NATALE IN GIALLO

- Il fatto (realmente accaduto) -



Una donna cammina tra i vicoli del centro storico della città. E' in compagnia di un uomo. D'un tratto, una voce sottile la chiama: - Signora…
La donna si volta e vede una vecchietta, affacciata a un portoncino, che le chiede, con voce flebile e tremante: - Signora, per piacere, ce l’ha un cellulare?
La donna rivolge uno sguardo all'uomo, che si è fermato due passi più in là e si sta controllando la punta delle scarpe. Lei si guarda intorno, indecisa, poi chiede: - Perché?
La vecchietta, con voce lacrimevole, sussurra: - Sa, mia sorella si è operata e vorrei sapere come sta, mi fa fare una telefonata?
La donna fissa la vecchia: uno scialle lavorato all’uncinetto appoggiato sulle spalle, ciabatte ai piedi, un buffo cappello giallo a coprire i capelli bianchi.
Si decide: - Va bene, mi dica...
Compone il numero di telefono e le passa l’apparecchio.
La vecchietta arraffa il cellulare con gesto brusco. La donna, rapida, si infila a metà nel portone e sbircia all’interno: uno spazio angusto, un sacco dell’immondizia appoggiato da un lato e una scala, ripida, circa venti gradini, che conduce a una porta di legno scuro, chiusa. La vecchietta comincia a parlare al telefono, con tono freddo e deciso, ma la donna non riesce a capire di cosa stia parlando, sembra stia conversando in lingua straniera.
La vecchietta mette anche la mano davanti alla bocca, si curva un po’ nel parlare.
Le uniche frasi che la donna percepisce sono:
- ciao, sono io / hai messo tutto sul mio conto corrente? / il sangue / la circolazione / metti tutto sul mio conto corrente, capito?

Quali e quanti misteri possono nascondersi dietro quanto accaduto? Ecco alcune

Ipotesi investigative:






1. SOLITUDINI NOTTURNE - di Sillylamb
Mirko era sul letto e fissava le ombre sul soffitto che si formavano passando dalle grate delle persiane.
Annamaria dormiva al suo fianco, russando leggermente.
L’uomo girò appena lo sguardo verso di lei e la sua anima ebbe come un moto di stizza. Ripensò a quando si erano conosciuti, innamorati e sposati.
Erano passati dieci anni e sembravano secoli. Ora erano come due estranei.
Pensò all’insofferenza che ormai gli causava ogni respiro di lei. Il suo fantasticare su tutto, il farsi prendere dalle persone e dalle situazioni. A suo tempo era stato innamorato anche di queste cose che ora lo irritavano; gli sembravano stupide e infantili. A volte anche patologiche.
Bastava tornare con la mente anche solo agli avvenimenti delle ultime ore.
Quel pomeriggio erano andati in centro a fare compere per Natale. Mirko in realtà odiava il Natale e i regali sempre uguali che si accumulavano nei cassetti: la cravatta da parte di suo fratello, la camicia da parte di sua madre. Ma Annamaria sembrava non poter fare a meno di comprare l’ultimo robot da cucina per quella sua amica né del plaid di Hello kitty per la figlia sua sorella e lui un po’ per il quieto vivere, un po’ nella speranza di ritrovare almeno un barlume di quello che avevano perso, l’aveva accompagnata.
In fondo una volta amavano andare a far compere insieme e poi fermarsi a prendere una cioccolata in un bar.
Stavano dunque tornando a casa carichi di pacchetti e pacchettini quando da un portone era saltata fuori una vecchietta che aveva chiesto se avevano un cellulare.
Mirko aveva proseguito senza voltarsi, pensando che come minimo, una volta avuto il cellulare tra le mani, la vecchina sarebbe balzata con incredibile agilità su per i 20 scalini rifugiandosi dietro al portoncino di legno.
Annamaria invece si era fermata. La dolce Annamaria che ancora si commuoveva per i film d’amore. Si era fermata e le aveva prestato il cellulare, costringendo anche lui a bloccarsi pochi metri più avanti a guardarsi la punta delle scarpe un po’ impolverate. Fortunatamente le cose erano andate un po’ meglio di come aveva paventato e il cellulare era tornato al suo legittimo proprietario, ma la conversazione spiata aveva gettato Annamaria in un grave stato d’ansia.
La donna gli si era avvicinata con passo rapido e nervoso, l’aveva strattonato per la manica del cappotto e si era fermata solo all’uscita del vicolo. Con le pupille dilatate e torcendosi le mani, gli aveva detto:
- Bisogna andare dalla polizia, avvertirli…
Mirko si era liberato dalla sua stretta e l’aveva guardata infastidito:
- Avvertirli di cosa?
- Non lo so. Avvertirli. C’è sotto qualcosa di losco…Quella vecchia parlava di conto corrente, soldi da versare,sangue, circolazione… Aveva un tono così freddo, non voleva che ascoltassi. Ma era il mio cellulare che aveva in mano! E quella porta chiusa… Chissà cosa si cela dietro quella porta chiusa…
Ultimamente era sempre così: bastava un piccolo evento fuori dalla normale routine, qualcosa che colpisse la sua fantasia e Annamaria si faceva prendere dal panico.
Mirko sapeva che la moglie non si sarebbe tranquillizzata finchè la faccenda non fosse uscita dalla sua mente in seguito a una qualche azione. Ma anche così non era stato semplice convincerla che prima di chiamare la polizia era il caso di capire cosa stesse succedendo e che la cosa non era poi così difficile visto che il numero era di certo memorizzato sul cellulare.
Alla fine così avevano fatto e ovviamente non c’era nulla di losco.
Aveva risposto una donna dall’accento vagamente anglosassone che aveva detto di chiamarsi Emily e di essere la figlia della vecchina. Mirko si era presentato, aveva spiegato il problema di Annamaria un po’ imbarazzato e lei era stata estremamente paziente e disponibile. Aveva spiegato che sua mamma aveva avuto un problema con l’addebito della pensione: ecco quali erano i soldi da versare sul conto corrente. Che sua zia era stata operata: ormai vicino all’ottantina, soffriva degli acciacchi dell’età, di problemi di circolazione (era stata infatti operata di vene varicose) e si temeva un inizio di diabete a causa dei valori sballati di glucosio nel sangue. Infine dietro quella porta non c’era nulla di misterioso, era solo la casa dove sua mamma e sua zia vivevano da anni. Un bilocale anonimo arredato con mobili in legno massiccio e ninnoli e libri coperti dalla polvere degli anni. Emily aveva anche detto che le due donne erano spesso sole, che se ad Annamaria poteva far piacere, si poteva anche organizzare un tea tutti insieme dietro quella porta che tanto l’aveva inquietata. Mirko l’aveva ringraziata, aveva declinato l’invito e si era scusato.
Annamaria si era tranquillizzata, ma si era chiusa in un mutismo che era durato fino al momento di andare a letto. Anche quella era una cosa che accadeva sempre più spesso. Dopo quelle crisi di panico, lei tirava su tra loro due un muro di incomunicabilità che durava sempre più a lungo.
Mirko sospirò e si rigirò tra le lenzuola spiegazzate da troppe notti d’insonnia. Era incredibile quanto si fossero allontanati… Avrebbe desiderato che quella vecchina fosse in realtà una maga e con sangue di rospo e ossa di pipistrello fosse in grado di fare una pozione in grado di invertire la circolazione del tempo di modo che si potesse tornare indietro, là dove si erano persi.




