BERSAGLIERI NELLE CALAMITA'

1a PARTE  

Che l’Italia sia il paese dove i disastri naturali esistano da sempre è ormai nella coscienza di tutti, nel D.N.A di ognuno.
- Che esistano tuttora è assodato e certo, come si dice stiamo lavorando per non farci mancare niente …. 
- Che i nostri siano diversi dagli altri, sono in molti a crederlo ma avrei forti dubbi.
- Che si possa fare qualcosa in effetti molti non lo hanno ancora capito. 
 

1870 Inondazione di Roma

L’unità d’Italia non poteva cominciare nel peggiore dei modi. Il 26 dicembre, a 3 mesi da Porta Pia il Tevere, alimentato dalle violente piogge che si abbatterono per alcuni giorni lungo la Val Tiberina e la Val di Chiana, superò gli argini allagando gran parte della città, Farnesina, Piazza del Popolo, Ripetta, il Ghetto, il Corso e piazza Colonna con Via Condotti. Nei quartieri più vicini al fiume furono inondati anche i primi piani delle case. Che fosse la maledizione del Papa contro i Piemontesi e Romani  traditori?.  I soccorsi come sempre si organizzano, con chi è disponibile e nei tempi dei mezzi d'allora. L’Italia all'epoca era un paese dove già un corpo di Vigili del Fuoco era una conquista. I primi ad intervenire come sempre i militari di presidio o nelle vicinanze. Le ancor numerose truppe presidiarie coi bersaglieri in testa (XXVI btg del 4° e XII dell'8° reggimento) si segnalarono nelle azioni di protezione civile e nei lavori avviati per far defluire le acque, sgomberare strade e scantinati dal fango. Alle operazioni di assistenza e di aiuto alla popolazione presero parte anche 3 compagnie del genio zappatori, la brigata Abruzzi e Sicilia di fanteria. L'intervento delle truppe si protrasse sino al gennaio successivo. 

Monet: l'inondazione
http://www.cronologia.it/disastri.htm 

per saperne di più: tutti i disastri

 
Sisley

   
  La nostra percezione della Storia spesso ci porta a considerare solo alcuni aspetti considerati più importanti: per alcuni sono solo le date, le battaglie, gli uomini e per altri ancora la guerra e la pace che precede la guerra successiva e per il resto che conta la politica, l'arte, la letteratura etc... Così facendo ci sfugge nel racconto una larga parte della vita vera e vissuta, ci sfugge il molto. Manzoni coi “Promessi Sposi” ci ha voluto, nell’800, ricordare anche questo, le miserie e le disgrazie comuni della vita inserite in un contesto storico che fa testo di scuola. Il racconto della peste del 16oo passata sotto banco più della peste Boccaccesca, ci aiuta a capire un paese dove terremoti, inondazioni, epidemie etc .. hanno condizionato la vita e il carattere della gente e in definitiva la Storia con la S maiuscola. Chi ha studiato i fenomeni naturali parla degli anni precedenti il 1632, di anni in cui nel Nord Europa ha avuto luogo una mini glaciazione che avrebbe tagliato molti raccolti e causato carestie. La calata dei lanzichenecchi (tedeschi e svizzeri), portatori di peste e in cerca di cibo oltre che di oro, ne era una naturale conseguenza. Certo, anche se mini, la temperatura doveva essere calata pure qui: inverni più lunghi e più freddi. Ma quante volte ha fatto freddo d’inverno e per anni. La nostra oggi sarebbe una percezione a pelo, una discussione infinita da meteorologi televisivi mentre una volta era la volontà divina e così sia. La nostra conoscenza dei fattori che condizionano il pianeta e l’universo è spesso molto limitata e parziale, tanto che ci permettiamo di far la parte del terzo disturbatore. Non parliamo dei terremoti di cui praticamente sappiamo poco o nulla. Le piogge che noi ora chiamiamo torrenziali, nell’ottocento e anche prima avevano una durata più che doppia e se non fosse che spesso il livello è ancora segnato sulla facciate delle case, il fatto sarebbe passato inosservato anche nella tradizione orale e nella maggior parte dei testi storici. Non si costruiva dissennatamente su argini e alvei e se si costruiva su cocuzzoli lo si faceva per difesa, poi la forestazione poteva tenere ancora le case più aggrappate. 
     

UN ANTICO TERREMOTO

Sotto la pianura padana si sviluppa la grande dorsale ferrarese, catena di Appennini sepolta da strati di depositi alluvionali che migra verso Nord.

