuova eresia", e perciò la loro informazione non aveva
fornito al patriarca un materiale sicuro e chiaro, per distinguere bene il
movimento. Formulando i tratti essenziali dell'eresia in una serie di
anatematismi, la lettera rimaneva piuttosto a ciò che si conosceva sul
manicheismo e sui pauliciani. Nonostante tutto, dal contenuto di questa epistola
si possono trarre alcune conclusioni fondamentali rispetto alla storia del
bogomilismo nel periodo della sua formazione iniziale. Priva di qualsiasi
indicazione cronologica esplicita, ma databile al primo decennio del patriarcato
di Teofilatto, l'epistola costituisce un vero "teyminus ante quem" per il
sorgere dell'eresia. Sebbene non disponesse di una informazione sufficiente,
l'autore della lettera aveva definito l'eresia come un neomanicheismo - un
manicheismo cioè congiunto con paulicianismo - e questa sua definizione non fu
smentita dalle testimonianze delle altre fonti storiche, e tanto meno dagli
studi moderni, che la modificarono solo parzialmente.
La maggior parte delle fonti bizantine dei tempi posteriori hanno un valore
minore e relativo. Così, lo scritto di Michele Psello "De operatione daemonum",
composto verso l'inizio della seconda metà del sec. XI, non è altro che una
fonte torbida, il cui pregio maggiore consiste forse nell'indicare la
propagazione dell'eresia in Tracia. Verso la stessa epoca il monaco del
monastero della Peribleptos Eutimio compose la sua <Epistola invectiva contra
Phundagiagitas sive Bogomilos haereticos". Il territorio bulgaro si trovava, in
quei tempi, sotto il dominio bizantino e, tolte le frontiere fra i due stati,
l'eresia aveva dilagato sino all'Asia Minore. Informato grazie ad un contatto
diretto, il monaco Eutimio ci fornisce alcuni particolari interessanti e nuovi.
Eutimio Zigabeno, la principessa Anna Comnena ed una decisione sinodale contro
Costantino Crisomallo dell'anno 1140 forniscono in formazioni preziose circa la
penetrazione del bogomilismo perfino nella capitale dell'Impero di
Costantinopoli, senza aggiungere però tratti particolarmente nuovi a ciò che si
conosce ormai della sua dottrina. Il grande storico bizantino Niceta Coniata
(ca. 1138-ca. 1214), nel suo <Thesaurus orthodoxiae> e Costantino Armenopulo,
nella sua opera "De haeresibus", composta verso la metà del '300, si
accontentarono di riprodurre le testimonianze dello Zigabeno, come fece del
resto parzialmente anche il metropolita di Salonicco Simeone all'inizo del '400
nel suo ' Dialogo' contro tutte le eresie. Per il secolo XIII si hanno due altri
scritti, una "Epistula ad Constantinopolitanos contra Bogomilos" del patriarca
Germano II (1222-1240), e uno scritto del cartofilace della chiesa
costantinopolitana Giorgio Moschabar, della seconda metà del secolo, con alcune
notizie sulla diffusione dell'eresia e su certi tratti dottrinali poco chiari.
Dopo il 1363 il patriarca costantinopolitano Callisto I (1350-54, 1355-63)
scrisse la vita dell'esicasta bulgaro Teodosio di Turnovo (m. 1363), conosciuta
oggi solo nella versione bulgara medioevale. Confondendo massalianismo e
bogomilismo, il patriarca ci dà alcune notizie sul movimento dei bogomili in
Bulgaria in quell'epoca. Come ultime fonti di origine bizantina si devono
rammentare un certo numero di atti sinodali, alcune formule di anatematismi e di
abiura, finalmente qualche cronaca. Gli scritti di origine serbo-croata e russa
costituiscono piuttosto delle testimonianze della vitalità e della propagazione
dell'eresia che fonti di notizie nuove e originali. Sfruttando con acuto senso
critico e spassionata oggettività tutte queste fonti si giungerà a ricostituire,
almeno nei suoi tratti essenziali, l'evoluzione storico-dottrinale del movimento
bogomilistico che agitò un vasto spazio del mondo europeo per oltre cinque
secoli.
