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Le agenzie e i giornali sul convegno della FLAI CGIL Nazionale e Emilia Romagna sul sistema carni del 28 ottobre 2002

 

Ultime notizie Reggio

29 ottobre 02

 

Agenzia Dire

28 Ottobre 02

 

Agenzia Ansa

 28 Ottobre 02

 

Carlino di Reggio Emilia

29 Ottobre 02

 

Gazzetta di Modena

 29 Ottobre 02

 

Gazzetta di Reggio Emilia

29 Ottobre 02

 

il manifesto - venerdì 23 agosto 02

Prosciutti non commestibili nei negozi

 

La pagina dedicata alla macellazione

il manifesto - 11 Agosto 2002

Se il prosciutto è con delitto

 

Tutte le mafie possibili nella «cupola del bestiame»

 

PRODUZIONE REGGIANA

 

MACELLI ITALIANI

 

LA CUPOLA DEL BESTIAME

 

(La denuncia della FLAI CGIL di Reggio Emilia)

 

La relazione di Giordano Giovannini segr.gen. FLAI CGIL Emilia Romagna

28 Ottobre 02

 

Il documento del convegno

28 Ottobre 02

 

Ultime Notizie Reggio EmiliaECONOMIA & LAVORO MARTEDÌ 29 OTTOBRE 2002

Per il rilancio del settore carni Ieri all’hotel Posta il convegno organizzato dalla Flai-Cgil nazionale e regionale

«Macelli, stop alle infiltrazioni mafiose»

L’allarme lanciato da Ferretti condiviso dalla platea degli interlocutori: «Politica edile poco trasparente, l’ombra della malavita dopo l’omicidio di Ismail». La soluzione per raggiungere qualità e sicurezza: un Patto di filiera in nome dello sviluppo dell’economia locale

Da una parte il Patto di fi­ liera per il rilancio del settore carni. Dall’altra i timori scate­nati dall’ombra della malavita dopo l’omicidio inquietante – lo scorso luglio a Poviglio - di Ismail Jouàdi, socio lavoratore di una coop di disossatori.
 ALLARME INFILTRAZIONI MAFIOSE. Alla proposta lanciata ieri dalla Flai-Cgil Emilia-Romagna, dunque, fa da contraltare l’allarme “destrut­turazione e appalti assegnati a cooperative esterne”; A tal proposito il segretario provin­ciale della Cgil, Franco Ferretti, ha sottolineato: «Un proble­ma riguarda i pericoli che i casi di Poviglio e altre situazioni in particolare nel settore edile, il rischio o meglio la conferma di infiltrazioni mafiose nel sistema produttivo, ci propongono la necessità di. Reagire con forza e con tutti gli strumenti a nostra disposizione per contrastare e sconfiggere questi fenomeni».
IL PATTO DI FILIERA.   «Per la prima volta tanti soggetti che operano nella filiera delle carni si incontrano per discutere, chiamati dalla Flai-Cgil, sulle prospettive del settore. Da questa sede lanciamo una proposta per guidare un indispensabile processo di rilancio e qualificazione: un Pat­to di filiera in nome dello svi­luppo dell’economia regionale, del lavoro e degli interessi dei consumatori». Giordano Gio­vannini, segretario generale Flai-Cgil regionale, ha aperto in questo modo, nel pomerig­gio, il convegno su “Sistema carni? Lavoro, qualità, sicurezza”, promosso a Reggio E­milia da Flai-Cgil nazionale e regionale, con la partecipazio­ne di autorevoli interlocutori esterni: dalla Regione alle as­sociazioni regionali degli agri­coltori, dalla direzione regio­nale del lavoro alla Federcon­sumatori, numerosi dirigenti d’azienda e amministratori lo­cali.

UN MERCATO DESTRUTTURATO. Nel convegno, la Flai ha denunciato i gravi fe­nomeni di destrutturazione che hanno investito sia il mercato del lavoro sia le regole che sottendono alla produzio­ne del prodotto carne e che hanno portato anche a fenome­ni degenerativi come l’omici­dio,  nell’agosto scorso, di un la­voratore socio di cooperativa 602, Ismail Jaouadi, che pre­stava la sua attività presso im­prese di macellazione nel comparto suino a Reggio-Emilia.

   «Il processo produttivo che dall’allevamento porta fino alla tavola - ha spiegato Gio­vannini - è stato sottoposto in questi anni a profondi stress e a ricorrenti crisi. Dietro la fi­losofia del produrre alte quan­tità in tempi sempre più stret­ti (allevamenti intensivi e ali­mentazione non naturale per la rapida crescita degli anima­li) e a costi sempre più bassi, si è progressivamente scivolati dalla qualità e dalla eccellenza a una competizione sulla “via bassa”. Ciò ha comportato de­regolamentazioni delle condizioni di lavoro e dei diritti dei lavoratori, svalorizzazione del prodotto e rischi alimentari».