  La terra aveva iniziato a tremare prima impercettibilmente poi sempre piu decisa nelle terre degli Estensi nel Ferrarese. Infine una forte scossa nel novembre 1570 e una sequenza di (si dice) 2.000 repliche fino alla fine di  febbraio del 1571. Il 40% delle case venne giù con palazzi e chiese. La città non si riprese più anche perché di li a 28 anni passava al Papa che ne aveva reclamato la proprietà per ragioni dinastiche. Del terremoto non si sapeva molto anche se l'evento si registrava da secoli attribuendone le cause a dei e strane creature che vivevano nel sottosuolo: d'altronde non si sapeva nemmeno che la terra fosse piatta e cosa ci fosse al suo interno. Il terremoto di Ferrara fu infatti interpretato da un lato come segno dello sfavore divino nei confronti di Ferrara e dei suoi sovrani (Il duca precedente aveva sposato Renata di Francia tutt'ora vivente ed eretica), dall’altro come un evento che metteva in crisi teorie consolidate di ciarlatani dell'epoca (sismologi di oggi) che non prevedevano terremoti in pianura e in Inverno. Il risultato comunque dell'evento fu una coabitazione forzata e malsana in tende, compresa la corte. Se il duca Alfonso II (figlio della eretica) fosse rimasto senza eredi (e le voci sulla sua sterilità andavano facendosi sempre più insistenti), alla sua morte il ducato sarebbe stato devoluto alla Santa Sede spezzando il legame degli Estensi con il "nemico" (per il Papa) Re di Francia. Così l’importante sequenza sismica iniziata nel novembre 1570 divenne, subito dopo le tre forti scosse del 16 e del 17 di quel mese, una sorta di grimaldello della diplomazia di Pio V per incrinare il prestigio estense in città e per mettere in discussione il regime ducale agli occhi dei sudditi e delle altre corti italiane. Le contromisure della corte furono le solite, comunioni, processioni, elemosine ai poveri, fondazione di nuovi conventi e chiese. Si fecero anche studi che non approdarono a nulla e le scosse si replicarono anni dopo (1639) a Finale Emilia
     

dal sito dei carabinieri le testimonianze di 150 anni di disastri 

 

COLERA

* Il Colera è una malattia infettiva contagiosa il cui agente (vibrione) attraverso l'acqua, gli alimenti, le mosche, si localizza nella mucosa intestinale, penetrando poi nel sangue; è caratterizzato da diarrea, nausea e vomito la cui conseguenza è una disidratazione gravissima che può essere mortale. Il colera asiatico fu descritto nei suoi sintomi generali già da Ippocrate (V secolo a.c.) e Galeno (II secolo d.c.). Nell'area del Bengala (India) il carattere epidemico del colera fu segnalato dalla più remota antichità. Descrizioni parziali di epidemie colerose si ebbero a partire dal 1503, e divennero più numerose nel corso del XVIII secolo. La prima epidemia a diffusione continentale (asia) si sviluppò tra il 1817 e il 1824: originata nelle vallate del Gange, percorse il medio Oriente, la Cina, il Giappone e l'estremo Oriente, facendo 100.000 vittime solo a Giava. Una seconda ondata (1829-1837) investì direttamente l'Europa con mezzo milione di morti   Siamo partiti dalla inondazione del neonato stato italiano, ma non dimentichiamo altre epidemie e disastri che fino a quel momento avevano percorso l’Italia. Il Colera era una di queste. La parola Endemico sta a significare che il Colera (il famoso vibrione*) non se ne va via mai, ha i suoi alti e bassi è cosi deve essere stato per i circa 60 anni dell’arco di tempo della nostra narrazione . 

COLERA 1835

Nell’estate del 1835 in Italia il Colera circola a palate e fra alti e bassi va avanti due anni con 236.000 morti. Dal punto di vista sanitario, una grande città con un grande porto come Napoli non poteva mancare all’appuntamento del colera di quell'anno. Il colera si ripresenterà qui poi 30 anni dopo. Se il colera del 1836 era stato attribuito a Ferdinando che si voleva liberare di qualche migliaio di cittadini, quello del 66 fu attribuito ai piemontesi. Fra gli anni 40 e 50 dell'800 l’Europa era di nuovo preda del Colera: non erano passati neanche 10 anni dal precedente. Prima in Inghilterra poi a macchia sul continente. Nel 1849 era di nuovo in Italia ma la sua recrudescenza sarebbe esplosa 5 anni dopo. 