Il nome slavo "Bogomil", che divenne famoso per cagione dell'eresia omonima, non
è altro che un semplice calco dal greco "teofilos", cioè a "amato da Dio " ossia
"caro a Dio". Detto nome slavo appare presso i Bulgari già nella seconda metà
del sei. IX. Così, la più antica menzione di questo nome si legge in una nota
marginale sul celebre codice pergamenaceo di Cividale (Cod. Sacri, I, f. 4), del
sei. V-VI, dove un nobile bulgaro, Sadak, inviato nell'867 dal principe Boris
(852-889) al pontefice Nicolò I, ha segnalato i nomi dei suoi familiari e fra
l'altro di sua figlia, "filia eius Bogomilla". Cosma, che conosceva bene il
significato di esso nome, parlando nella sua opera degli eretici bogomili, non
li nomina mai con tale denominazione: invece di essere un biasimo, il nome
tornerebbe a onore e elogio. Per primi usarono detto nome come appellativo
dell'eresia gli autori bizantini, per i quali, nonostante i tentativi di
spiegarlo, esso rimaneva estraneo e oscuro. L'eresia prese il suo nome da un
capo eponimo - il prete (pop) Bogomil, la cui esistenza storica viene attestata
dalle due fonti fra le più autorevoli, il "Discorso" cioè di Cosma e il Sinodico
della chiesa bulgara. L'informazione delle due fonti è per caso quanto mai
concisa: non ci insegna altro che il pop Bogomil visse nei tempi del re bulgaro
Pietro, cioè fra il 927 e il 969. Appoggiandosi sulle testimonianze di Cosma,
del Sinodico e dell'epistola di Teofilatto, gli studiosi, fra i quali anche i
più recenti, giunsero alla conclusione che il nascere dell'eresia si deve datare
"dans le premier quart du Xe siècle" oppure "at the beginning of the reign" del
re Pietro, dioè poco dopo il 927. Non pochi indizi inducono però a formulare
l'ipotesi che l'eresia aveva anche la sua 'protostoria' e che la sua origine si
deve cercare già verso la metà del secolo IX, all'epoca della conversione
ufficiale del popolo bulgaro al cristianesimo.
Il movimento ereticale germogliò sul fondo di una complicata realtà storica,
quando un fermento interno tentava di concretizzarsi sotto influssi esterni. I
missionari cristiani, nella loro attività, ebbero a combattere contro varie
correnti religiose, in uno stato dove mancava qualsiasi unità di fede. Al
paganesimo slavo si gli Uiguri ed i Protobulgari mantenessero dei rapporti fra
di loro, malgrado le enormi distanze, anche nel periodo dal sec. VII al sec. IX.
Conoscendo lo zelo eccezionale dei missionari manichei, si potrebbe supporre che
durante la seconda metà del sec. VIII e sino all'840 essi non avevano interrotto
i legami con gli affini Protobulgari. Non è del tutto impossibile che dopo la
soppressione del manicheismo verso la metà del sec. IX, e specialmente dopo le
grandi persecuzioni, missionari manichei abbiano cercato rifugio presso i
parenti lontani, tanto più che le frontiere dello stato protobulgaro giungevano
molto a nord-est, lungo la costa settentrionale del Mar Nero. Disponendo di
alcuni indizi sui contatti che esistevano in quell'epoca fra i Protobulgari e
gli Slavi, da un lato, e l'Iran dall'altro, non sembra impossibile che
missionari manichei potessero giungere in Bulgaria anche dall'Iran e dall'Iraq.
