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Antonio Ingroia (Palermo)

Il Libro "I Ragazzi di Paolo" > Palermo

La testimonianza di Antonio
Il “mio” Paolo Borsellino
Parlare o scrivere di Paolo Borsellino non è facile. Ricordarlo è sempre un’emozione. E’ stato per me un maestro ed un amico, ma anche qualcosa di più familiare, a metà fra uno zio ed un fratello maggiore. E perciò ogni parola mi sembra inadeguata, ogni aggettivo inappropriato.
Da lui ho appreso i primi rudimenti del mestiere di magistrato inquirente. Ricordo con grande nostalgia quei giorni a Marsala dove io arrivai da giovanissimo sostituto a confrontarmi - con curiosità, ma anche un pizzico di soggezione – con un procuratore della Repubblica che era già uno dei più prestigiosi magistrati italiani. E non posso dimenticare la giovialità di quell’uomo semplice, che mi conquistò subito, riuscendo a rassicurarmi e ad infondere in me come negli altri,altrettanto giovanissimi, colleghi un grande entusiasmo. Riuscì, nel breve volgere di qualche mese, a trasmetterci quella passione per la giustizia e quell’insofferenza nei confronti del sopruso organizzato, che gli aveva consentito di trasformare Marsala da anonima periferia in punto di riferimento nazionale della lotta alla mafia. E’ stato Paolo a trasmettermi l’amore per il nostro lavoro, un lavoro sempre difficile ed a volte frustrante, ma fondato su quella ostinazione nella ricerca della verità, che gli consentiva di non cedere mai, neanche quando (e gli capitò spesso nel corso della sua carriera)quella sua fermezza lo aveva fatto circondare, negli ovattati palazzi di giustizia, da diffidenze, invidie e maldicenze, in un isolamento costante.
Ma Paolo non fu soltanto una guida professionale, prodigo di consigli e suggerimenti. Fu anche un maestro di“vita applicata”. Amava raccontare, con grande capacità narrativa e senso dell’humour, mille aneddoti, molti dei quali tratti dalla sua lunga attività professionale, che gli servivano anche per spiegarci – ad esempio – quanto fosse difficile, eppure importante, “dialogare” con un mafioso durante un interrogatorio. La sua umiltà non gli consentiva di “mettersi in cattedra”.I suoi insegnamenti derivavano, in modo naturale, dall’esperienza di vita vissuta, non da astratte teorizzazioni, per le quali Paolo provava, anzi, un certo fastidio. Questo è il “mio” Paolo Borsellino, quello degli anni di Marsala (che mi piace definire “il periodo spensierato”, ma che fu anche un periodo di delicate indagini di mafia e di gravi momenti di tensione. Gli annidi Marsala sono quelli della mia formazione professionale, ma anche gli anni in cui Paolo amava trascorrere le serate con i suoi colleghi per ripercorrere i momenti più difficili ed esaltanti della sua attività a Palermo a fianco di Giovanni Falcone. Quel periodo fu per Paolo un’oasi di serenità, prima dei terribili mesi del ’92 a Palermo. Qui, prima le difficoltà all’interno della Procura di Giammanco, poi il colpo durissimo che subì a causa della tragica sorte di Giovanni Falcone e di Francesca Morvillo, Paolo in quegli ultimi mesi non era più lo stesso: un uomo improvvisamente stanco, provato, con una gran fretta di fare, perché piegato dal peso insostenibile del presentimento della morte incombente.
Se all’indomani della strage di Capaci soltanto la sua forza riuscì a trascinare tutti gli investigatori ad andare ancora avanti, all’indomani della sua morte la tentazione di“mollare” fu forte per tutti, soprattutto per chi – come me - gli era stato particolarmente vicino. Se sono riuscito, se siamo riusciti a riprendere il nostro lavoro, a cercare – con tutti i nostri limiti - di proseguire la sua opera lasciata incompiuta, lo si deve a due fattori. In primo luogo, lo si deve alla fortissima reazione di sdegno di tutti gli italiani, che, chiedendo con forza allo Stato di onorare il sacrificio di Paolo rinnovando l’impegno antimafia, riuscì a determinare una “riscossa” della legalità senza precedenti. Ma il merito principale è stato, ancora una volta di Paolo, della sua lezione etico-morale, delle sue parole quando spiegava che il suo impegno era nato soprattutto dall’intima esigenza di raccogliere il testimone caduto dalle mani di un amico-collega ucciso dalla mafia. Nello stesso modo anche chi è stato vicino a Paolo doveva e deve fare testimonianza, “deve” tenere vivo il suo ricordo proseguendo la sua opera. Per quel che mi riguarda, il suo ricordo in questi anni mi ha sempre accompagnato, momento per momento. Mille volte mi sono chiesto: come si sarebbe regolato Paolo al posto mio? quali scelte avrebbe fatto?
D’altra parte, in questi ultimi anni di rimozione collettiva, profittando del passare del tempo che(apparentemente) lenisce le ferite, sembra prevalere una gran voglia di dimenticare e torna prepotente la tentazione del disimpegno e dell’indifferenza. Ecco perché, oggi più che mai, è vitale – per il futuro della democrazia del nostro paese – che la memoria sulle grandi tragedie della nostra democrazia (e la strage di via d’Amelio è sicuramente una di queste) sia sempre ravvivata, e che sia mantenuto vivo il ricordo dei grandi uomini che, come Paolo Borsellino, per il nostro paese si sono sacrificati.
A Paolo – lo so bene – poco piacevano certi discorsi che potevano apparire vuote commemorazioni retoriche.Quel che, secondo lui, contava più di tutto era l’agire quotidiano. Proprio perciò ogni occasione di memoria deve trasformarsi in un’occasione di azione.Cercare di “resistere” nei momenti difficili, ma soprattutto agire, a costo anche di “rinnovarsi” nella continuità: questo è quello che – credo –Paolo avrebbe cercato di fare in un momento come questo. Ed è a questo, fra i tanti insegnamenti di Paolo, che forse oggi ci si dovrebbe ispirare.



- Io oggi Voglio Vivere Libero - Aggiornato il 30 set 2008 - | ragazzi-di-paolo@libero.it

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