COLERA 1854

Vedi studio epidemiologico di Londra. http://www2.unipr.it/~bottarel/epi/storia/colera.htm 

 

  Sappiamo da Alessandro La Marmora stesso “nel 1854 a Genova (era comandante di presidio), ebbe occasione di toccare con mano quanto il colera fosse pericoloso. Dovranno passare ancora molti anni prima che Koch ne scopra il bacillo (1882) ed altri 100 prima che si possa effettivamente curare. La città portuale vedeva arrivare giornalmente navi che facevano la rotta del Mediterraneo, toccando porti del vicino Oriente già infettati. La vastità del fenomeno e la città che non poteva essere blindata, lo portarono a valutare fra vari provvedimenti quelli che potevano essere di minima difesa. Furono sottoposti ad accurate pulizie tutti i locali di caserma, ritinteggiati con calce, Fu vietata la vendita nelle caserme di frutta e acquavite. Il problema restavano le fogne, le latrine e le stalle, con gli uomini che vivevano a stretto contatto con queste a cielo aperto. Con la sua determinazione si annotava ricoveri ed esiti. Da questi numeri appare evidente quanto il tempestivo intervento ai primi sintomi e i l ricovero in ospedali attrezzati, influisca sulla risoluzione dell'infezione. I militari colpiti erano il 4,8% e i morti il 2,4 %, mentre i civili avevano percentuali quasi doppie”. La sorte volle che di li a poco partisse coi suoi Bersaglieri per la Crimea da dove il Colera quattro anni prima si era affacciato sull’Europa. La Marmora e molti non torneranno. "Mia cara Rosetta" così scriveva a casa Alessandro La Marmora comandante dei bersaglieri il 30 maggio 1855 " Dopo otto ore di soggiorno in Costantinopoli siamo giunti a Balaclava. Vi sono alquanti ammalati, ma però senza importanza fuorché qualche caso di colera nei siti bassi stante la cattiva aria di paludi e di 2000 turchi lì sotterrati ........... son persuaso che non farà strage il colera essendo siti molto ventilati e purché non bere, stare coperti. Attendo con impazienza le tue lettere" concludeva La Marmora dalla Crimea. La posta allora impiegava 15 giorni per arrivare e quelle risposte non le avrebbe mai lette. Il 7 giugno il colera non gli lasciava scampo. Il suo corpo veniva tumulato a Kadikoi. I morti per colera furono 1.300, più di quelli della guerra !!. In Italia come detto colpì inizialmente il nord e soprattutto il Veneto, si propagò poi con intensità sempre maggiore nel genovese, nello Stato Pontificio, nel parmense e nel modenese dove molte furono le vittime. A Genova morirono 2.936 persone, a Palermo i morti accertati furono 5.334 a Milano 1.404 a Roma 1.085, in Toscana 3.566. A Messina la mortalità fu elevatissima. Non fu risparmiata la Sardegna dove tutti i grandi centri, tra cui Cagliari, ne risultarono affetti. A Sassari, si registrarono 167 casi con 58 morti, altri se ne ebbero a Portotorres, a Oristano ed in altri piccoli comuni. Alla fine dell’anno l’epidemia si attenuò per poi esaurirsi del tutto.

VESUVIO
Il 26 aprile 1872 nel corso della notte, il Vesuvio entrò in eruzione. Alcuni paesi rimasero danneggiati e i soccorsi dovettero raggiungere i luoghi più colpiti Portici e Resina. Furono fatti affluire da Napoli, reparti dell'8° e del 32° fanteria, da Capua giunsero i bersaglieri del 4°. Informato dell’avvenimento il 30 aprile, Vittorio Emanuele II si recò sui luoghi sinistrati portando il suo conforto alle popolazioni ed elogiando le truppe impegnate nelle operazioni di soccorso per l’opera meritoria da esse svolta. Tutte le eruzioni http://www.dst.unina.it/vesuvio/ciclo8b.html . Ne seguirono altre quasi continue fino al 1906