Ad onta dei dubbi formulati da certi studiosi circa la possibilità di un
influsso diretto del manicheismo sui Bulgari, bisogna supporre con grande
verosimiglianza che la religione di Mani penetrò fra di loro insieme con
l'eredità antica, assunta dopo lo stabilirsi nei territori balcanici, come anche
tramite contatti diretti nei secoli seguenti con gli Uiguri, con Irak, Iran e
perfino con gli Armeni. Non desta dubbi invece la penetrazione di missionari
pauliciani fra i Bulgari. I cronisti e gli storici bizantini parlano della
colonizzazione di eretici in Tracia nel sec. VIII, a più riprese (nel 746, 756,
778). I Responsa ad consulta Bulgarorum di papa Nicolò I, dell'866, confermano
che a duella epoca fra i Bulgari erano giunti missionari armeni. Una iscrizione
protobulgara della prima metà del sec. IX menziona un personaggio di nome
indubbiamente armeno fra i capi dell'esercito bulgaro. Infine, la 'Historia
Manichaeorum' di Pietro Siculo testimonia di legami fra i pauliciani e le terre
bulgare solo pochi anni dopo la conversione ufficiale nell'865. Questa
conversione, effettuata in parte con violenza, non riuscì a sradicare il
paganesimo. Numerosi cenni nelle fonti storiche parlano della persistenza di
credenze e riti pagani anche dopo l'introduzione del cristianesimo come
religione ufficiale nello stato. Sino agli ultimi due decenni del sec. IX,
quando nel paese fu introdotto l'alfabeto slavo, fu creata una letteratura in
lingua slava e si organizzò un clero slavo, la cristianizzazione rimaneva più o
meno alla superficie, la nuova religione veniva considerata una manifestazione
pericolosa dell'influsso bizantino ed il clero bizantino un elemento estraneo,
se non anche ostile. I,'aggravarsi progressivo della vita sociale ed economica
rendeva ancora più ardente il malcontento. Su questo terreno di reazione latente
contro la fede cristiana e la chiesa ufficiale, contro il bizantinismo e le
miserie della vita, ogni semente di pensiero eretico e eterodosso germogliava
copiosamente. La constatazione di "une recrudescence des écrits antimanichéens"
nella letteratura bizantina del sec. IX vale ugualmente anche per la giovane
letteratura paleobulgara. Certamente, l'apparire in essa, già verso la fine del
sec. IX e all'inizio del decimo, di alcuni scritti, di origine bizantina e di
contenuto apologetico, non si deve spiegare come una mera moda letteraria e
attribuirsi al puro caso. Basta citare qualche titolo, per persuadersi che i
primi scrittori bulgari e slavi foggiavano armi contro le eresie ed in difesa
della nuova fede. Tale fu, ad esempio, la traduzione paleoslava di alcuni
scritti di Metodio di Olimpo ed in primo luogo della sua opera "De libero
arbitrio", diretta contro il determinismo della gnosi valentiniana, ma
utilizzabile egualmente contro i manichei. Io scrittore paleobulgaro Costantino
di Preslav tradusse, all'inizio stesso del sec. X, i quattro "Sermoni contro gli
Ariani" di Atanasio Alessandrino evidentemente non per interesse puramente
storico-letterario, e nemmeno per lottare contro un fantasma scomparso ormai da
secoli, ma giacché le correnti ereticali nella Bulgaria di quell'epoca, non
ancora bene identificate, offrivano certe analogie con la "Arriana haeresis" e
potevano essere confutate con argomenti simili.
All'epoca paleobulgara appartiene anche la traduzione slava delle <Catechesi> di
Cirillo di Gerusalemme, il quale polemizza ampiamente non solo contro le altre
eresie, ma in modo particolare contro il manicheismo. Con la realtà storica in
Bulgaria probabilmente si deve connettere anche il riassunto sulle eresie che il
patriarca Fozio scrisse, ad una data che non si può stabilire con precisione,
per rispondere alla richiesta di un certo monaco, di nome Arsenio. Ora, da una
lettera di Fozio sappiamo ch'egli inviò al `monaco ed esicasta 'Arsenio alcuni
Bulgari, per istruirli nella vita monastica. Se si tratta del medesimo
personaggio, non sarebbe forse troppo inverosimile ammettere che dietro il suo
interessamento per le eresie si nascondeva, in realtà, l'informazione da parte
dei suoi allievi circa la situazione nel paese neoconvertito. Senza menzionare
qui anche le altre testimonianze, talvolta poco chiare, sull'attività degli
eretici, manichei e pauliciani, in Bulgaria nel sec. IX, occorre concludere che,
secondo ogni probabilità, l'agitazione ereticale cominciò in questo paese molto
prima dell'inizio del sec. X, cioè già verso la metà del secolo precedente o un
po' più tardi, a causa della propagazione del manicheismo, del paulicianismo e
forse del massalianismo. Il prete bulgaro Bogomil fu poi colui il quale, verso i
primi decenni del sec. X, concretizzò e formulò con più grande chiarezza e
precisione i dommi fondamentali dell'eresia, che appariva 'nuova' in quanto
portava certi tratti specifici, ma in realtà sorgeva da una corrente ormai
secolare. Il nome proprio di questo riformatore - `Bogomil', cioè 'amato da Dio'
- ben presto, a quanto pare, fu adottato dai suoi seguaci, giacché parimenti a
qualche altra loro denominazione manifestava la loro convinzione di essere i
"veri cristiani" e i "prediletti di Dio".