2. NATALE IN GIALLO - di andrea111
Maria.
Sono stanca, vecchia, cosa devo fare più? Adesso che Enzo non c’è più, pace all’anima sua, non mi è rimasto più nessuno. Sì, c’è Angela, ma quella è sempre stata una svampita e neanche si ricorda che esisto: una bella sorella davvero. E ci mancavano pure i guai che mi ha lasciato quello sciagurato di Enzo, che Dio lo abbia in gloria.

Marcello.
Proprio una gran botta di culo. Muore quel tossico di Enzo e così pensavo di aver perso una fonte di reddito e invece scopro che ha una madre pronta a pagare al posto del figlio.
Andare al funerale di Enzo è stato un colpo di genio. E’ bastato avvicinarmi a lei con la faccia afflitta, tessere le lodi del figlio e la vecchia rincoglionita si è appoggiata piagnucolante al mio braccio. Mentre l’accompagnavo a casa le ho raccontato un po’ di cazzate, che ero molto amico del figlio, che gli avevo prestato dei soldi e che ora mi trovavo in difficoltà. Ha abboccato subito e si è offerta di rimborsarmi il prestito. Per la cifra mi sono tenuto sul vago, le ho detto che l’andrò a trovare e se ne parlerà.

Maria.
Gesù mio, non mi è rimasto più niente. Il signor Marcello è un bravo cristiano, ha tanto aiutato Enzo quando era ancora vivo, ma ora per farsi rimborsare mi sta levando tutto. E poi io mi sto pure rimbambendo, ogni volta mi sembra di aver quasi finito di pagare e invece il signor Marcello mi fa vedere delle carte dice che gli devo ancora molto. Come debbo fare!
Ieri veramente, ho sentito in televisione di una truffa fatta in una clinica e mi è venuta un’idea: Angela mi parla sempre di quei ragazzi che lei assiste insieme alle altre volontarie. Dice che molti hanno genitori ricchissimi che hanno rinchiuso i figli in quelle cliniche di lusso pur di levarseli dai piedi. Dice che sborsano cifre enormi. Forse riesco farmi dare qualche soldino anch’io. Certo qualche bugia la dovrò dire, che dio mi perdoni.

Lucia.
Non riuscirò mai a liberarmi di Marcello. Da quando mi sono rivolta a quello strozzino per non finire in galera, ho finito di vivere. Ogni tanto viene a chiedermi qualcosa. Non posso rifiutare, mi sono compromessa troppo con lui: se parla sono finita.
Quest’ultima truffa dove mi ha invischiato, poi, non mi piace. Parlare con quei genitori milionari è la parte più facile. Ho fatto il medico per tanti anni, non ci metto molto ad inventare qualche cura costosa per i figli. E poi basta pronunciare il nome del ragazzo che quelli aprono il libretto degli assegni. Il rischio sono quelle due sorelle, Maria e Angela: troppo inaffidabili, mi potrebbero tradire. La prima a occhio direi che ha un principio di alzheimer, mentre la seconda è completamente stupida, ancora non ha capito che l’abbiamo coinvolta in una truffa.

Maria.
Mi serve un telefono. Il signor Marcello ha detto che gli devo dare tremila euro entro domani, devo telefonare subito a Lucia, mi devo fare accreditare dei soldi sul conto. Ci mancava pure che mi staccassero il telefono.
Ecco, chiedo a quella signora che sta arrivando:
- Signora, per piacere, ce l’ha un cellulare?
Mi guarda interrogativa, forse non ha capito. Ma sì, ha capito e ora si gira a guardare quel bel tomo che l’accompagna. Poverina, ancora speri che gli uomini servano a qualcosa? Guardalo come si osserva la scarpa! Sì, proprio utilissimi questi uomini, appena c’è bisogno di loro si nascondono; dei fuchi, ecco cosa sono, animali da riproduzione, per il resto perfettamente inutili.

Nicoletta.
La vita riesce sempre a sorprenderti. A vedere questa vecchina, uno scialle lavorato all’uncinetto appoggiato sulle spalle, ciabatte ai piedi, un buffo cappello giallo a coprire i capelli bianchi, tutto ti aspetteresti tranne che ti chiedesse il cellulare. E adesso che faccio?
Le chiedo perché e lei con voce lacrimevole, sussurra: - Sa, mia sorella si è operata e vorrei sapere come sta, mi fa fare una telefonata? OK, mi fido. Mi faccio dare il numero, lo compongo e appena faccio il gesto di passarle il cellulare quella me lo strappa dalle mani e sparisce in un portone. E no, cara! Ora voglio capirci qualcosa; rapida, mi infilo a metà nel portone e sbircio all’interno: uno spazio angusto, un sacco dell’immondizia appoggiato da un lato e una scala, ripida, circa venti gradini, che conducono a una porta di legno scuro, chiusa.
La vecchietta comincia a parlare al telefono, con tono freddo e deciso, ma non riesco a capire di cosa stia parlando, sembra stia conversando in lingua straniera.
La vecchietta mette anche la mano davanti alla bocca, si curva un po’ nel parlare.
Le uniche frasi che percepisco sono:
- ciao, sono io / hai messo tutto sul mio conto corrente? / il sangue / la circolazione / metti tutto sul mio conto corrente, capito?

Lucia.
Questa vecchia rimbambita era diventata una seccatura, appena Marcello le chiedeva soldi, lei subito chiamava me. Non si poteva andare avanti così. Ma io sono furba e con il mio mestiere di medico mi sono fatta delle amicizie in tutti gli ambiti. La vecchia poi è ormai completamente fuori di testa, è bastato poco per convincerla ad assoldare un killer per far fuori Marcello. Il killer ovviamente glie l’ho presentato io, ma dopo pochi giorni già si era scordata tutto: gloria ad Alzheimer e al suo morbo; la vecchia è nelle mie mani, la posso controllare come voglio e diventare ricca.

Nicoletta.
Un film, sembra un film, ancora faccio fatica a crederci. Ho rincontrato Maria, la signora del cellulare, per caso in una clinica e ho scoperto che è la sorella di Angela un’anziana volontaria della mia stessa associazione. Dopo questa scoperta è stato facile ricostruire tutta la storia, Angela è un’ingenua e Maria ha ormai perso il contato con la realtà; con un po’ di domande fatte nel modo giusto ho scoperto la truffa nella quale si erano cacciate. Ho fatto quello che c’era da fare, ho detto alla dottoressa Lucia che era meglio per lei se non si faceva più vedere e ho inserito Maria nella lista degli assistiti della nostra associazione. Certo c’è stato un assassinio e diverse truffe, ma cosa avrei dovuto fare?