  COLERA 1866

L’Italia non era fatta, ma si stava litigando di brutto in quella estate del 1866 quando il colera riesplose. L’ondata si diffonde a partire da La Mecca, ove muoiono circa 100.000 pellegrini nel 1865. In Italia le vittime sono 147.000 nell’arco di tempo che va dal '65 al 67 (riapparirà nel '73). Il picco si ebbe proprio in corrispondenza della rivolta indipendentista di Palermo seguita alle sconfitte militari nel Lombardo Veneto. Il bilancio della Guerra allora assorbiva anche le risorse del risanamento. Raffaele Cadorna, nominato commissario straordinario con pieni poteri, entrò in Palermo e l’ebbe vinta sulla rivolta ma non sul colera. Nel sud quindi le truppe inviate per reprimere i moti insurrezionali e/o il brigantaggio si trovarono a dover affrontare anche il colera che, specialmente nella provincia di Palermo, infierì in forma violenta. Gli stessi militari subirono numerose perdite. Focolai di infezione si svilupparono poi in Calabria e nelle Puglie in particolare nella zona di Bari. A fine anno furono revocate le misure di quarantena, precedentemente imposte, ma per poco tempo. Nel 1867, con il sopraggiungere della stagione estiva la malattia ricomparve in diverse regioni d’Italia con una forma ancor più virulenta. Fu necessario intervenire distribuendo viveri, predisponendo lazzaretti. La disinfezione delle case e la pulizia delle strade, s’era già notato, avevano un peso non indifferente. Un cappellano, Don Giuseppe Riberi fu insignito della Croce di Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro per i servizi resi. Tra i compiti più onerosi, quello di rimuovere le vittime e procedere al loro seppellimento. Nelle province meridionali fu poi necessario sedare alcuni tumulti che si verificarono data l’antica convinzione che il morbo fosse diffuso da emissari del governo. A Salerno e provincia al soccorso delle popolazioni concorsero le Brigate Savona, Valtellina, e contingenti della Acqui. In Sicilia operarono le brigate Regina, Umbria, Abruzzi, Calabria, nonché aliquote delle brigate Piemonte, Acqui, Bologna, Modena, Reggio, Marche, Cagliari ed Ancona. Numerosi i battaglioni bersaglieri, a Caserta il XLIII. Alle truppe già presenti si aggiunse poi nel dicembre il 1° Reggimento Granatieri di Sardegna, le brigate Pistoia, Parma, Ravenna, nonché i reggimenti di cavalleria Lancieri di Foggia e Cavalleggeri di Alessandria e gli immancabili carabinieri. Ma il colera non era stato estirpato, giaceva li da qualche parte anche se erano passati più di 10 anni.

Fronte lavico: Bersaglieri  all'ordine

   

 

COLERA 1884

Nel 1884 riesplode con 30.000 morti. Va avanti ancora qualche estate e a Napoli ne fa 8.000 di morti. Erano considerati pochi (Napoli allora era la città più grande d’Italia). Un medico tedesco Robert Koch era intanto giunto ad isolare l’agente patogeno responsabile della infezione gastrointestinale (Da sapere.it: Robert Koch medico e batteriologo tedesco (1842-1910). Scoprì (1882) il bacillo della tubercolosi (bacillo di Koch) e il vibrione del colera (1884). Premio Nobel 1905 per la medicina). La prima profilassi fu sperimentata a New York nel 1887. La messa a punto di un vaccino da parte dell'Istituto Pasteur è del 1892. I diversi mezzi di prevenzione adottati impedirono alla epidemia di diffondersi di nuovo “drammaticamente” in Europa. Per “drammaticamente” si intendono le migliaia di morti, non le centinaia. Da allora il colera è riapparso puntuale in tutte le parti del mondo, Italia compresa. Se il colera non bastava, nel 1872 a Trieste si ebbe una epidemia di vaiolo, nonostante l’Antivaiolosa fosse già da tempo praticata.

   

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Terremoto Calabro 1907

 

Casamicciola il "Big One del 1883" -

Pietro Ramella: Un Bersagliere fra le macerie

  4 marzo 1881 All’una del pomeriggio la terrà tremò per 7 lunghi secondi. Non solo Casamicciola era stata colpita ma anche Lacco Ameno (Ischia). Da Napoli giunsero gli zappatori del 15°, ed una compagnia del 20° Fanteria. Il primo contingente iniziò lo sgombero delle macerie nel tentativo di salvare le persone rimaste sepolte nelle case crollate. Nelle giornate successive giunsero altre unità del genio e reparti del 51° fanteria. I soldati furono impiegati nel recupero delle vittime e contribuirono al ripristino delle case abitabili, alla demolizione di quelle pericolanti ed alla costruzione di baracche. Ma il Big One doveva arrivare due anni dopo. 

Ma torniamo ai nostri anni dell’Unità. Gli anni 70 furono comunque piovosi in tutta Italia e non solo a Roma. Ma non c’era solo acqua e colera in Italia. Due grandi interpreti, vulcani e terremoti erano pronti alle repliche

    IL CINEMA E LE CALAMITA’

  L’ERUZIONE DELL’ETNA / L’ERUPTION DE L’ETNA (Ambrosio, I 1909) 99m, 5’ (18 fps) Didascalie in francese / French titles. L’Etna all’inizio del XX secolo (come di quello XXI) eruttava lava, ceneri e lapilli. Come oggi è uno dei più affascinanti avvenimenti televisivi, così un secolo fa le sue eruzioni venivano catturate dal cinema. Fra il 1909 e il 1911 sono ricordati da Aldo Bernardini ben cinque Eruzioni dell’Etna (più due del Vesuvio entrambe del 1906). / At the beginning of the 20th century (as at the beginning of the 21st) Etna erupted, throwing off lava, ash and cinders. Just as today this is one of the most fascinating events for television, so a century ago the volcano’s eruptions were captured by the cinema.