ZOOTECNIA E PRODU­ZIONE. Tutto questo quando la zootecnia italiana rappresenta una parte decisiva dell’agroa­limentare nazionale e regiona­le e il prodotto carne entra nel­le case del 90% delle famiglie italiane. Secondo la Flai regio­nale, la filiera carni continua ad essere fragile perché subi­sce la competizione degli altri paesi, europei e anche emer­genti, perché è esposta alle continue emergenze sanitarie e alimentari? (Bse e polli alla diossina) che ne mettono in di­scussione la credibilità verso il consumatore, perché i prez­zi sono sempre sotto pressio­ne, fino all’uso del prodotto carne come “prodotto civet­ta”, e cioè venduto sottocosto, da parte della grande distribu­zione organizzata».

(mi. sc.) 

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«Occorre dire no al lavoro nero»

Otto proposte mirate

Basta con i maxi appalti

Otto proposte mirate per la qualità e la sicurezza.  Ad avanzarle la Flai-Cgil: tanto per cominciare, introdurre la rintracciabilità e il  “Marchio di Qualità Sociale” con un approccio di filiera che garantisca l’intero sistema dal rischio di rotture della catena del valore e ­qualità; puntare all’innova­zione di prodotto - aggiungendo lavorazioni, diversificazioni di scelta e di prezzo; sviluppare e valorizzare  le produzioni biologiche, Dop e Igp;- e promuovere marchi di distretto; superare la presenza delle coope­rative, 602, nella produzione e invertire la tendenza di questi anni a moltiplicare gli appalti e le esternalizzazioni per puntare invece alla ricomposizione controllo del ciclo produttivo; superare la dispersione contrattuale; regolarizzare il mercato del lavoro considerando la manodopera immigrata una risorsa per il settore; concordare un pia­no straordinario sulla salu­te e sicurezza sul lavoro come elemento principe per migliorare le condizione di lavoro; integrare e programmare maggiormente  - le azioni di vigilanza e repressione del lavoro nero.

 

DIR0198 4 REG 0 R02 / BOLdire

(ER) ZOOTECNIA. FLAI-CGIL PROPONE UN PATTO ANTI-CRISI=
(DIRE)- BOLOGNA- UN "PATTO DI FILIERA" PER USCIRE DAL TUNNEL. E'
LA PROPOSTA DELLA FLAI-CGIL CHE OGGI A REGGIO EMILIA HA PROMOSSO
UN INCONTRO CON GLI OPERATORI DELLA FILIERA DELLE CARNI. NEL
CORSO DELL'INCONTRO IL SINDACATO HA DENUNCIATO "I GRAVI FENOMENI
DI DESTRUTTURAZIONE CHE HANNO INVESTITO SIA IL MERCATO DEL
LAVORO SIA LA REGOLE CHE SOTTENDONO ALLA PRODUZIONE DEL PRODOTTO
CARNE". TUTTO QUESTO, RICORDA LA FLAI, "QUANDO LA ZOOTECNIA
ITALIANA RAPPRESENTA UNA PARTE DECISIVA DELL'AGROALIMENTARE
NAZIONALE E REGIONALE (40% DELLA PRODUZIONE LORDA VENDIBILE
AGRICOLA, 44% IN EMILIA-ROMAGNA) E IL PRODOTTO CARNE ENTRA NELLE
CASE DEL 90% DELLE FAMIGLIE ITALIANE". DA QUI LE PROPOSTE, COME
L'INTRODUZIONE DELLA RINTRACCIABILITA' O DEL MARCHIO DI QUALITA'
SOCIALE, O UNA PIU' STRETTA VIGILANZA SUL LAVORO NERO. E ANCORA:
REGOLARIZZARE E QUALIFICARE IL MERCATO DEL LAVORO, SOPRATTUTTO
PER QUANTO RIGUARDA LA MANODOPERA IMMIGRATA.
"NOI- SPIEGA GIORDANO GIOVANNINI, SEGRETARIO GENERALE DELLA
FLAI REGIONALE- AVANZIAMO UNA PROPOSTA DI MERITO CHE FA LEVA
SULLA VALORIZZAZIONE DEL LAVORO, SULLA QUALITA', TIPICITA' E
SICUREZZA DEL PRODOTTO E SULLA NECESSITA' DI RICONQUISTARE LA
FIDUCIA DEL CONSUMATORE, IL QUALE CHIEDE DI ESSERE MEGLIO
INFORMATO SU CIO' CHE GLI SI PROPONE DI ACQUISTARE E PORTARE IN
TAVOLA".
(COM/RED/ DIRE)
19:12 28-10-02

 

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YBO10053
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CARNI: FLAI-CGIL E-R, UN PATTO DI FILIERA PER RILANCIO CARNI
 