3. CLORINDA - di Belf9
“Ciao, sono io. Come stai oggi? Sono rimasta senza un soldo sulla scheda e senza un centesimo in tasta. Ti sto chiamando con un telefono preso in prestito da una signora di passaggio.
La tua idea sta andando bene, ma io ogni giorno me la sto facendo sotto. Per le consegne nessun problema, tu prendi le ordinazioni sul telefonino, mi dici come fare e io procedo, ma se viene qualcuno senza averti chiamato e mi chiede una consulenza, che gli dico? Ogni volta che apro bottega sto lì in uno stato di tensione incredibile... e se ci sgamano? Ma dimmi, come mai il mio conto è ancora a zero? L'accordo era chiaro: io prendevo gli assegni e tu mi davi la mia parte. Hai messo tutto sul mio conto corrente?”
Giulia era riuscita a percepire solo quel “ciao sono io”. Tutto il resto della conversazione, effettuata velocemente e a tono basso, non era riuscita a sentirlo. Né peraltro aveva interesse ad ascoltare la conversazione di quella vecchia così strana con la sorella.
“Il gioco funziona: abbiamo la stessa taglia e la voce simile, io cerco di parlare il meno possibile per non farmi scoprire, ma se mi arriva qualche domanda specifica, che faccio, invento?....Non ti pare troppo azzardato? Così corriamo il rischio di giocarci il cliente. Hai pensato a questo? ”
A Giulia era arrivato solo qualche frammento di quella conversazione, ma le era scivolato addosso come l'acqua.
La serata non era stata delle migliori. Le sue mansioni di addetto commerciale la portavano spesso a cene di lavoro. Le aveva sempre detestate, ma quella sera aveva raggiunto il top.
Tutti i suoi tentativi per non trovarsi a tu per tu col Brambilla erano falliti. Il dottor Giuseppe Brambilla della Ridolfi & Brambilla era un tipo di una noia mortale e per di più imbranato all'ennesima potenza. Era uno che amava il proprio lavoro. Si era presentato a quella cena con tabelle e grafici e l'aveva sommersa con la sua logorrea senza limiti. In più, aveva anche un certo interesse extraprofessionale per Giulia. Lo aveva dimostrato in più occasioni. Non gli parve vero quando si trovò solo con lei al ristorante.
Per Giulia il lavoro era lavoro, bisognava essere educati e professionali con i clienti. Quel tipo non la intrigava per nulla, ma il budget considerevole della sua campagna pubblicitaria la portavano a sopportare senza batter ciglio quella infinita sfilza di parole che gli uscivano dalla bocca.
Lui aveva parlato per tutta la cena senza fermarsi un minuto e si era arrestato solo quando era successo quell'increscioso incidente. Eh, sì, l'aveva presa proprio in pieno quella merda di cane. Ma non solo. Per non trovarsi a terra si era aggrappato a Giulia e le aveva quasi tirato giù la gonna.
Mortificatissimo, si era scusato almeno cento volte e poi si era chiuso in un mutismo per lui assolutamente insolito. Il Brambilla era un tipo tutto precisino e già pieno di tic. Dopo lo scivolone su quel maleodorante oggetto aveva cercato di pulirsi alla meglio passando ripetutamente la scarpa nella ghiaietta accumulata vicino al marciapiede e ora, con una frequenza ossessiva, si guardava la punta delle scarpe, soprattutto di quella che aveva avuto la sventura di centrare in pieno l'obiettivo.
“A proposito, mi è finito il sangue. Come faccio a procurarmelo? Io avevo pensato a chiederlo a Peppe il macellaio. Lui ha un amico al macello che glielo può portare. Però lo devo pagare. La circolazione del sangue di maiale è vietata. Lui anni fa me lo procurava per il sanguinaccio. Sangue cinese? In Cina fanno anche quello? Ah, ho capito! E' un sangue finto che serve per gli illusionisti e costa cinquanta centesimi al litro... Quanto ne devo prendere? Vanno bene tre litri?”
La vecchia andava su e giù per quell'angusto androne. Spesso si avvicinava alla scala lurida e buia con i gradini alti e guardava il legno consunto e scrostato della porta che stava alla fine del pianerottolo. Era l'ingresso dell'atelier della sorella, dove il giorno seguente sarebbe dovuta andare e fingersi lei. E questo perchè? Per ritirare da un cliente un vigoroso assegno a pagamento di una bottiglietta contente una sostanza fetida con proprietà magiche tutte da dimostrare!
“Ok, d'accordo. Procediamo così per questa volta, ma poi ci fermiamo. Mi devi promettere che non prendi ordinazioni fino a che non esci dall'ospedale. Comunque, domani chiama tuo figlio Giorgio, firmagli gli assegni e metti tutto sul mio conto corrente, capito?”
Il Brambilla stava lì silenzioso a guardare Giulia che a sua volta aspettava che la vecchia le rendesse il telefonino.
La donna aveva ascoltato le poche parole che le erano arrivate. Era troppo stanca e seccata per ragionarci sopra. La vecchia le restituì il telefono e, abbozzando un sorriso, le disse; “Grazie signora, è stata gentilissima. Non so come avrei fatto senza il suo telefonino! Per fortuna mia sorella sta meglio, e tra un paio di giorni esce pure”.
Ripose il telefono nella borsetta e riprese il suo silenzioso percorso in compagnia del dottor Brambilla, che continuava a guadarsi ogni secondo, con costante regolarità, la punta delle scarpe. Allontanandosi, non aveva neppure notato la piccola targa posta accanto a quel portoncino:”Madame Clorinda Maga Chiromante e Indovina” ....