Si hanno scarse notizie per dare una risposta precisa a due quesiti circa la
storia iniziale del bogomilismo: quale era la regione dove esso nacque e si
sviluppò inizialmente, e a quale ambiente sociale appartenevano i suoi promotori
e primi seguaci. Cosma c'informa semplicemente che il prete Bogomil svolse la
sua attività "in terra bulgara", senza precisare di più, mentre il Sinodico,
ripetendo sostanzialmente la medesima notizia, aggiunge che il manicheismo,
mescolato con massalianismo, fu "disseminato in tutta la terra bulgara". Le
affermazioni di qualche studioso che la patria dell'eresia si dovrebbe cercare,
ad esempio, in Macedonia, non sono altro che pure ipotesi. Altrettanto difficile
è la risposta circa l'ambiente sociale del movimento nei suoi inizi. Basandosi
sulle testimonianze delle fonti più antiche e, possiamo concludere con grande
verosimiglianza che i suoi promotori, come lo stesso Bogomil, appartenevano al
clero bulgaro. Senza dubbio però i seguaci dell'eresia si raccoglievano anche da
altri ambienti e classi sociali. I principi fondamentali del bogomilismo
iniziale si possono ricostituire innanzitutto sulla base dell'opera di Cosma,
molto meno sulle testimonianze dell'epistola di Teofilatto. Come si può dedurre
da alcune frasi di Cosma, egli non aveva inserito nella sua polemica tutto ciò
che conosceva intorno al bogomilismo. In tal modo, naturalmente, le nostre
cognizioni dell'eresia, basate - per quanto riguarda la sua fase iniziale - su
una tale fonte come lo scritto di Cosma, non possono considerarsi definitive e
assolutamente complete. Il silenzio di Cosma su certi particolari ci permette,
d'altronde, di precisare la dottrina ereticale qua e là, sulla base di fonti
posteriori, senza presumere però che si tratti sempre di qualche innovazione,
dovuta all'evoluzione storica dell'eresia. Al pari dei seguaci di certe altre
eresie medioevali, anche i bogomili si dichiaravano 'cristiani' e pretendevano
di essere loro i portatori del vero cristianesimo evangelico, basato sulla
tradizione neotestamentaria. Da una indiscrezione di Cosma si deve concludere
che, malgrado tutte le raccomandazioni del patriarca costantinopolitano circa il
trattamento degli eretici, già nella prima metà del sec. X contro di essi furono
intraprese dure persecuzioni. La dichiarazione di professare il cristianesimo
era dunque, per loro, non una forma di simulazione, come li accusavano gli
apologeti medioevali e, dietro di loro, autori moderni. Come viene rilevato
parecchie volte da Cosma, la base dell'eresia veniva dal Nuovo Testamento, cioè
dai Vangeli e dalle epistole apostoliche.
Secondo testimonianze esplicite, i bogomili rinnegavano tutta la tradizione
vetero-testamentaria: i libri di Mosè, i profeti ecc., insieme con gli stessi
personaggi biblici. Non di meno essi negavano qualche personaggio che stava al
limite fra il Vecchio ed il Nuovo Testamento, quale ad esempio Giovanni
Battista, considerato dagli eretici ` precursore di Satana', oppure
dell'Anticristo. I bogomili negavano, inoltre, tutta la tradizione
ecclesiastica, enormemente ricca, con la letteratura patristica, in Bisanzio.
Limitando in tal modo il complesso delle fonti della fede, gli eretici bulgari
differivano dalla Chiesa ufficiale anche nell'esegesi di detti scritti. La loro
interpretazione si può definire, rispetto alla ricchissima letteratura teologica
dei Bizantini, non tanto semplicistica, quanto - se si crede alle affermazioni
di Cosma e agli esempi forniti da lui - allegorica. Come si vede da qualche
passo nell'opera di Cosma, la dottrina dei bogomili bulgari ai suoi tempi non
aveva raggiunto la sua unità riguardo al principio fondamentale, il dualismo.