   (ANSA) - REGGIO EMILIA, 28 OTT - Un ''Patto di filiera'' per 
il rilancio e la qualificazione del settore carni: lo ha 
proposto il segretario generale della Flai Cgil dell' 
Emilia-Romagna Giordano Giovannini, aprendo a Reggio Emilia il 
consgeno su ''Sistema carni - lavoro, qualita' e sicurezza'' 
promosso dal sindacato assieme alla Flai nazionale.
   Il settore - e' stato sottolineato - soffre gravi fenomeni di 
destrutturazione: ''Dietro la filosofia - ha detto Giovannini - 
del produrre alte quantita' in tempi sempre piu' stretti 
(allevamenti intensivi e alimentazione non naturale per la 
rapida crescita degli animali) e a costi sempre piu' bassi, si 
e' progressivamente scivolati dalla qualita' e dall' eccellenza 
ad una competizione sulla 'via piu' bassa'. Cio' ha comportato 
deregolamentazioni delle condizioni di lavoro e dei diritti dei 
lavoratori, svalorizzazione del prodotto e rischi alimentari''. 
A danno dunque di un settore, la zootecnia, che rappresenta il 
40% della Plv agricola nazionale (il 44% in Emilia-Romagna) e 
che porta la carne nelle case del 90% degli italiani.
   A livello di Filiera, la Flai propone di introdurre la 
rintracciabilita' e il marchio di qualita' sociale, l' 
innovazione di prodotto, la valorizzazione di produzioni 
biologiche, Dop, Igp, la promozione dei marchi italiani, di 
superare la dispersione contrattuale, regolarizzare il mercato  
del lavoro, varare un piano straordinario per la salute e la 
sicurezza sul lavoro, integrando le azioni di vigilanza e 
repressione del lavoro nero, delle evasioni e dell' illegalita'. 
(ANSA).
     MR
28-OTT-02 17:11 NNNN

 

Pronto il rilancio del settore carni Carlino RE

Per la prima volta tanti soggetti che operano nella filiera delle carni si sono incontrati per discutere, chiamati dalla Flai Cgil, sulle prospettive del settore.
«Da questa sede - ha detto Giordano Giovannini, segretario generale della Flai-Cgil dell'Emilia Romagna - lanciamo una proposta per guidare un indispensabile processo di rilancio e qualificazione: un patto di filiera in nome dello sviluppo dell'economia regionale, del lavoro e degli interessi dei consumatori».
Queste le prime parole di Giovannini, che ha aperto nel pomeriggio di ieri il convegno su «Sistema carni? lavoro, qualità, sicurezza», promosso appunto da Flai Cgil nazionale e regionale, con la partecipazione di rappresentanti della Regione alle associazioni regionali degli agricoltori, dalla direzione regionale del lavoro alla Federconsumatori, numerosi dirigenti d'azienda e amministratori locali.
Fenomeni

degenerativi

Nel convegno, la Flai Cgil ha denunciato i gravi fenomeni di destrutturazione che hanno investito sia il mercato del lavoro sia le regole che sottendono alla produzione del prodotto carne e che hanno portato anche a fenomeni degenerativi come l'omicidio, nel luglio scorso, di un lavoratore socio di cooperativa, Ismail Jaouadi, che prestava la sua attività presso imprese di macellazione nel comparto suino a Reggio.
«Il processo produttivo che dall'allevamento porta fino alla tavola - ha segnalato Giovannini - è stato sottoposto in questi anni a profondi stress e a ricorrenti crisi. Dietro la filosofia del produrre alte quantità in tempi sempre più stretti (allevamenti intensivi e alimentazione non naturale per la rapida crescita degli animali) e a costi sempre più bassi, si è progressivamente scivolati dalla qualità e dalla eccellenza ad una competizione sulla "via bassa". Ciò ha comportato deregolamentazioni delle condizioni di lavoro e dei diritti dei lavoratori, svalorizzazione del prodotto e rischi alimentari».
«Tutto questo - ha continuato Giovannini - quando la zootecnia italiana rappresenta una parte decisiva dell'agroalimentare nazionale e regionale (40% della PLV agricola - 44% in Emilia Romagna, e di questo, le carni suine, avicole e bovine detengono percentuali tra il 18 ed il 12%) e il prodotto carne entra nelle case del 90% delle famiglie italiane».
Credibilità

in discussione

Secondo la Flai regionale, la filiera carni continua ad essere fragile perché subisce la competizione degli altri paesi, europei ed anche emergenti, perché è esposta alle continue emergenze sanitarie ed alimentari (Bse; polli alla diossina; ecc.) che ne mettono in discussione la
credibilità verso il consumatore, perché i prezzi sono sempre sotto pressione, fino all'uso del prodotto carne come "prodotto civetta", e cioè
venduto sottocosto, da parte della grande distribuzione organizzata. «Sono pertanto necessarie - ha detto Giovannini - urgenti ed efficaci politiche a livello di filiera che puntino sulla qualità, sulla valorizzazione del lavoro e sulla sicurezza. C'è un problema grande come una casa e si chiama il valore, il prezzo, della carne; o ancor meglio chi determina la catena delvalore e come si scaricano costi e guadagni. Non è un caso che la destrutturazione del lavoro e del processo produttivo sia avvenuta per prima là dove il rapporto diretto con il commercio e la distribuzione era ed è prevalente e cioè nel settore bovino.