4. LA'... DOVE TI PORTA IL FIUTO - di lorifu
Noemi scese le scale appoggiandosi al paramano con enorme fatica. A ogni scalino si fermava, respirava e riprendeva la discesa. Ogni tanto si aggiustava lo scialletto appoggiato sulle spalle o il cappellino giallo che indossava in un timido civettuolo modo per nascondere i capelli bianchi che da tempo avevano sostituito l’allora bionda capigliatura, della quale cercava di mantenere il ricordo coprendola con cappellini di diversa foggia e misura calati sul capo in modo da mostrare solo qualche sopravvissuto ricciolo biondo. La modestia dell’abbigliamento strideva con quella ridicola acconciatura, senza contare che ai piedi calzava delle improbabili ciabatte troppo piccole per contenere un piede ormai deformato da gonfiori e gibbosità.
Arrivata in fondo alla scala, si diresse verso il portoncino dal quale entrava una luce intensa grazie alla splendida giornata di sole apertasi quasi per miracolo dopo giorni e giorni di pioggia incessante. Era nervosa e il suo nervosismo si percepiva dalla gestualità, piccoli singulti del corpo che tradivano un’attesa.
A un tratto si protese in avanti, e, rivolgendosi a una donna che stava transitando con passo involontariamente lento per l’enorme flusso di gente, con voce quasi lacrimevole, le chiese: - Ce l’ha un cellulare, Signora? -
Lorena, appena arrivata in città, in compagnia di un suo vecchio amico, a zonzo per i vicoli di Spaccanapoli, non nascose la sua sorpresa e guardò il suo accompagnatore, interrogativa. Spostando nuovamente lo sguardo alla vecchia le chiese la ragione della sua richiesta. Questa, con aria implorante le rispose che voleva telefonare a sua sorella ricoverata in ospedale per un’operazione. Indecisa sul da farsi, confusa, la donna, dopo aver dato un’ultima, attenta occhiata alla vecchia, compose il numero e le porse l’apparecchio.
Questa afferrò il telefonino con uno strattone deciso, nettamente in contrasto con l’aria dimessa e lo sguardo implorante di solo qualche istante prima. La donna si insospettì e d’impulso gettò un’occhiata all’interno del portone scoprendo in un angusto spazio un sacco dell’immondizia appoggiato a una parete e una ripidissima scala in cima alla quale si poteva intravedere una porta di legno scuro, chiusa. Intanto la vecchia stava conversando al telefono, bisbigliando per non farsi sentire.
Tese l’orecchio per ascoltare quanto diceva ma non era facile capire perché la conversazione a tratti si articolava in una lingua che non sembrava italiana, piuttosto difficile da individuare forse slava, rumena, chissà. Riuscì soltanto ad afferrare alcune parole: - Ciao, sono io / hai messo tutto sul mio conto corrente / il sangue / la circolazione / metti tutto sul mio conto corrente, capito?
Alla fine della telefonata la vecchia le ritornò il cellulare e sbattendole il portoncino in faccia venne inghiottita dall’oscurità dell’interno.
Lorena, ferma davanti al portone, col telefono ancora in mano, inebetita dalla stranezza della situazione si fermò per riordinare le idee e mettere insieme i vari pezzi di quanto era accaduto. Voleva capire che cosa stesse macchinando la vecchia e ciò che aveva sentito non lasciava presagire nulla di buono.
Raccontò tutto ad Antonio che, quando lei era alle prese con l’anziana, si stava guardando le punte delle scarpe inzaccherate nel pantano che ancora affiorava qua e là nella strada. Decisero di tornare indietro sperando di rivedere la vecchia. Fortunatamente la intravidero di spalle mentre si intratteneva con un uomo.
Stavano confabulando animatamente quando lui la prese per un braccio e la spinse quasi all’interno del portone che si richiuse alle loro spalle con un colpo sordo. Dopo un po’ lo videro uscire con aria circospetta, fintamente naturale dileguarsi in quel labirinto umano.
Aprirono il portoncino. La scala, ripidissima e scricchiolante li portò davanti alla porta di legno chiusa, dal cui interno proveniva un flebile lamento. Bussarono istintivamente più volte ma solo dopo ripetuti colpi la porta si aprì e la vecchia comparve come stranita e sorpresa dall’irruzione. Accortasi dell’intrusione cercò di chiudere rapidamente la porta ma Antonio allungò una gamba e gli ci volle poco per aver ragione di quell’esile figura che a malapena si reggeva in piedi.
Riverso su un letto mezzo sfatto c’era un uomo, giovane, la barba incolta, una grossa ferita da arma da fuoco a una spalla che era stata tamponata alla bell’e meglio con degli asciugamani impregnati di sangue. Aveva la fronte imperlata di sudore e a tratti biascicava qualcosa di incomprensibile. Chiesero spiegazioni alla vecchia che non ne voleva sapere di parlare ma al solo sentire la parola “polizia” divenne più loquace e cominciò a vuotare il sacco.
Era da anni che era pagata da un’organizzazione criminale per nascondere nella sua insospettabile abitazione uomini appartenenti alla stessa, ricercati per azioni malavitose. In un agguato da parte di un clan rivale Carmine era rimasto ferito in modo serio e abbisognava di cure. La telefonata era stata fatta, in un dialetto stretto, quasi incomprensibile, a uno dell’organizzazione perché mandasse un medico al più presto vista la gravità delle condizioni del giovane e tenendo anche conto del rallentamento della circolazione stradale causata dal traffico caotico e dalle strade strette. Quanto ai soldi, dovendo pagare il medico chiedeva di farle un bonifico sul suo conto corrente visto che era a corto di liquido. E l’uomo col quale l’avevano vista parlare, era un parente di Carmine, venuto a trovarlo.
A questo punto non c’era altro da dire. Di lì a poco sarebbe arrivato il medico che avrebbe curato Carmine e tutto si sarebbe risolto.
La lasciarono con la promessa che avrebbero tenuto la bocca chiusa. Uscirono sulla strada ancora frastornati, confusi. Camminarono a lungo senza parlarsi, ciascuno immerso nei propri pensieri, i propri percorsi mentali.
Ad un certo punto si fermarono, si guardarono negli occhi e si diressero verso il primo Comando di Polizia.




5. LA NONNA VIVE SOLO DUE VOLTE - di Socrate52
“Manca Elisa, la bambina romana !”
L'allarme fu lanciato dalla voce di Marta, la maestra responsabile della sicurezza, che poi si mise a leggere il biglietto ritrovato poco prima delle 12, sotto un piatto nella tavola apparecchiata: “Al dirigente scolastico ed al sindaco - Elisa l'abbiamo noi, preparate 125.286 euro entro stasera e consegnateli alla madre! Non avvertite la polizia , altrimenti non la rivedrete più!”
Rino era lì per un controllo statico e nel sentire quelle frasi per prima cosa esclamò: “ma che cavolo di cifra è?”
La maestra della bimba, Oriana , lo ignorò e continuò dicendo: “alle 9 e mezza è venuta sua nonna a prenderla per andare a fare una visita medica”
Lui però intervenne: “ conosco la famiglia, ma Elisa di nonni vivi non ne ha !”
A quelle parole l'agitazione tra i presenti aumentò a dismisura e divenne angoscia quando fu ritrovato il secondo biglietto “la bambina ,o il suo cadavere,verrà consegnata a Roma ,in vicolo degli Scalzi n°9 , questa sera alle 21“.
A quel punto non c'era tempo da perdere,qualcuno doveva partire subito per Roma,mentre gli altri avrebbero attivato sindaco e dirigente scolastico per il pagamento del riscatto.
Si offrì Rino: “Ho un'amica lì, mi darà una mano sicuramente, le telefono e parto subito!”
“Pronto Nic? Ti disturbo? Ti chiedo una cortesia…” Le spiegò la situazione ed ella si dimostrò entusiasta di aiutarlo.
Rimini - Roma, in macchina non è proprio una passeggiata, normalmente però è un viaggio pieno di fascino, tra montagne, vallate, paesini arroccati su spuntoni di roccia che sembrano tirati via dal Presepe, ma farlo in quelle condizioni, guidando come un pazzo, fu come attraversare l’Atlantico su una barchetta e con il mare forza 10 .
Più di una volta raccomandò l’anima a Dio e l’ultima gli sembrò perfino di sentire gli angeli del Paradiso chiamarlo, poi giunto davanti al Colosseo cercò di scrollarsi di dosso l'adrenalina e cercò tra la gente la sagoma familiare e tranquillizzante della sua amica.
“Vicolo degli scalzi è in centro, qui vicin , possiamo andarci a piedi”, disse Nic , ma quando giunsero al n°9, non nascosero il disappunto! Al posto della vecchia casa c’era un piccolo giardino pubblico!
“Siamo nella mer..”, stava sbroccando Rino, ma lei propose di sedersi su una panchina, per osservare la zona alla ricerca di qualche indizio. Dopo due ore erano ancora lì, intenti a chiacchierare, quando da una casetta più avanti videro una figura che sembrava cercare aiuto uscendo e rientrando dal suo portone!
Rino pensava che se fosse stato lui, non si sarebbe fidato a fare qualche telefonata con il telefonino proprio, quasi sicuramente sotto controllo e così istruì la sua amica:
“Nic,vai verso di lei e fai finta di niente, tieni questo cellulare ed all‘occorrenza usa questo, non il tuo! Vai avanti tu, io rimango un po’ indietro e non gurdarmi”.
Nic non capiva, ma fece come le aveva detto. Quando giunse all’altezza del numero 17, una vecchina,vestita in modo buffo, con un cappello giallo ed uno scialle fatto a mano,la fermò implorandola di prestarle il cellulare per chiamare la sorella, ricoverata in clinica!
Rino pregò tra sé che fosse come pensava, tirò su il bavero del cappotto, abbassò la falda del cappello e si fermò a guardare le punte delle scarpe,di fronte ad una vetrina. Quindi senza farsi vedere azionò l’auricolare che era collegato ad una microspia nascosta dentro il cellulare!
Sentì Nic comporre il numero che lei le dettava e mentre, arraffato il cellulare, la vecchia spariva dentro il portone, seguita dalla sua amica, cominciò ad ascoltare la conversazione:
-Vecchina : ciao sono io! Elisa sta bene. Hai messo tutto sul mio conto corrente?
-Dall’altra parte una voce di donna diceva: “Si Giovanni, ho capito! Dai un bacione ad Elisa da parte mia e stai attento, sicuramente faranno delle ricerche anche lì a Roma, a casa di mia mamma!”
- Vecchina : Moglie fai una cosa, fai ritrovare,nel giardino accanto a casa , un fazzoletto con le iniziali della bimba e bagnalo con il sangue della fialetta del prelievo, questo li riporterà ad indagare ad Rimini e lasciare perdere Roma.
- voce di donna : va bene, intanto stai attento a non farti beccare!
- Vecchina : non ti preoccupare, sto usando il telefonino di una passante e poi adesso usciamo e ci perdiamo in mezzo alla circolazione caotica dell’ora di punta! Mi raccomando, metti tutto sul mio conto corrente, capito?
Rino sorrideva, pensando a Nic: tutta la conversazione era avvenuta in dialetto romagnolo, per lei doveva essere come una lingua straniera! Quando la vide riapparire in strada le si fece incontro e le disse:
“OK, ho scoperto tutto, aspetta qui che adesso vado dentro io!”
Entrò nel portone, salì la ripida rampa di scale e bussò alla porta che c'era in cima. Rispose una voce di vecchina, ma lui incalzò:
“Dai, lo so che sei tu Giovanni ! Dove è tua figlia? Apri!”.
Dopo qualche secondo la porta si schiuse ed un pargoletto biondo gli buttò le braccia al collo! “Ciao zio Rino! “
“Ma come diavolo hai fatto a capirlo?” chiese Giovanni.
“Con la radiospia che mi hai costruito tu stesso! Ahahah! Era nascosta nel telefonino che hai usato!”, gli rispose Rino , e poi continuò “Solo tu potevi travestirti da tua suocera così bene! Lo hai fatto altre volte! E poi conosco Elisa , non sarebbe mai andata via con uno sconosciuto senza mettersi ad urlare! Ma perché avete chiesto un riscatto così strano?”
Giovanni alzò le spalle: “è il mutuo della casa che ci resta da pagare ,visto che il Comune ha lasciato a casa me, per assumere quell’approfittatore di Silvio!...”
Come dargli torto!Quel Silvio in cinque anni complessivi di servizio, ne aveva fatti almeno 4 di assenze, era il re degli assenteisti, nessuno aveva mai fatto niente per fermarlo e lui durante le assenze lavorava per il cugino, così in barba a Brunetta usufruiva di due stipendi, dei quali uno rubato!
Rino tornato giù guardò l'amica e scoppiò a ridere:
“ ...niente è come sembra Nic! Andiamo.”




