Pianto su Bamiyan

e le statue di Buddha

(12/III/2001) Le prime immagini dopo la distruzione su www.cnn.com...
>> Panorama di Bamiyan con le nicchie delle due statue ai margini della foto. il grande Buddha >> il piccolo Buddha la falesia
Una veduta d'insieme della vallata di Bamiyan. Un tempo fiorente e fertile, la valle è oggi ridotta ad un semideserto. Dopo oltre 8 anni di combattimento, i suoi siti archeologici e i suoi villaggi sono alla mercè di ladri e scavatori clandestini. [immagine mappata]

Bamiyan: nome di un tempio buddhista situato in Afghanistan, sviluppatosi tra il VI e il VII sec. d.C. [n.d.r. ma le statue sono più antiche!]. Edificato in un sistema di grotte, presenta delle caverne a forma di cupola dove sono rappresentati i paradisi del Buddha. Sono presenti anche due enormi statue di Buddha di 35 e 53 metri. Le scorribande dei Musulmani e dei Tartari lo fecero decadere attorno al XIII secolo.

dal Dizionario delle Religioni Orientali, ed. A.Vallardi

La cronaca degli ultimi giorni

Dal televideo RAI

Completata distruzione per statue di Buddha

12/03 - Le statue giganti di Buddha della valle di Bamiyan, in Afghanistan, sono state definitivamente distrutte dagli estremisti islamici al potere a Kabul. Dopo l'Unesco, la conferma viene dall'immagine divulgata dalla rete tv Cnn, disponibile ora nel sito Web dell'emittente. Si tratta di una fotografia che mostra uno dei due Buddha giganti scomparire dietro a una densa nuvola di fumo in seguito a un'esplosione. La distruzione da parte dei Taleban di tutte le statue preislamiche, ritenute "idoli" pericolosi, ha provocato dure condanne internazionali e critiche anche nei Paesi islamici.

Afghanistan: distrutte statue di Buddha

03/03 07:43 - Gli appelli internazionali e l'offerta del governo indiano non sono serviti a fermare la "mano" dei guerriglieri Talebani contro le statue di Buddha in Afghanistan. I guerriglieri afghani, secondo fonti di Kabul, hanno demolito le statue buddiste molte delle quali sono state fatte a pezzi. Le distruzioni sono avvenute a Herat, Gharni, Kabul e Jalalabad.

Taleban: statue non ancora distrutte

02/03 22:29 - "I preparativi sono stati ultimati, ma la distruzione delle statue giganti di Buddha nella valle di Bamiyan non è ancora cominciata". Lo ha affermato l'ambasciatore dei Taleban in Pakistan, Abdul Salam Zaeff. La notizia della demolizione era stata data da un dirigente dei Taleban, con la conferma successiva di un esponente dell'opposizione afghana. Grande sostenitore degli integralisti, il Pakistan è l'unico Paese che ha riconosciuto il regime dei Taleban.

Talebani distruggono statue di Buddha

01/03 11:21 - Il regime integralista islamico al potere in Afghanistan ha annunciato oggi di aver avviato la distruzione di tutte le statue preislamiche nella provincia di Bamiyan.
Bersaglio specifico sono le due gigantesche statue di Buddha. Caduto nel vuoto, dunque, l'appello rivolto ieri dall'Unesco al regime dei Talebani affinché non attuassero l'insana decisione. "Gli autori di questo atto saranno responsabili di fronte al popolo afgano e di fronte alla storia", ha detto il direttore generale dell'Unesco.
Vana anche la condanna dell'Iran, che ha chiesto di salvare un"patrimonio storico, tesoro dell'umanità".

http://www.televideo.rai.it

Dal sito internet del Tg5

da www.tg5.it
Cannonate sui Buddha, sdegno nel mondo

Il bombardamenteo è dunque iniziato. Le milizie dei taleban afghani hanno dato il via a una delle esecuazioni sommarie più bizzarre e anacronistiche della storia: quelle delle più famose statue buddhiste del mondo, i Buddha della valle di Bamiyan nell'Afghanistan centrale, costruite nel terzo secolo dopo Cristo. I miliziani integralisti hanno giurato di distruggere tutti monumenti non islamici del paese. L'ordine di distruggere tutte le statue di quelli che sono stati definiti "falsi idoli", è venuto direttamente dal leader dei Taleban, il mullah Mohammed Omar, e ha suscitato sdegnate reazioni in tutto il mondo. Anche Paesi musulmani come l'Iran, l'Egitto ed il Pakistan - principale sostenitore dei Taleban - hanno chiesto invano al mullah Omar di annullare la sua decisione. La "colpa" di questi antichissimi monumenti scavati nella montagna, ritenuti patrimonio culturale dell'umanità dall'Unesco, sarebbe quella di essere precedenti all'Islam.