 

Contraffazione marchi prosciutti  Ora indaga anche la Dda Carlino RE

Stanno probabilmente indagando sul riciclaggio di denaro gli uomini della Dda (Direzione distrettuale antimafia) di Bologna, che negli ultimi tempi si sono interessati alla vicenda del facchino tunisino ucciso lo scorso luglio nelle campagne di Poviglio.
Ismail Jaouadi (foto), 28 anni, fu crivellato di colpi di pistola perché, sostiene l'accusa, l'uomo avrebbe scoperto attività illecite in alcuni macelli di Reggio e Modena. E per questo motivo ricattava da circa un anno il titolare della cooperativa Dimac di Castelnuovo Rangone.
Per l'esecuzione furono arrestate quattro persone (tuttora in carcere e accusate di omicidio volontario): Gaspare Mattarella (presidente della coop Dimac), Biagio Grassia, Mario De Luca e Antonio Erbini, questi ultimi tutti soci della cooperativa.
Ma gli investigatori non si sono fermati ad individuare chi ha ucciso Ismail Jaouadi. Hanno infatti da subito iniziato a indagare anche sulle attività di contraffazione dei marchi dei prosciutti che la Dimac avrebbe messo in opera: la vicenda ha portato a mettere sotto indagine diverse aziende modenesi e reggiane proprio con l'accusa di alterare i marchi delle carni.
Un prosciutto olandese o ungherese fatto passare magari per italiano porta a un lauto guadagno dato che la carne italiana è più pregiata e di maggior valore rispetto a quella ungherese.
Ora nella vicenda, come detto, si è aperto un nuovo capitolo: nei giorni scorsi il pubblico ministero Lucia Russo, che coordina le indagini per l'omicidio, ha infatti incontrato Italo Materia, magistrato in forza alla Direzione distrettuale di Bologna.
Ma l'attenzione della Dda non sarebbe sull'omicidio (che pare completamente chiarito agli investigatori), ma su quello che ci potrebbe essere dietro alle attività relative ai macelli.
Come detto, c'è anche l'ipotesi del riciclaggio di denaro. Reato che però non riguarderebbe i quattro arrestati per omicidio.

 

Castelnuovo
Falsi prosciutti
Se ne occupa
l'Antimafia


CASTELNUOVO. «La situazione è gravissima, negli ultimi anni è notevolmente peggiorata, e tutto ruota attorno al graduale peggioramento delle condizioni di lavoro di coloro che sono impiegati nel settore delle carni».
L'opinione è quella di Ivano Gualerzi, segretario della Flai Cgil di Reggio, che ha aperto alla sala del Capitano del popolo, all'hotel Posta di Reggio, i lavori del convegno sul tema «Il sistema carni: lavoro, qualità e sicurezza».
Il riferimento è all'omicidio di un operaio-socio di una cooperativa di Castelnuovo, freddato con cinque colpi di pistola davanti al macello per il quale lavorava.
Le indagini sull'omicidio di Ismail Jaouadi - per il quale sono in carcere quattro persone, il presidente e tre soci della cooperativa di servizi per cui il ventottenne tunisino lavorava - hanno portato alla scoperta di un movente inquietante.
Jaouadi è stato ucciso perché ricattava i suoi dipendenti e le ditte per le quali la cooperativa Dimac lavorava.
Non solo: mano a mano che il sostituto procuratore Lucia Russo si addentrava nel fango di questa vicenda, le scoperte erano sempre più inquietanti.
Tanto da richiedere consulenze nel campo della lotta alle sofisticazioni alimentari e addirittura nel riciclaggio di denaro.
Nei giorni scorsi, in procura, il sostituto procuratore Lucia Russo ha incontrato per fare il punto il procuratore aggiunto Italo Materia, magistrato della direzione distrettuale antimafia.
«L'obiettivo del convegno - spiega Gualerzi - è quello di mettere attorno a un tavolo, su questi temi, tutte le componenti coinvolte, per vedere se di fronte a questa emergenza, che noi già denunciammo due anni fa con una analoga iniziativa a Modena, la pensiamo alla stessa maniera».