6. GIOCO GIALLO - di messaggeria.normale
Quella notte Mara avrebbe voluto percorrere il Campo Marzio come in uno stupido film d’amore americano.
Con tanto di morsi e di assaggi e di pelle sfacciata.
Ma Amedeo era uno prevedibile.
Non freddo, ma prevedibile.
Come essere umano, decisamente buono.
Come amante, non un granché.
Come uomo, dopo 5 mesi di cinema e letto condiviso, un mistero ancora.
Mara si domanda pero’ se ha la voglia di conoscere uno che in una perfetta notte stellata si controlla la punta delle scarpe mentre tra i denti brontola “e ti pareva prendere proprio la Della Frezza? Ma se lo sai che è sempre piena di merda e sudiciume, cazzo!
- Signora...
Una vecchietta, affacciata ad un portoncino.
- Per piacere, ce l’ha un cellulare?
Mara si guarda intorno.
L’idiota di Amedeo continua a controllare la punta delle scarpe. La notte continua a partorire stelle. Mara continua a volere innamorarsi.
- Signora...
La voce della vecchia, come un sassolino nella finestra.
- Ce l’ha un cellulare? Mia sorella si è operata e vorrei sapere come sta, mi fa fare una telefonata?
Mara la fissa. Come fosse un puzzle.
Uno scialle all’uncinetto sulle spalle minute. Ciabatte. Un buffo cappello giallo arrampicato sul bianco dei capelli.
Le singole particelle sono strane, il tutto, semplicemente anacronistico.
- Va bene, mi dica il numero.
- 532
La vocina della vecchia trema.
- 447
La mano di Mara anche.
Finalmente compone il numero e le passa l’apparecchio.
La vecchietta arraffa il cellulare con gesto brusco e comincia a parlare al telefono, con tono freddo e deciso.
Intanto Mara gioca alla spia. Prova a sbirciare all’interno.
(Uno spazio angusto, da un lato un sacco dell’immondizia, una scala di circa venti gradini, una porta di legno scuro).
La vecchia continua a parlare, ma Mara capisce poco e male.
Sembra di conversare in lingua straniera.
Rumeno forse.
Se Mara fosse a casa si metterebbe a riflettere su questo suo barlume di pregiudizio. Ma non è a casa. È davanti ad un portone non suo ascoltando una vecchia surreale mentre l’uomo con cui è andata a letto per più di 5 mesi si guarda le scarpe.
La vecchietta mette la mano davanti alla bocca e Mara ascolta poco e male.
Percepisce comunque qualcosa.
- sono io hai messo tutto sul mio conto corrente? / il sangue / metti tutto capito?
Le ridà il cellulare con uno sguardo duro.
- Grazie.
E ferma la porta.
- Allora? Vieni? Mi son sporcato le scarpe. Merda di centro storico!
Mara echeggia la durezza dello sguardo della vecchia.
- Vaffanculo, Amedeo!
E si sarebbe allontanata di corsa senza dire altro, ma non vuole dormire da sola. Un brivido sgradevole le solletica la schiena. E lei odia il solletico.

La mattina dopo, Amedeo partì.
Portava i figli a sciare per un paio di giorni.
Anche se non era un grande amante, anche se si guardava troppo le scarpe e l’ombelico, anche se non le aveva mai proposto di conoscere i suoi figli, quando Amedeo partiva, Mara si sentiva un po’ più sola.
Avrebbe dovuto dirgli “resta!”
Adesso invece, aveva una intera domenica per cominciare a provare una sottile, vera paura.
Sangue? Conto corrente?
Sapeva di traffico di sangue.
Sapeva di storie di vampirismo.
Sapeva di essere spesso paranoica.
Si era dimenticata di inserire “numero privato” e quindi per ore aspettò lo squillo di una voce lenta e leggermente alcolizzata. Un sms malamente scritto con tanto di accento straniero e parecchie kappa.
Ed il cellulare squillò, certo, ma lei fece finta di nulla.

