Giuseppe Gambarini è nato a Salsomaggiore
Terme (PR) il 12 novembre 1902, da una antica famiglia salsese, ultimo
di otto figli; ha frequentato l' Accademia di Belle Arti di Parma ove si
è diplomato in "Figura" nel 1924.
Terminati gli studi, per approfondire la tecnica dell'
affresco, ha lavorato per circa un anno a Salsomaggiore con affreschisti
fiorentini sotto la guida di Galileo Chini, collaborando alla decorazione
del Grand Hotel des Thermes. In seguito, per conto proprio, ha eseguito
affreschi e decorazioni in alcune chiese e ville del parmense.
Nel 1927 si è trasferito a Milano dove, inizialmente, si
è dedicato alla pubblicità e, soprattutto, alla scenografia col Galli
presso il teatro Lirico.
Negli anni trenta è entrato nella scuola, insegnando
disegno e storia dell'arte prima all' istituto Carlo Tenca e poi al
liceo scientifico Leonardo da Vinci, dove è stato per molti anni,
curando in particolare la fondazione e l'organizzazione della
gipsoteca. Sono stati questi gli anni del suo rapporto col mondo
artistico milanese ( è stato a lungo socio della Società Artisti e
Patriottica ) e della sua produttiva attività pittorica che trova
riscontro in una lunga serie di mostre personali e collettive a Milano e
in altre città italiane. E' morto a Milano il 30 maggio 1990.
Tra le carte autografe
dell’artista è venuta alla luce una breve
autobiografia - databile 1970 - che, sia pure scritta in terza
persona, risulta essere anche una genuina, convinta e chiara professione
di fede in quell’arte che è stata guida e vagheggiamento di tutta la
sua lunga ed appassionata attività di scenografo, di professore, ma
soprattutto di pittore teso a tradurre sulla tela intuizioni, sensazioni,
ed impressioni del reale.
Ne trascriviamo uno stralcio come
appare nel manoscritto originale, lasciandolo nella sua forma di appunto:
Il suo unico sogno era quello di poter trovare cinque o sei ore al
giorno per potersi isolare e dipingere serenamente.
L’insegnamento
era ciò che andava bene per lui.
Dipingere
per la gioia di dipingere senza la preoccupazione di dover accontentare il
cliente.
Pur
essendo figurista ama molto, anzi preferisce, il paesaggio.
Quando
vaga per la campagna con la cassetta dei colori ed il cavalletto, cerca
qualche cosa di simile al soggetto che già nel suo spirito vive
nebulosamente. Non dipinge subito. Deve prima assorbire e penetrare
completamente il soggetto. Spesse volte non dipinge nemmeno. Torna sul
luogo dopo un giorno, dopo una settimana. Se l’emozione è quella
provata la prima volta, allora si mette a dipingere. Il lavoro dura
cinque, sei ore consecutive. E’ un lavoro intenso, duro, che esaurisce
il pittore. Il lavoro è finito così, di primo getto. Nello studio,
tutt’al più, ritocca qualche pennellata qua e là.
Alcune
volte il quadro, visto nello studio, non dà più al pittore la stessa sensazione, meglio, emozione e allora con la spatola raschia e manda assieme tutto
e del quadro non resta più nulla.
Pittura
semplice, ma nulla è affidato al caso.
Courbet
pare abbia detto di essere felice perché non ha mai dipinto un quadro pensando di doverlo vendere.
E’
un pensiero questo che Gambarini sottoscriverebbe.