 

Alessandra Codeluppi


«Quel delitto non è stato il frutto del caso» GAZZETTA REGIO E.
L'omicidio di Poviglio e l'illegalità nel settore carni
A rischio la tutela dei lavoratori e del prodotto

Sarebbe al tempo stesso il sintomo di una rete diffusa di sofisticazione e di illegalità nel settore delle carni e la cancrena di una società in cui la politica di smantellamento delle tutele porta alla perdita della coesione sociale. Questa la doppia lettura dell'omicidio di Poviglio - il facchino Isamil Jaouadi è stato ucciso il 5 luglio e da allora sono in cella presidente e tre soci della coop di macellazione Dimac - proposta nel corso del convegno organizzato dalla Cgil «Il sistema carni: lavoro, qualità e sicurezza», che si è svolto ieri all'hotel Posta, alla presenza dei segretari nazionali, regionali e locali del comparto di settore. Fra i relatori anche il segretario provinciale della Cgil, Franco Ferretti e l'assessore provinciale al lavoro, Raffaele Leoni.
Non sarebbe isolata, dunque, ma ben radicata nel settore, secondo la Cgil, la vicenda di Ismail Jaouadi, operaio socio della cooperativa di macellazione Dimac assassinato perché ricattava i dipendenti e le ditte coinvolte, come hanno messo in luce le indagini, in sofisticazioni alimentari e riciclaggio di denaro.
Ed è stato proprio riprendendo i principali fatti di cronaca che hanno caratterizzato la vicenda di Poviglio che il segretario reggiano della Flai Cgil, Ivano Gualerzi, ha aperto i lavori: «Non bisogna farne oggetto di speculazione, ma siamo certi che non si tratti solo di un caso». Avrebbe una radice ben precisa il fenomeno del sommerso legato alle carni: «La politica di smantellamento delle regole, che andrebbero rimesse al centro così come il lavoro e i processi complessivi della filiera», ha detto ancora Gualerzi.
Va in questa direzione la proposta di concertazione tra le parti lanciata dal segretario regionale di Flai Cgil, Giordano Giovannini: «Un patto tra i rappresentanti delle varie componenti attive nella filiera delle carni: è indispensabile per evitare che i casi Poviglio si moltiplichino». Ma questa è soltanto una delle proposte comprese nel nuovo piano di filiera presentato dalla Cgil, «teso a rilanciare quello delle carni come settore d'eccellenza», sulla scia del protocollo d'intesa che la Regione sottoscrisse nel maggio 2001 per la sua riqualificazione.
Riguardano in senso stretto la politica agroindustriale alcune delle proposte del sindacato: «Rintracciabilità dei prodotti, diversificazione dell'assortimento delle carni e dei relativi prezzi e promozione sui prodotti tipici e biologici». «Etichettature, certificazioni e, soprattutto, il marchio di qualità sociale» sono invece quelle auspicate per la politica industriale.
A fronte di una situazione, in cui, denuncia la Cgil, «in modo irregolare sempre più diverse fasi della produzione delle carni vengono appaltate alle cooperative, la tutela della sicurezza dei lavoratori e la difesa della legge 142 sulla cooperazione» sono gli altri due punti indispensabili, secondo il sindacato, per risolvere la situazione.
«Si va verso la cancellazione dei contratti nazionali di lavoro e dello Statuto dei lavoratori e persino verso la diversificazione degli assetti contrattuali in base alla zona: una assurdità», - ha commentato Giovannini.
A concludere i lavori è stato chiamato il segretario nazionale della Flai Cgil, Giancarlo Battistelli, in sostituzione di Franco Chiriaco, convocato ieri da Epifani: «La frantumazione dei processi di produzione è la premessa per la perdita dei diritti da parte dei lavoratori, di consistenza da parte delle aziende e di una sempre maggiore diffusione del lavoro nero».

 

 

 

Se il prosciutto è con delitto 11 agosto 2002
Nella patria degli insaccati di qualità, le già «rosse» province emiliane, torbide storie di truffe e falsificazioni legate alle cooperative di macellazione. Esternalizzazione sfrenata, pochi controlli su chi compie il «lavoro sporco». Finché si arriva all'omicidio, e comincia a saltare il tappo.
SARA MENAFRA
REGGIO EMILIA
Ma cosa succede nella rossa Emilia, paradiso del prosciutto, olimpo dell'insaccato? Perché dall'assassinio di un tunisino residente in Italia è partita un inchiesta sulla contraffazione di prosciutti e salumi che coinvolge due cooperative ma potrebbe scoperchiare i malaffari di altre aziende della zona? Prima di venire ucciso il 24 luglio con 7 colpi di pistola Ismail Jauadi, 28 anni, tunisino, era socio lavoratore di una delle cooperative di facchinaggio e macellazione che negli ultimi anni sono sorte come funghi ovunque in Emilia: la Dimac di Castelnuovo Rangone, in provincia di Modena. Avendo come soci quelli che poi sarebbero diventati i suoi killer, aveva lavorato in varie aziende della zona fra cui la ditta di macellazione del suino Korona, alla periferia di Poviglio: proprio a qualche centinaia di metri da dove è stato ritrovato il suo cadavere. Quando sono stati arrestati, i quattro componenti del gruppo che avrebbe rapito e assassinato Ismail hanno spiegato che la decisione di uccidere il collega era una scelta obbligata: l'uomo li ricattava. Anzi avrebbe ricattato anche le aziende dove i facchini e dissossatori della Dimac lavoravano. Durante gli anni di lavoro, prima nella Suin.com di Castelvetro (Modena) e poi nella Korona di Poviglio (Reggio Emilia) avrebbe filmato gli illeciti e le falsificazioni che avvenivano in azienda per poi chiedere soldi per il suo silenzio. Finché, dicono gli inquirenti, è diventato troppo «ingombrante».