terremoto Avezzano

  Aldo Bernardini records some five Eruptions of Etna between 1909 and 1911, (as well as two of Vesuvius, both in 1906). The version in the programme, tinted and toned, shows the formation of a new crater and the efforts of the local population to divert the lava. Anche il terremoto attirava i cineoperatori che desideravano ampliare il loro archivio di attualità da offrire agli spettatori dell’epoca. Bernardini, ha catalogato svariati sismi avvenuti ai tempi del muto, da Il terremoto in Calabria (Alberini & Santoni, 1905) al Terremoto 1906 nell’Irpinia (Cines); da Il terremoto della Calabria (Comerio, 1907) alle tre serie, girate da Luca Comerio, sullo spaventoso Terremoto calabro-siculo del 1909; su quest’ultimo avvenimento si soffermarono anche altri operatori italiani con Il terremoto di Messina e Calabria (Cines), con Il terribile terremoto di Calabria e di Sicilia (Croce & C.), con Messina (Itala Film), Messina distrutta (Cines) e col Disastro di Reggio e Messina (Omegna).Pochi mesi dopo la casa di produzione Croce & C. inaugura una beneaugurante serie intitolata Dopo il terremoto costituita da tre episodi: Ricostruzione a Reggio e Messina (in due parti) e Resurrezione dei paesi devastati; con lo stesso spirito viene girato La ricostruzione di Messina (SAFFI-Comerio, 1909) e Messina che risorge (Cines, 1910). Ancora la Cines, nel 1912, torna nella città trasformata e parzialmente ricostruita con Messina al giorno d’oggi.
    Il funesto 1907/8

Disinfezione nei balcani

  Anno piovoso il 1907; andarono sotto paesi e campagne in tutte le regioni del nord. Legnago, colpita dall’inondazione dell’Adige, il fiume Parma che esonda, S. Benedetto Po messa sotto dal Mincio. Data la vastità delle zone soggette all’inondazione le autorità misero in campo nuove forze ed altri mezzi tra cui reparti della brigata Siena, dell’11° reggimento bersaglieri e del 79° fanteria. Le azioni di soccorso quindi proseguirono con lo sgombero di persone, animali, materiali, fango e detriti trasportati dalle acque. Le iniziative sviluppate nel campo della protezione civile al nord e le strutture impiegate nella loro opera meritoria consentirono di ottenere buoni risultati. In stato di allarme altre unità perché il tempo peggiorava ovunque. Il perdurare delle intemperie colpì infatti altre regioni, il Lazio e la zona a sud di Roma, fu allagata dal Tevere nuovamente straripato. 
Il terremoto del 23 ottobre in Calabria ha causato purtroppo moltissime vittime. Carabinieri e soldati si prodigarono per soccorrere la popolazione e trarre in salvo le persone rimaste imprigionate sotto le macerie.
(Da "La Domenica del Corriere" del 3 novembre 1907-Nel quadro a lato, i militi all'opera a Ferruzzano, dove nei giorni scorsi i lavori sono stati ostacolati da una fitta pioggia). Ma questo era solo una replica di quello del 1905 e lontano parente di quello della fine del 1908. 

Terremoto Calabro 1905

 

TERREMOTO DI MESSINA 28 dicembre 1908
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Giorgio Boatti, La terra trema. Messina 28 dicembre 1908. I trenta secondi che cambiarono l'Italia, non gli italiani, Mondadori, Milano 2004, pp. 414. 
"Ore 5.20 terremoto distrusse buona parte Messina - Giudico morti molte centinaia - case crollate sgombro macerie insufficienti mezzi locali - urgono soccorsi per sgombro vettovagliamento assistenza feriti - ogni aiuto sarà insufficiente".
E' il testo del telegramma con cui il governo italiano apprese del terremoto di Messina: inviato dal comandante di una nave militare da una stazione telegrafica calabrese alle 14.50 del 28 dicembre 1908, giunse al Ministero degli Interni alle 17.35 dello stesso giorno, cioè dodici ore dopo il disastro. In questo telegramma la valutazione dei danni è naturalmente molto sottostimata: il terremoto, dell'undicesimo grado della scala Mercalli, distrusse quasi completamente le città di Messina e Reggio Calabria e causò, secondo le statistiche ufficiali, 77.283 morti (in altre valutazioni la cifra oscilla fra le 80.000 e le 140.000 vittime). A volte, quando ci si sofferma a considerarla, la storia del nostro paese sembra un'ininterrotta sequela di disastri. Ogni generazione ha la sua catastrofe civile da ricordare e anzi spesso più d'una, a volte d'origine naturale e a volte umana. Il copione sembra sempre lo stesso: evento tragico; prime ricostruzioni giornalistiche, concitate e a forti tinte; interviste ai superstiti; il cordoglio della nazione;

