Massimo il Confessore (VII sec. d.C.) disse: "Se tu non conosci le parole, come potrai conoscere la Parola?". Ho ripensato al prologo di Giovanni: "In principio era il Verbo" (Giovanni 1,1). Dunque, ormai tutti dovrebbero sapere che in greco c'è logos cioè parola e che si usa verbo dal latino perché è maschile, mentre parola è femminile mentre logos in greco è giustamente maschile in quanto si riferisce a Gesù. Quando si parla di Parola in ambito cattolico si pensa subito alla Bibbia e quando si pensa alla Bibbia si pensa al libro della Bibbia, spesso e scritto in piccolo. Del resto Bibbia significa in greco libri. Gli ebrei invece parlano di miqrà che significa lettura e ovviamente lettura ad alta voce (non era concepita e concepibile una lettura mentale) in assemblea pubblica e quindi potremmo tradurre proclamazione (come nella nostra liturgia della Parola a messa). Non a caso si è soliti dire che Corano (il libro sacro dei musulmani) in arabo (quran) significa "recitazione", visto che è strettamente imparentato con l'ebraico miqrà (l'elemento mi- prefisso indica una derivazione verbale ed è quindi estraneo alla radice della parola).
Seguendo questo percorso alternativo ho pensato al motto latino "verba volant, scripta manent" ("le parole volano, gli scritti rimangono") cioè verbum indica propriamente la parola parlata, detta ad alta voce in opposizione a ciò che è scritto. Lasciando perdere il volant che non si adatta alla cultura orale ebraica (come pure a tutte le culture orali basate sulla mnemotecnica, cioè culture dove si formavano figure religiose capaci di tenere a memoria con particolari espedienti interi "libri" senza sbagliare una virgola), ho capito che quando si parla di parola non si deve pensare alla Bibbia scritta ma all'annunzio e alla Parola messa in pratica, viva e vissuta. Non per niente si parla di Parola che si è fatta carne, incarnata.
Del resto ormai tutti sappiamo che la creazione secondo Genesi 1 avviene "per parola": Dio non modella nulla, non crea nulla in senso stretto, ma ordina: "sia la luce" dice, e la luce fu (confronta Giuditta 16,14). Questa parola pronunciata da Dio per creare è in fondo Gesù, presente accanto al Padre fin dalla creazione.
Quindi, ancora una volta: recuperiamo il piacere di proclamare, di una proclamazione durante la messa, ascoltando la parola che riprende vita attraverso la voce di un nostro fratello, con la gioia di sentire la parola proclamata in assemblea e non semplicemente letta in privato; quindi abbandoniamo il "foglietto" con le letture e concentriamoci sulla viva voce. E' un esercizio di attenzione difficile ma alla fine più attento proprio perché ci impegna di più. Oggi siamo sempre meno abituati a saper ascoltare. E' un impegno anche per colui che proclama, che sa di dover leggere una specie di lettera d'amore non scritta da lui, quindi con il tono e la discrezione di chi sa di prestar la propria voce ad un Altro, diventanto strumento e mezzo che non deve ingombrare con la sua presenza un messaggio che non è suo (da Bonhoeffer, La vita comune).
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Come i salmi vanno cantati, così la Bibbia andrebbe sempre letta ad alta voce. Mi piace molto leggere le pagine dell'Antico Testamento ad alta voce in ebraico, ridando alito vitale alle sequenze di antichi segni attraverso la mia voce e il mio fiato, così come (all'incirca) furono pronunciati per lunghe generazioni di sacerdoti e poi messi per iscritto da scribi e ricopiati per secoli da copiatori. Lo stesso possono fare molti di più con il Nuovo Testamento, scritto in un greco così semplice da esser reso facilmente comprensibile anche da una lontana preparazione liceale classica (anzi, facendola così fruttare!). Due ragazzi dell'oratorio, dopo il primo mese di liceo classico, sono riusciti a capire il Padre Nostro e il Magnificat leggendoli in greco, con loro grande e inaspettata soddisfazione.
L'altra sera, per la prima volta, in comunità obiettori abbiamo inserito nella compieta, dopo la recita in italiano, la lettura in greco del Cantico di Simeone, che poi ho con grande emozione ritradotto e commentato assieme ad un altro ex-liceale. Tutti i (pochi) presenti sono stati entusiasti. E' un modo concreto per far rivivere la parola del Signore attualizzandola senza il diaframma di una traduzione codificata, traducendola sul momento e commentandola nell'atto stesso di tradurla secondo la sensibilità dell'occasione.