www.tg5.it

Immagini

>> Il "piccolo" Buddha. La statua del "piccolo" Buddha. III sec. d.C.
>> Il volto sfigurato del piccolo Buddha. La foto, scattata nel 1995, mostra quanto allora rimaneva del volto del "piccolo" Buddha. Nel 1999 una carica d'esplosivo ha completamente distrutto la testa.
>> Particolare di una gamba del piccolo Buddha. I fori sono dovuti a proiettili. Le tracce delle pallottole sul "piccolo" Buddha. La statua misura oltre 35m di altezza e si data al III sec. d.C.

Foto e didascalie tratte da Archeo n. 191 gennaio 2001
con un reportage di James Lewis

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Mappa dell'Afghanistan

Una vallata e la sua storia

La storia di Bamiyan all’epoca in cui la regione fu invasa dalle truppe di Alessandro Magno (329 a.C.) è ancora poco nota. Certamente non fu difficile convincere i nuovi venuti a stabilirsi in questa valle placida e meravigliosa, nella quale scorrevano corsi d’acqua abbondanti, ricchi di minerali, che nel corso dei secoli sono stati reggimentati per farne canali essenziali per lo sviluppo dell’agricoltura.

Circondata dalle sue alte montagne, nel tempo la regione di Bamiyan ha avuto un destino unico. Nel Sud regnò la dinastia dei Maurya dell’India e, nel Nord, governarono i regni greci della Battriana fondati dai successori di Alessandro Magno. Dai primi germogliò il buddhismo e dai secondi l’arte e i concetti della civiltà ellenica. Sotto il grande re Ashoka della dinastia dei Maurya, che si convertì al buddhismo nel 250 a.C. e fu per questa religione quel che Costantino fu per il cristianesimo, Bamiyan divenne una città potente. Con l’impero dei Kushana, Bamiyan e la sua regione diventarono uno dei più grandi luoghi di incontro e di scambio di idee, d’arte e di cultura allora esistenti al mondo.

Il più famoso sovrano dei Kushana, Kaniska, si adoperò con energia perché si sviluppassero le relazioni commerciali con Roma, considerandosi egli stesso come uno dei più potenti re del mondo. Durante il suo regno, nel I secolo d.C., l’impero dei Kushana si estendeva dall’est della Persia fino a Kashgar e, a nord, dal Mare d’Aral fino a Benares, in India.

Carovane cariche di merci preziose viaggiavano da Oriente a Occidente e, giunte nella Battriana, dirottavano una fetta consistente dei loro beni verso sud per mandarli a Bamiyan, e quindi raggiungevano Jalalabad e l’India, via Peshawar. Da Roma, dalla Siria e dall’Egitto arrivavano oro, argento, incenso e manufatti in vetro. Dalla Cina e dall’India provenivano seta grezza, pellicce, pietre preziose, spezie e animali esotici destinati all’Europa.

Man mano che la religione buddhista si diffondeva attraverso questa parte del mondo il suo messaggio si trasformava. Già da tempo il culto non era più riservato agli iniziati, ma nel corso dei primi secoli dell’era cristiana aveva acquistato un carattere popolare, e così nacquero le prime rappresentazioni del Buddha, che fino ad allora era stato ritratto solo simbolicamente con impronte di mani, fiori di loto o svastiche antropomorfizzate.

All’epoca di questi primi contatti tra l’Oriente e l’Occidente gli artisti decisero dapprima di rappresentare il Buddha in una versione orientaleggiante del dio greco Apollo. Il fenomeno arrivò col tempo a un punto di fusione straordinario: lo spirito del Buddha venne "vestito" dello stile greco-romano.