Stando sempre alle testimonianze della medesima fonte, si potrebbe formulare
l'ipotesi che già si erano formate le divergenze fra il dualismo assoluto e
quello più moderato - le quali divergenze dovevano accentuarsi ancora più
chiaramente nei secoli posteriori. La concezione del principio del male, del
diavolo quale creatore del mondo visibile, come viene testimoniato tante volte
da Cosma, era la vera base dell'atteggiamento degli eretici verso il 'mondo
terrestre' in genere. L'apologeta bulgaro ritorna, nel suo scritto, varie volte
sul problema del 'libero arbitrio'; e ciò vuol dire che si doveva rifiutare,
secondo lui, un determinismo estremista e chiaramente espresso dagli eretici.
Una volta egli parla di certe fiabe degli eretici, accennando probabilmente alle
loro concezioni cosmologiche, senza entrare nei dettagli, cosicché su queste
concezioni possiamo informarci soltanto dalle fonti posteriori. Merita rilievo
il fatto che Cosma non parla quasi mai, salvo in un passo non del tutto chiaro,
del docetismo bogomilistico, il duale invece viene testimoniato, sul modello
evidentemente delle eresie precedenti, nella lettera di Teofilatto. Si accenna
soltanto a certe concezioni ereticali riguardo alla Madonna, senza fornirci
dettagli precisi. Gli eretici negavano ugualmente i dogmi fondamentali della
Chiesa ortodossa: la Trinità, la Redenzione ecc. Come presso certi eretici
dell'Occidente, presso i bogomili mancava ogni culto della Croce, che veniva
considerata piuttosto uno strumento di tormento del Signore, non degno di
venerazione. Insieme con ciò i bogomili erano assolutamente ostili agli edifici
del culto ecclesiastico, alle icone, che consideravano come degli idoli, alle
reliquie e alla loro venerazione, come anche verso gli stessi santi e verso i
miracoli attribuiti non solo a loro, ma anche a Gesù.
Lottando contro le cerimonie religiose bizantine troppo complicate, i bogomili
negavano tutto il culto in genere, sia la liturgia che le molteplici preghiere e
i riti. Da qualche accenno in fonte posteriore' si deve dedurre che anche gli
eretici avevano un loro culto e certi 'sacramenti', non conosciuti bene oppure
soltanto grazie a qualche testimonianza più tarda. Pretendendo di ritornare alla
chiesa primitiva con la sua presupposta semplicità, i bogomili abolivano tutte
le preghiere e gli inni ecclesiastici, limitandosi all'unica preghiera
domenicale 'Pater noster', dalla quale abitudine i loro seguaci, i Patereni
(ossia Patareni, Patarini), ricevettero, come pare, la denominazione popolare'.
Si negava il battesimo come anche la comunione, interpretando in modo allegorico
le testimonianze evangeliche su di essa, mentre la confessione si faceva senza
la partecipazione di sacerdoti, dando anche alle donne il diritto di eseguirla.
Insieme con il culto dei santi, i bogomili negavano tutte le festività
ecclesiastiche. le critiche più aspre venivano rivolte al clero ortodosso ed al
suo mal costume, insistendo per una vita più aderente ai precetti del Vangelo.
Pur riconoscendo l'ascetismo duro degli eretici, con i digiuni continui, con la
negazione del matrimonio e di ogni atto sessuale, con l'astensione dai cibi
animali e dal vino, Cosma tenta di sprezzarlo, essendo basato sui principi
dualistici, diversi dai motivi dell'ascetismo ortodosso. Invece di meritare
elogi, l'aspetto esterno degli asceti veniva perciò vituperato come segno di
ipocrisia. Nella opera di Cosma manca ogni accenno all'organizzazione
ecclesiastica e sociale degli eretici, forse giacché tale organizzazione ancora
non esisteva oppure egli non la conosceva. Da fonti posteriori sappiamo che
anche in questo i bogomili si adoperavano ad imitare certi particolari della
vita dei cristiani primitivi, facendo, ad esempio, accompagnare i loro capi da 'apostoli',
uguali di numero agli apostoli di Gesù.
