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La forza della preghiera Pregare fa bene: la preghiera e la salute Evagrio il monaco e l'esicasmo: la psicoanalisi nel IV secolo D.C. |
Intorno al IV secolo fiorì un movimento senza precedenti nella storia del cristianesimo. In molti decisero di ritirarsi radicalmente dalla vita, fuggire, partire, riscoprire dall'interno la voce di Dio attraverso prove ignote sul proprio fisico e sul proprio spirito. A offrirsi come scenario possibile, remoto eppur facente parte del mondo conosciuto, c'era il mistero del deserto. Si estendeva arido e accecante per grande parte dell'Egitto; sabbia, sole e solitudine come in Palestina nei quaranta giorni del ritiro di Cristo, quando il Figlio di Dio provò se stesso alle tentazioni del demonio. Eremiti e sapienti che si
rifugiarono fra rocce e dune, quelli che più tardi vennero chiamati i
Padri del deserto, furono, in pratica, gli inventori del monachesimo.
Asceti duri ed essenziali, si dedicavano alla preghiera e al lavoro
manuale in condizioni estreme di sopravvivenza, con uno stile di vita
scarno fino all'inverosimile. Ritiratisi dal mondo, stabilitisi ai confini
del deserto egiziano, in località chiamate Nitria, Celle, Scete, e nella
regione della Tebaide, isolati o in piccoli gruppi questi uomini di
preghiera diedero vita a un fenomeno del tutto nuovo. La loro fama di
mistici si sparse per la cristianità, solo da pochi decenni politicamente
accettata (i cristiani smisero infatti di venire perseguitati soltanto
dopo l'editto di Costantino, che è del 313); i primi anacoreti trovarono
diversi emulatori, e in breve tempo i monaci del deserto raggiunsero
l'ordine delle migliaia di persone. I Padri del deserto
spargevano attorno a sé la loro fama di saggi e di santi. Le loro vite
diedero origine a una massa di aneddoti, chiamati apoftegmi, dapprima
tramandati in forma orale, poi raccolti insieme e redatti tra il V e il VI
secolo. È un'imponente raccolta, ordinata alfabeticamente, che costituisce
i Detti dei padri del deserto. Questi apoftegmi sono brevi racconti dove -
come è comune nella tradizione orientale, si pensi alle storie zen - nello
spazio di poche righe si presentano dei botta e risposta fra maestro e
allievo, degli episodi sorprendenti, dei miracoli e dei grandi esempi di
santità a partire dalle cose più semplici. Dalla spiritualità del
deserto nacque l'esicasmo, una corrente meditativa ed esperienziale ancor
oggi molto sentita nel mondo cristiano orientale, con sopravvivenze
dirette nei monaci del monte Athos. Esichia è un termine greco che
significa pace, è un'idea chiave della sapienza del deserto. Così
definisce l'esichia Lucio Coco, nell'introduzione ai Detti dei padri del
deserto: "Essa è insieme quiete, raccoglimento, preghiera, silenzio, che
persino il fruscio di una canna può disturbare, un atteggiamento orante di
apertura al miracolo quotidiano della rivelazione e dell'incontro con Dio
in un'attesa, in un detto, in qualcosa che si è trovato per strada, in un
grano di sale". Della pratica dell'esicasmo
torneremo a parlare, perché la sua concezione della preghiera appare
profondissima, coinvolgente l'intero essere umano, spirito e corpo. Per
l'importanza che dà alla respirazione, alla ripetizione del Nome, alla
pratica, all'ascolto, l'esicasmo è stato avvicinato allo yoga. L'esicasmo non è una scuola
ma una corrente spirituale dai confini fluidi, che vanta un insieme
sfaccettato di grandi protagonisti e ascendenze filosofiche dilatate
attraverso i secoli, da Origene a Dionigi l'Aeropagita. Esso rappresenta
una via del cuore che non solo può essere di grande stimolo per chi si
accosta al desiderio della preghiera, ma è in grado di offrire delle basi
anche al discorso sulla preghiera come strumento di guarigione. Lo fa da
un punto di vista di igiene del corpo e dello spirito, con l'accento sul
tema del cuore, del silenzio, della meditazione; ma lo fa anche da un
punto di vista psicologico, con Scrive Jean-Yves Leloup nel
suo L'esicasmo - che cos'è, come lo si vive (un libro bellissimo
che consigliamo a chi volesse approfondire questo approccio): "La praktiké
è una forma di psicanalisi nel vero senso del termine: analisi dei moti
dell'anima e del corpo, delle pulsioni, delle passioni, dei pensieri che
agitano l'essere umano e che sono alla base di comportamenti più o meno
aberranti. L'elemento essenziale della praktiké nel deserto consiste così
in un'analisi e in una lotta contro ciò che Evagrio chiama i 'logismoi',
che bisogna tradurre letteralmente con 'pensieri"'. I logismoi descritti da
Evagrio sono otto; essi sono tutti sintomi di malessere profondo,
malessere inteso come crostone spirituale che limita la libertà dell'uomo.
Rappresentano dei vizi patologici di comportamento che autogenerano la
propria ripetizione (come nel concetto freudiano della coazione a
ripetere) e fissano su di sé le energie dell'individuo, impedendone una
libera espansione e realizzazione. Evagrio stesso nel suo trattato, e
l'esicasmo in generale, propongono delle vie terapeutiche dedicate a
questi problemi, nelle quali spesso è presente la preghiera propriamente
detta e che, nel loro insieme, configurano un programma completo di
guarigione spirituale che possiamo riprendere pari pari anche oggi. La Praktiké di Evagrio ebbe
grande fortuna nella cultura monastica fino alla Controriforma. La sua
influenza rimase e filtrò fino ai giorni nostri: gli otto logismoi,
cedendo alla linea moralistica della Controriforma, persero i connotati di
patologia e acquisirono quelli di vizi morali; se ne aggiunse uno,
l'invidia; altri si fusero, e se ne perse il nome; mala loro lunga storia
non terminò, perché dei logismoi di Evagrio continua a risuonare l'eco
negli elenchi che si studiano al Catechismo. Infatti altro non sono,
questi mali profondi dell'anima, che i famosi "sette vizi capitali". Li
ricordate? Superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia, accidia.
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