Si svegliò la notte, sudata, un urlo strangolato nella gola secca.
La tv era accesa ed il display della segreteria telefonica del fisso minacciava un messaggio.
“I soldi sono nel tuo conto corrente. Adesso voglio il sangue. Non fare la furba. So chi sei, so dove abiti. So che sei sola adesso”.
Un uomo. Non ubriaco. Non straniero.
Se almeno Amedeo fosse qui.
Si vestì frettolosa e uscì quasi senza pensare.
Fece vera fatica a trovare la strada, il portoncino.
È strano come la troppa luce a volte depenna la realtà.
- Cosa vuole?
Una donna giovane, un po’ grezza.
- Mi scusi, cerco una anziana che
- Kendra è andata via.
- Cosa?
- La vecchia è partita.
- Dove la trovo? La devo trovare!
La ragazza alzò le spalle.
- Ma lei non capisce. Ieri la signora ha usato il mio cellulare, sua sorella era malata e
- La vecchia non ha sorelle. Ma che fa, piange? Non svanisca qui, ho troppe problemi io per aggiungerne un altro. Dai su, si alzi e se ne vada.
- Lei non capisce mi ha telefonato un uomo e
- Stefano?
- Non so, mi ha detto di finire il lavoro. Che i soldi sono sul conto, che
- Vuole il sangue. Glielo dia e lui si sta calmo, capisce? È pericoloso. Stefano è un animale.
- Ma
Le sembrava di essere dentro un assurdo giallo tutto spruzzato di rosso.
Doveva essere un sogno. Sveglia, Mara, sveglia!
La donna le sbatté ferocemente il portone sulla faccia.
Non restava che tornare a casa. Si trascinava come una chiocciola stanca. Il naso, ironicamente, le sanguinava.
Restò a casa martedì e mercoledì.
Scollegò il telefono.
Il cellulare suonava in continuazione. Numero privato. Numero privato. Numero priv...
Finalmente, turbata, rispose senza neanche accorgersene.
- Mi lasci in pace, se continua andrò dalla polizia a fare denuncia, capisce?
- Ormai è fatto, stupida! Con me non gioca nessuno!

Dormì male ma giovedì si preparò per andare a lavorare. Aveva bisogno d’aria.
Si muoveva indolente, una bambola di pezza sotto la luce squallida di dicembre.
Aveva il cellulare in mano e mentre camminava per raggiungere la fermata dell’autobus digitò quasi senza pensare.
“Mi manchi, ho voglia di te”.
Era vero, Amedeo le mancava.
Era vero, aveva voglia di lui.
Il titolo della Repubblica la colpì nel giusto momento in cui premeva send.
Professionista romano accoltellato. Oggi mattina, nelle vicinanze dell’Ara Pacis si è trovato il corpo di Amedeo Mentozzi, 42enne. Il crimine ha delle caratteristiche truculente e si parla di un assassinato rituale. Il corpo dell’uomo è praticamente privo di sangue. Si cercano indizi.
Mara sentì la nausea.
Intanto il cellulare le squillava nella mano.





7. UN INNOCUO PARADOSSO - di faropoeta1970
I carugi avevano da sempre quell’odore di mare, quelle stradine schiacciate tra le case centenarie, portavano molte storie appiccicate ai muri, storie di anime dannate, storie di uomini violenti e di donne che si svendevano a pochi spiccioli, anche l’odore di piscio era meno fastidioso. Stava pensando a questo, quando Gabriella si fermò improvvisamente, un sussurro, un sibilo, una voce che la chiamava, appena dietro di lei, tra le ombre di un portone socchiuso, una mano raggrinzita faceva capolino e una testa coperta da uno strano cappello giallo, negava parzialmente il suo volto, ma non la sua voce.
Pierre,il suo compagno, che camminava con lei fino a pochi istanti fa, ora era a pochi passi davanti, come impietrito, con la testa bassa, a guardarsi le punte dei piedi, Gabriella non dette troppo peso alla cosa, anche perché la vecchia che l’aveva chiamata, le stava parlando, ma lei non capiva nulla, sembrava che recitasse una litania, un delicato canto, una preghiera sussurrata, si voltò ancora a guardare Pierre che sembrava non essersi mosso dalla punta delle sue scarpe.
- Ha un cellulare signora? – sussurrò la vecchia
- Si – rispose Gabriella– ha bisogno di aiuto?
- Mia sorella è stata operata e vorrei sapere come sta- ribattè la vecchia con un aria più dolce, quasi compassionevole
- Mi dica il numero
Dopo aver composto il numero la vecchia le strappò di mano il cellulare, entrò nella penombra del portone e Gabriella la seguì di pochi passi.Un odore acre di morte la investì improvvisamente, un sacco dell’immondizia abbandonato e mezzo sbranato dai cani, stava appoggiato al muro, ai piedi di una scalinata ripida fatta di lastre d’ardesia e di muffe antiche. Al fianco del sacco, la vecchia cominciò a parlare velocemente e con tono più secco anche se sottovoce, come se la preghiera fosse diventata una bestemmia. Poche le parole che Gabriella percepì, confuse.
-hai messo tutto sul mio conto corrente? …. il sangue … la circolazione …metti tutto sul mio conto corrente, capito?
Inorridita da quelle parole, Gabriella uscì fuori per chiamare Pierre, che era sempre immobile, freddo,come se il tempo si fosse fermato a guardare quella scena.
Gabriella rientrò dentro al portone e socchiuse gli occhi per scrutare nel buio,sparita.
La vecchia non c’era più e neppure il suo cellulare. Presa da un impeto di rabbia che superò la paura, Gabriella entrò dentro e si diresse verso le scale, salì fino in cima e trovo una porta di legno,antica, mangiata dai tarli. Il cigolio non la colse di sorpresa, rientrava nei canoni di quel luogo, nella stanza c’era un tavolaccio di legno senza più una gamba e due sedie a terra, come morte, uccise dal tempo. La vecchia stufa di ghisa era intatta, la pila di giornali al suo fianco la riportavano invece indietro almeno di 100 anni, con le notizie della guerra di Libia. Nessuna traccia del suo cellulare, ne della vecchia signora. Gabriella scese le scale, incredula e arrabbiata e appena fuori dal portone guardò Pierre, che si voltò e disse
- Ma che fine avevi fatto? Sei sparita, mi stavo preoccupando.
Lei rimase in silenzio, pensò “ma sei rimasto immobile a guardarti le scarpe, accidenti a te” e mentre stava per far uscire dalla bocca quelle parole, una donna dal palazzo di fronte la chiamò
- Signorina!Aspetti un attimo, ho una cosa per lei!
Gabriella rimase sorpresa, non conosceva nessuno in quel quartiere, che cosa poteva darle la signora, che ora stava scendendo le scale con un rapido applaudir di ciabatte?
- Lo so che le sembrerà strano, io sono la prima a non crederci, ma qui ho una lettera e un pacco che mi aveva lasciato mia madre, che a suo tempo l’aveva ricevuta da sua madre, una lettera che parla di lei.
La donna parlava in maniera veloce, confusa, anche lei un po intimorita da quello che stava accadendo. La lettera parlava di una consegna,una data, oggi, ma la cosa più incredibile era la data: 1 ottobre 1911
Ma chi sapeva di lei ancora prima che nascesse? Pierre guardava la scena come se si fosse perso qualcosa di tutta la vicenda. Gabriella aprì nervosamente e lasciò cadere la carta a terra, c’era un fagotto di carta di giornale, scartò anche quella e rimase con il suo cellulare in mano,senza parole e con un biglietto piegato.
“La ringrazio signorina per la sua gentilezza, purtroppo non ho potuto utilizzare come volevo, il suo telefono, la persona che mi aveva portato via i soldi è morta e io non ho potuto aiutare mia sorella, comunque la ringrazio e spero di non averla disturbata troppo”
Rimase il silenzio per qualche istante, poi la signora che aveva consegnato il pacco disse:
- Ha mica visto una vecchietta?
- Si che l’ho vista, mi ha chiesto il… no non è possibile –scosse la testa.
- Ora si spiega tutto, sorrise la signora.
Gabriella sgranò gli occhi.
- Quella vecchietta gira da più di 50 anni nei carugi e chiede ai passanti dove è via dei librai, una via che a Genova non c’è più da moltissimo tempo, dopodiché sparisce nel nulla, di solito appare in via Madre di Dio, strano che sia apparsa qua. – la donna rimase un attimo soprapensiero, poi continuò – In via dei librai viveva uno dei più grossi strozzini della città, questo però accadeva almeno 100 anni fa, epoca in cui viveva la vecchina, ora si narra che gira alla ricerca di quest uomo per riavere i soldi, solo oggi scopro che servivano per curare la sorella. Beh ora devo scappare che ho la torta verde nel forno, è stato un piacere conoscerla e scoprire a chi andava quel pacco che oramai era parte della mia storia, della storia della mia famiglia, sono serena per quello che ho fatto.
Gabriella sorrise, incredula, si voltò verso il portone da cui la vecchia l’aveva chiamata e scoprì che era sprangato con due grosse assi inchiodate. Scrollò la testa come per svegliarsi da un lungo sonno, guardò Pierre che sinceramente non aveva capito nulla di quello che era successo, mise il cellulare in tasca e si allontanò da quel luogo, voltandosi ancora una volta verso quel portone e facendo un lieve sorriso.