Che tipo di falsificazioni? Le due aziende, ora sotto inchiesta per associazione a delinquere, truffa e frode alimentare, avrebbero contraffatto i marchi del bestiame macellato. E se pensiamo che il prosciutto di Parma viene venduto in tutta italia a non meno di 60 mila lire al chilo, non è difficile immaginare che il mercato in nero di questi capi fruttasse miliardi. Come hanno spiegato nei giorni scorsi i carabinieri, la contraffazione dei prosciutti è un attività illecita semplice e redditizia. Basta un flessibile per grattare la cotenna di un prosciutto e cancellare i marchi da cosce provenienti dall'estero, soprattutto da Belgio e Olanda (che hanno forma e dimensioni particolarmente simili a quelli prodotti in zona). Ad aiutare il mercato clandestino è anche l'apertura delle frontiere seguita alla nascita dell'Unione europea. Come aveva spiegato il capitano della Guardia di finanza Gavino Putzu alla Gazzetta di Reggio, da qualche anno la «bolla d'accompagnamento» che spiega provenienza e destinazione di questo tipo di prodotti non è più obbligatoria: «E' l'autista del mezzo che controlliamo - dice Putzu - a dirci da dove proviene e dove è diretta la merce. Alcune ditte forniscono il loro carico di una fattura accompagnatoria, ma non è un obbligo, e la maggior parte dei carichi sono privi di qualsiasi documento».

Ed è qui che i conti iniziano a non tornare. «La destrutturazione del settore - spiega Ivano Gualerzi, segretario della Flai Cgil di Reggio - ha portato alla esternalizzazione di interi rami d'impresa fra cui, in molti casi, la stessa catena della macellazione. Ma le cooperative appaltanti sono spesso totalmente indipendenti e incontrollabili».

Esternalizzazione e just in time sono trasformazioni del modo di produrre che hanno riguardato tutti i settori industriali. Ma nel settore della macellazione il cambiamento è ancora più estremo. «I tempi di questo settore sono velocissimi. In quattro mesi un suino nasce cresce viene macellato e arriva sulle nostre tavole o inizia il percorso della salumificazione. Per di più nel mercato della carne fresca è impossibile immagazzinare il prodotto». Il mercato del suino è contemporaneamente redditizio, miliardario e altalenante, perché sottoposto a crisi periodiche come quella dell'afta epizootica, così come quello del bovino è un mercato che punta sui prezzi bassi di carne fresca ma che ha subito la pesante crisi della Bse.

Entrambi i settori, seppur diversi, per ridurre i costi hanno esternalizzato il lavoro peggiore: quello alla catena di macellazione e di dissossamento. Due lavori che nonostante le evoluzioni tecnologiche sono rimasti quasi interamente manuali: l'unica macchina che interviene nella catena è la scotennatrice, poi serve solo il coltello. I macelli suini e bovini sono diventati in breve un labirinto di aziende che appaltano o affittano a cooperative interi rami di impresa nei quali lavorano dipendenti o soci di altre due o tre cooperative. La maggior parte di queste cooperative di facchini e dissossatori risultano essere «cooperative sociali». E grazie al ruolo «sociale» pagano ancor meno contributi previdenziali delle altre. Come soci questi lavoratori hanno pensioni e copertura sanitarie minime; non hanno assegno di disoccupazione né applicazione dello statuto dei lavoratori - tantomeno l'articolo 18.

Per di più il lavoro alla catena della macellazione è particolarmente usurante: dopo anni passati a lavorare di coltello quasi tutti i dissossatori iniziano a soffrire di disturbi al tunnel carpale, la guaina che contiene i tendini della mano. Un formicolio insistente lungo tutto il braccio risolvibile con intervento chirurgico ma che se non curato diventa cronico. I turni di lavoro non conoscono pause: si lavora di giorno e di notte. Di più quando ci sono gli scioperi. «Eppure - spiegano dalla Flai - quasi nessuno protesta. Anzi, i contatti che cerchiamo di avere con loro, nonostante l'assenza del contratto nazionale e del diritto di assemblea, vengono spesso respinti».

Ma perché un lavoratore dovrebbe essere disposto a lavorare in queste condizioni? La spiegazione potrebbe essere che il caso di Ismail non sia isolato. La macellazione clandestina, il mercato di falsi prosciutti, potrebbero aver creato un regime economico a parte che vive di lavoro senza regole ma molto ben pagato. «Un dissossatore arriva a prendere anche 3000 euro, fra retribuizione e fuori busta. Molti sono disposti a farlo per anni per poi tornare nei paesi di origine, dato che spesso sono meridionali o extracomunitari».