Nel III secolo d.C. i Sasanidi dell’Iran acquisirono il controllo dei territori e della dinastia Kushana. Sebbene Bamiyan fosse divenuta parte dei loro possedimenti, il buddhismo riuscì a sopravvivere alla conquista.

Nel V secolo d.C., quando gli Unni Bianchi discesero come furie dal Nord, eliminarono il buddhismo dai loro nuovi possedimenti, ma Bamiyan riuscì a sopravvivere ancora una volta. Nell’VIII secolo, nonostante l’Islam avesse preso possesso di quello che oggi è il Sud dell’Afghanistan, le sue truppe dovettero rischiare la propria vita per espugnare Bamiyan che, protetta dalle montagne, era sede di un regno potente, governato da un re buddhista, ed era riuscita a sfuggire al fervore iconoclasta del rigido monoteismo islamico.

Solo verso la fine del X secolo il governatore turco della provincia di Balkh guidò le sue armate verso Sud e riuscì a prendere Bamiyan, costringendo i suoi difensori ad accettare lo scontro in una stretta gola, nella quale venne sconfitto l’ultimo re buddhista.

Per un certo periodo Bamiyan visse sotto la dominazione musulmana, cercando di conservare la propria identità buddhista, ma la sua influenza come centro propagatore di questa religione cominciò a diminuire. I volti del Buddha erano stati sistematicamente sfregiati dai sovrani musulmani e gli affreschi dorati erano stati distrutti dalle pallottole degli occupanti. Tuttavia, sebbene sotto il tallone dei musulmani, dall’XI al XIII secolo Bamiyan fu la capitale delle potenti dinastie che si succedettero e le frontiere del regno si ampliarono. In un Paese in cui le insurrezioni violente erano continue, Bamiyan riuscì a superare le difficoltà dell’epoca con una stabilità fuori dal comune.

Il 1222 segnò il definitivo e repentino tracollo: Mutugen, figlio di Djaghatai e nipote di Gengis Khan, attraversò l’Oxus (oggi Amudarya) con il suo esercito. Gli venne affidato il compito di assediare la fortezza di Shar-i Sokta che distava un giorno e mezzo di marcia da Bamiyan. Essendo venuto a conoscenza del fatto che durante la manovra il nipote aveva trovato la morte, il grande Khan venne preso da una tale rabbia che decise di annientare l’intera vallata e la popolazione che l’abitava. Si dice che lo stesso Gengis Khan abbia guidato il massacro di tutti gli uomini, donne e animali e abbia poi ordinato di radere al suolo le torri e i castelli che da secoli proteggevano questo regno isolato nel cuore delle montagne. Poco a poco la popolazione decimata cominciò a tornare nella valle, ma la città, i suoi dintorni e i suoi sistemi di irrigazione erano ormai distrutti. L’apertura delle rotte marittime fra l’Europa e l’Oriente segnò il definitivo declino della regione. Il commercio divenne ben poca cosa e Bamiyan non venne più considerata come un avamposto di provincia.

La popolazione moderna (gli Hazara) ha fatto di Bamiyan la propria capitale. Di solito si crede che si tratti dei discendenti delle truppe di Gengis Khan, ma è più probabile che si tratti di genti originarie dell’Asia centrale che si stabilirono nella zona verosimilmente dopo l’invasione dei Mongoli. Asserragliati tra le loro montagne e di indole piuttosto chiusa, gli Hazara hanno tradizioni fortemente radicate. Nonostante seguano i riti della religione sciita, rimangono innanzi tutto Mongoli. Si sono ferocemente battuti per conservare la propria indipendenza fino alla fine del secolo scorso, quando la maggior parte dell’Afghanistan era ancora formata da regni semi-autonomi. Dopo la sanguinosa campagna condotta dal re afghano Abdur Rahman, sul finire del XIX secolo, gli Hazara sono stati definitivamente sottomessi. Dopo deportazioni ed esecuzioni di massa, sono stati dichiarati infedeli e obbligati a tributi punitivi pesantissimi. Per ordine del re dovevano accordare diritti di pascolo sulle proprie terre ai nomadi di Pashtun, i Kutki. Questi ultimi percorrevano i territori degli Hazara per decreto reale e arrivavano a prenderne alcuni che venivano poi portati come schiavi e rivenduti nella capitale. Negli anni Sessanta in Afghanistan era ancora possibile comprare uno schiavo Hazara. Per tradizione toccano agli Hazara le mansioni più pesanti ed ingrate, a fronte delle quali venivano loro corrisposti salari da fame, quando non erano addirittura costretti a lavorare gratis.