8. SOLO PER IL MAESTRO - di pinguina_felice
Finalmente, dopo secoli l’avrò indietro, la mia cara Deirdre...
La amo, deve essere mia questa volta. Sono stato sempre un gentiluomo. Era la moglie di un altro uomo, prima, ma adesso no...
A lungo ho cercato quei meravigliosi capelli corvini e quegli occhi zaffiro.

“Oh, mi dispiace” disse chinandosi subito per aiutare la ragazza a raccogliere i libri.
“Perché non stai più attento? Ho fretta” disse senza guardarlo. Raccolse in fretta le sue cose e se ne andò.
“Hei, ti sei scordata questo” la richiamò. Era troppo lontana.
È mia, la voglio.

“Scusa” sussurrò.
La biblioteca del centro commerciale Ilac era un buon posto per studiare, molto silenziosa. La ragazza alzò lo sguardo e lo fissò.
È ancora perfetta, anche con quegli occhi arrabbiati.
“Chi sei?” chiese.
“Aidan” rispose con voce profonda.
“Ok, Aidan, sto studiando, devo finire questa tesina... ” rispose velocemente.
“Volevo solo darti questo” disse passandole una piccola agenda.
“Oh, grazie” e dopo un poco “Quindi eri tu che mi hai buttato per terra!”. Prese l’agenda e la esaminò per controllare che tutto fosse a posto.
“Mi dispiace... ti ho chiamata ma sei scappata”.
“Ero in ritardo per la mia le...aspetta un minuto” ridusse gli occhi a due fessure blu “Mi stai seguendo?”
“No! O meglio, sì. Dovevo farlo se volevo ridartela!” sorrise e se ne andò.
“Hei, Aidan” lo richiamò. Lui si girò per incontrare il suo viso sorridente “Grazie” arrossì.
La voglio, è mia.

Non sono forte a sufficienza ma la voglio lo stesso.
Camminando nella notte raggiunse la biblioteca. Era sicuro di trovarla lì.
“Dee? Giusto?” chiese.
“Aidan, ciao...” disse imbarazzata. Tirò la sedia da sotto la scrivania e la liberò della borsa e della sciarpa “Vuoi sederti?” chiese.
“Che studi?”
“Non molto, per la verità. Penso di aver bevuto troppo ieri e oggi ho lavorato, così fisso per lo più le pagine vuote!” sorrise guardandolo negli occhi.
Dopo qualche minuto di silenzio imbarazzante lui chiese:
“Perché non usciamo a cena una volta?”
“Stasera? Sì, non ho nulla da fare” disse. Lo guardava negli occhi sperando che non capisse che aveva parlato troppo in fretta.
“Sì, facciamo stasera allora” disse e guardando davanti a sé, abbassò lo sguardo.
Uscirono dall’Ilac, la biblioteca stava chiudendo, le luci di Natale erano riflesse soltanto dalle decorazioni nelle vetrine dei negozi chiusi.
“Guarda, quegli stivali sono esattamente quelli che voglio” Dee disse tirandolo alla vetrina, indicò il paio che intendeva, ma poi sembrò fissare il vetro invece.
“Dee?” chiese.
“Sì? Ok! Sto bene!” disse e muovendo gli occhi velocemente osservava il suo viso “Andiamo?”
Si recarono al Taste of Emilia, cibo italiano e un paio di bottiglie di vino rosso.
“Vedi? È il vino che ha sempre la meglio su di me!” Dee disse. Persa nei suoi pensieri, fissava il profilo di Aidan.
La voglio e basta, non m’interessa non essere ancora pronto.
“Facciamo una passeggiata?” Aidan chiese.
“Allora hai ancora la lingua! Ottima idea!”
Percorsero Ha’penny bridge, con la scusa dal venticello freddo Dee gli si premette contro.
Anche lui era freddo.
Attraversarono la strada, salirono i pochi gradini per entrare in una stradina stretta, diretti a Temple Bar. Sotto l’arco era più scuro del solito, Dee sembrava camminare a fatica e continuava a guardarsi intorno, in particolare il soffitto.
“Scusi...” disse una voce dietro di loro.
Dee si voltò e vide una vecchietta bassa e gobba. Aveva uno scialle di lana sulle spalle e un cappello giallo sistemato tra i capelli.
“Scusa, cara... posso chiederti un favore?” chiese.
Dee guardò Aidan, che continuò a camminare per un poco e poi si fermò ad aspettare poco distante, stava fissando le sue scarpe. Dee guardò negli occhietti acquosi della vecchia, e pensò di vederli gialli, ma poteva essere un effetto del vino.
“Posso usare il tuo cellulare?”
“Scusi?”
“Posso usare il tuo cellulare?” insistette “Ho bisogno di sapere come sta mia sorella... è in ospedale e ha subito un intervento”
“Beh...”
“Per favore!” disse di nuovo con la sua faccia rugosa.
“Va bene” Dee disse e le allungò il cellulare.
La vecchia con un piccolo salto glielo strappò dalle mani e corse dentro la porta scarsamente illuminata, coprì con una mano il telefono e cominciò a parlare.
Dee le andò dietro per riprenderlo, guardò Aidan cercando aiuto ma si sorprese vedendolo parlare al telefono, stava piangendo.
Spiando all’interno, Dee riuscì a vedere un grande sacco dell’immondizia su un lato, da dove veniva un odore pungente.
“Scusi?” cercò di ottenere l’attenzione della donna, ma lei le fece un cenno di aspettare.
Stava parlando in una lingua che Dee non afferrava, o forse, stava solo parlando velocemente.
“Hai messo i soldi sul mio conto?” furono le uniche parole che riuscì a cogliere “Non m’importa, fallo subito...sangue? A-ah....va bene, questa è l’ultima volta se non pagate...” Dee era nervosa adesso e guardando alla sua destra notò una scala di pietra stretta, in cima alla quale si trovava una piccola porta di legno.
“Scusi...” Dee tentò una seconda volta. “Davvero, devo andare” e rivolgendosi dietro di lei urlò “Per favore, Aidan, mi serve aiuto qui”
Nessuno apparve. Udì un rumore dietro di lei e quando si voltò, vide una cosa orribile. Al posto della vecchia signora c’era una creatura diabolica, la sua pelle decomposta era di color marroncino.
Dee fece qualche passo indietro ma colpì il sacco, che cadde al suolo e dalla sua apertura fuoriuscì un braccio. Dee urlò e cadde per terra, le sue gambe tremavano.
“Aiuto! Aidan! Aiuto!” urlò.
“No tesoro, Aidan ha già finito con te e soprattutto, non è stato invitato...”
Dee la guardava, piangeva ma tentava di allontanare le sue mani sudice.
“Ah, devi essere proprio tu questa volta. Un’altra sarebbe già svenuta” la creatura sorrise “Non ti preoccupare, non morirai comunque...tu sei per il maestro....ti sta aspettando” disse facendo cenno verso la piccola porta.
Dee lottò con tutte le sue forze ma poi perse i sensi...il mostro la trascinò su per le scale.
Sì, sta arrivando. Questa volta sarà mia per sempre...




