U2

 

 

 

 

Tre anni passati a dimenticare “Pop”, un disco anonimo, grigio, insignificante. Tre anni trascorsi ad aspettare un erede, nella speranza che gli U2 non fossero finiti. Quel giorno è arrivato: “All that you can't leave behind” è nei negozi.

Anche chi non è un vero fan della band più famosa del pianeta, capace di fagocitare e metabolizzare, con smaniosa morbosità, le undici tracce dell’album, noterà un ritorno alla semplicità e all’immediatezza, in completa antitesi con la “ricerca” musicale asettica e inconcludente dell’album precedente (“Pop” nda). Per questo, penso che l’album, letto in questa chiave, viri decisamente più sulle lande “smargiasse” del pop moderno che sul terreno aspro e insidioso del rock, checché ne dicano i media, abbacinati come sempre da lanci promozionali bugiardi. Gli U2 propongono sì dei pezzi rock (“Beatiful Day” ed “Elevation”), e in alcuni brani sonorità “cattive”, ma la matrice dell’album è inconfutabilmente pop, venata, semmai, di passaggi “soul” intimisti e riff “blueseggianti” e accattivanti (“In A Little While”). Tuttavia, il loro ultimo lavoro si eleva notevolmente dal quel “pop” vacuo e ripetitivo che ingolfa e strozza la scena musicale attuale, e lo fa grazie ad una lapalissiana e superba raffinatezza che si può cogliere in quasi tutti i pezzi; alle melodie di alcune tracce, assolutamente emozionanti e coinvolgenti; al modo straordinario e, ormai, “di mestiere”, di Bono di interpretare alcune canzoni; ai testi, in alcuni casi veramente toccanti e significativi, che in completa simbiosi con la musica, danno notevole spessore ad alcuni brani.

Gli U2 sono tornati in grande stile, con un disco molto buono, di facile ascolto, senza fronzoli ed arzigogoli inutili, badando ai contenuti più che alle apparenze, come emerge anche dalla copertina del Cd (una semplice fotografia, appena ritoccata) molto diversa da quella roboante e colorata degli ultimi album.  

A svelare il significato dell'immagine (come pure del titolo dell'album, "Tutto cio’ che non ti puoi lasciare alle spalle”) è “Walk On”, il pezzo centrale del Cd, il più ambizioso e il più bello come impatto musicale, sicuramente quello da cantare a squarcia gola accompagnati da una chitarra e dal calore di un falò. "L'amore / non è una cosa facile / l'unico bagaglio che ti puoi portare / non una cosa facile / è tutto ciò che non ti puoi lasciare alle spalle" canta Bono con la chitarra di The Edge in primissimo piano. E il pezzo sembra rimandare agli U2 di "Unforgettable Fire" e "The Joshua Tree", anche se "Walk On" non verrà offerta subito in pasto ai media, visto che il secondo singolo designato sembra essere "Stuck In A Moment", vibrazioni soul nel ricordo di un amico morto ("Non dimenticherò i colori che hai portato/ ma le notti che hai riempito con fuochi d'artificio/ ti lasciano vuoto/ sono ancora incantato dalla luce che mi hai portato/ continuo a sentire con le tue orecchie e con tuoi occhi riesco a vedere"), e il terzo dovrebbe essere una "Elevation" ballabile e distorta, ("Alto, più in alto del sole / mi spari da una pistola / ho bisogno di te per elevarmi fin lassù").

In conclusione, si può affermare che quello che c’è di bello in questo disco è che gli U2, finalmente, non giocano a nascondino, ma si lasciano andare. Ciò dà vita a pezzi eccellenti (“In A Little While”, “Stuck In A Moment”), a melodie aperte (“Walk On” e molti altri momenti), ma genera, purtroppo, anche qualche caduta di tensione, perché si sfocia troppo nel già sentito (“Wild honey”, per     esempio).
Insomma un disco che salomonicamente farà contenti un po’ tutti: i fans, che ritroveranno il suono perduto; gli esigenti, che potranno sentire una produzione superba (la fatata mano di Brian Eno…) e gli ascoltatori più distratti, che avranno per le mani un disco fatto di 11 canzoni scritte come 11 singoli