Quello delle cooperative «spurie» sembra un mondo a parte popolato per lo più da immigrati meridionali ed extracomunitari rimasti separati dalla società emiliana. «E' vero - spiega Gino Guida della Flai - ma è altrettanto vero che queste cooperative lavorano per aziende locali. Per di più spesso le confederazioni di cooperative maggiori forniscono il supporto logistico che consente a queste coop di nascere e crescere».

La storia della cooperativa Korona, coinvolta nell'inchiesta sulla morte di Ismail Jauadi, è esemplare: la coop gestisce uno stabilimento di proprietà della Italcarni che l'azienda aveva chiuso qualche anno fa. Lo stabilimento vive grazie al lavoro di addetti esterni affittati in cooperative come la Dimac. Fino all'anno scorso però non era chiaro se lo stabilimento funzionasse oppure no. Solo quando il 21 settembre del 2001 un lavoratore «in affitto» al primo giorno di lavoro si è dato una coltellata all'inguine che rischiava di ucciderlo il funzionamento della coop è venuto alla luce. Ma quanti altri stabilimenti vivono nelle stesse condizioni?

 

Tutte le mafie possibili nella «cupola del bestiame»11 agosto 2002
SA. M.
Lo scandalo dei prosciutti falsi in Emilia Romagna non è il primo a coinvolgere la macellazione di bestiame o il traffico di animali vivi o macellati che attraversa l'Italia. Da anni la Lav pubblica un rapporto annuale sulla zoomafia che ha portato alla luce i collegamenti fra questo doppio mercato di bestiame e organizzazioni mafiose. Ciro Troiano è il responsabile dell'osservatorio sulla zoomafia della Lav.

Sia nel rapporto 2001 che in quello 2002 parlate di una «Cupola del bestiame». Ma è vero che a gestire questo mercato ci sono organizzazioni mafiose?

L'interesse in questo settore coinvolge tutte le principali organizzazioni italiane: mafia, camorra, `ndrangheta e sacra corona unita. Le inchieste giudiziare hanno portato alla luce il coinvolgimento di famiglie caposaldo della camorra casertana come i Mallardo o i Zaccaria. In sicilia alcuni boss mafiosi sono risultati coinvolti nel traffico di bestiame affetto da Brucellosi o da Bes. Bovini che venivano macellati clandestinamente e immesse sul mercato. Anzi le indagini sul primo caso di mucca pazza umana in Italia sembrerebbero affermare che l'animale infetto venisse proprio da questo mercato nero.

Ma le indagini sulla Bse non hanno inciso su questi traffici? Si diceva che mai come nel periodo della Bse la carne italiana era sicura...

Nel periodo della Bse il furto del bestiame in Sardegna, Calabria, Campania, Sicilia e Puglia era cresciuto di circa il 30%. Questo perché nel periodo della «crisi mucca pazza» i macellai preferivano spesso comprare carne rubata in Italia e venduta a prezzi ridotti piuttosto che rischiare soldi comprando carne all'estero che non è detto che qualcuno avrebbe acquistato. Allora i ministri Veronesi e Sirchia misero in giro la storia che «mai come adesso la carne è sicura». Ma se fosse stato come dicono loro allora perché l'abigeato cresceva al punto che in Sicilia venivano rubati 6000 bovini all'anno? Questi capi dove vanno a finire? Io non credo che organizzazioni come mafia e camorra rubano mucche per dar loro la libertà.

Quello clandestino è un mercato economicamente consistente?

In Campania e Sicilia si. Ma qui conta anche la mentalità locale. Per molti è normale comprare carne macellata «in casa» che non si sa esattamente da dove provenga. Ma il mercato si estende anche a nord e qui la macellazione clandestina avviene quasi sempre in macelli legali con coperture di aziende locali e autorità compiacenti.

 

PRODUZIONE REGGIANA 11 agosto 2002
La provincia di Reggio Emilia ha una produzione lorda vendibile che vale 518 milioni di euro. Il 90% è costituito da prodotti a denominazione di origine protetta.Ogni anno vengono messe sul mercato 800.000 cosce di prosciutti. Al 31/12/2001 i capi allevati erano: 160.475 bovini, 94.224 vacche da latte, 231 bufalini, 8.023 ovini, 878 caprini, 4.878 equini, 443.794 suini, 404 struzzi. Le aziende attive nel settore agricolo sono in tutto 1.963. (Dati Confdiretti, Cia, Apa)

 


 MACELLI ITALIANI 11 agosto 2002
In Italia il numero dei macelli è diminuito consistentemente nel corso degli anni `90. Nel 1999 i macelli bovini erano 2200 a cui si aggiungono i 700 impienti di macellazione per altre specie animali. Solo il 15% (corrispondente a 330 impianti) dei macelli italiani è in possesso del bollo Cee. In Francia ce l'ha il 77% del totale (270 impienti) in Spagna il 38,1% (1455). In Olanda, Germania, Danimarca e Irlanda si arriva al 100%. La maggior parte degli impianti di macellazione bovina di dimensioni superiori ai 6000 capi si trova in Emilia, Veneto e Lombardia. Il 73% dei capi è macellato in 4 regioni: il 19% in Lombardia, il 23% in Veneto, il 18% in Emilia Romagna, il 13% in Piemonte.