I turisti stranieri cominciarono a visitare Bamiyan negli anni Sessanta e Settanta e i tesori buddhisti della vallata hanno cominciato ad acquistare notorietà in tutto il mondo.

In seguito, durante i 10 anni di occupazione sovietica, il Paese è stato chiuso in un ferreo isolamento poi altri 10 anni di conflitti hanno fatto di questa vallata un luogo inaccessibile e il sito di Bamiyan è caduto nell’oblio. Gli Hazara si sono dovuti adeguare alle regole imposte dal governo dei Mujaheddin saliti al potere nel 1992 dopo la caduta del regime comunista. All’epoca del dominio comunista la sorte degli Hazara è radicalmente mutata: considerati come modello di un popolo oppresso, gli Hazara hanno potuto per la prima volta accedere a posizioni fino a quel momento impensabili. Furono ammessi all’università, ottennero incarichi importanti nell’amministrazione e nell’esercito. Vennero infine considerati alla stessa stregua degli altri gruppi etnici del Paese e, durante il periodo del dominio sovietico, i Kutki sono stati scacciati dall’Hazarajat. Nel corso di questi ultimi 10 anni gli Hazara si sono trasformati in eccellenti soldati, sostenuti dai correligionari sciiti dell’Iran, ma, soprattutto, da un forte desiderio di indipendenza. Sono insomma diventati pretendenti potenziali del potere.

Dal punto di vista culturale Bamiyan sta vivendo uno dei capitoli più tristi della sua storia moderna. Opponendosi strenuamente, le truppe Hazara del partito Hezb-i Wahdat Islamy sono riusciti a respingere nel 1995, l’offensiva delle forze dell’ex-governo guidato da Ahmad Shah Massoud: il saccheggio e la distruzione di Bamiyan hanno avuto inizio allora, per poi continuare con l’offensiva dei Taliban del 1997.

In questi ultimi anni gli Hazara e i loro rivali si sono spartiti il controllo della valle. Così come le truppe napoleoniche fecero della Sfinge un bersaglio, gli uomini in armi delle opposte fazioni hanno cominciato a sparare sulle statue del Buddha. Dalla regione giungevano notizie assai scarse, ma, nell’aprile del 1997 un comandante dei Taliban era riuscito a raggiungere Bamiyan e, dopo aver conquistato la città, promise di distruggere i Buddha. Di fronte alle proteste dell’ONU e di altre organizzazioni internazionali decise infine di abbandonare il folle progetto. Allora il capo supremo dei Taliban, Mollah Omar, pronunciò un discorso alla radio nel quale affermava che i Buddha di Bamiyan erano parte integrante del patrimonio nazionale afghano e che dunque andavano protetti. Dopo un anno di assedio, con scontri violentissimi, gli Hazara, fiaccati dalla fame per il blocco dei rifornimenti attuato dai Taliban, furono costretti a consegnare Bamiyan alle milizie integraliste nel settembre del 1998.

La battagli per liberare la città, dalla quale hanno origini i più importanti assi stradali in direzione Nord-Ovest è stata assai intensa. Le truppe dello Hezb-i Wahdat Islamy che si opponevano ai Taliban erano riuscite a riprendere Bamiyan nell’aprile del 1999, ma la persero di nuovo nel mese successivo, a seguito dei bombardamenti dei Taliban e alla fuga della popolazione. Vi sono state terribili rappresaglie. Le inchieste sono tuttora in corso ma si stima che almeno 2000 Hazara, uomini in armi ma soprattutto civili, siano stati uccisi. Nomadi Kutki armati dai Taliban erano nel frattempo tornati nell’Hazarajat, 20 anni dopo esserne stati espulsi, e avevano dato vita alle proprie rappresaglie saccheggiando cibo, tappeti, cavalli e bestiame in tutti i villaggi della zona.

James Lewis in Archeo n. 191 gennaio 2001


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san Giovanni in Persiceto, 01/III/2001 (ritocchi 03/III/2001)