Messina

  le autorità dello stato si precipitano sul luogo dell'evento; polemiche sulla tempestività dei soccorsi e sulla loro efficienza; i parenti delle vittime accusano; funerali solenni; ancora polemiche finché i riflettori dei mass-media si spengono. Il governo di Giovanni Giolitti dovette ben presto difendersi dalle accuse di non aver compiuto in modo adeguato e tempestivo l'opera di soccorso delle popolazioni colpite. In particolare, l'opinione pubblica dell'epoca fu colpita dal fatto che i primi soccorsi organizzati non vennero apprestati da parte italiana, bensì, a partire dalla mattina del 29 dicembre, dagli equipaggi di squadre navali russe e inglesi che casualmente si trovavano nei pressi al momento del terremoto (equipaggi che, secondo tutte le testimonianze, svolsero la loro opera eroicamente). I primi soccorritori italiani, dell'8°reggimento dei Bersaglieri, provenienti da Palermo, sbarcarono solo nel pomeriggio inoltrato dello stesso giorno. Scrive il quotidiano "La Tribuna" del 2 gennaio 1909: per impedire un'epidemia occorre "compiere l'opera distruggitrice perpetrata dal terremoto: buttare giù quel poco che resta di queste case, buttarlo giù nel modo più energico, più rapido: a colpi di cannone. Far sgomberare i pochissimi superstiti e dalle navi bombardare queste scarnificate vestigia della città (...) non v'è altra via per impedire che il luogo dov'era Messina diventi un centro d'infezione a cui nessuno osi più avvicinarsi". (p. 118). "Il Mattino" del 6-7 gennaio rilancia la stessa idea attribuendone la paternità al Re, mentre "Il Messaggero" del 6 gennaio suggerisce di ricorrere al fuoco: "Si dia in preda alle fiamme [Messina] per purificarla, o si ricostruisca con piccole case come una cittadina giapponese" (p. 119). bando emanato dal generale Mazza il 10 gennaio, riportato integralmente a p. 374 del libro di Boatti: " Sono sospesi fino a nuovo ordine gli scavi delle macerie da parte di privati cittadini, sia per rintracciare cadaveri, sia per recuperare valori. (...) Le persone trovate a scavare saranno considerate come ladri e deferite al tribunale di guerra. [Questo mentre ancora i parenti delle vittime cercavano i loro cari sotto le macerie, n.d.r.] Anche le truppe, nei lavori stradali che compiono, si limiteranno esclusivamente ai lavori di assestamento evitando di eseguire scavi. (...) 3 - E' proibito l'ingresso in città a tutte le persone non munite di regolare permesso rilasciato dall'autorità politica della provincia da cui provengono..." http://www.ciao.it/La_terra_trema_G_Boatti__Opinione_584441  

13 gennaio 1915- ore 7,55  - Terremoto di Avezzano e della Marsica

  «Da ogni parte di sotto alle macerie si alzavano grida d’aiuto: Sant’Emidio! Sant’Emidio! Aiutaci!» diceva un giornalista. I primi 10 feriti giunsero a Tivoli su un treno che si fermava ad ogni ponte per verificarne la stabilità. Chi era sopravvissuto vagava fra le macerie incredulo: « Sono morti; tutti. Non c’e più nessuno; non c’e più niente».Erano perite anche tutte le autorità che potevano organizzare i soccorsi, il sottoprefetto di Avezzano, il sindaco, il pretore, il capitano dei carabinieri, ed erano periti anche i medici del luogo, i dottori Rainaldi, Sferra, Solone, Gasbarri. Era salvo solo il dottore Edoardo Corbi, che più tardi sarà generale medico e Direttore dell’ospedale militare del Celio in Roma, e salvo era pure il Segretario Comunale Michelangelo Colaneri. Il primo treno di soccorsi giunse ad Avezzano la sera del giorno dopo 14 gennaio, cioè 36 ore dopo il disastro. Trasportava 300 soldati dell’8l’ fanteria e 200 bersaglieri al comando del maggiore Martinengo di Villadamo, che aveva ai suoi ordini una compagnia di sanità, 100 zappatori, i mezzi di soccorso della Croce Rossa e quelli del Vaticano, guidati da don Orione e don Guanella. 
    Si lavorò al lume di fiaccole, mentre ai soldati si affiancavano gruppi di volonterosi accorsi dai paesi vicini. Commovente l’iniziativa del parroco di Castel Madama, che, riuniti 20 giovani, attrezzati di pale e zappe, li guidò ad Avezzano, un po’ a piedi e un po’ in treno. Furono i primi ad arrivare. Ad essi poi segui una vera folla di volontari, giunti da ogni parte d’Italia. Un altro treno di soccorsi giunse nella notte con una compagnia di zappatori, una compagnia di sanità, 100 carabinieri, due serbatoi d’acqua, due carri ambulanza con attrezzi, medicinali, disinfettanti ed altri 500 uomini di truppa. Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio poté essere messo in funzione un vastissimo ospedale da campo dove i feriti venivano fatti affluire, mentre si iniziava l’opera della Croce Rossa, che si era provvisoriamente sistemata in un vagone ferroviario. Gli effetti del terremoto nel circondario di Avezzano furono catastrofici. Collarmele, S.Benedetto dei Marsi, Paterno, Gioia dei Marsi, S. Pelino ed altri paesi furono pressoché distrutti. Il bilancio del terremoto oltre che per i danni fu enorme anche per il numero delle vittime: sotto le rovine delle case e degli edifici pubblici crollati rimasero circa 25.000 abitanti su un totale di oltre 124.000. Ad Avezzano su 11.208 abitanti le vittime furono 10.719; a Pescina , dove nacque nel 1900 Ignazio Silone, circa 5.000 su 10.400; a S. Benedetto dei Marsi che contava, secondo dati del 1911, 3.960 abitanti circa 3.000; a Sora nel Lazio, in provincia di Frosinone, 3.000 su 17.000. Moltissimi anche i feriti. Le strade risultarono per lo più intransitabili in quanto franate o rese ingombre dalle macerie.