9. TELEFONATA PERICOLOSA - di Erasmo69
Francesca, impiegata di banca, aveva accettato con molto entusiasmo il trasferimento a Roma, una città che l’aveva sempre affascinata, per la sua storia, per il clima e per la gente.
Questo trasferimento era una vera e propria promozione lavorativa in quanto, nella nuova sede, Francesca andava a ricoprire un ruolo con mansioni superiori rispetto a quelle svolte, fino a un mese fa, infatti a Roma avrebbe occupato una scrivania tutta sua.
Insieme alla nuova situazione lavorativa erano arrivate novità anche nell’ ambito della sfera affettiva infatti la conoscenza di Edoardo, avvenuta casualmente nel bar dove Francesca consumava la colazione ogni mattina, era la ciliegina sulla torta di una situazione già piacevole.
Un uomo elegante, colto e, soprattutto single, che amava coccolarla con romantiche cenette al lume di candela, lunghe passeggiate nel centro di Roma, cinema, teatro, musei e quant’altro: era quasi un sogno!
Quella sera, come molte altre sere, Francy ed Edo passeggiavano nelle stradine di Trastevere. Arrivarono in un vicoletto. D'un tratto, una voce sottile chiama Francesca:
- Signora?
Lei si volta e vede una vecchietta, affacciata a un portone, che le chiede, con voce flebile e tremante:
- Signora, per piacere, ce l’ha un cellulare?
La donna rivolge uno sguardo all'uomo, che si è fermato due passi più in là e si sta controllando la punta delle scarpe. Lei si guarda intorno, indecisa, poi chiede:
- Perché?
La vecchietta, con voce lacrimevole, sussurra:
- Sa, mia sorella si è operata e vorrei sapere come sta, mi fa fare una telefonata?
La donna fissa la vecchia: uno scialle lavorato all’uncinetto appoggiato sulle spalle, ciabatte ai piedi, un buffo cappello giallo a coprire i capelli bianchi.
Si decide: - Va bene, mi dica il numero.
Compone il numero di telefono e le passa l’apparecchio.
La vecchietta arraffa il cellulare con gesto brusco. La donna, rapida, si infila a metà nel portone e sbircia all’interno: uno spazio angusto, un sacco dell’immondizia appoggiato da un lato e una scala, ripida, circa venti gradini, che conduce a una porta di legno scuro, chiusa.
La vecchietta comincia a parlare al telefono, con tono freddo e deciso, ma la donna non riesce a capire di cosa stia parlando, sembra stia conversando in lingua straniera.
La vecchietta mette anche la mano davanti alla bocca, si curva un po’ nel parlare.
Le uniche frasi che la donna percepisce sono:
"Ciao, sono io, hai messo tutto sul mio conto corrente? Il sangue, la circolazione, metti tutto sul mio conto corrente, capito?"
Da quella telefonata la vita di Francesca sarebbe potuta drammaticamente cambiare.
Il numero chiamato col suo cellulare era già segnalato all’autorità giudiziaria ed era stato posto sotto controllo in quanto attribuito ad un esponente del Clan dei Pergolizzi, famosa famiglia malavitosa della capitale.
Francesca avrebbe dovuto rispondere all’accusa del reato di favoreggiamento per il riciclaggio di denaro sporco. Infatti nella stessa giornata una ingente somma di denaro, proveniente da altro conto corrente (aperto presso la sua stessa filiale, ma intestato ad un titolare le cui generalità erano risultate false) era transitata sul suo conto personale prima di essere trasferita su un conto svizzero.
Francesca era ignara di quanto accaduto nell’arco di quelle dodici ore ma quella telefonata avrebbe potuto dimostrare tutto fuorché la sua innocenza. Edoardo, presunto imprenditore, era in realtà un malavitoso e aveva studiato il piano nei minimi dettagli.
Aveva osservato i movimenti di Francesca: gli orari di lavoro in banca, il rituale della prima colazione, le pause caffé. Aveva pianificato l’incontro con Francesca al Bar facendolo apparire casuale. Era pronto anche un piano alternativo qualora Francesca non avesse avuto interesse nei suoi confronti. Poi aveva organizzato con sua zia i tempi e i modi per riuscire a telefonare col cellulare di Francesca. Ma le redini di questa operazione erano tenute da qualcuno che era molto più in alto.
Il piano era riuscito: arrivato nei pressi della porta di casa, si sarebbe fermato a guardare la punta delle proprie scarpe e il chinarsi, come per pulirle, era il segnale da dare alla zia per intervenire. L’astuzia della zia e l’ingenuità di Francesca, ignara di tutto, avrebbe fatto il resto e così è stato.
Dall’altra parte della cornetta, la persona che rispose al telefono non era la sorella della vecchietta ma il più caro amico del Direttore della Banca ove Francesca lavorava, anche lui complice di Edoardo e affiliato al Clan dei Pergolizzi.
Costui in quel momento era proprio nella stanza del Direttore. Ed era il Direttore la spia che aveva usato Francesca al fine di farla apparire coma la responsabile di questa operazione illecita. Il Direttore aveva anche confidato ad Edoardo i gusti e le preferenze della sua collaboratrice.
Il “sangue” non era altro che il nome cifrato del denaro e la “circolazione” non era altro che la serie di operazioni da effettuare sui tre conti bancari, termini che inoltre avrebbero dovuto confondere (e l’hanno fatto) Francesca inducendola a credere alla malattia della sorella della vecchietta.
La porta in cima alle scale portava nella stanza del boss, il Capo Clan, che era con l’orecchio poggiato sulla stessa ad origliare per capire come stava procedendo il piano.
La zia di Edoardo era stata l’amante del boss e a lui era rimasta legata per sempre.
Francesca rimase turbata da quanto accaduto, anche se in realtà non poteva comprendere completamente quali conseguenze avrebbe generato l’aver permesso ad una estranea, una vecchietta apparentemente innocua, di telefonare con il suo cellulare.
Andarono a cena, come da programma, ma Francesca, accusando un forte mal di testa, si fece riaccompagnare presto a casa.
Poi una intuizione, un lampo nella notte: Francesca ebbe l’idea di andare a segnalare l’accaduto alla caserma dei carabinieri. Si fidò del suo innato sesto senso, si vestì e uscì.
Forse con questo gesto Francesca riuscirà a dimostrare la sua innocenza, forse…