Per tutti questi particolari si potrebbero indicare delle corrispondenze negli
atteggiamenti dei manichei, dei pauliciani e dei massaliani e, senza desumere da
ciò un'identità totale del bogomilismo con dette eresie e negare i suoi tratti
specifici. Fra questi ultimi si deve rilevare, in primo luogo, una
caratteristica che derivava dallo stato politico, sociale ed economico del
popolo bulgaro all'epoca in cui il movimento dei bogomili prese inizio. Secondo
Cosma, gli eretici spronavano verso la disobbedienza dinanzi ai signori,
ingiuriavano i ricchi, odiavano il sovrano, oltraggiavano i superiori,
biasimavano i nobili (bolfayi), dichiaravano detestabili da Dio quei che
lavoravano per il re e, infine, predicavano che nessuno schiavo dovesse servire
il suo padrone. Insieme con questi elementi di rivolta politica e sociale il
bogomilismo manifestava una reazione nazionale contro il bizantinismo in
Bulgaria. La dottrina ereticale scaturiva, nei suoi principi fondamentali, da
correnti analoghe in Bisanzio, come il manicheismo, il paulicianismo e il
massalianismo, ma in fin dei conti, per una evoluzione dialettica, si rivolgeva
contro la stessa Bisanzio e tutto ciò che si immedesimava con Bisanzio nella
vita bulgara, prima di tutto l'ortodossia, l'organizzazione ecclesiastica, il
culto ed i riti. Così, l'influsso bizantino 'popolare' e 'democratico' `non
ufficiale' finiva per opporsi all'influsso 'ufficiale ', sempre di carattere
bizantino, ma effettuato tramite la Chiesa ufficiale ed il potere temporale. La
opposizione fra le due correnti si manifestava in maniera assai chiara, fra
l'altro, nel campo letterario. Alle opere <ortodosse>, di provenienza
prevalentemente bizantina o sotto l'influsso bizantino, i bogomili
contrapponevano una ricchissima produzione letteraria apocrifa, la quale però
spessissimo non era altro che traduzioni di testi bizantini oppure di opere di
origine orientale, ma tramandate attraverso Bisanzio. Per i Bulgari, infine, il
bogomilismo era anche un appello verso la riforma nella vita ecclesiastica.
Quasi contemporaneamente all'attività del pop Bogomil, nella montagna di Rila,
nella Bulgaria sudoccidentale, viveva in una ascèsi durissima il più famoso
anacoreta del medio evo bulgaro S. Giovanni di Rila, il fondatore del monastero
dedicato oggi al suo nome. La riforma era però necessaria e lo prova, fra
l'altro, lo stesso Cosma, il quale, nella sua opera, colpisce con le sue frecce
gli eretici, ma non risparmia nemmeno il clero ortodosso. La parola dei bogomili
trovava dunque fra i Bulgari, nel secolo X ed alcuni secoli di seguito, un
terreno quanto mai fertile, si divulgava e agitava gli spiriti. La sua vitalità
si dimostrò nei secoli XI-XII, quando il bogomilismo trovò seguaci perfino nella
capitale bizantina, fra il clero, e penetrò in alcune regioni dell'Asia Minore,
per perpetuarsi nei territori dell'Impero per alcuni secoli. La persecuzione,
intrapresa ad esempio nei tempi di Alessio I Comneno, non riuscì, a quanto pare,
ad arrestare la propagazione dell'eresia. I,'unificazione di vasti territori
balcanici sotto il potere bizantino all'epoca dei Comneni contribuì a rendere
più facile la divulgazione del bogomilismo nelle parti occidentali della
Penisola balcanica. La persecuzione dei bogomili, organizzata verso la fine del
sec. XII dal principe serbo Stefano Nemanja (1168-1196), testimonia che l'eresia
era già penetrata nei territori serbi ed aveva trovato fedeli seguaci. Non più
tardi dell'inizio del '200 il bogomilismo si era propagato fra la popolazione
della Bosnia, per raggiungere in quei territori uno sviluppo vastissimo ed una
persistenza ultrasecolare. Il problema della pretesa - e probabile -
divulgazione delle idee bogomilistiche, con tutte le innova-zioni dovute alla
lunga evoluzione storica, verso regioni più remote dalla Penisola balcanica -
verso l'Italia settentrionale e verso la Francia meridionale - impone uno studio
particolare, paziente e spassionato. tratto da MEDIOEVO SLAVO-BIZANTINO