Avezzano

 

Il genio civile articolò poi una mappa delle aree considerate a rischio e definì le caratteristiche delle nuove costruzioni da porre in opera secondo criteri antisismici. Nel corso dell'opera di ricostruzione che seguì, alcune località furono trasferite in zone più sicure e la rete stradale fu riattata ed estesa.

Terremoto marsicano 1915

  Rimasero inoltre in parte danneggiate le linee ferroviarie e le comunicazioni telegrafiche e telefoniche. Malgrado il freddo intenso furono immediatamente avviati i lavori necessari per estrarre dalle macerie i sopravissuti, recuperare i morti, medicare i feriti e trasportare in ricoveri improvvisati i superstiti. Coi treni successivi arrivarono rinforzi costituiti da altri reparti dell’81°, dell’82° fanteria, del 2° reggimento bersaglieri nonché alcuni battaglioni del 1° e del 2° Reggimento Granatieri di Sardegna. Tutti i gli uomini disponibili furono fatti sostare ad Avezzano collaborando localmente alle operazioni in corso in attesa di raggiungere le destinazioni già programmate. Alcuni nuclei dell’81° fanteria furono invece immediatamente inviati a Celano, a Luco dei Marsi ed a Paterno. Nei settori di Pescina, Gioia dei Marsi ed Ortucchio, altri centri duramente colpiti dal sisma, furono invece avviati alcuni battaglioni dell’11° bersaglieri provenienti da Ancona. Per evitare l’eccessivo intasamento dell’unico binario della linea ferroviaria, fu aperta al traffico, malgrado le difficoltà ed il cattivo tempo, la strada di collegamento tra la Conca del Fucino e l'Agro Romano, passante per il valico di M. Bove a 1.344 metri di altezza. La strada fu mantenuta sgombra dalla neve consentendo così l’arrivo di altre colonne di soccorso tra cui anche quelle predisposte da alcuni enti assistenziali e da organizzazioni private. Con i nuovi arrivi nelle giornate successive al 14 gennaio, il contingente di intervento raggiunse la ragguardevole forza di circa 9.100 uomini fu quindi possibile trasferire personale e mezzi in tutte le località terremotate. Non fu comunque necessario ricorrere, come a Messina nel 1908, a provvedimenti estremi quali la proclamazione dello stato di assedio ( a Messina qualcuno diceva che era stato proclamato per mettere in salvo i soldi delle banche). La guerra incombeva e alla fine del mese tutti i soldati erano al fronte. Le truppe presenti furono gradatamente ritirate e sostituite con personale civile. Solo nel settore di Pescina rimasero alcuni drappelli di militari che proseguirono nell’opera di assistenza. Anche alcuni nuclei dei Carabinieri appartenenti ai contingenti fatti affluire da Roma e da altre località rimasero ancora per diversi mesi nelle zone sinistrate della Marsica 
   