 

LA CUPOLA DEL BESTIAME 11 agosto 2002
Nel 2001 per reati legati al furto e alla macellazione clandestina di animali sono state denunciate 700 persone, di cui 30 arrestate. Due sono veterinari. L'evasione fiscale connessa a questi traffici è di 50 milioni di euro e altrettanti sono i finanziamenti Cee ottenuti irregolarmente. L'abigeato ha fruttato almeno 25 milioni di euro. Durante l'anno sono stati rubati 10.000 capi di bestiame. Da quando c'è l'emergenza «mucca pazza» i furti di bestiame, secondo la Confagricoltura, sono aumentati complessivamente de 20%. Avvengono soprattutto nel mezzogiorno (75%). In Sardegna c'è il maggior numero di casi, il 33,5%, in Sicilia il 18,7% nel Lazio il 13,6% in Calabria il 9,1%. Durante 372 ispezioni per la Bse in stabilimenti di lavorazione della carne sono state denunciate 41 persone. A 608 ispezioni nei macelli sono seguite 61 denunce. (Dati Lav 2002)

 

Prosciutti non commestibili nei negozi»23 agosto 2002
Nell'inchiesta sull'omicidio di Reggio Emilia spunta l'ipotesi di un traffico di salumi «riciclati»
SA. M.
Si allarga l'inchiesta di Reggio Emilia partita dall'omicidio di un lavoratore tunisino e che nelle scorse settimane aveva svelato un traffico di «prosciutti falsi» che coinvolge alcune ditte della zona del reggiano. Mentre si attende per le prossime ore il deposito degli atti relativi alla prima parte dell'inchiesta, il Nucleo antisofisticazioni dei carabinieri (Nas) avrebbe trovato nuovi elementi che proverebbero la contraffazione dei marchi sulle cosce di prosciutto disossate e trasportate dai facchini dell'azienda Dimac. Nei giorni scorsi le indagini avevano fatto emergere che la cooperativa Dimac, di cui erano soci sia il giovane ucciso, Ismail Jauadi, che le quattro persone che lo avrebbero ucciso, falsificava i marchi sulle cosce di prosciutto facendole passare per prodotti di denominazione controllata. Anche le due aziende in cui aveva lavorato Jauadi, la Suin.com di Castelvetro (Modena) e la Korona di Poviglio (Reggio Emilia) sono sotto inchiesta per gli stessi reati. Secondo quanto affermano gli investigatori, il tunisino aveva raccolto prove sulle falsificazioni fatte e ricattava i quattro soci che, stanchi delle richieste sempre più onerose, all'inizio di luglio avrebbero deciso di eliminarlo. Ora si scopre che i marchi falsi apposti dalla ditta sarebbero serviti non solo a far aumentare i prezzi dei salumi prodotti, ma anche a contrassegnare come «commestibili» prodotti di origini alquanto dubbie.

L'inchiesta, dunque, si allarga. E proprio per questo la pm Lucia Russo che conduce le indagini ha chiamato in aiuto una serie di consulenti incaricati di seguire le indagini in tutte le sue ramificazioni. Per esempio gli esperti della polizia postale che nei giorni scorsi hanno passato al setaccio i computer delle aziende per cui aveva collaborato la Dimac, fra cui la Suin.com di Castelvetro (Modena). A insospettire gli inquirenti, chie si avvalgono anche dell'aiuto dell'Ufficio italiano cambi del ministero del Tesoro (che generalemente si occupa di contrabbando, violazioni doganali e riciclaggio di denaro), sarebbero i bilanci delle aziende coinvolte nell'inchiesta: una di esse, con 200 dipendenti, ha un fatturato che supera i 70 milioni di euro annui, per la maggior parte generati dal commercio con altri paesi europei. Un fatturato troppo alto per un'azienda di questo settore. E' proprio questo elemento che avrebbe fatto ipotizzare che le aziende siano coinvolte in un giro di riciclaggio di denaro.

Sono tutte ipotesi, certo. Ma fa specie che siano tutte emerse da un'unica indagine per omicidio. E forse non è un caso se a qualche chilometro di distanza, a Guastalla, si è scoperto sempre ieri che alcuni vitelli bloccati dalla Asl perché sembravano gonfiati con un ormone fuori legge sono stati macellati nonostante il blocco. Alla fine si è scoperto che il «boldenone» non c'era. Ma cosa sarebbe successo se il test avesse dato un risultato diverso?