Prendiamo l'inizio del vangelo di Marco secondo la traduzione CEI 1971:
[1.1] Inizio del vangelo di
Gesù Cristo, Figlio di Dio. [1.2] Come è scritto nel profeta
Isaia:
Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te,
ti preparerà la strada.
[1.3] Voce di uno che grida nel deserto:
preparate la strada del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri [...]
Cos'è per noi il vangelo? Cos'è che inizia secondo l'evangelista Marco? Certo -specie se stessi leggendo questi versetti da una solida Bibbia di Gerusalemme- penserei all'inizio del "libro del vangelo" (propriamente forse evangeliario) di Marco. Certo, ma il testo greco ci ricorda anche che il termine per vangelo è euanghellion cioè eu "buono" (da cui eutanasia, eucarestia...) e anghellion "annunzio" (derivato da anghellos "annunziatore, messaggero"). Una traduzione più attenta potrebbe essere quindi: "principio (per mantenere un'eco risonante con l'inizio della Genesi e del vangelo di Giovanni) del buon annunzio di Gesù" cioè dell'annunzio che è sia portato nel mondo da Gesù, sia Gesù stesso che è parola (verbo) di vita (confronta anche la prima lettera di Giovanni).
Continuando a leggere troviamo alcuni altri elementi funzionali al nostro esercizio. "Messaggero" in greco è anghellos (che solo più tardi diventa per noi "angelo" in senso stretto, cioè essere semidivino usato da Dio per rapportarsi con gli uomini), termine che coniuga l'idea dell'annunziare con la persona fisica che affronta un viaggio (magari lungo e su un percorso impervio) per annunziare agli altri qualcosa di importante. Come potremmo tradurre in italiano euanghellion e anghellos per mantenere l'evidente correlazione dei due termini greci?
Il verso 3 insiste ancora che si tratta di una voce, in greco fonè (da cui fonetica e la scritta inglese "phones" sui nostri lettori compact-disc per indicare la presa delle cuffie), di uno che grida nel deserto (in greco èremos, da cui il nostro eremo, eremita).
Ci siamo forse dimenticati di come iniziava il versetto 2? Qual è il rapporto fra annunzio e ciò che "è stato scritto"?
E' stato scritto ancora nel profeta Isaia:
come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi [Isaia 52,7]
Nella LXX ("settanta", versione greca dell'Antico Testamento, così detta perché...) l'espressione "messaggero di lieti annunzi" è resa da euanghellizomenos che potremmo letteralmente tradurre evangelizzatore se non fosse che l'idea di "evangelizzare" nacque dopo che il lieto annunzio di Gesù fu posto per iscritto nei Vangeli. Come la "voce" prima, qui è la menzione dei "piedi" che dà fisicità e vita all'immagine evocata. In uno dei salmi detti "delle ascensioni" (cioè recitati nel pellegrinaggio durante l'ascesa finale a Gerusalemme) troviamo, secondo il mio professore di ebraico:
alzo gli occhi verso i monti da dove mi verrà l'aiuto [Salmi 121,1]
e non "alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l'aiuto?". Perché l'aiuto (la salvezza) arriva a Gerusalemme dai monti? Chi è stato a Gerusalemme, sa che la città antica è circondata solo da... Del resto, il linguaggio di un popolo è in un qualche modo proporzionato all'ambiente in cui vive, specie in un'epoca in cui non circolavano certo foto o filmati di terre lontane. Comunque, come si può conciliare questa profezia con Gesù?
Aggiungo una postilla che può essere utile a chi vuole avventurarsi nella lettura di uno dei tanti testi esegetici che si possono facilmente reperire nelle librerie cattoliche. In questi testi un po' impegnati ci si imbatte spesso nel kerygma senza ulteriori spiegazioni. Semplificando un po', possiamo dire che molti (forse troppi) studiosi cattolici sostengono che i vangeli sono basati sul kerygma dei discepoli e solo in piccolissima parte riportano vere e proprie parole di Gesù. Non entro nel merito di questa ipotesi spacciata oggi come verità di fede dai più illustri sacerdoti, ma... che cos'è questo kerygma? Generalmente si traduce come predicazione, anche qui trasformando il significato originario del termine greco secondo l'esperienza cristiana. Propriamente infatti sarebbe la proclamazione che l'araldo fa al popolo di un documento ufficiale emanato dal re. Deriva dal verbo kerusso che significa infatti bandire, gridare, proclamare come araldo secondo il dizionario greco-italiano di Rocci.
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san Giovanni in Persiceto, 13/X/1999 (esercizio del 27/XII/1999, revisione definitiva (?) del 14/I/2000, foglio di stile 26/V/2001)