Elenco ufficioso e parziale di calamità fino al secondo conflitto con l’intervento di bersaglieri

avezzano
 

Dall'elenco incompleto ci sono sicuramente sfuggite molte altre calamità non ultime le continue alluvioni del polesine, cicliche fino a quella grande del 1951. Il Vesuvio e L'Etna hanno sempre continuato la loro attività eruttiva, che è rimasta nei limiti della sicurezza. L'italia è poi stata percorsa dalla epidemia della Spagnola a fine Grande Guerra, e il relativo capitolo è stato trattato in altra sede

  1858 Inondazione Savona IX Btg.
1863 Inondazione Lemna
1866 Colera a Palermo e in Sicilia Btg vari
1870 Inondazione Roma XII e XXVI Btg
1872 Vesuvio 4° Reggimento
1882 Inondazione Verona 10° Reggimento
1883 Terremoto Ischia 6° Reggimento 
1884 Colera a Napoli 6° Reggimento
1894 Bagnara Calabra 111 morti
Nel 1906 San Francisco fu rasa al suolo da un tremendo terremoto. La scossa ridusse in rovina gran parte della città e gli incendi che seguirono completarono la distruzione 
1905/7 Terremoto Calabria Lamezia Terme 557 morti
1906 Eruzione Vesuvio 9° Reggimento 
1906 Terremoto Irpinia 
1907 Inondazioni Mincio Po 11° Reggimento
1908 Terremoto Messina 2° 8° 9° Reggimento med arg
1910 Terremoto Irpinia 11° Reggimento 
<XXXIII Btg. Villanova del Battista (foto)
1911 Terremoto Giarre 100 morti
1914 Eruzione Etna 63 morti
1915 Terremoto Avezzano 
1919 Terremoto Mugello 8° Reggimento
1920 Terremoto Lunigiana 8° Reggimento 174 morti
1923 Crollo diga del Gleno 7° Reggimento
1930 Terremoto Irpinia 1425 morti
Messina

 

 

 

 

 

 

Gli Infausti anni dal 1905 al 1910 la cometa Halley e la fine del mondo
http://www.cronologia.it/storia/a1910d.htm 
http://www.scalve.it/gleno/Pubblicazioni/75anniDalDisastro.htm  1923 diga Gleno
don Orione  http://www.vatican.va/news_services/liturgy/saints/ns_lit_doc_20040516_orione_it.html
 

Adige

Villanova del Battista

  CROLLO DELLA DIGA DI GLENO

Il 1° dicembre 1923, alcune delle arcate della diga del Gleno cedettero e l’acqua in pochi minuti si riversò sulla vallata sottostante. Un’enorme massa d’acqua colpì gli abitati e gli stabilimenti industriali dislocati lungo il corso del fiume Dezzo. Le condotte forzate sotto la pressione dell’acqua esplosero, centrali elettriche e fabbriche furono travolte dalla furia delle acque che allagarono anche alcuni impianti industriali situati nei presi di Darfo. Le acque incanalate lungo lo stretto corso del Dezzo, trascinando grandi quantità di detriti, raggiunsero Angolo, Darfo, ed alcune località circostanti. Riversandosi nell’Oglio inondarono la zona di Lovere interrompendo, in alcuni tratti, anche la linea ferroviaria Brescia-Edolo. Gli abitanti di Bueggio, Vilminore, Dezzo, Colere, Azzona, e, poco sotto lo sbocco della Val d'Angolo, quelli di Darfo e della frazione di Corna di Darfo non ebbero il tempo il tempo di fuggire e rimasero travolti: più di 500 le vittime. Non appena giunte le prime notizie, alcune compagnie del battaglione Tirano del 5° reggimento alpini raggiunsero, da Breno e da Edolo, le località disastrate organizzando di propria iniziativa i primi soccorsi nella zona di Darfo. Dato l’allarme giunsero in aiuto, in base agli ordini emanati dal Comando del Corpo di Armata di Milano, truppe provenienti da Brescia, da Milano, da Bergamo e da Pavia. Tra questi, reparti del 77° e del 78° fanteria, del 7° reggimento bersaglieri, contingenti di zappatori ed alcune autocolonne di rifornimenti. Raggruppamenti della Croce Rossa e di altre istituzioni provvidero poi alla distribuzione di viveri ed indumenti, curarono i feriti, raccolsero e ricomposero le salme, organizzarono camere ardenti e collaborarono con le autorità per giungere al riconoscimento dei cadaveri cercando e registrando la testimonianza dei sopravissuti. Gli interventi posti in essere dal personale civile e militare consentirono di riattare provvisoriamente le strade sgombrandole da fango e detriti, gettare ponti e passerelle. Anche il Papa, Pio XI, giunto al soglio pontificio nel 1922, espresse il proprio dolore per l’accaduto inviando per il tramite dei Vescovi di Bergamo e di Brescia aiuti da devolvere ai più bisognosi e la propria benedizione apostolica. 

   

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